RELAZIONE INDIVIDUO SOCIETÀ’: CONTAMINAZIONI PSICOLOGICHE dott. Simone Provenzano • • • • • Elementi di comunicazione: strumenti minimi di lettura relazionale. Sistema, campo, contesto, sfondo cognitivo: se sei un pesce ti accorgi dell’acqua solo quando manca. l’impatto della relazione sulla fisiologia e viceversa l’impatto della relazione sulla cognizione esempi d'impatto: dalla dissonanza cognitiva alla pressione di gruppo passando per tutti quegli esperimenti empirici che ci aiutano a dimostrare l’impatto Elementi di comunicazione In principio era il verbo…. Ogni atto linguistico, ogni comunicazione è anche relazione. Ogni relazione comporta necessariamente una comunicazione. È impossibile non comunicare, è impossibile non entrare in relazione. Ammettere questi tre affermazioni, considerarle come realtà, ci permette velocemente di considerare la relazione e l’interazione come aspetto fondamentale della vita degli esseri umani( e se approfondissimo appena un po' scopriremo che la relazione è condizione necessaria della vita anche per tutto il resto del creato). Ogni comportamento, quindi qualsiasi cosa noi facciamo o non facciamo, comunica qualcosa a ciò che ci sta intorno. Questo equivale ad affermare che qualsiasi comportamento ha valore di comunicazione: ogni comportamento è comunicazione. La cosa simpatica è che noi siamo impossibilitati a non comportarci. Il comportamento non ha un suo opposto( come spiegavano bene Wazlawick e soci in “la pragmatica della comunicazione umana”). Quindi se non possiamo non comportarci non possiamo neppure non comunicare. Ma la comunicazione prevede che esista qualcuno che “riceva” ciò che noi stiamo “trasmettendo”. Se ci isolassimo sulla cima di una montagna, con niente e nessuno intorno per chilometri e chilometri, il nostro comportamento risulterebbe essere ancora una comunicazione? Quesito interessante. Per quanto isolati l’essere umano non è mai fuori dalla portata comunicativa del comportamento. Esiste sempre un “ascoltatore” molto prossimo al nostro comportamento. Usando la terminologia di George Mead, noi siamo e siamo in possesso di un io, di un me e di un altro generalizzato. Senza scendere eccessivamente nei dettagli teorici possiamo ricorrere alle esperienze che ognuno di noi ha fatto nella propria vita: tutti noi abbiamo fatto esperienza di provare vergogna. È una accadimento emotivo del tutto normale che dipende dal giudizio altrui rispetto alle nostre azioni. Non sono stato preciso: non dal giudizio altrui ma da una auto valutazione di quello si pensa sia il giudizio altrui. Ora cercate di ricordare quelle volte in cui vi è capitato di provare vergogna anche se eravate soli. A noi tutti è successo che ce lo si ricordi o meno. Non siamo mai soli. Dentro ci portiamo la rappresentazione mentale di ciò che gli “altri” pensano di noi quindi di ciò che noi siamo per gli altri quindi di ciò che noi siamo. Questo ci riporta a Mead che sostenne che noi siamo prima oggetti rispetto ad altre persone e secondariamente diveniamo oggetti rispetto a noi stessi, assumendo il punto di vista degli altri(IO e ME). Il buon George, non pago, aggiunge una teorizzazione davvero interessante: l’altro generalizzato a cui abbiamo accennato poco sopra. L’ altro generalizzato può essere inteso come la comprensione (non necessariamente conscia) del ruolo occupato da tutti gli attori, in un determinato contesto, dal punto di vista di tutti gli altri (compresi noi stessi). Abbiamo così voluto introdurre il pensiero di Mead per chiarire come non si possa non comportarsi, come non si possa non comunicare, come non si possa non entrare in relazione. Volenti o nolenti. Tolti i casi speciali in cui si è isolati sulla cima di una montagna o persi in qualche munifico deserto generalmente dipaniamo le nostre relazioni e interazioni in contesti ben più normali, seppur non meno complessi. Si fa presto a dire contesto. Ma cosa è? Cosa comporta a livello di relazione ( e quindi anche di comunicazione) far parte di un contesto piuttosto che di un altro? Conviene fare un passo indietro . Il concetto di relazione