studi e ricerche: "alcide de gasperi, lo spread e la scoperta dell

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2012
Istituto di studi politici
“Renato Branzi”
Francesco Butini
ALCIDE DE GASPERI, LO
SPREAD E LA SCOPERTA
DELL’ACQUA CALDA
Dall’Europa politica dei Padri fondatori all’Europa della finanza dei nostri giorni,
tra nuove povertà e nuovi timori. Nell’anniversario della morte di Alcide De
Gasperi, alla vigilia di scelte decisive per il futuro dei nostri Paesi.
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Alcide De Gasperi, lo spread e la scoperta dell’acqua calda
Agosto 1954.
Alcide De Gasperi trascorreva la vacanza con la famiglia nella sua casa di Sella
Valsugana, tra i monti ove era nato e dove tornava sempre volentieri. Non c’era
alcun esotico sfarzo o lussuosa mondanità in quelle vacanze, come accade un po’
troppo spesso ai nostri tempi: la sobrietà dei costumi era lo stile di vita degli
statisti.
Era stanco, e molto malato. Sentiva il peso degli anni e del logoramento di tante
battaglie politiche. L’attività giovanile nel Trentino ancora sotto l’impero austroungarico; l’elezione al Parlamento di Vienna, in rappresentanza delle minoranze
linguistiche; la Prima Guerra Mondiale; la fondazione del Partito Popolare, di cui
divenne Segretario politico; l’arresto e il carcere fascista; gli anni di “confino” nella
biblioteca vaticana; la Seconda Guerra Mondiale; la fondazione della Democrazia
Cristiana; la Liberazione; la Repubblica; la nuova Costituzione; la guida della
ricostruzione materiale e morale del Paese; la conquista di dignità e prestigio
dell’Italia nel consesso internazionale; l’inserimento dell’Italia tra i Paesi fondatori
delle istituzioni europee e della NATO; la Guerra Fredda.
In quei giorni di agosto si conducevano a Bruxelles le trattative per finalizzare il
trattato della Comunità Europea di Difesa, una delle sue ultime battaglie
europeiste. Alcide De Gasperi sentiva di legare alla CED il futuro dell’Italia e
dell’Europa con un orizzonte che sarebbe stato inevitabilmente politico: la messa
in comune degli eserciti europei avrebbe portato alla messa in comune dei loro
governi.
In quelle giornate a Sella Valsugana, ormai privo di ogni responsabilità di governo,
avvertiva l’importanza e l’urgenza di uno sbocco positivo delle trattative per la
CED. L’Europa o si faceva in quei giorni o chissà…
L’Europa unita, il futuro dell’Italia, la speranza di pace e progresso dei popoli.
«Vedi» diceva De Gasperi alla sua figlia Maria Romana, come riportato nel libro
“De Gasperi, uomo solo” «il Signore ti fa lavorare, ti permette di fare progetti, ti
dà energia e vita. Poi, quando credi di essere necessario e indispensabile al tuo
lavoro, improvvisamente ti toglie tutto. Ti dice basta, puoi andare. E allora tu non
vorresti, e ti ostini a restare, a chiedere una proroga … ma qualcuno ha già tutto
deciso senza interpellarti».
Le notizie che riceveva erano sconfortanti. La trattativa languiva, rischiava di
fallire. E le crisi cardiache e respiratorie si facevano sempre più preoccupanti.
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Agosto 2012.
L’Europa di oggi è in preda alla paura da spread.
Il nostro secolo sembra nato sotto il segno delle guerre asimmetriche. Mezzi non
convenzionali, nemico anonimo, senza un territorio di riferimento o una definita
nazionalità, indifferente verso ogni codice o regola, privo di scrupoli per eventuali
vittime di massa.
Il primo decennio è stato dominato dalla versione più propriamente terroristica
della guerra asimmetrica: si apre simbolicamente l’11 settembre 2001 a New York
con il crollo delle Twin Towers, sembra chiudersi simbolicamente (almeno così si
spera) come minaccia globale il 2 maggio 2011 in Pakistan con l’uccisione di
Osama Bin Laden.
Il secondo decennio del secolo sarà dominato dalla versione finanziaria e
speculativa della guerra asimmetrica, con la conseguente redistribuzione del
potere economico-finanziario nel mondo?
