La sconfitta di Annibale e la vittoria del modello federato romano (frammento) tratto da Roma contro Cartagine Lo scontro fra due potenze per la supremazia Autore Mauro Pasquini Edizione digitale Area51 Publishing © Edizione audio Audible © Il progetto di Annibale prevedeva una raffinata strategia politica: in primo luogo, sfruttare le divisioni fra i popoli italici soggiogati dai Romani, allo scopo di frapporsi tra di loro; dunque sollevarli contro il comune invasore. Niente di più romano in questa strategia del cartaginese Annibale Barca! Una vera e propria messa in pratica del famoso motto“dividi et impera”. E così, dopo aver agevolmente sollevato contro Roma le popolazioni della Gallia Cisalpina, tentò di fare lo stesso con le popolazioni italiche alleate dei Romani. Annibale sapeva molto bene che mettere i Romani nell’impossibilità di difendere i propri alleati italici e i loro beni, dai saccheggi e dal bivacco di truppe straniere, era l’unico modo per spezzare quel sistema federativo di alleanze, che teneva saldamente insieme l’Italia romanizzata. L’egemonia di Roma in Italia si basava infatti su di una schiacciante superiorità militare, al cospetto della quale, le popolazioni italiche facevano consegna della propria indipendenza, in cambio di protezione dalle minacce esterne e di stabilità nei rapporti con gli altri popoli della penisola. Annientare l’esercito di Roma, significava quindi minare quel sentimento di timore misto a rispetto, che i popoli italici nutrivano per l’egemone. La seconda fase del piano di Annibale prevedeva l’intercettazione lungo la penisola italiana, di sacche di ribellione e di insofferenza verso la dominazione romana. Davanti a coloro che si sarebbero dimostrati desiderosi di emancipazione, il generale cartaginese avrebbe proposto il proprio appoggio militare, come lusinga e contemporaneamente come subdola minaccia. In altre parole, i popoli italici erano tenuti a decidere se continuare a stare con Roma, che nella mente di Annibale, e non solo, era prossima a un’irreversibile dissoluzione, oppure, passare con Cartagine. Nel sud della penisola il piano riuscì. Annibale penetrò fino in Magna Grecia. La battaglia di Canne fu preparata dai Cartaginesi anche grazie all’appoggio, o quantomeno a una favorevole neutralità, da parte delle popolazioni locali. Tra le popolazioni che si ribellarono ai Romani e passarono con Annibale, i Campani furono quelli che manifestarono l’adesione più massiccia. Dopo Canne, Annibale sentiva di essere a un passo dalla vittoria finale. Tuttavia, il tentativo di entrare nel centro della penisola e di giocarvi, come aveva fatto a nord e a sud, il ruolo di elemento unificatore delle sotterranee aspirazioni di ribellione contro Roma, fallì del tutto. Annibale si scontrò con un blocco territoriale che, più di ogni altra cosa, costituiva un blocco sociale; e che a sua volta stava completando la trasformazione in entità civica. L’Italia centrale rimase fedele a Roma. In questa parte della penisola l’opera di romanizzazione era stata più penetrante che altrove e aveva attecchito prima. I popoli italici dell’Italia centrale alla fine del terzo secolo a.C., iniziavano a sentirsi Romani in tutto e per tutto. Il genio militare e le armate di Annibale, non poterono nulla contro la superiorità delle istituzioni romane, fondate su un principio di assimilazione dei popoli conquistati, e non di semplice controllo e sottomissione. A questo si aggiunse un altro fattore, intimamente legato alla considerazione precedente. Le armate di Annibale, sollevando i popoli italici contro i Romani, si sostituivano automaticamente a loro. Le armate cartaginesi accampate in Italia, si caricavano implicitamente del compito di difendere gli insorti dalla repressione romana. Ma Annibale era in Italia per sconfiggere Roma, non per sostituirsi ad essa nell’opera onerosa di protettrice militare dei popoli soggiogati. Pertanto, per i Cartaginesi, dover assolvere a quel compito, era da un lato obbligatorio, per non perdere il favore degli insorti, dall’altro risultava però gravemente invalidante, in quanto limitava di parecchio la libertà d’azione delle armate, che in realtà avrebbero dovuto concentrarsi nell’offensiva contri i Romani, piuttosto che nella difesa degli insorti contro le rappresaglie romane. Inoltre, il mantenimento del bivacco delle armate cartaginesi costava molto alle popolazioni ospitanti, in termini di risorse alimentari, di legname, di pellame e di foraggio. Quando il costo divenne difficile da sopportare, i dubbi degli insorti sul futuro iniziarono a farsi martellanti. Con il passare dei giorni, gli italici che si erano ribellati a Roma sotto la spinta di Annibale, cominciavano a credere sempre di meno che quella soldataglia mercenaria e quei comandanti cartaginesi che ne erano alla guida, avessero il ben che minimo progetto per il dopovittoria. Il giogo