può essere pensato come una funzione. Una funzione matematica viene definita come una relazione tra variabili:la sostanza delle nostre percezioni non è costituita da cose, ma da relazioni con le cose (funzioni), e quindi la consapevolezza che l’uomo ha di se stesso è sostanzialmente una consapevolezza delle funzioni, delle relazioni in cui si trova implicato. Le relazioni sono quindi costruzioni reificate ( dice Ashby). Esasperando il concetto, per esemplificarlo e meglio definirlo, possiamo dire che non esistono oggetti ma solo relazioni tra oggetti che li definiscono. Estremizzando ancora: io non esisto al di fuori della relazione. Quindi, dal momento della mia nascita sarò sempre parte di un sistema a cui appartengo e contribuisco, che vicendevolmente offrirà (sia al sistema che all’individuo che ne è parte) la possibilità di esistere e mutare reciprocamente. All’interno del sistema si trova il contesto in cui manifestiamo noi stessi, quindi il nostro comportamento, quindi le nostre comunicazioni e relazioni. In questo contesto sviluppiamo uno sfondo cognitivo: una lettura soggettiva del contesto che orienta il nostro comportamento e quello altrui. La parola chiave quando si parla di sistema, contesto e sfondo cognitivo è indessicale. È la qualità che contraddistingue tutto ciò che avviene all’interno di questi appena citati. È un termine mutuato dalla linguistica che spiega che ciò che accade ha significato e può essere interpretato in base al contesto e al suo variare e che contemporaneamente contribuisce a mutarlo. L’ interdipendenza è un carattere specifico della relazione che emerge da quanto appena definito: il comportamento di ciascuna parte coinvolta all’interno del sistema e del contesto determina il comportamento delle altre parti e ne viene a sua volta determinato. Adesso non ci rimane che osservare alcune regole basilari della comunicazione, da un punto di vista della pragmatica, per comprendere la natura della relazioni e iniziare ad osservare la loro influenza nella nostra vita. Lo studio della comunicazione umana può essere affrontato studiandone la sintassi, la semantica o la pragmatica. Noi ci concentreremo su quest’ultima, come abbiamo detto, perché è quella che ci permette di osservare gli effetti della comunicazione sui comunicanti. Quindi alcuni effetti della relazione sulla relazione stessa e su gli individui. Per farlo partiremo dalla scuola di Palo Alto e dai loro studi. È quasi inevitabile. Watzlawick e compagni hanno speso una vita per costruire una teorizzazione leggera e funzionale molto utile nella comprensione delle dinamiche di cui ci occupiamo qua. Se mi posso permettere un consiglio: in nessuno scaffale di nessuna casa dovrebbe mancare “Change”, libro scritto a tre mani dalla combriccola di Palo Alto che esemplifica alcuni semplici accorgimenti per evitare che il fallimento comunicativo comporti disastri sul piano esistenziale. Da Palo Alto ci arrivano 5 assiomi fondamentali: Primo assioma: l’impossibilità di non comunicare. Il comportamento non ha un suo opposto: non possiamo non comportarci. In ogni caso, abbiamo sempre un comportamento. Se concordiamo nel definire come messaggio l’intero comportamento di una situazione di interazione, allora ne consegue che è impossibile non comunicare. Non possiamo sottrarci alla comunicazione. Secondo assioma:ogni comunicazione contiene in se un livello di contenuto e livello di relazione. Una comunicazione non soltanto trasmette informazione, ma al tempo stesso impone un comportamento. Dentro un messaggio esiste quindi sia una componente di informazione (l’aspetto di notizia), sia una componente di comando. L’aspetto di notizia di un messaggio trasmette informazione, un contenuto. L’aspetto di comando si riferisce invece alla relazione tra i comunicanti. L’aspetto di comando non viene quasi mai negoziato apertamente. Sembra anzi che, quanto più una relazione è spontanea e sana, tanto più l’aspetto relazionale della comunicazione recede sullo sfondo. Possiamo identificare l’aspetto di notizia del messaggio come comunicazione, e l’aspetto