Alcide De Gasperi, lo spread e la scoperta dell’acqua calda
Le Borse come campo di battaglia, ingenti volumi finanziari concentrati in poche
mani come armi, anonimi o quasi, con una sostanziale indifferenza verso gli effetti
sugli Stati e sulle società delle loro attività finanziarie / speculative.
Si dice: è il mercato, bellezza.
Proviamo a chiamarla guerra asimmetrica. Che si infiltra nelle fratture create dalle
debolezze e dagli errori della politica e dell’economia degli Stati (indebitamento
non più sostenibile, crescita bassissima o addirittura negativa). E se gli effetti
collaterali di questa versione della guerra asimmetrica sono un’ulteriore spinta
alla recessione economica, al calo dell’occupazione, all’aumento della povertà,
non gliene importa un accidente.
Il debito pubblico della Grecia e la sua insostenibilità è stato oggetto in questi
mesi di analisi tecniche, vertici politici e finanziari, condanne, moniti, governi
dimissionari, elezioni anticipate, scioperi, atti di violenza. Quel debito pubblico è
diventato il simbolo dell’irresponsabilità politica e finanziaria della classe dirigente
greca, la causa scatenante di una possibile deflagrazione dell’euro. Bene. E’ stata
tutta follia quella dei greci? Analizzando i dati OCSE, si vede che la Grecia a metà
degli anni Settanta aveva una percentuale di poveri (redditi inferiori al 40% del
reddito medio) del 12,57%. Alla fine del primo decennio del nostro secolo, il tasso
di povertà è sceso al 5,34%. Grazie anche a quel debito pubblico, il tasso di
povertà della Grecia si è più che dimezzato. Ora quel debito è insostenibile. Per far
tornare i conti a posto, i greci stanno tornando ad essere più poveri. Ma la politica
europea non è capace di uscire dall’unica alternativa tra conti in ordine e povertà?
Questa sarebbe l’Europa, la speranza dei popoli europei, al tempo delle guerre
asimmetriche economico-finanziarie?
E a fronte degli scandalizzati di professione, cosa ne sarebbe stato dello sviluppo
economico, della crescita sociale, e della tenuta civile dell’Italia, senza quella
tanto oggi vituperata spesa pubblica?
Il cosiddetto asse franco-tedesco è stato per decenni il perno delle istituzioni
europee. La pacificazione tra Francia e Germania è stato il fondamento originario
delle istituzioni europee. Fallito il progetto della Comunità Europea di Difesa, la
strada per l’integrazione europea è stata economica, commerciale, monetaria. Ma
mai politica. Dopo la fine dell’Unione Sovietica, la riunificazione tedesca prima e
l’estensione dell’Unione Europea a 27 Paesi poi (soprattutto verso i Paesi dell’ex
impero sovietico) sono avvenute anche grazie all’impegno ad inglobare (e
imbrigliare) il marco tedesco della nuova Germania unita dentro una nuova
moneta unica europea (l’euro). L’asse franco-tedesco è sembrato quindi evolversi
ulteriormente verso la nascita di vere e proprie aree di influenza economicofinanziaria: la Germania verso l’Europa centro-orientale fino alla Federazione
Russa, la Francia verso l’Europa mediterranea. D’altronde, questa è stata da
sempre la vocazione storica e geografica delle due potenze europee. L’estensione
dell’Unione Europea a 27 Paesi ha consentito di raggiungere le aree di interesse
economico-finanziario tedesco. E di consolidare la natura finanziaria e
commerciale dell’Europa, allontanandone al tempo stesso la praticabilità di una
unione politica.
Aree di influenza economico-finanziaria vogliono dire mercati, ma vogliono dire
anche proprietà di imprese e banche.
Così, per quanto riguarda l’Italia, siamo diventati sempre più terreno di caccia
della Francia. Il gruppo francese Carrefour, per esempio, è diventato la seconda
rete italiana nella grande distribuzione. Nel 1999 la maison Gucci entra nella
holding francese Pinault-Printemps-Redoute. Nel 2000 FIAT Ferroviaria è passata
sotto il controllo della francese Alstom. Nel 2005 Électricité de France entra in
Edison e ne completa nel 2012 il controllo societario. Nel 2005 Alenia Spazio si
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Alcide De Gasperi, lo spread e la scoperta dell’acqua calda
fonde con la francese Alcatel Space, la cui partecipazione azionaria verrà ceduta
l’anno successivo al gruppo francese Thales. Nel 2006 la Banca Nazionale del
Lavoro passa sotto il controllo del gruppo bancario parigino BNP Paribas. Nel 2008
la Société Nationale des Chemins de Fer français entra nel capitale del nuovo
operatore ferroviario NTV. Nel 2009 Air France entra nel capitale di Alitalia,
diventandone il primo azionista. Nel 2011 Parmalat passa sotto il controllo della
francese Lactalis. Sempre nel 2011 il colosso francese LVMH entra nel capitale di
Bulgari per assumerne il controllo.
