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Sopprimere la neuroinfiammazione: un nuovo
approccio per la terapia nella Sclerosi Laterale
Amiotrofica
Stanley H. APPEL
TARMA - Alterazioni del metabolismo dell'RNA legate
a TDP-43 nella SLA
Francisco BARALLE
International Centre for Genetic Engineering and Biotechnology
(ICGEB), Trieste
Methodist Neurological Institute, Huston, TX, US
I processi di immunità innata e adattativa contribuiscono
in
maniera
significativa
alla
patogenesi
neuroinfiammatoria della SLA e ne rappresentano quindi
dei possibili bersagli terapeutici. Nel modello murino di
SLA che esprime la proteina mutata SOD1 le fasi della
malattia con rapida progressione sono associate
all’attivazione delle cellule della microglia proinfoiammatorie, mentre trattamenti con cellule
immunitarie (monociti/macrofagi) anti-infiammatori
prolungano la durata di malattia e la sopravvivenza. Nei
pazienti SLA la presenza di monociti circolanti potrebbe
essere utilizzata per monitorare la reattività immunitaria/
infiammatoria. Allo stesso tempo in pazienti con
progressione rapida della malattia i monociti tendono ad
assumere un fenotipo pro-infiammatorio. Questi dati
suggeriscono che le terapie in grado di sopprimere la
risposta pro-infiammatoria dei monociti circolanti
potrebbero avere effetti positivi sul decorso della
patologia. Studi preliminari relativi alla soppressione dei
monociti pro-infiammatori ottenuti con l’utilizzo
dell’NP001 suggeriscono un potenziale clinico positivo, e
ad oggi si sta pianificando un trial per confermare tali
risultati.
Le cellule T della risposta immunitaria adattativa
influenzano anche la progressione della SLA. Nel modello
murino SOD1, la diminuzione dell’attività dei linfociti T
regolatori è associata ad un decorso rapido di malattia. Il
trattamento con linfociti T regolatori in questi animali
sopprime la neuroinfiammazione in maniera significativa,
promuovendo inoltre la sopravvivenza. Nei pazienti SLA la
diminuzione dei livelli di linfociti T regolatori e
dell’espressione di FoxP3 è associata a una rapida
progressione della malattia e una ridotta sopravvivenza.
In questi pazienti la funzione soppressiva dei linfociti T
regolatori risulta fortemente compromessa. Inoltre
maggiore è la disfunzione di tali linfociti, più rapida è la
progressione clinica. In seguito all’espansione ex vivo,
l’attività immunosoppressiva dei linfociti T regolatori
torna alla normalità.
La “normalizzazione” di tali linfociti fornisce un razionale
per il nostro progetto pilota studiato per determinare la
sicurezza e la risposta del sistema immunitario in seguito
al trapianto autologo di linfociti T regolatori espansi e
“normalizzati”.
La scoperta del coinvolgimento di TDP-43 nella SLA ha
fornito preziose informazioni sull'origine della malattia. In
particolare, l’alterata localizzazione e l’aggregazione di
TDP-43 nei tessuti affetti ha suggerito nuovi meccanismi
che possono essere legati alla neurodegenerazione. Il
progetto TARMA ha fornito un quadro generale del ruolo
di TDP-43 nel metabolismo dell'RNA nei neuroni, nelle
cellule gliali e potenzialmente in altri tessuti colpiti dalla
malattia come i muscoli. Durante questo progetto si sono
studiati nuovi bersagli di TDP 43 come i geni MADD/IG20,
STAG2, FNIP1 e BRD8 ed il ruolo di alcuni di loro nel ciclo
cellulare.
Inoltre si è identificato il meccanismo che controlla i livelli
cellulari di TDP 43, una via completamente nuova in grado
di ridurre la quantità del mRNA specifico che codifica per
TDP 43 quando la cellula contiene alti livelli di questa
proteina. Questo meccanismo coinvolge i processi di
splicing e poliadenilazione che sono bloccati dal legame
fra TDP 43 ed il pre-mRNA a livello del nucleo cellulare.
Dalle ricerche sviluppate nel corso del progetto TARMA è
stato inoltre generato nel laboratorio del PI un modello
funzionale di aggregazione di TDP-43 che ha permesso di
capire alcuni aspetti del meccanismo di aggregazione,
come il coinvolgimento sinergico dei domini amino e
carboxi terminale della proteina.
Questo modello funzionale è stato usato per costruire
modelli animali di aggregazione sia in Drosophila che in
topo, questo ultimo ancora in fase di sviluppo. I modelli
cellulari e di Drosophila sono stati usati per screening
iniziali di farmaci in grado di stimolare la risoluzione degli
aggregati e il ritorno alla funzionalità di TDP-43. Diversi
farmaci hanno dato risultati incoraggianti e si è stabilita
una collaborazione con il Medical Research Council
Technology del Regno Unito per l’utilizzo del modello
nello screening di nuove molecole.
Epidemiologia e fattori di rischio ambientali
Ettore BEGHI
Laboratorio di Malattie Neurologiche, Istituto di Ricerche
Farmacologiche Mario Negri, Milano
La sclerosi laterale amiotrofica (SLA) è una malattia
neurologica età-correlata ad eziopatogenesi tuttora
ignota. Possono concorrere alla sua comparsa fattori
genetici e ambientali. Questi ultimi sono però tuttora
poco conosciuti. I fattori maggiormente implicati
comprendono il fumo, l’esercizio fisico, il body mass index
e i traumi. Altri fattori sono stati studiati ma il loro ruolo
causale è ancora più incerto: sono compresi la ridotta
ingestione di cibi contenenti sostanze antiossidanti,
l’esposizione professionale a metalli e pesticidi,
l’esposizione a campi elettrici ed elettromagnetici, il
contatto con acque contenenti β-metilamino-L-alanina e
l’esposizione ad agenti virali. La difficile conferma di
associazioni causali dipende dalle caratteristiche della
malattia e dai limiti dei disegni di studio. Poiché studi
prospettici su soggetti esposti e soggetti non esposti a
determinati fattori ambientali sono di difficile esecuzione
per la rarità della malattia, la massima parte delle indagini
ha finora confrontato pazienti con SLA e controlli alla
ricerca di potenziali fattori di rischio. Poiché la malattia si
manifesta dopo la perdita di un numero critico di
motoneuroni, l’esatta epoca di insorgenza della SLA può
precedere anche di parecchi anni la comparsa dei sintomi.