di comando come metacomunicazione, cioè come comunicazione dentro la comunicazione. Ogni comunicazione, quindi, ha un aspetto di contenuto e un aspetto di relazione, in modo che il secondo classifica il primo ed è quindi metacomunicazione. Terzo assioma: la punteggiatura, cioè come si mentalizza la sequenza degli eventi. ad un osservatore esterno la comunicazione potrà sembrare uno scambio ininterrotto di sequenze comonicative. Ma per chi partecipa all’interazione lo scambio agisce e reagisce ad esso secondo quella che Bateson e Jackson hanno definito punteggiatura della sequenza di eventi. Quello che a noi interessa è rilevare come spesso i conflitti relazionali siano semplicemente basati su una punteggiatura conflittuale della suddetta sequenza degli scambi. Ogni parlante interpreta lo scambio in modo tale da vedere il proprio comportamento come causato dal comportamento dell’altro, e mai come causa della reazione dell’altro, e viceversa: in breve, ogni partecipante alla comunicazione accusa l’altro di essere la causa del proprio comportamento. Quarto assioma: comunicazione numerica ed analogica(o verbale e non verbale). Molto semplicemente, e in modo molto intuitivo, risulta ovvio che noi non comunichiamo solo attraverso le parole. Abbiamo finito di dire poche righe sopra come ogni comportamento rappresenti una comunicazione. Qui lo ribadiamo. Dal modo in cui ci vestiamo, al modo in cui ci sediamo, al modo in cui inarchiamo un sopracciglio piuttosto che come stringiamo la mano nel salutarci. Tutto è comunicazione. Con questo assioma Watlawick non fa che ricordarci dell’importanza di entrambi. La cosa interessante è che la maggior parte della comunicazione risulta essere non verbale. Il non verbale comunica molto più del verbale. Questo è bene tenerlo a mente. Quinto assioma: l’interazione può essere simmetrica o complementare. Tutti gli scambi di comunicazione sono simmetrici o complementari, a seconda che siano basati sull’uguaglianza o sulla differenza. Nel primo caso, un parlante tende a rispecchiare il comportamento dell’altro, creando un’interazione simmetrica. Nel secondo caso, il comportamento di un soggetto in interazione completa quello dell’altro e costituisce un tipo diverso di comportamento, creando un’interazione complementare. Esemplificando uno scambio simmetrico è quello che si può avere tra due amici che si ritengono pari. Una complementare è quella che può esserci tra un insegnante ed un allievo piuttosto che tra un genitore ed un figlio, tra un capo reparto e un operaio in fabbrica e così via… questo non deve ingannarci ponendo una valutazione di merito etico. Ne quella simmetrica ne quella complementare è migliore in senso assoluto. La valutazione va effettuata su un piano funzionale: ovvero quella più adatta al contesto e agli obbiettivi comuni. Affrontati questi 5 basilari assiomi sarebbe interessante vederne le disfunzioni. Ovvero le problematiche che i fraintendimenti e il cattivo uso comunicativo che facciamo di essi generano all’interno di una relazione. Potrete trovare, sia in rete che su qualsiasi libro sulla pragmatica, gli esempi necessari ad approfondire con soddisfazione l’argomento. L’impatto della relazione sulla fisiologia e viceversa Partiamo da un presupposto semplice ed abbastanza evidente: come esseri umani abbiamo necessità di vissuti sociali. Ci siamo permessi di dire che questo assunto risulta evidente; dove e come si manifesta questa evidenza? A partire dalla nostra natura. Quando parlo di “nostra natura” voglio qui intendere quelle caratteristiche intrinseche che contraddistinguono il nostro essere e che ci predispongono al contatto con la realtà esterna da noi. Non nasciamo vuoti. Il neonato non è un vaso da riempire. E se anche lo fosse, e voi vogliate credere che sia così, dovrete comunque ammettere che anche un vaso per quanto vuoto si riempirà in base alla propria forma. Noi siamo nati con una forma. Con delle prassi, modalità con cui fin da subito ci siamo posti in relazione con il mondo esterno. Queste prassi e queste modalità non sono solo di carattere prettamente