Allianz Global Investors Italia

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Allianz Global Investors
ottobre 2012
Il contesto di financial repression impone di rivedere i
paradigmi di investimento tradizionali, per ridare sicurezza a
investitori e risparmiatori
La maggior parte dei paesi industrializzati si trova
oggi di fronte a un comune problema: mentre
la crescita rallenta, il debito pubblico aumenta a
dismisura.
La risposta dei governi si traduce in forme di financial
repression i cui costi ricadono sui risparmiatori. E’
quindi necessario ridefinire il termine “sicurezza”,
mettendo in discussione i paradigmi tradizionali
degli investimenti.
Negli Stati Uniti il debito pubblico è salito al 104% del
Prodotto interno lordo a luglio 2012 e, secondo le
stime del Fondo Monetario Internazionale, potrebbe
salire al 112,5% entro il 2015. Nell’Area Euro il debito
ammontava al 90% del Pil al luglio 2012 e, conferma il
FMI, il trend di costante aumento difficilmente muterà
prima del 2015.
Com’è possibile ridurre questa montagna di debiti?
La risposta a questa domanda potrebbe spiegare in
parte lo stranissimo paradosso che stiamo registrando:
mentre il debito è salito e i rating si sono deteriorati, il
rendimento dei titoli del Tesoro americano, dei Bund
tedeschi e dei titoli di Stato britannici (Gilt) e francesi
(Oat) è sceso su minimi record. All’inizio di luglio 2012,
il rendimento dei Bund a 10 anni era dell’1,52%, quello
dei titoli di Stato francesi di 100 punti base superiore.
Documento illustrativo di approfondimento che non costituisce offerta
al pubblico di prodotti/servizi finanziari.
Ciò non basta a produrre rendimenti sicuri per la
gestione di attività e passività, né a proteggere il potere
di acquisto.
La risposta a questo paradosso è lo scenario di
financial repression che stiamo sperimentando: un
modo silenzioso per ridurre il debito pubblico, più
semplice di un haircut del debito. E’ più facile avvalersi
di tale scenario che tagliare la spesa o aumentare
l’imposizione fiscale. Tuttavia, saranno i risparmiatori a
pagare il conto.
Le misure di financial repression come metodo per
ridurre il debito pubblico non sono un’idea nuova,
come dimostra la storia recente degli Stati Uniti.
A metà degli anni ‘40 il debito pubblico negli Stati
Uniti salì infatti al 122% del Pil, a causa della Grande
Depressione e della Seconda Guerra Mondiale. A
metà degli anni ’70 era sceso intorno al 30%. Cosa è
accaduto? Per decenni, i rendimenti obbligazionari
negli Stati Uniti sono stati su livelli inferiori al tasso di
crescita del Pil. Ed è qui che entra in gioco la financial
repression. La crescita di un paese supera il debito se la
crescita del Pil reale supera il debito (reale). Non serve
un tasso di inflazione eccessivamente alto. Bastano
rendimenti obbligazionari artificialmente bassi per
ridurre il rapporto tra debito e Pil.
Infatti i rendimenti reali negli Stati Uniti sono rimasti su
livelli inferiori all’1% per due terzi del tempo intercorso
tra il 1945 e il 1980. E gli Stati Uniti non sono l’unico
paese in cui i rendimenti reali sono rimasti bassi per
lungo tempo. Reinhart e Sbrancia hanno dimostrato
che questo fenomeno è accaduto anche in Australia
e nel Regno Unito. Anche in questi paesi il debito
pubblico è sceso molto durante questa fase.
La ricerca di nuovi porti sicuri: Understand. Act.
L’attuale scenario di financial repression
Occorre dare una nuova definizione del termine
sicurezza, in uno scenario che mette in discussione i
paradigmi di investimento tradizionali. Gli investitori
non associano più la sicurezza all’assenza di
oscillazioni di prezzo, bensì alla tutela del potere di
acquisto. Questo obiettivo minimo comunque non è
facile da raggiungere, soprattutto quando i budget di
rischio sono bassi.
I presupposti fondamentali per la financial repression
ci sono già. Per esempio, il rendimento rettificato
per l’inflazione è inferiore al tasso di crescita sia negli
Stati Uniti sia in Germania. Questo scenario dipende
dall’approccio delle banche centrali, che hanno
continuato a ridurre i tassi di interesse, acquistando
obbligazioni o immettendo liquidità sul mercato
nell’ambito dei piani di allentamento quantitativo.