Pertanto, lo studio dei fattori di rischio ambientali deve
riguardare esposizioni di molto precedenti l’esordio dei
sintomi. La ricerca di tali esposizioni è però viziata dalla
difficile ricostruzione della propria storia di malattia da
parte di soggetti anziani. Inoltre, non può essere escluso
che, invece di un singolo fattore, più fattori ambientali
concorrano in soggetti geneticamente predisposti. Gli
studi futuri dovrebbero pertanto valutare l’aggregazione
di più fattori e dei relativi livelli di esposizione.
IMMUNALS - Ruolo patologico e potenziale utilizzo
clinico dell’asse CCL2/CCLR2 nella regolazione della
risposta immunitaria nella SLA
Caterina BENDOTTI
Dipartimento di Neuroscienze, Istituto di Ricerche
Farmacologiche Mario Negri, Milano
La chemochina CCL2 responsabile, attraverso il suo
recettore CCR2, della mobilizzazione di monociti e
leucociti dal midollo osseo è tra i fattori infiammatori
quello più precocemente attivato nel midollo spinale dei
topi transgenici SOD1G93A, un modello di SLA familiare.
Inoltre l’espressione di questa chemochina è aumentata
nel liquor e nel sangue dei pazienti SLA. Studi preliminari
hanno tuttavia mostrato una riduzione dell'espressione di
CCR2 nei monociti circolanti dei pazienti SLA suggerendo
un deficit funzionale dell'asse CCL2/CCR2 alla base della
malattia. Per indagare a fondo questa ipotesi in questo
studio abbiamo analizzato l'espressione di CCL2 e CCR2
nel midollo spinale, nei nervi e nel sangue dei topi
SOD1G93A a diversi stadi della malattia dimostrando che:
1. nel midollo spinale CCL2 aumenta inizialmente nella
microglia mentre all'esordio dei sintomi l'aumento
avviene sopratutto nel motoneurone e lungo l'assone
nei nervi periferici;
2. il recettore CCR2, che nel midollo spinale è espresso a
livelli basali nei neuroni, viene attivato soprattutto
negli astrociti e nella microglia in fase sintomatica, ma
non nel nervo sciatico;
3. l'attivazione di CCL2 è seguita da un aumento dei
macrofagi (CD68) e linfociti T-CD8 nel midollo spinale
e nei nervi dei topi SOD1G93A all'esordio dei sintomi,
mentre le cellule Treg (CD4+, FoxP3+) con potenziale
neuroprotettivo risultano diminuite;
4. nel sangue periferico i monociti e l'espressione del
loro recettore CCR2 non variano nel corso della
malattia, mentre le Treg sono significativamente
aumentate nella milza all'esordio dei sintomi,
indicando un possibile deficit del loro reclutamento a
livello spinale. Tuttavia questo effetto non sembra
migliorato dalla trasfezione di CCR2 in queste cellule;
5. a differenza dei dati preliminari, i monociti nel sangue
dei pazienti SLA sono aumentati ma la loro
espressione di CCR2 non è variata.
In conclusione questo studio dimostra che l'asse
CCL2/CCR2 potrebbe modulare la vitalità dei motoneuroni
non solo attraverso la mobilizzazione e il reclutamento di
cellule immunitarie ma anche attraverso una diretta
azione sui motoneuroni.
LoCaLS - Perturbazioni locali dell’omeostasi del Ca2+
come possibile meccanismo di patogenesi nella SLA
familiare
Alessandro BERTOLI
Dipartimento di Scienze Biomediche, Università degli Studi di
Padova
Lo ione calcio (Ca2+) è uno dei più importanti messaggeri
cellulari. Infatti, anche piccole variazioni della sua
concentrazione - limitate nel tempo, e nello spazio
ristretto di specifici compartimenti cellulari - regolano
moltissimi processi biologici, in particolare nei neuroni.
Sempre maggiori evidenze sperimentali suggeriscono che
specifiche alterazioni nel metabolismo del Ca2+ possano
essere alla base della perdita della funzionalità neuronale
nell’invecchiamento
ed
in
diverse
malattie
neurodegenerative, inclusa la SLA. Una sfida
determinante nella ricerca di base del prossimo futuro
consiste, pertanto, nel comprendere nel dettaglio i
meccanismi che legano l’alterazione dei messaggi mediati
dal Ca2+ con il danno e la morte neuronale, nel contesto
specifico di ogni singola malattia neurodegenerativa.
Il progetto LoCaLS si propone di verificare se l’omeostasi
locale del Ca2+ in motoneuroni e astrociti di topi che
riproducono la SLA umana subisca alterazioni
causalmente correlabili ai meccanismi patogenetici.
L’aspetto innovativo del progetto si basa sull’utilizzo di
sonde luminescenti o fluorescenti Ca2+-sensibili che
possono essere indirizzate mediante ingegneria genetica
a diversi compartimenti cellulari.
Nel corso del progetto LoCaLS sono state prodotte nuove
sonde fluorescenti per il Ca2+, geneticamente indirizzate a
diversi domini cellulari, ed espresse selettivamente in
motoneuroni mediante l’uso di un promotore specifico e
di vettori virali adeno-associati. Sono stati prodotti
risultati preliminari su analisi comparative in motoneuroni
primari e immortalizzati esprimenti SOD1WT o SOD1G93A.
Infine, mediante l’uso di indicatori luminescenti o
fluorescenti del Ca2+, veicolati nelle cellule mediante
vettori plasmidici o lentivirali, sono state osservate
differenze significative nell’omeostasi del Ca2+ fra astrociti
spinali primari SOD1WT e SOD1G93A, in seguito alla loro
stimolazione per il cosiddetto store-operated Ca2+ entry o
dei recettori purinergici.
