IO ROMA
Storia e Tradizione
Donatella Cerulli
LA QUADRUPLICE RADICE DI ROMA
È ormai definitivamente accertato che Roma non nacque per decreto degli Dei e
che la sua missione non era poi così “fatale” come vollero darci a intendere. Ma è
questo un buon motivo per maltrattarla? Una città che, bene o male, si trascina 27
secoli sul groppone non meriterebbe, per caso, un po’ di rispetto e un po’ d’amore?
Io credo proprio di sì. Se non altro, per questa sua desolata vecchiaia così piena di
acciacchi. (Luigi Magni)
Il concetto, che tutt’ora viene talvolta riproposto, secondo cui la cultura romana
fu semplicemente un’imitazione di quella greca, è superficiale e qualunquista:
Roma possiede una sua potente individualità che non può non essere
riconosciuta.
Purtroppo, sono soprattutto i mitologisti ad essere colpevoli nei riguardi della
cultura romana quando suggeriscono che il pantheon romano non è altro che
una riproposizione di quello greco negando così alla Romanità una sua
innegabile originalità ed un profondo senso del sacro e del magico che non ha
nulla da invidiare alle grandi tradizioni mitologiche e leggendarie universali.
«Il tempo è stato fermato dal mito, il corpo civico e materiale di Roma è stato
imbalsamato nella leggenda», ha scritto Andrea Carandini.
La maggior parte dei miti romani non racconta storie di Dei, se non
marginalmente, ma la storia delle origini del popolo romano. I racconti
tradizionali, sebbene farciti di leggende e miti, descrivono in effetti come i
Romani vedevano se stessi e, soprattutto, illustrano ciò che i Romani
chiamavano exempla, ovvero quelle verità morali (le cose da imitare e quelle da
evitare) che sono alla base delle autentiche “virtù romane”.
La Dea Roma testimonia per l’appunto la profonda coscienza che i Romani
avevano di se stessi in quanto popolo e della missione cui era stato chiamato.
Questa personificazione femminile della Città fu oggetto di culto e in suo onore
vennero eretti numerosi templi a Roma e nell’Impero.
Secondo la tradizione, Roma fu fondata il 21 aprile del 753 a.C.
Ovviamente, questa data è del tutto immaginaria e altrettanto priva di ogni
riferimento storico; infatti, è troppo recente se riferita ai primi insediamenti
regolari (metà del secondo millennio a.C.) e troppo antica per l’epoca della vera
e propria urbanizzazione.
L’anno 753 fu attestato da Varrone1 che pervenne a tale data per consentire
l’interpolazione di re e consoli di varia autenticità, unitamente ad avvenimenti
più o meno leggendari ad essi collegati.
Il primo storico romano noto fu Quinto Fabio Pittore2 (III sec. a.C.) il quale
scrisse in greco una storia di Roma dalle origini ai suoi giorni; circa mezzo secolo
dopo Catone il Censore3 ne compilò una in latino. Gli autori successivi, nel
redigere i loro testi storici, si basarono sulle ricerche dei loro predecessori
limitandosi a scegliere o a scartare la versione che più o meno rispondeva ai loro
scopi, ma confermando - pur esprimendo qualche dubbio - la discendenza dal
troiano Enea del popolo romano.
Il fatto che i Romani vantassero origini straniere non deve stupire: tale
discendenza permetteva loro di distinguersi dai Greci consentendo però a Roma
di condividere l’eroica tradizione “storica” greca.
Dopo la distruzione di Troia varie tradizioni greche sostennero che Enea, con il
padre Anchise, il figlio Ascanio e un gruppo di superstiti troiani, si era diretto
verso Occidente. La fuga di Enea da Troia, peraltro, era già nota in Etruria nel VI
secolo a.C. come è dimostrato dai numerosi ritrovamenti in loco.
Lo storico greco Ellanico (V secolo a.C.) per primo associa Roma ad Enea quando
narra che l’eroe fondò una città che chiamò Roma dandole il nome di una donna
troiana. Altri autori greci attribuirono la fondazione dell’Urbe ad altri troiani o
ad un figlio di Ulisse e della maga Circe.
Secondo un’ulteriore tradizione, Roma non era stata fondata da nessun
personaggio straniero, ma dagli autoctoni Romolo e Remo sebbene alcuni storici
sostenessero che i gemelli erano figli o nipoti di Enea.
Al di là delle discordanze più o meno sostanziali delle versioni, fu comunque
evidente agli storici che Roma non poteva essere stata fondata né da Enea né dai
suoi figli o nipoti quando lo studioso greco Eratostene datò la caduta di Troia nel
1184 a.C., datazione che evidenziò, inequivocabilmente, un divario temporale fra
Enea e Roma assolutamente ingiustificabile. Furono così proposte per la
fondazione di Roma varie date accettando, alla fine, quella del 753 a.C. In quanto
al problema del vuoto temporale questo venne risolto da Catone il Censore che
nella sua storia di Roma elaborò quella che sarebbe poi divenuta la versione
ufficiale ripresa da Virgilio nell’Eneide.