psicologiche ma dipendono anche dalle caratteristiche degli organi deputati ad interfacciarsi con ciò che sta fuori dalla nostra pelle. Gli organi di senso. Il funzionamento di questi presuppone una specifica sensibilità nei confronti delle relazioni sociali. Ne è un esempio la percezione visiva. I bambini umani di pochi mesi sono incredibilmente bravi a discriminare fra differenti tipi di facce, persino se si tratta di specie diverse come le scimmie (Pascalis 2005). Tutte le facce condividono le stesse strutture di base e tali strutture assumono all’interno della faccia una configurazione caratteristica negli esseri umani (gli occhi sopra il naso, il naso sopra la bocca ecc.). Questa configurazione generale `e detta configurazione di primo ordine (Diamond & Carey, 1986) ed `e fondamentale per discriminare le facce da tutti gli altri oggetti. Oltre a identificare uno stimolo come “faccia”, siamo in grado anche di riconoscere a chi essa appartenga e a discriminarla dalle altre facce. Infatti, in ogni faccia le varie strutture assumono delle relazioni spaziali specifiche e uniche. Quindi già nelle prime settimane dopo la nascita si può notare una predisposizione del neonato a rispondere in maniera selettiva agli stimoli sociali quali la voce e i volti umani (Camaioni, 2001). Questa attenzione preferenziale non consente ancora al neonato di essere in grado di distinguere una persona dall’altra, ma è basilare per l’instaurarsi delle interazioni, così come l’attenzione preferenziale per la voce umana (Schaffer 1998). In pratica, già a partire dai nostri sensi e dal modo in cui elaboriamo gli stimoli sensoriali, possiamo permetterci di affermare che l’essere umano nasce “predisposto” a porsi in relazione con altri esseri umani. Ma che la socialità rappresenti una necessità per l’essere umano lo si può dedurre anche attraverso un approccio evoluzionistico: a partire dall’origine della nostra specie: ci siamo evoluti adottando un andatura eretta che ci ha modificato la larghezza del bacino restringendolo notevolmente. Questo ha fatto si che la gestazione non potesse permettersi di prolungarsi fino ad un completo sviluppo funzionale del bambino( per semplificare: che permetta autonomia) prima della nascita come succede in moltissime altre specie. Il neonato senza cure parentali semplicemente muore. La protezione di un cucciolo non autosufficiente non può essere caricata solo sulle spalle di una madre. Nasce la necessità di una coppia genitoriale. Nasce il nucleo sociale base: la famiglia. Dalla famiglia al clan per arrivare alla nazione il passo è breve. È breve per Aion, lungo per Kronos e giusto per Kairos. /continuando la nostra scorribanda nell’intreccio di storia evolutiva e ruolo della socialità proponiamo una nuova teoria di Piantadosi e Kidd, dell’Università di Rochester, che suggerisce una diretta correlazione tra lo sviluppo dell’intelligenza umana e la prematurità dei nostri neonati, che, come abbiamo appena accennato sopra, nascono molto meno maturi rispetto ai figli di altre specie. Nascite premature comportano inevitabilmente un bisogno di protezione e di cure maggiore da parte dei genitori verso i propri figli. In altre parole, richiedono genitori più attenti e intelligenti. I due autori propongono esista una sorta di circolo virtuoso, in cui cervelli più grossi portano a proli premature e proli premature portano i genitori a sviluppare le proprie facoltà intellettive e, conseguentemente, le dimensioni del cervello. Chissà se questo non possa anche essere vero nel caso della correlazione prole prematura/comportamenti sociali. Operiamo quindi una distinzione importante: la socialità presenta due aspetti: il primo intende la socialità come tratto evolutivo della specie umana, la seconda come tratto individuale che dipende da skill sociali specifiche che dipendono dalle esperienze e dal relativo apprendimento. Per cui ritengo che la socialità è insita nella natura umana ma che gli individui la devono comunque apprendere socializzando fin da piccoli. Cronologia dello sviluppo umano ripreso dal sito di “Scienze”: 55 MILIONI DI ANNI FA - Compaiono i primi primati. 