Industrie della moda, del lusso, ferroviarie, spaziali, alimentari, elettriche, banche,
operatori aerei e ferroviari.
Oggi la guerra asimmetrica in versione finanziaria sta forse modificando anche
questa spartizione economica dell’Europa tra Francia e Germania? Un rinnovato
interesse di imprese tedesche per alcune importanti aziende e banche italiane
parrebbe prefigurare ciò.
Nelle guerre convenzionali si conquistano territori, nelle guerre asimmetriche
finanziarie e speculative si conquistano imprese e banche.
Secondo una recente inchiesta de “Il Sole 24 Ore” su dati R&S Mediobanca, per
salvare le banche europee ed americane dopo i pasticci da loro combinati con i
titoli sub-prime, i governi degli Stati Uniti e dell’Europa hanno speso in meno di
quattro anni qualcosa come 4.687 miliardi di euro (stima in difetto, mancando
ancora varie voci tra cui i costi per il salvataggio delle banche spagnole). In altre
parole, per salvare le banche (private) sono stati spesi soldi (pubblici) pari alla
somma del PIL 2011 di Germania più Francia più Lussemburgo più Slovenia più
Estonia più Lettonia più Lituania.
Ben il 74% di quei 4.687 miliardi di euro è stato speso solo dai governi degli Stati
Uniti e del Regno Unito per salvare le loro banche. Più della metà di tale denaro
pubblico sarebbe già stato restituito dalle banche. Ma a spese di chi?
Mentre si spendevano quelle cifre per il salvataggio del sistema bancario, dal 2008
al 2011 il PIL dei 27 Paesi dell’Unione Europea è cresciuto (si fa per dire) dello
0,043%. Facendo riferimento alle attuali previsioni sul PIL 2012 dei Paesi dell’UE,
la crescita alla fine del 2012 rispetto al 2008 sarà pari allo 0,013%. Ossia: nulla.
Negli stessi anni però i disoccupati nei 27 Paesi dell’UE sono aumentati di oltre 6
milioni (di cui 4 milioni nei 17 Paesi europei dell’euro), superando così la cifra
complessiva di 23 milioni (di cui 16 milioni nell’eurozona). Negli Stati Uniti dal
2008 al 2011 la disoccupazione è cresciuta di 4,8 milioni di unità, raggiungendo la
cifra di oltre 13 milioni di persone nel 2011.
E se si vanno ad analizzare i dati sulla popolazione a rischio di povertà (quella
avente reddito minore del 40% del reddito medio), si vede che dal 2008 al 2010
nei 27 Paesi dell’UE sono aumentate di 2 milioni le persone in questa condizione
sociale (da circa 25 milioni a circa 27 milioni). Il problema è che lo stesso aumento
di 2 milioni di poveri si è registrato nei 17 Paesi dell’euro (da circa 15 milioni a
circa 17 milioni). Quindi, si sono percentualmente impoverite di più le popolazioni
dell’euro rispetto alle altre del continente europeo.
Riassunto: dal 2008 al 2011, mentre si salvano con ingenti risorse pubbliche
(inevitabilmente) le banche americane ed europee dal fallimento provocato in
larga parte da loro stesse, si creano quasi 11 milioni di disoccupati europei ed
americani in più, 2 milioni di poveri europei in più, e recessione economica.
Insomma: questo sarebbe il “mercato”, bellezze?
O forse non sarebbe il caso di ripensare e ridefinire il ruolo dello Stato
nell’economia, il ruolo dell’Europa nell’orizzonte dei singoli Paesi europei, il ruolo
della politica nella vita delle nostre società? Quanti disoccupati e quanti nuovi
poveri bisogna creare per veder risorgere una rinnovata coscienza civile, un
Alcide De Gasperi, lo spread e la scoperta dell’acqua calda
rinnovato interesse alla cosa pubblica, per ridare quel giusto valore e quella
legittima dignità che la politica deve avere, per costruire società più giuste?