Indicatori clinici: dai fenotipi ai sistemi di staging
Andrea CALVO
Ospedale Molinette, Dipartimento di Neuroscienze, Università
degli Studi di Torino
La diagnosi della sclerosi laterale amiotrofica (SLA) è, ad
oggi, prettamente clinica. Non esistono marcatori
diagnostici e prognostici altamente sensibili e specifici,
eccetto le mutazioni genetiche causali, sebbene anche
queste ultime risentano di limiti legati alla loro
patogenicità e variabilità clinica.
Nonostante il miglioramento delle tecniche di
neuroimaging e l’identificazione di alcuni parametri
bioumorali, gli indicatori clinici come il sesso, l’età, la
presenza di deficit cognitivi clinicamente identificabili,
l’età di esordio, il tipo di esordio, il fenotipo clinico e il
decorso di malattia (stadio di malattia o “staging”)
rappresentano i parametri più sensibili e specifici per la
diagnosi e la prognosi della SLA.
In questa relazione vengono pertanto affrontati i
principali indicatori clinici e le linee di ricerca presenti e
future in questo ambito.
OligoALS - Nuove strategie per rimuovere gli
aggregati proteici
nella SLA
Maria Teresa CARRI’
Dipartimento di Biologia, Università degli Studi di Roma
Tor Vergata
Una caratteristica tipica dei motoneuroni dei pazienti
affetti da SLA è quella di mostrare la presenza di aggregati
di proteine (SOD1, TDP-43 and FUS/TLS) wild type o
mutanti. Il ruolo di tali aggregati nella patologia non è
ancora stato chiarito; tuttavia, poiché la loro presenza è in
relazione alla gravità della malattia nei modelli murini e
probabilmente anche nell’uomo, comprendere i
meccanismi con cui gli aggregati si formano può fornire
indicazioni utili alla progettazione di nuove strategie
terapeutiche basate su molecole che impediscono o
revertono l’aggregazione proteica.In questo studio
abbiamo esplorato i meccanismi biochimici di
aggregazione di TDP-43 e di FUS. L’ipotesi di lavoro era
che, in analogia con quanto da noi dimostrato per la SOD1
mutata, anche TDP-43 e FUS fossero in grado di aggregare
con un meccanismo mediato dai residui di cisteine e che
fosse quindi possibile impedirne l’aggregazione
utilizzando sistemi di modulazione dello stato ossidoriduttivo di tali residui.
In uno studio su TDP-43 in vitro e in silico abbiamo
dimostrato che questa proteina forma sia oligomeri che
grandi aggregati, mediante meccanismi che coinvolgono
sia i residui di cisteine sia interazioni idrofobiche tra le
subunità. In questo caso, come per la SOD1 mutata, è
effettivamente possibile impedire l’aggregazione
aumentando il livello di glutatione ridotto.
Diversamente, FUS aggrega con un meccanismo
largamente cisteina-indipendente e, osservazione assai
interessante, tende a formare anche piccoli complessi
proteici che intrappolano altre proteine funzionalmente
correlate.
SARDINIALS - Studio genomico della SLA in Sardegna
Adriano CHIO’
Ospedale Molinette, Dipartimento di Neuroscienze,
Università degli Studi di Torino
Obiettivo del progetto SARDINIALS è stato lo studio
genetico della popolazione di pazienti di origine sarda con
SLA. Il progetto ha coinvolto il Dipartimento di
Neuroscienze di Torino, i centri SLA dell’Università di
Cagliari e di Sassari e il laboratorio di Neurogenetica del
National Institute of Aging (NIA), NIH, Bethesda, USA.
Gli studi su popolazioni isolate rappresentano uno
strumento potente per la genetica. La Sardegna è una
popolazione ideale per tale tipo di studi per l’omogeneità
della sua genetica e per l’elevata frequenza di forme
familiari di SLA nella sua popolazione. Lo studio si è
sviluppato attraverso due strumenti di analisi genetica,
cioè un genome-wide association study (GWAS) su circa
400 casi di SLA e 200 controlli e in parallelo su uno studio
di sequenziamento dell’intero esoma su 180 casi e 100
controlli di origine sarda. L’analisi dei principali geni
coinvolti nella SLA (c9orf72, SOD1, TARDBP e FUS)
eseguita su una coorte di 375 pazienti consecutivi sardi
con SLA ha permesso di identificare mutazioni geniche in
155 casi (41,3%), cioè una frequenza circa 4 volte
superiore alle popolazioni caucasiche non isolate. Le più
frequenti mutazioni identificate sono state le mutazioni
missenso p.A382T e p.G295S del gene TARDBP e
l'espansione esanucleotidica GGGGCC del gene C9ORF72.
Otto pazienti erano portatori sia di una mutazione
p.A382T del gene TARDBP sia dell’espansione del gene
C9ORF72 (doppi mutati).
Successivamente il progetto SARDINIALS ha permesso di
identificare attraverso la tecnica di sequenziamento degli
esomi un nuovo gene della SLA, MATR3. MATR3 è una
RNA e DNA-binding protein che interagisce con TDP-43, a
sua volta una proteina correlata sia alla SLA sia alla
demenza fronto-temporale. È interessante notare che è
stato rilevato un quadro patologico di MATR3 nel midollo
spinale di persone affette da SLA con o senza mutazioni in
MATR3. La natura patogenetica delle mutazioni missenso
del gene MATR3 è stata successivamente confermata in
diversi lavori scientifici su popolazioni caucasiche e non
caucasiche. I dati ottenuti con l’analisi degli esomi nei
pazienti sardi sono tuttora in fase di analisi con la
possibile identificazione di ulteriori fattori genici correlati
alla SLA.
Infine, i dati raccolti grazie al progetto SARDINIALS hanno
permesso di studiare l’effetto di due geni regolatori sulla
sopravvivenza dei pazienti con SLA. La presenza di
espansioni intermedie del gene atassina 2 (ATXN2)
rappresenta un fattore prognostico negativo nei pazienti
con SLA di origine sarda. Al contrario, la presenza del
polimorfismo p.H63D del gene HFE non ha alcun affetto
sul decorso della malattia.