8-6 MILIONI DI ANNI FA - I primi gorilla si evolvono. Più tardi, gli antenati degli scimpanzé e quelli dell'uomo divergono. 7 MILIONI DI ANNI FA - Sahelanthropus tchadensis, scoperto in Ciad. Sebbene sia antecedente alla separazione della linea evolutiva dell’uomo (circa 6 milioni di anni fa), rappresenta la prima testimonianza di un ominide in grado di camminare su due gambe, sebbene in maniera imperfetta. 5,8 MILIONI DI ANNI FA - Orrorin tugenensis, il più antico antenato dell'uomo che camminava abitualmente sulle gambe. I suoi resti trovati in Kenia, e in particolare un femore, hanno una struttura che ha fatto ipotizzare agli scienziati che fosse piuttosto abituato a muoversi su due gambe. 5,5 MILIONI DI ANNI FA - Compare il genere Ardipithecus. Condivide alcuni tratti con gli scimpanzé e i gorilla, vive nella foresta. Usava 2 zampe sul terreno e tutte e 4 quando si muoveva sui rami. Il ritrovamento più importante è quello di Ardi, un esemplare femmina di Ardipithecus ramidus vissuto 4,4 milioni di anni fa. 4 MILIONI DI ANNI FA - Fanno la loro comparsa gli Australopitechi. Il loro cervello è già più grande di quello di uno scimpanzé - con un volume di 400/500 cm3. È il primo antenato a vivere nella savana. Se, come sostengono le più attuali teorie paleoantropologiche, lo sviluppo del cervello iniziò “dai piedi”, ossia dal modo di camminare, le orme fossili trovate provano che già circa 3,6 milioni di anni or sono i piedi degli ominidi (forse quelli della specie Australopithecus afarensis) erano simili a quelli dell’uomo attuale, e non più scimmieschi come li aveva l'Ardipithecus 3,2 MILIONI DI ANNI FA - È l'epoca in cui vive Lucy, la celebre donna scimmia (A. afarensis) scoperta in Etiopia dal paleoantropologo americano Donald Johanson. Manca delle estremità inferiori, ma le ossa delle gambe e il bacino dimostrano che la stazione eretta fa era acquisita: gli ominidi si muovevano quasi sempre in quella posizione, non solo per alcuni tratti. 2,9 MILIONI DI ANNI FA - Secondo le teorie più accreditate, l’albero dell’evoluzione a quell’epoca si divise in due rami principali. Nel primo fanno parte alcune specie di ominidi - come Paranthropus aethiopicus (vissuto nelle attuali Etiopia e Tanzania), muniti di mascelle possenti per triturare cibi vegetali coriacei, come le noci e le radici per esempio. Vivono nei boschi e nelle praterie. E si estinguono 1,2 milioni di anni fa. Negli ominidi appartenenti al secondo ramo, come Australopithecus africanus, la dentatura e le mascelle rimasero invece leggere, ma si sviluppò la scatola cranica. Gli scienziati concordano nel riconoscere a questo secondo ramo il ruolo di progenitore del genere Homo, cioè quello cui apparteniamo noi. 2,8 MILIONI DI ANNI FA - Compare il genere umano, con la specie dell'Homo habilis. Aveva una scatola cranica più sviluppata degli ominidi che l’avevano preceduto, ma mascelle relativamente meno potenti, perché la sua dieta era diventata onnivora: comprendeva cioè una buona base di carne, che si procurava facendo lo “spazzino”, cioè scacciando iene e altri predatori dalle carcasse degli animali morti, spesso agendo in gruppo con altri simili. I suoi utensili di pietra servivano soprattutto a rompere le ossa per mangiare il midollo, un cibo molto nutriente. H. habilis è stato a lungo considerato il primo membro della linea evolutiva di Homo, ma una serie di nuovi ritrovamenti ha cambiato le carte in tavola. 2 MILIONI DI ANNI FA - Prime evidenze di Homo ergaster, con un volume del cervello di 850 cm3. 1,8-1,5 MILIONI DI ANNI FA - Homo erectus si trova in Asia. È il primo vero antenato di cacciatori-raccoglitori, e anche il primo ad aver migrato dall'Africa in gran numero. Aveva una dimensione del cervello di circa 1000 cm3. 