La storia di Roma, le sue origini e i suoi culti, gli uomini che la resero grande e
persino il suo stesso nome... è tutto raccontato attraverso un’epopea simbolica.
Presupporre che il mito sia esclusivamente la “narrazione favolosa” di un
avvenimento privo di ogni realtà o fondamento storico è un errore in cui è bene
non incorrere. In realtà, quello che la storia o, meglio, l’archeologia ci mostra lo
ritroviamo infatti nelle leggende che ci raccontano soprattutto ciò che la storia
non ha ancora ricostruito.
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In epoca arcaica il territorio nei dintorni di Roma (che ancora non esisteva) era
abbastanza fertile da consentire l’allevamento di bestiame e una primitiva forma
di agricoltura, ma gli abitanti preferivano vivere in decine di piccoli villaggi sulle
colline, lontani dalle malsane pianure paludose. Le comunità erano raggruppate
in leghe religiose delle quali la più importante era quella di Alba Longa.
Reperti archeologici confermano che già nell’VIII secolo a.C. nel territorio della
futura Roma esistevano due insediamenti fortificati: sul Palatino, abitato da
Latini, e sul Quirinale, abitato da Sabini. Altre popolazioni vivevano nei boschi
vicini. Il Tevere segnava il confine tra il Lazio e l’Etruria che era unita alla
Campania da una via commerciale. Attraverso la via del sale (via Salaria) i
mercanti portavano il sale dalla costa alle montagne. Le popolazioni delle colline
che dominavano il guado sul Tevere erano in perenne conflitto tra loro.
Fino alla fine del VII secolo a.C. Roma non esisteva: non era una città ma un
gruppo di pagi che si sarebbe poi trasformato in una comunità che fin dall’inizio
subì il potente influsso degli Etruschi.
Gli Etruschi
Secondo le fonti etrusche, riportate soprattutto da Varrone, l’inizio della storia
degli Etruschi in Italia risalirebbe al sec. XI a.C.
Le notizie forniteci poi dallo storico latino Tito Livio4 fanno desumere che i
Proto-Etruschi, dall’area padana, emigrarono sulla costa tirrenica in un periodo
a cavallo fra l’età del Bronzo e quella del Ferro (XII sec. a.C. circa) fondendosi in
parte con alcune popolazioni locali, quali i Liguri e gli Umbri.
Dai porti tirrenici gli Etruschi avviarono un’attività commerciale marinara,
spesso piratesca, che influì in modo determinante sugli usi e costumi delle
popolazioni dislocate lungo l’area costiera bagnata da quel mare eponimo del
mitico progenitore del popolo etrusco: Tirreno.
Una teoria elaborata dallo scrittore e storico Erodoto (V sec. a.C.), e largamente
diffusa tra gli autori classici, li riconnetteva con la Lidia, una regione dell’Asia
Minore dalla quale gli Etruschi sarebbero emigrati poco dopo la guerra di Troia:
una teoria avvalorata di recente da studi genetici. La leggenda raccontata da
Erodoto narra che al tempo del re Atis la Lidia fu colpita da una grave carestia
alla quale i suoi abitanti fecero fronte per diciotto anni mangiando un giorno sì e
uno no. Poiché alla lunga anche questo espediente non si rivelò utile a salvare i
Lidi dalla fame, Atis divise la sua gente in due gruppi e tirò a sorte quale dei due
sarebbe rimasto in patria e quale l’avrebbe lasciata. Il Fato scelse di far partire il
gruppo guidato dal figlio del re, Tirreno (o Tirseno) che, accompagnato dal
fratello Tarconte, migrò in Italia stabilendosi con la sua gente in Etruria. Secondo
molti autori dell’antichità, invece, Tirreno era figlio di Ercole e imparentato con
la famiglia di Priamo, re di Troia.
Solo mito? Eppure i Greci, sino a tempi storicamente recenti, chiamavano gli
Etruschi Tyrrenoi e l’imperatore romano Claudio (I sec. d.C.), uomo di grande
cultura, scrisse un’opera ad essi dedicata chiamata Tyrrhènica andata purtroppo
perduta.
Ancora oggi le origini degli Etruschi sono alquanto oscure: non hanno lasciato
testi storici e tutto ciò di cui disponiamo sul mondo etrusco è dato dalle
testimonianze di autori greci e romani. Di certo furono gli Etruschi, molto prima
di Roma, nel momento di transizione tra la preistoria e la storia, per primi a
sviluppare in Italia una civiltà di grande livello tecnico e artistico che presenta
così tante affinità con quella dell’Asia Minore da avvalorare la loro origine da
qualche regione del Levante, fosse anche la Lidia.
Un ulteriore elemento a favore di una loro provenienza dall’Asia Minore è dato
dalla posizione di prestigio di cui godeva la donna etrusca e che non ha quasi
trovato confronti nel mondo occidentale fino ai nostri tempi.