romano, per quanto duro, aveva dato prova di forza e stabilità. I Romani affiancavano la guerra con una costante opera di costruzione sociale, certamente modellata sui propri interessi, ma comunque reale, stabile, funzionante. Tutti questi dubbi fecero calare sensibilmente l’entusiasmo dei ribelli e impallidire la buona stella di Annibale. Una forma più evoluta e moderna di società, stava facendo silenziosamente breccia nel cuore di tutti, anche di coloro che ancora non solo non ne riconoscevano le qualità, ma nemmeno ne avvertivano l’esistenza. Annibale era consapevole che lo sforzo di prendere Roma senza l’appoggio dei popoli del nucleo centrale della penisola italiana, era enorme e altamente rischioso. Anche se era sicuro di vincere, l’assalto a Roma aveva bisogno di una più attenta preparazione. Inoltre, le sue armate, che non erano uscite del tutto indenni da Canne, avevano bisogno di ristoro. Dunque, per prepararsi meglio alla battaglia finale, Annibale si stanziò con il grosso dell’esercito a Capua, la principale città italica ribelle. Li attendeva i rinforzi provenienti dalle armate di Asdrubale, ancora impegnato contro i Romani in Spagna, e i rifornimenti navali inviati da Cartagine. “Gli ozi di Capua”, come fu definito quel temporeggiamento di Annibale, consentirono a Roma di riprendersi e di passare al contrattacco. I rinforzi dalla Spagna non arrivarono. Nella penisola iberica infatti, i Romani avevano intelligentemente mantenuto un fronte agguerrito che impedì ogni possibilità di ricongiunzione in Italia di Asdrubale e di Annibale. Ma anche i rifornimenti navali per le truppe cartaginesi stanziate in Italia tardavano ad arrivare oppure arrivavano in modo del tutto insufficiente. I Romani, padroni del mare dalla fine della prima guerra punica, effettuavano un'azione di disturbo e boicottaggio che rendeva vane le operazioni di rifornimento. Annibale, il vincitore di Canne, era improvvisamente isolato. La classe dirigente romana non perse tempo. Con una velocità d’azione senza pari, prese una serie di decisioni forti, rivoluzionarie, e soprattutto vincenti. Le ricchezze pubbliche e non di meno quelle private, vennero impiegate senza risparmio per armare e potenziare l’esercito. Ma non solo. Un gran numero di schiavi, in un attimo, vennero affrancati definitivamente dalla schiavitù e arruolati nell’esercito. Nel giro di poche settimane, Roma riuscì ad armare un esercito di venti legioni, contro le quindici precedenti. Nel 211 a.C. iniziò il contrattacco romano. Capua, colpevole di aver aperto le porte ad Annibale, fu presa e rasa al suolo; gran parte dei suoi cittadini furono massacrati senza pietà. La violenza e le atrocità che i Romani inflissero alla città di Capua, furono sufficienti a dissuadere altre città ribelli dal fare ulteriore resistenza. Annibale si vide costretto a battere in ritirata verso sud. Nel frattempo, la città di Siracusa, che si era nuovamente alleata con Cartagine, fu cinta d’assedio dal console Claudio Marcello. L’assedio di Siracusa diventerà leggendario. In questa vicenda infatti ebbe un ruolo cruciale il grande matematico Archimede, che per la difesa della città inventò una serie di geniali macchine da guerra, che troveranno largo impiego nei secoli successivi. Tuttavia, anche Siracusa capitolò. Intanto, in Spagna, nel 209 a.C., Publio Cornelio Scipione, figlio dell’omonimo console, sconfisse Asdrubale, sottraendo ai Cartaginesi una cospicua parte dei loro possedimenti in quella regione. Tuttavia, una parte dell’esercito di Asdrubale riuscì a fuggire e a dirigersi verso l’Italia. Lo scopo dei fuggitivi era quello di correre in aiuto di Annibale. Ma dopo aver valicato le Alpi, furono intercettati, attaccati e sconfitti dai Romani, sul fiume Metauro, presso Senigallia. L’ultima possibilità di Annibale era svanita definitivamente. Tuttavia, la battaglia finale non arrivò prima del 202 a.C. In quell’anno, il giovane Publio Cornelio Scipione, forte dei suoi brillanti successi militari in Spagna, ottenne dal senato l’autorizzazione di portare la guerra in Africa, a Cartagine, dove nel frattempo vi era rientrato Annibale. Finalmente, a Zama, nell’entroterra tunisino, si ebbe lo scontro decisivo. Le armate romane sconfissero i Cartaginesi, mettendo in fuga il glorioso generale Annibale Barca. Roma aveva vinto la guerra. La città di Cartagine fu risparmiata, ma le ripercussioni della sconfitta sull’impero punico furono devastanti. Cartagine fu costretta a rinunciare per intero ai suoi possedimenti spagnoli, dovette consegnare la flotta e tutto il materiale bellico in suo possesso ai Romani, le fu imposto il pagamento di una pesante indennità di guerra, e infine, le fu fatto divieto di fare guerra a terzi, senza il consenso formale di Roma. Cartagine non recupererà mai più la potenza del passato. Roma, diventava così la padrona assoluta del Mediterraneo, per terra e per mare.