CANALS - Studio multicentrico, in doppio cieco,
randomizzato, controllato verso placebo, per
verificare l’efficacia degli estratti di Cannabis Sativa
sui sintomi di spasticità in pazienti con
malattie del motoneurone
Giancarlo COMI
Dipartimento di Neurologia, Ospedale San Raffaele,
Milano
La rigidità muscolare (o spasticità) è un sintomo che
colpisce molti dei pazienti affetti da Malattia del
Motoneurone,
contribuendo
alla
riduzione
dell’autonomia personale e della qualità di vita.
L’obiettivo di questo studio è analizzare il profilo di
sicurezza, tollerabilità ed efficacia di un derivato di
Cannabis sativa nei pazienti affetti da spasticità
secondaria a Malattia del Motoneurone.
60 pazienti sono stati randomizzati in due gruppi: farmaco
e placebo. Durante le 6 settimane successive è stato
valutato il profilo di sicurezza ed efficacia del farmaco.
L’outcome primario è stato il miglioramento della
spasticità dei pazienti. Tra gli outcome secondari sono
stati valutati il miglioramento degli spasmi, del dolore e la
qualità del sonno, il tempo sui 10 metri, la scala di
disabilità ALS-FRS-R. Al termine dello studio è stata
valutata l’impressione soggettiva di cambiamento del
paziente, care-giver e medico curante.
Il farmaco in studio ha presentato un buon profilo di
sicurezza e tollerabilità. Nessun paziente ha interrotto lo
studio in seguito a eventi avversi. Al termine dello studio
si è registrato un miglioramento significativo della
spasticità nei pazienti in trattamento attivo, che hanno
inoltre presentato una percentuale di impressione
soggettiva di miglioramento significativamente superiore
rispetto ai pazienti in placebo. Non si sono registrate
variazioni significative dei rimanenti parametri valutati.
Lo studio suggerisce che l’utilizzo di cannabinoidi sia
sicuro e ben tollerato nei pazienti affetti da malattia del
motoneurone e fornisce indicazioni preliminari
incoraggianti in merito all’efficacia degli stessi per il
controllo del sintomo spasticità.
Modelli di malattia: quali gli sviluppi per il futuro della
ricerca?
Stefania CORTI
Dipartimento di Fisiopatologia Medico-Chirurgica e dei Trapianti,
Università degli Studi di Milano,
Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico,
Milano
La Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA) è una patologia
neurodegenerativa caratterizzata da progressiva paralisi
ed exitus precoce, per cui attualmente non esiste terapia
efficace. I meccanismi patogenetici causativi della SLA non
sono ancora completamente noti, soprattutto nel caso
della forma più comune, quella sporadica. Modelli
sperimentali in vitro e in vivo consentono di riprodurre la
malattia al fine di comprenderne i meccanismi molecolari
e identificare nuovi target terapeutici utili per lo sviluppo
di terapie efficaci. Tra i modelli in vitro, la tecnologia delle
cellule staminali pluripotenti indotte (iPSC) rappresenta
uno strumento utile per lo studio della SLA e per lo
sviluppo e lo screening di nuove possibili terapie. Infatti, a
partire da una semplice biopsia cutanea, la
riprogrammazione permette di ottenere cellule staminali
paziente-specifiche che in seguito possono essere
differenziate in motoneuroni o cellule gliali, cellule target
della malattia. Le iPSC hanno inoltre aperto nuove
opportunità nel campo della medicina rigenerativa. In
parallelo, l’utilizzo di modelli transgenici permette di
riprodurre in vivo la malattia umana fornendo uno
strumento utile per verificare l'efficacia di potenziali
terapie nel curare o rallentare la malattia nell'uomo. Ad
oggi sono disponibili solo modelli murini che riproducono
la SLA con causa genetica determinata, il modello più
utilizzato è il SODG93A. La validazione di una potenziale
strategia terapeutica in un modello in vivo è un passo
cruciale e fondamentale al fine della trasferibilità clinica.
MesALS - Le cellule staminali mesenchimali sono in
grado di modulare la neuro infiammazione
nella SLA?
Debora GIUNTI
Dipartimento di Neuroscienze, Riabilitazione, Oftalmologia,
Genetica e Scienze Materno Infantili (DINOGMI), Università degli
Studi di Genova
La degenerazione dei motoneuroni nella sclerosi laterale
amiotrofica (SLA) è associata alla neuroinfiammazione
nella quale la microglia svolge un ruolo fondamentale. Il
trattamento di topi SOD1-G93A, modello animale della
SLA, con cellule staminali mesenchimali (MSC) determina
un rallentamento della progressione della patologia e un
miglioramento della funzionalità motoria, associati alla
diminuzione dell'attivazione microgliale. Lo scopo di
questo progetto è stato dimostrare in vitro che le MSC
possono modulare l’attivazione microgliale attraverso
specifici microRNA (miRNA) contenuti negli esosomi
presenti nel loro secretoma. Analisi di microarray hanno
permesso di identificare 9 miRNA up-regolati nelle MSC
“modulatorie” (attivate con IFNγ) che sono stati
successivamente validati attraverso RT-PCR.
Tra questi miRNA identificati, alcuni sono in grado di
diminuire l’espressione di geni tipicamente proinfiammatori (M1-like), mentre altri aumentano
l’espressione di geni anti-infiammatori/neuro-protettivi
(M2-like) nella microglia attivata. Abbiamo dimostrato che
tali miRNA sono presenti negli esosomi derivati dalle MSC
“modulatorie” e che questi esosomi sono in grado di
entrare nelle cellule microgliali e di modularne il fenotipo
molecolare. Dati preliminari ottenuti attraverso analisi
bioinformatiche ci hanno permesso di identificare alcuni
possibili geni target dei miRNA modulatori. In
conclusione, i risultati ottenuti suggeriscono che le MSC
potrebbero effettivamente modulare l’attivazione
microgliale rilasciando esosomi che trasferiscono specifici
miRNA in grado di modulare l’espressione genica della
microglia attivata, inducendone uno switch fenotipico da
neurotossico a neuroprotettivo. Dal momento che gli
esosomi possono attraversare la barriera ematoencefalica
potrebbero rappresentare un approccio terapeutico
alternativo all’uso delle MSC.