L’attuale versione economico-finanziaria della guerra asimmetrica, invece di
accrescere la solidarietà europea per affrontare le sfide economiche con gli altri
grandi attori mondiali (Stati Uniti, Cina, Giappone, India, ecc.), sta sempre di più
spaccando il continente in due. Viene il sospetto che stia diventando una volontà,
e non solo un effetto della crisi. Forse nell’illusione che “meno siamo, meglio
stiamo”. Lo si vede da tre elementi: gli indici di crescita del PIL, i tassi con cui gli
Stati si stanno approvvigionando nei mercati dei titoli di Stato, i depositi esteri
nelle banche europee.
Fonte dati: Eurostat. Elaborazione: F.Butini
Per quanto attiene al primo elemento, va innanzitutto rilevato che con i dati sul
PIL del secondo trimestre 2012 (Eurostat, 14 agosto 2012), rispetto al PIL di inizio
crisi, l’Eurozona peggiora la sua crescita rispetto a Stati Uniti e Giappone. Ma
soprattutto quei dati confermano le due velocità con cui la crescita / recessione si
sviluppa dentro l’Eurozona: i grafici del PIL di Germania, Francia e Paesi Bassi,
rispetto all’andamento del PIL di Italia, Spagna, Portogallo e Grecia sono la
testimonianza visiva di una progressiva spaccatura in due dell’Eurozona.
Fonte dati: Eurostat. Elaborazione: F.Butini
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Alcide De Gasperi, lo spread e la scoperta dell’acqua calda
Per quanto attiene al secondo elemento, le differenze dei rendimenti tra i titoli di
Stato emessi dagli Stati dell’euro altro non sono che il tragico spread con il
benchmark costituito dai Bund tedeschi. In sostanza, dà la misura di quanto costa
agli Stati approvvigionarsi di denaro sul mercato. In alcune recenti aste, i titoli di
Stato emessi dai Paesi settentrionali dell’eurozona hanno avuto rendimenti
negativi, mentre i rendimenti di quelli emessi dai Paesi meridionali dell’eurozona
rimangono molto elevati.
L’andamento dei rendimenti dei titoli di Stato a 10 anni riportato in tabella,
aggiornato al 16 agosto 2012, fotografa senza commenti la divaricazione tra i
Paesi dell’euro.
Fonte dati: Il Sole 24 Ore. Elaborazione: F.Butini
Infine, la guerra asimmetrica economico-finanziaria sta spostando dalla fine del
2011 al marzo 2012 ingenti capitali dalle banche dei Paesi meridionali dell’euro
(Italia, Grecia, Spagna, Portogallo) alle banche dei Paesi centro-settentrionali
dell’euro (Germania, Francia, Paesi Bassi, Austria, Finlandia), invertendo una
tendenza che sembrava colpire un po’ tutta l’eurozona. Dal 2007 al 2011, infatti,
427 miliardi di dollari avevano lasciato le banche italiane (il 45,4% dei depositi
esteri in Italia), 64 miliardi $ le banche greche (il 44,8% dei depositi esteri in
Grecia), 105 miliardi $ le banche portoghesi (il 43,5% dei depositi esteri in
Portogallo), 689 miliardi $ le banche francesi (il 31,9% dei depositi esteri in
Francia), 230 miliardi $ le banche olandesi (il 21,5% dei depositi esteri in Olanda),
appena 9 miliardi $ quelle spagnole (l’1,4% dei depositi esteri in Spagna), 395
miliardi $ quelle tedesche (il 25,8% dei depositi esteri in Germania).
Nei primi mesi del 2012 la situazione si è modificata a tutto vantaggio dei Paesi
del nord Europa: da gennaio a marzo 2012, altri 70 miliardi di dollari hanno
lasciato le banche italiane, portoghesi, spagnole e greche (25 miliardi $ dall’Italia,
2 miliardi $ dal Portogallo, 42 miliardi $ dalla Spagna, 1 miliardo $ dalla Grecia),
ma ben 488 miliardi di dollari di depositi esteri sono entrati nelle banche
tedesche, francesi, olandesi, finlandesi (363 miliardi $ in Germania, 56 miliardi $ in
Francia, 38 miliardi $ nei Paesi Bassi, 31 miliardi $ in Finlandia). Come dire: alle
banche dei Paesi forti dell’euro stanno arrivando soldi che possono essere visti
come un vero e proprio finanziamento a loro favore a tasso zero. Contribuendo a
dividere in due l’eurozona.