In questo momento la Fed detiene il 10% di tutti i
titoli del Tesoro americano in circolazione, pertanto
è il principale creditore del governo degli Stati Uniti.
A seguito dell’acquisto diretto di obbligazioni, la
Banca Centrale Europea detiene quasi il 3% delle
obbligazioni in circolazione dei governi dell’Area Euro
(a luglio 2012). Le due operazioni di rifinanziamento
a lungo termine (LTRO) descritte, hanno immesso
liquidità per mille miliardi di euro. Metà di questa
somma è stata utilizzata per ristrutturare il debito
in scadenza, quindi l’immissione netta di liquidità è
stata di 515 miliardi di euro, ovvero quasi il 7% del
debito pubblico totale dell’Eurozona. 400 miliardi
di euro sono stati usati per rifinanziare il debito
bancario in scadenza e 115 miliardi per i carry trade.
In particolare, i fondi della Banca Centrale sono
serviti ad acquistare titoli di Stato italiani e spagnoli.
E l’operazione ha avuto successo. Nel Rapporto sulla
Stabilità Finanziaria Globale, il FMI ha spiegato che le
curve dei rendimenti sono scese su tutte le scadenze.
I bassi tassi di interesse delle banche centrali e
l’acquisto diretto di titoli di Stato da parte delle
autorità monetarie sono gli effetti collaterali
“tradizionali” dello scenario di financial repression.
Generalmente il contesto normativo è favorevole
alle obbligazioni (come ci ricordano la direttiva
Solvency II e Basilea III), e gli istituti finanziari vengono
ingegnosamente incoraggiati ad acquistare titoli
obbligazionari, per esempio attraverso il piano LTRO
della Banca Centrale Europea.
In questo contesto, mentre gli investitori vanno alla
ricerca di “porti sicuri”, il numero di quest’ultimi
continua a diminuire. In effetti sono ormai così rari
che gli investitori si accontentano di rendimenti molto
bassi o persino negativi sulle obbligazioni considerate
appunto sicure, poiché sembra vicina la fine dei rating
AAA attribuiti alle obbligazioni.
Hans-Jörg Naumer, Responsabile Globale Capital
Markets & Thematic Research di Allianz Global
Investors afferma:
“Oltre ai motori tradizionali di rendimento, gli
investimenti in materie prime (tra cui oro e argento)
e le società che producono utili sostenibili anche in
un contesto di bassa crescita e inflazione elevata,
risultano interessanti in una fase di financial
repression. I titoli a bassa capitalizzazione e le società
che distribuiscono dividendi elevati dovrebbero
rappresentare la scelta prioritaria per gli investitori.
A fronte dei rapporti tra prezzo e utile non elevati e
dei rendimenti obbligazionari reali bassi (o persino
negativi), i dividendi saranno probabilmente la fonte
principale di rendimento del mercato azionario”.
“Prendiamo poi in considerazione le obbligazioni
asiatiche. Le economie asiatiche vantano deficit
fiscali e aliquote d’imposta moderati, nonché un
saldo delle partite correnti positivo e riserve valutarie
elevate. Anche le valute, soprattutto quelle asiatiche,
potrebbero rappresentare una nuova categoria
di 3 investimento interessante. In generale, le
valute asiatiche sembrano sottovalutate mentre le
economie di questi paesi migliorano. “Le categorie
di investimento alternative, come per esempio le
infrastrutture, sono meno esposte al beta di mercato
e possono produrre un flusso di cassa stabile, e anche
una strategia basata sulla volatilità può contribuire al
risultato del portafoglio. In ultima analisi - conclude
Hans-Jörg Naumer - la caccia al rendimento reale
dovrà basarsi su una combinazione di diverse
categorie di investimento. Dobbiamo ridare sicurezza
ai nostri portafogli, oltre a dare una nuova definizione
di questo termine”.
L’investimento implica dei rischi. Il valore di un investimento e il reddito che ne deriva possono aumentare o diminuire, e, al momento del rimborso, l’investitore potrebbe non ricevere
l’importo originariamente investito.
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