Il supporto ventilatorio e nutrizionale
Christian LUNETTA
NEuroMuscular Omnicentre (NEMO), Fondazione Serena,
Milano
Numerosi studi hanno confermato che l’approccio più
adeguato nella gestione dei pazienti affetti da Sclerosi
Laterale Amiotrofica (SLA) è quello multidisciplinare,
caratterizzato dalla presenza di una équipe formata da
diversi specialisti e finalizzata a garantire una presa in
carico globale del paziente. Infatti la SLA, oltre a
determinare una perdita progressiva della funzione
motoria in più distretti, comporta una graduale
compromissione della respirazione, con le relative
conseguenze sulla prognosi e la sopravvivenza, e della
deglutizione, con le conseguenti anomalie nutrizionali e
rischi connessi alla disfagia. In relazione ai suddetti aspetti
le indicazioni dell’European ALS Consortium (EASLC) Task
Force e dell’American Academy of Neurology
suggeriscono che, oltre al neurologo, le figure
professionali necessarie per una adeguata presa in carico
del paziente siano le seguenti: fisiatra, pneumologo,
dietologo, terapista motorio, terapista respiratorio,
dietista, logopedista, terapista occupazionale, psicologo
ed assistente sociale. Una presa in carico
multidisciplinare, infatti, comporta un più repentino e
frequente ricorso alla gastrostomia endoscopica
percutanea (PEG) e alla ventilazione non invasiva (NIV),
due presidi che determinano un netto miglioramento
della qualità di vita e un significativo incremento della
sopravvivenza.
ALSinteractors - Analisi in vivo e in vitro delle relazioni
tra le proteine SOD1 e VDAC1: nuovi modelli di
interazione molecolare
Angela MESSINA
Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali –
Sezione di Biochimica e Biologia Molecolare, Università degli
Studi di Catania
Il progetto ALSINTERACTORS si è proposto di studiare il
meccanismo di disfunzione mitocondriale tipico dei
motoneuroni dei pazienti con SLA. A tale scopo si è
indagato il coinvolgimento di VDAC1 (isoforma 1 del
Voltage Dependent Anion Channel o porina
mitocondriale), una proteina in grado di controllare
l’intero metabolismo mitocondriale.
Lo studio ha soprattutto investigato la capacità della
proteina SOD1 mutante G93A, la cui espressione è
associata al 20% di casi di SLA familiare, di interagire con
VDAC1 modificandone l’attività. Tale interazione è stata
studiata in vitro mediante differenti saggi quali Pull-down
interaction assay e Microscale Thermophoresis assay.
L’effetto che ogni interazione molecolare produceva sulla
funzionalità di VDAC1 è stato rivelato con un sistema che
misura, in risposta al voltaggio applicato, la conduttanza
del canale VDAC ricostituito in una membrana lipidica
artificiale.
L’interazione VDAC1/G93A è stata anche saggiata in
mitocondri purificati da cellule NSC-34 (un riconosciuto
modello di motoneurone) esprimenti SOD1 G93A o SOD1
wild-type (wt). Inoltre è stato valutato, in esperimenti in
vitro e in cellule, l’effetto di interferenza di molecole
biologiche sull’interazione VDAC1/G93A.
In conclusione, i dati ottenuti evidenziano che:
- VDAC1 è in grado di legare la SOD1 G93A ma non la
SOD1 wt;
- il legame della SOD1 G93A (ma non della SOD1 wt)
modifica l’attività di VDAC1;
- molecole biologiche influiscono sull’interazione tra
VDAC1 e SOD1 mutata.
Questi risultati, con gli opportuni approfondimenti e
controlli, possono portare a nuove prospettive nella
comprensione del meccanismo molecolare della
disfunzione mitocondriale associata alla SLA, non solo di
natura genetica.
Trials clinici in atto e prospettive future
Gabriele MORA
Fondazione Salvatore Maugeri IRCCS, Istituto Scientifico di
Milano
I meccanismi patogenetici ad oggi ipotizzati nella genesi
della SLA sono vari e includono: aggregazione proteica,
difetto di RNA processing, stress ossidativo, eccitotossicità
da
glutamato,
neuroinfiammazione,
disfunzione
mitocondriale, frammentazione dell’apparato di Golgi,
alterazione dei neurofilamenti. Per ognuno di questi
possibili fattori causativi sono state provate numerose
molecole, e altre sono attualmente in fase di
sperimentazione. In questi ultimi anni sono state messe a
punto nuove tecniche di trattamento delle forme
genetiche. Lo studio ISIS 333611 usa nucleotidi antisenso
diretti al RNA messaggero nei pazienti con difetto
genetico della SOD1 per arrestare la proteina mutata.
Studi promettenti in vitro e in vivo su animali sono in
corso anche in presenza della mutazione C9ORF72, che è
la più frequente nell’uomo. Un’altra tecnica che si sta
valutando è quella degli RNA antisenso.
Sono in corso di sperimentazione varie molecole:
1. che agiscono a livello muscolare, come il Tirasemtiv,
un attivatore della troponina nei muscoli;
2. farmaci immunomodulatori, come il Masitinib, che
agirebbe
modulando
i
processi
di
neuroinfiammazione. Un’altra sostanza la cui
sperimentazione sta per partire in Italia è il
Guanabenz.
Le cellule staminali (SC) sono sempre più riconosciute per
il loro potenziale neuroprotettivo. Le SC possono
funzionare come supporto e protezione dei neuroni
affetti, e allo stesso tempo possono liberare fattori di
crescita e modulare il microambiente infiammatorio. In
questa classe vi sono anche le iPSC, che vengono
riprogrammate da cellule del paziente stesso, evitando il
rischio di rigetto. È ancora in fase di studio quale sia la
migliore
via di
somministrazione, se
quella
intraparenchimale midollare, quella endoarteriosa o
endovenosa, o la via intratecale. Sono in corso e stanno
per partire in Italia tre sperimentazioni che utilizzano
diversi tipi di SC e varie vie di somministrazione.