Non esiste nessuno in Europa che possa sopravvivere da solo alla versione
finanziaria e speculativa della guerra asimmetrica. L’Europa si salva insieme, o
declina. Nel declino indubbiamente ci sarà chi si fa più male di altri, ma declinano
tutti. Solo grandi statisti con grandi politiche potrebbero governare la spaccatura
in due dell’eurozona senza sconquassi politici, economici e sociali.
Alcide De Gasperi, lo spread e la scoperta dell’acqua calda
In fondo, nulla di nuovo c’è sotto il sole. Stiamo soltanto riscoprendo l’acqua
calda. Ovvero, che un forte potere finanziario sovranazionale senza un altrettanto
forte potere politico (democratico) sovranazionale crea vantaggi per pochi e danni
per molti.
Se la politica si limita a rincorrere i guai fatti da un sistema che ha speculato sui
mutui immobiliari fino allo scoppio di ogni cosa, o che ha falsificato i tassi Libor su
cui si determinano i tassi per i prestiti a famiglie e imprese, dalla crisi non si esce.
Ormai, all’interno dell’Unione Europea, alla distinzione tra Paesi europei con
l’euro e Paesi europei senza l’euro si sta sovrapponendo una progressiva
spaccatura anche tra i Paesi dell’euro, tra quelli del Centro-Nord e quelli del Sud.
Con esiti difficilmente prevedibili.
La partita può diventare drammatica. Soprattutto se affidata alle solo forze
finanziarie.
E mentre il Presidente del Consiglio italiano gira l’Europa e il mondo per salvare
l’euro e tentare di tenere comunque agganciata l’Italia all’Europa dominante, per
l’Europa si stanno aggirando anche alcuni fantasmi: i partiti e i movimenti politici
italiani, con il loro diafano e inconsistente dibattito e spessore.
Se l’Europa della finanza contemporanea risulta così lontana dall’Europa politica
voluta da Alcide De Gasperi, Robert Schuman e Konrad Adenauer, gli attuali partiti
politici italiani sono spaventosamente irriconoscibili rispetto alla Democrazia
Cristiana di Alcide De Gasperi, al Partito Comunista di Palmiro Togliatti, al Partito
Socialista di Pietro Nenni, al Partito Socialdemocratico di Giuseppe Saragat, al
Partito Repubblicano di Randolfo Pacciardi, al Partito Liberale di Luigi Einaudi.
Spaventosamente irriconoscibili per spessore politico e per prestigio in Europa.
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Agosto 1954.
Alcide De Gasperi morì nelle prime ore del 19 agosto 1954.
La bara fu trasportata da Sella Valsugana a Roma in treno. Si racconta che
un’immensa e muta folla di gente comune si accalcò lungo i binari e nelle stazioni
di tutto il tragitto per rendergli omaggio.
Nel suo testamento spirituale, indirizzato alla moglie Francesca, scrisse: «se la
Provvidenza vorrà chiudere la mia vita terrena prima che io abbia risolto il mio
compito di padre, affido alla suprema paternità di Dio le mie bambine e confido
con assoluta certezza che il Signore ti aiuterà giorno per giorno a farle crescere
buone e brave. Non posso lasciar loro mezzi di fortuna, perché alla fortuna ho
dovuto rinunciare per tenere fede ai miei ideali. Fra poco saranno cresciute tanto
da comprendere il mondo in cui vivono. Apprendano allora da te per quale ideale
di umana bontà e di cristiana democrazia il loro padre combatté e sofferse.
Leggendo le mie lettere d’un tempo e qualche appunto per le mie memorie,
impareranno ad apprezzare la giustizia, la fratellanza cristiana e la libertà. Muoio
con la coscienza d’aver combattuto la buona battaglia e colla sicurezza che un
giorno i nostri ideali trionferanno».
Francesco Butini
(Istituto di studi politici “Renato Branzi” di Firenze)
18 agosto 2012
Fonte dati: OCSE, BRI, Eurostat, Istat, Mediobanca.
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