Prima degli Etruschi, gli antichi Italici vivevano in modeste capanne, coltivavano
i campi in modo più o meno sommario ed allevavano bestiame: una vita che si
trascinava su questi schemi, senza mutamenti apprezzabili, dall’età della pietra.
Poi, quasi all’improvviso, con la comparsa degli Etruschi tutto si trasforma e là
dove si stendevano boschi impenetrabili o estese zone paludose, come nella
Maremma toscana o nell’area della futura Roma, ecco apparire piantagioni
ordinate, giardini e persino le prime industrie del metallo che gli Etruschi
sapevano estrarre e lavorare.
Il mutamento, la svolta decisiva, avvenne tra il IX e l’VIII secolo a.C.
Gli Etruschi fondarono la loro capitale, Corito (Corneto, Tarquinia), e una serie di
cittadelle sparse un po’ ovunque.
Una antica civiltà che dopo millenni è ancora oggetto di studio. Si studia la lingua
e si cercano i segni della vita quotidiana degli Etruschi nei dipinti e negli arredi
venuti alla luce nelle necropoli; insomma, sono le città dei morti a parlarci dei
vivi di 2500 anni fa. E così abbiamo appreso che gli Etruschi erano allegri,
amavano la buona tavola, praticavano lo sport, erano bravi architetti e ingegneri,
sapevano commerciare, creavano cittadelle con piani urbanistici razionali,
viaggiavano per diletto, usavano il denaro. Possedevano una flotta imponente,
sapevano combattere e sicuramente si dedicavano alla pirateria. Abbiamo già
detto della condizione emancipata delle donne etrusche che nei dipinti appaiono
molto belle, sempre ingioiellate, truccate e senza preoccupazioni di pudore.
Sappiamo che il mondo magico-religioso degli Etruschi era molto articolato e
complesso, tanto che Arnobio, scrittore cristiano dei primi secoli, accusava
l’Etruria di essere generatrice e madre di tutte le superstizioni. Ma molte delle
credenze e dei rituali etruschi sono confluiti nel corpus religioso romano e, di
conseguenza, in quello cristiano.
Certamente gli Etruschi esercitarono notevole influenza sulla prima Roma tanto
che ben tre dei suoi mitici Sette Re furono etruschi.
Infatti, ad un certo punto della storia divenne inevitabile lo scontro fra la
consolidata Etruria e la nascente Roma che nei primi secoli della sua storia
cadde sotto il dominio etrusco.
Come avvenne per altri popoli italici, gli Etruschi non “scomparvero”
improvvisamente, ma vennero inglobati progressivamente nel sistema romano.
Nel 200 a.C. gli Etruschi cessarono di esistere come popolazione indipendente.
Note
1] Marco Terenzio Varrone: Rieti 116 - 27 a.C.; scrittore latino.
Trasferitosi dalla nativa Sabina a Roma dove studiò retorica, completò i suoi studi filosofici ad
Atene. Ha al suo attivo una vasta produzione letteraria, in prosa e in poesia, che conta più di
seicento libri sugli argomenti più disparati. Il suo principale interesse fu il recupero e la
divulgazione del passato e dei suoi valori. La difesa e l’esaltazione della tradizione lo
portarono ad effettuare ricerche talmente minuziose e approfondite che Cicerone scrisse di
lui: «Eravamo stranieri e pellegrini a Roma, i tuoi libri ci hanno come ricondotti a casa.»
2] Quinto Fabio Pittore apparteneva alla gens Fabia, mentre il cognomen Pittore era dovuto
all’attività del nonno, Gaio Fabio Pittore, un famoso artista che aveva affrescato il Tempio
della Salute sul Quirinale. Quinto Fabio Pittore scrisse in greco una storia di Roma da Enea ai
suoi giorni. Dell’opera esisteva anche una versione in lingua latina, Rerurum gestarum libri, di
cui non è certo che ne fosse l’autore. Dell’opera restano solo scarsi frammenti e i riferimenti
ad essa di Dionìgi di Alicarnasso.
3] Marco Porcio Catone il Censore nacque a Tuscolo (234 a.C. circa-149 a.C.), da una
famiglia di contadini benestanti. Eletto censore, esercitò questa carica per 4 anni così bene da
meritarsi il soprannome di Censore con il quale è ricordato anche dai posteri per distinguerlo
da un suo bis-nipote, Catone il Giovane. Fu autore di una vasta opera letteraria indirizzata
soprattutto a difendere i valori della cultura tradizionale romana contro le tendenze
ellenistiche. In tarda età scrisse in lingua latina l’opera Origines, una storia di Roma dalla
Fondazione al II sec. a.C. di cui restano pochi frammenti.
4] Tito Livio: storico latino (Padova, 59 a.C. – 17 d.C.) di ricca famiglia repubblicana. È autore
di un’opera monumentale in 142 libri, Ab Urbe condita libri, che abbraccia la storia di Roma
dalle origini al 9 avanti Cristo. Gran parte di libri sono andati perduti ed oggi ci restano solo i
libri I-X (fino al 293 a.C.), XXI-XLV (218-167 a.C.) ed alcuni frammenti.