SLA, Farmacoresistenza e Terapie: ripensare
all’approccio farmacologico mirando alle proteine di
resistenza multipla ai farmaci
Piera PASINELLI
Thomas Jefferson University, Philadelphia, PA, US;
Packard Center for ALS Research, Johns Hopkins Baltimore, MD,
US
Nonostante i progressi ottenuti nella comprensione della
sua patogenesi la SLA rimane una malattia fatale. Il
limitati sviluppi nell’identificazione di una terapia efficace
per la SLA possono essere dovuti a molti fattori, come la
natura complessa e altamente eterogenea della malattia.
Una possibile spiegazione di questi insuccessi è l’acquisita
farmacoresistenza dovuta ai trasportatori responsabili
dell’efflusso dei farmaci, chiamati P-glycoprotein (P-gp) e
breast cancer resistant protein (BCRP), che abbiamo
ritrovato selettivamente sovra-regolati a livello della
barriera emato-encefalica (BBB/BSCB) in modelli murini di
SLA e in pazienti (Jablonski et al., 2012 Neurobiol Dis 47:
194-200), e che causano una ridotta penetrazione dei
farmaci con l’avanzare della patologia. (Jablonski, et al.
Annals of Clinical and Translational Neurology, 2014).
P-gp e BCRP sono membri della superfamiglia di
trasportatori transmembrana ABC (dall'inglese ATPbinding cassette) localizzati nel lumen delle cellule
endoteliali della BBB/BSCB, dove proteggono il Sistema
Nervoso Centrale (CNS) limitando l’accumulo di sostanze
neurotossiche endogene e la penetrazione di
xenobiotici/terapici, in definitiva influenzando la
farmacocinetica/
farmacodinamica.
La
limitata
penetrazione nel CNS dei farmaci è una sfida comune dei
trattamenti per i disturbi neurologici e la
farmacoresistenza legata alla malattia è un fenomeno ben
caratterizzato in altre patologie, ma - almeno fino ad ora sorprendentemente trascurato nella SLA.
In questa presentazione, parleremo delle sfide da
affrontare per lo sviluppo e l’indirizzo di farmaci per la SLA
e ci focalizzeremo sulla farmacoresistenza acquisita come
principale ostacolo.
Discuteremo dei meccanismi attraverso i quali i
trasportatori sopracitati risultano sovra-regolati, portando
alla farmacoresistenza col progredire della patologia e
presenteremo lo studio di proof-of-principle effettuato in
topi SOD1 che dimostra come sia possibile migliorare la
penetrazione e l’efficacia di farmaci per la SLA attraverso
il blocco della farmacoresistenza acquisita.
ALS_HSPB8 - Il ruolo delle proteine spazzine nella
rimozione delle forme proteiche neurotossiche
presenti nella SLA
Angelo POLETTI,
Dipartimento di Scienze Farmacologiche e Biomolecolari,
Università degli Studi di Milano
La sclerosi laterale amiotrofica (SLA) può manifestarsi
sporadicamente (sSLA) o in forme familiari (fSLA). Tutti i
pazienti SLA presentano depositi/aggregati di particolari
proteine nei motoneuroni colpiti dalla malattia. Tra le
proteine identificate in questi depositi alcune (quali TDP43, FUS, UBQLN2, OPTN2) causano, se mutate, fSLA,
suggerendo l'esistenza di un meccanismo patogenetico
comune tra le due varianti di SLA. Tali proteine avrebbero
una naturale tendenza a generare forme strutturalmente
aberranti ("misfoldate") e le mutazioni aumenterebbero
significativamente la frequenza con cui perdono la
corretta struttura terziaria. Le proteine "misfoldate" sono
associate a neurotossicità e devono essere eliminate
tramite il sistema di controllo di qualità proteico (PQC),
composto da proteine chaperones (come le Heat Shock
Proteins) e dai sistemi di degradazione ubiquitinaproteasoma (UPS) e autofago-lisosomiale (APLP).
L'accumulo di proteine "misfoldate" deriverebbe da
un’insufficiente azione o alterazione del PQC nella SLA. In
topi transgenici esprimenti la proteina Superossido
Dismutasi 1 (SOD1) mutata (Tg SOD1-G93A) abbiamo
osservato che lo chaperone small heat shock protein B8
(HSPB8) è presente a livelli elevati in motoneuroni che
sopravvivono allo stadio terminale della malattia. HSPB8 è
anche sovraespressa nel midollo spinale di pazienti fSLA e
sSLA. È stato dimostrato che in modelli motoneuronali di
fSLA, la sovra-espressione di HSPB8 previene
l’aggregazione delle forme SLA-associate di SOD1 e TDP43, promuovendone la degradazione via autofagia. In
modelli di Drosophila melanogaster di SLA, la
sovraespressione dell'ortologo di HSPB8 (Hsp67Bc) riduce
il danno indotto da TDP-43 agli ommatidi dell'occhio. Su
queste basi, è stato sviluppato un sistema reporter basato
sul gene luciferasi attivato dal promotore umano di
HSPB8 (promB8), per identificare molecole capaci di
interferire con l’espressione a livello trascrizionale.
L’analisi high-troughput screening di una libreria
commerciale di 2000 composti (The SPECTRUM
Collection, MicroSource, USA) ha permesso di identificare
composti attivi poi saggiati, in cellule NSC34 e SH-SY5Y,
per la loro: 1) tossicità, 2) IC50 e 3) induzione
dell’espressione di HSPB8 endogena. Sono stati
identificati
due
composti
che
aumentano
significativamente i livelli di HSPB8 in cellule SH-SY5Y e
che contrastano l’aggregazione di TDP-43 mutato. In
futuro l’efficacia di queste molecole saranno testati in vari
modelli animali di SLA.
ExoSLA - Gli esosomi nella SLA
Francesca PROPERZI
Dipartimento di Biologia Cellulare e Neuroscienze, Istituto
Superiore di Sanità, Roma
Gli esosomi sono piccole vescicole rilasciate dalle cellule e
note per essere coinvolte nella comunicazione
intercellulare. Contengono informazioni molecolari
dettagliate, tra cui RNA specifici come mRNA e miRNA che
sono complessivamente chiamati exosomal shuttle RNAs
(esRNAs). I miRNAs sono un gruppo di piccole molecole
coinvolte nel silenziamento genico che controllano una
varietà di funzioni critiche nelle cellule dei mammiferi.
Una volta raggiunta la cellula target, diventano funzionali
e possono efficacemente regolare l'espressione genica.
Contenendo informazioni molecolari precise ed essendo
rilasciati in fluidi biologici facilmente accessibili, gli
esosomi rappresentano un prezioso strumento biomedico
e sono attualmente utilizzati per la diagnosi e la prognosi
di un numero crescente di patologie (Properzi et al.,
2013). Inoltre è stato recentemente dimostrato che le
proteine
amiloidi
coinvolte
nelle
malattie
neurodegenerative vengono trasportate dagli esosomi
con implicazioni nella propagazione di questi agenti
neurotossici all'interno del sistema nervoso centrale
(Coleman e Hill, 2015).
Ad oggi non sono ancora stati identificati biomarcatori
specifici per la SLA necessari per la diagnosi precoce e la
prognosi di questa grave patologia. È noto però che la
proteina amiloide SOD1 associata alla SLA viene rilasciata
dalla cellule nelle vescicole esosomali in vitro e che i livelli
di diversi miRNAs sono specificamente alterati durante la
patologia. Gli esosomi rilasciati nei liquidi biologici dei
pazienti affetti da SLA potrebbero quindi contenere
biomarcatori rilevanti. In un precedente studio di
screening abbiamo individuato una firma di 16 miRNA e
14 mRNA esosomali specifici nel liquor di quindici pazienti
affetti da SLA sporadica con fenotipi omogenei rispetto ai
controlli neurologici. I risultati sono stati validati mediante
RT-PCR. In particolare uno dei miRNA identificati è
espresso in modo univoco nel 40% dei pazienti con SLA.
NOVALS - Identificazione di mutazioni de novo nella
SLA attraverso un approccio di “exome sequencing”
basato sui trio
Vincenzo SILANI
Dipartimento di Neurologia e Laboratorio di
Neuroscienze, Centro “Dino Ferrari”,
Università degli Studi di Milano, IRCCS Istituto Auxologico
Italiano, Milano
Le basi genetiche della Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA)
sono ancora parzialmente sconosciute e le metodiche di
next-generation sequencing rappresentano ad oggi
l’approccio più promettente per l’ ulteriore
identificazione di geni coinvolti nella patogenesi della
malattia.
Per indagare il possibile ruolo delle mutazioni de novo
nell’eziologia della SLA, abbiamo sequenziato l’esoma di
40 trio, ciascuno dei quali costituito da un probando
affetto e dai genitori non affetti. Tale analisi, resa
relativamente difficile dal reperimento dei genitori in una
malattia ad esordio tardivo, ha permesso di identificare
35 varianti de novo in 23 dei 40 trio analizzati, con tasso
mutazionale di 0.89/esoma. L’identificazione di mutazioni
de novo in geni differenti e non comuni supporta la
complessa eterogeneità genetica della SLA. Analisi
bioinformatiche hanno però mostrato possibili
connessioni funzionali e un arricchimento di mutazioni de
novo a carico di geni implicati nella regolazione della
trascrizione, nel rimodellamento della cromatina, nel
trasporto transmembrana e nel legame ai nucleosidi
purinici. Complementariamente, l’analisi dell’esoma di
520 casi familiari e 277 sporadici di SLA ha permesso di
identificare ulteriori mutazioni a carico di questi geni,
confermando la loro possibile associazione con la
malattia.
Infine, tramite un’innovativa analisi caso-controllo di
varianti rare condotta su 635 casi familiari a gene non
noto abbiamo identificato un nuovo gene associato alla
SLA, TUBA4A, codificante per un’isoforma dell'alfatubulina altamente espressa a livello neuronale. Analisi
funzionali hanno ulteriormente dimostrato che le
mutazioni determinano, con effetto di dominanza
negativa, una marcata alterazione della stabilità e della
dinamica dei microtubuli. Tale scoperta ulteriormente
suggerisce, dopo la scoperta di Profilin 1, che le
alterazioni del citoscheletro giocano un ruolo sostanziale
nella patogenesi della malattia.
Biomarcatori sierici e liquorali: potenzialità e limiti
Isabella SIMONE
stati studiati marker di stress ossidativo, fattori di crescita,
marker di neuroinfiammazione e marker di danno
assonale. Sono stati condotti più di 60 studi di dosaggio di
biomarker candidati per la SLA nel CSF, ma di questi solo
una decina hanno mostrato significative differenze tra
pazienti e controlli. Le subunità dei NF (neurofilamenti),
leggera (NF-L), media (NF-I) e pesante (NF-H)
rappresentano i principali costituenti del citoscheletro
neuronale, soprattutto dei motoneuroni di grosso calibro.
È quindi lecito aspettarsi che, in seguito al danno
assonale, esse siano rilasciate in quantità significative
nello spazio intercellulare, poi nel liquor e quindi nel
sangue, dove possono essere dosate e quantificate.
L’incremento dei NF liquorali caratterizzerebbe pazienti
con più rapida progressione di malattia e con maggiore
coinvolgimento del primo motoneurone. Recenti studi
hanno analizzato i livelli di NF-H anche nel plasma di
pazienti con SLA, riscontrando concentrazioni più elevate
rispetto a controlli sani. Alla luce di tali risultati il NF-L e il
NF-H sono stati proposti come possibili biomarker di
diagnosi ma anche di progressione e severità di malattia.
L’NAA è un aminoacido acetilato, sintetizzato all’interno
dei mitocondri neuronali e degradato principalmente
all’interno dell’oligodendrocita, ma che può anche
passare, attraverso l’astrocita, nel sangue periferico.
Elevati livelli di NAA sono stati riscontrati nel liquor e nel
siero di pazienti SLA e in particolare è stata riscontrata
una significativa correlazione tra NAA sierico e la
progressione clinica della malattia. Di grande interesse
appare la possibilità di dosare i suddetti biomarker in
campioni di sangue periferico, che offrono più facile
accessibilità e ripetibilità del prelievo. Emerge
fondamentale la necessità di un approccio multimodale, o
studi multicentrici prospettici.
Genetica e patogenesi: nuove acquisizioni
Nicola TICOZZI
Dipartimento di Scienze mediche di base, neuroscienze e organi
di senso,
Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”
Dipartimento di Neurologia e Laboratorio di Neuroscienze,
Centro “Dino Ferrari”,
Università degli Studi di Milano, IRCCS Istituto Auxologico
Italiano, Milano
La sclerosi laterale amiotrofica è caratterizzata da una
storia naturale estremamente eterogenea. Anche se i
meccanismi fisio-patologici non sono del tutto chiariti,
differenti processi possono agire simultaneamente o in
maniera
consequenziale
nel
determinare
la
manifestazione clinica della malattia. Biomarcatori
indicativi di tali processi possono rivestire grande utilità in
fase diagnostica. Un biomarker “ideale” per la SLA
dovrebbe essere altamente sensibile e specifico, in grado
di differenziare i diversi fenotipi clinici ed essere un buon
indicatore di progressione di malattia. Ad oggi un
biomarker “ideale” non è stato ancora individuato. Sono
La sclerosi laterale amiotrofica (SLA) è una malattia
degenerativa caratterizzata dalla progressiva perdita dei
motoneuroni della corteccia motoria del tronco
encefalico e del midollo spinale, con conseguente paralisi
della muscolatura volontaria. Nel 10% dei pazienti affetti
da SLA è possibile identificare mutazioni patogenetiche e,
ad oggi, sono stati individuati più di 20 geni responsabili di
forme familiari di malattia. L’identificazione di tali geni ha
permesso di comprendere meglio i meccanismi biologici
coinvolti nella patogenesi della SLA, quali: alterazioni
nell’omeostasi e degradazione delle proteine cellulari,
alterazioni del metabolismo degli RNA e disfunzioni del
citoscheletro. Inoltre, i recenti studi di biologia
molecolare hanno evidenziato l’esistenza di una
sovrapposizione genetica, neuropatologica e clinica tra
SLA e demenza fronto-temporale, con conseguente
necessità di modificare i tradizionali modelli diagnostici e
assistenziali e i processi di counselling genetico. I rapidi
progressi degli studi genetici sulla SLA, e la conseguente
acquisizione di conoscenze sulla patogenesi della malattia
e di possibili target terapeutici, rappresentano una solida
speranza per la scoperta di terapie finalmente efficaci.
Neuroimaging e SLA
Francesca TROJSI
Dipartimento Assistenziale di Medicina Specialistica, AOU
Seconda Università degli Studi di Napoli
Negli ultimi due decenni i risultati di studi neuroimaging
strutturale e funzionale hanno notevolmente modificato
le conoscenze riguardanti la fisiopatologia della sclerosi
laterale amiotrofica (SLA). A tale proposito, l’applicazione
di nuove tecniche di neuroimmagine ha permesso di
documentare in vivo alterazioni extra-motorie nella SLA,
confermando
la
natura
multi-sistemica
della
neurodegenerazione. Nella SLA, infatti, le alterazioni
strutturali e funzionali sarebbero estese oltre la corteccia
precentrale e i tratti corticospinali, interessando
precocemente il corpo calloso, i lobi frontali e temporali
ed il mesencefalo. Sia studi di risonanza magnetica (RM)
che analisi con tomografia ad emissione di positroni (PET)
hanno dimostrato la perdita diffusa di inibitori
interneuronali corticali nella corteccia motoria, con
conseguente aumento dei livelli di connettività funzionale
e gliosi in estesi tratti di sostanza bianca. In alcuni fenotipi
di SLA, studi RM hanno anche mostrato una
compromissione peculiare di connessioni funzionali e
strutturali. Tuttavia, la maggior parte degli studi di
neuroimaging presentano rilevanti limiti, come scarsa
numerosità delle popolazioni esaminate, non accurata
caratterizzazione clinica dei pazienti ed assenza di
valutazioni longitudinali. Studi che nascono da
collaborazioni internazionali con applicazione di protocolli
standardizzati a grandi coorti di pazienti permetteranno di
superare tali limiti, fornendo ulteriori indicazioni circa la
patogenesi della SLA e suggerendo affidabili marcatori di
progressione da monitorare in vivo. Questo gruppo di
ricerca ha, in particolare, esaminato alterazione di reti
neuronali mediante acquisizione di sequenze RM
funzionale a riposo (resting fMRI), ottenendo dati originali
sui network cognitivi dei pazienti con SLA, nell’ottica di un
continuum clinico-radiologico con la demenza
frontotemporale (variante comportamentale).
Centro di ascolto e consulenza sulla SLA
L’analisi condotta da AISLA attraverso lo studio delle
attività del Centro di ascolto e consulenza sulla SLA, analisi coerente con i dati della letteratura sul processo di
assistenza alla grave e gravissima disabilità - mostra che i
modelli organizzativi territoriali, più o meno strutturati,
rispondono efficacemente ai contesti clinico-sociali con
complessità medio-basse.
Per complessità medio-basse si intendono fasi della
malattia con tempi di adattamento codificati e/o ridotta
sintomatologia.
Tali modelli, invece, non risultano essere in grado di dare
una risposta completa ai contesti con criticità cliniche
plurime - distress respiratori e psicoemotivi, disturbo
cognitivo - e socio-economiche destrutturanti - assenza di
care-giver, problematiche finanziarie, presenza di minori,
logistica.
La terza e ultima giornata del Simposio sarà pertanto
centrata sull'analisi di tre casi di alta complessità per i
quali la platea sarà chiamata a collaborare con l’équipe
del Centro di ascolto nazionale sulla SLA, con l’obiettivo di
costruire una filiera assistenziale che possa essere in
grado di prendersi cura della persona affetta dalla
malattia e della sua famiglia, in un’ottica di “to care and
not to cure”.
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