1,6 MILIONI DI ANNI FA - Primo uso sporadico del fuoco. È ancora un'ipotesi, suggerita da sedimenti scoloriti trovati in Kenya. Prove più convincenti di strumenti di legno e pietra carbonizzati si trovano in Israele e risalgono però a 780.000 anni fa. Con l’inizio della cultura acheuleana, si iniziò a lavorare simmetricamente i ciottoli su entrambe le facce e a sagomarli con maggior precisione con l’ausilio di strumenti di legno o di osso. 600.000 ANNI FA - Homo heidelbergensis vive in Africa e in Europa. Ha una capacità cranica simile a quella degli esseri umani moderni. 500.000 ANNI FA - Risalgono a quel periodo i resti più antichi e conosciuti di rifugi costruiti appositamente. Sono capanne di legno ritrovate vicino a Chichibu, Giappone. 400.000 ANNI FA - I primi esseri umani cominciano a cacciare con lance. 230.000 ANNI FA - Compaiono i Neanderthal. Li ritroviamo in tutta Europa dalla Gran Bretagna ad ovest all'Iran, a est. Si estingueranno - per colpa dei sapiens, 28.000 anni fa circa. 195.000 ANNI FA - La nostra specie Homo sapiens appare sulla scena - e poco dopo inizia a migrare in tutta l'Asia e l'Europa. I più antichi resti umani moderni sono due crani trovati in Etiopia che risalgono a questo periodo. Volume medio del cervello umano: 1.350 cm3. 170.000 ANNI FA - Risale a questo periodo la “Eva mitocondriale”, l’antenato comune determinato dalla comparazione del DNA mitocondriale, trasmesso sempre dalla madre, di individui di varie etnie o regioni. 150.000 ANNI FA - Probabilmente gli uomini parlano. Alcune conchiglie usate come gioielli e risalenti a 100.000 anni fa potrebbero essere un segnale che gli esseri umani fossero in grado di sviluppare discorsi complessi e ricorrere al simbolismo. 140.000 DI ANNI FA - Prime prove di commercio a lunga distanza. 110.000 ANNI FA - Prime perle - a base di gusci d'uovo di struzzo - e gioielli. 50.000 ANNI FA - È l'epoca del "Grande balzo in avanti": la cultura umana comincia a cambiare molto più rapidamente rispetto a prima; si seppelliscono i morti ritualmente; si creano abiti da pelli di animali; e si sviluppano tecniche di caccia complesse. 35.000 ANNI FA - In base ad alcuni ritrovamenti, risale a questo periodo l'addomesticazione dei cani. In passato si riteneva che l'amicizia tra cani e uomo fosse iniziata solo 10.000 anni fa. 33.000 ANNI FA - Risale a questo periodo la più antica arte rupestre. Più tardi, gli artisti dell'età della pietra creano murales spettacolari a Lascaux e Chauvet in Francia. Homo erectus si estingue in Asia - sostituito dall'uomo moderno 12.000 ANNI FA - L'uomo moderno raggiungere le Americhe. 10.000 ANNI FA - L'agricoltura si sviluppa e diffonde. Nascono i primi villaggi. 5.500 ANNI FA - Finisce l'età della Pietra e inizia quella del Bronzo: gli uomini cominciano a fondere e lavorare rame e stagno, e li usano al posto degli strumenti di pietra. 5.000 ANNI FA - Primo scritto conosciuto. Siamo giovani, molto giovani… Altra dotazione standard fornita dalla nostra amata natura sono i neuroni specchio. Queste simpatiche cellule cerebrali sono (a detta di Rizzolati et altri, 1996) responsabili della capacità di empatizzare. L’empatia è quella capacità che ci permette di immedesimarsi nell’altro e comprendere sulla propria pelle ciò che l’altro sta provando. Difficile immaginarsi qualsiasi relazione senza questa specifica capacità. Uta Frith, in suo piacevole saggio, riconduce le difficoltà di relazione delle persone con sindromi autistiche proprio all’incapacità di empatizzare: più nello specifico nella difficoltà di mentalizzare l’altro e il relativo punto di vista. Tra le molte cose interessanti propone questo esperimento mentale, che alla domanda di dove Sally cercherà la palla, pone un discrimine tra coloro che riescono a immedesimarsi nell’altro(anche attraverso l’empatia) e chi no. L’autrice ci racconta che chi soffre di sindromi autistiche risponderà in prevalenza che Sally cercherà la palla nella scatola non riuscendo ad immedesimarsi con il comportamento di Sally, che uscendo fuori, non può essere a conoscenza dello spostamento. L’empatia risulta essere un tratto evolutivo molto importate nell’economia delle nostre vite. E se questo è vero è vero anche che le relazioni sono altrettanto importanti. Tutto quello che fino ad adesso ci siamo permessi di esporre ha il solo scopo di porre la relzione al proprio posto: prioritaria rispetto alla costruzione di identità, prioritaria rispetto alla produzione cognitiva, prioritaria rispetto agli accadimenti emotivi e perfino per quelli inconsci(almeno in parte). Quando diciamo prioritaria vogliamo intendere che ne è la causa e l’espressione stessa. La relazione è una continua attribuzione di significato a significanti. Attribuzione autonoma e indipendente in larga parte della nostra consapevolezza. È anche un attribuzione indiretta ed autorinforzante. Significa che è difficilmente indirizzabile coscientemente e che nel momento in cui compiamo l’attribuzione questa verrà alimentata in modo elettivo rispetto ad altre possibili interpretazioni. Facciamo degli esempi(esempi di impatto della relazione sulla psicologia dell essere umano): Festinger descrive un fenomeno psicologico interessante che chiama dissonanza cognitiva. Questa teorizzazione evidenzia come il pensare di una persona in un determinato modo influenzi la percezione e le successive relazioni con questa persona. Se gli individui rilevano un’incoerenza fra le proprie convinzioni ed i propri comportamenti, soffrono di un forte senso di disagio (dissonanza) che agisce come pulsione a cambiare quella condotta per ripristinare la condizione di coerenza. Si esporrebbero quindi più facilmente a quei messaggi in grado di eliminare la sensazione di dissonanza. È il classico caso della volpe e dell’uva: “voglio l’uva!”. Non arrivo all’uva allora “ in realtà non volevo l’uva!!”. Spostato sul piano della relazione la troviamo applicata tutte le volte che una volta che ci siamo dati una spiegazione provvisoria, e ci imbattiamo in informazioni contrarie ad essa, non porremo correzioni ma piuttosto elaboreremo spiegazioni sempre più complesse che rinforzino la prima spiegazione provvisoria. Quando si prende una decisione importante diventa automaticamente saliente anche l’alternativa rifiutata. La dissonanza cognitiva nasce dal fatto che nell’alternativa rifiutata ci sono elementi positivi, mentre la scelta è ricaduta sull’altra alternativa. Nasce la spinta motivazionale a ridurre la dissonanza che si ottiene attraverso alcuni strumenti psicologici: razionalizzazione, evitamento di informazioni discordanti con la scelta, ricerca di sostegni alla posizione presa ecc. Insomma! Quando ci diamo una spiegazione di un accadimento in un certo modo si cerca di mantenere quella spiegazione a tutti i costi! Questo serve ad eliminare il fastidio di essere in disaccordo e non coerenti con se stessi. Questo, ovviamente avviene tutto su di un piano non consapevole. Esperimento di Asch (1952): la validità di un messaggio viene valutato diversamente a seconda della valutazione positiva o negativa della fonte e dalla pressione che il gruppo esercita sul soggetto. Utilizzando come metafora la composizione chimica dell'acqua, creata da molecole di ossigeno ed idrogeno che combinate acquisiscono proprietà che non hanno se prese singolarmente, Asch, come anche Mead , Scherif e Lewin , propone una visione della relazione tra Individuo e Gruppo che sia in grado di considerare sia le caratteristiche individuali che le relazioni reciproche all'interno del gruppo, in quanto essi rappresentano elementi che si influenzano reciprocamente. In pratica Asch costruisce un esperimento in cui gli individui possono essere indotti a fornire risposte sbagliate ad un quesito fisico elementare dalla presenza di una maggioranza che fornisce giudizi unanimi ma scorretti. Esperimento di Millgram: eseguibilità dei comandi in rapporti asimmetrici. Per testare fino a che punto la gente era disposta a seguire le indicazioni di un’autorità lo psicologo sociale Stanley Milgram condusse un esperimento conosciuto appunto come l’ “esperimento di Milgram” alla università di Yale. L’esperimento consisteva nell’invitare due persone a cui venivano casualmente assegnati i ruoli di “insegnante” e “studente”. Lo studente doveva prima leggere da un foglio una serie di coppie di parole e memorizzarle in un certo periodo di tempo.Successivamente veniva invitato in una stanza in cui gli veniva legato al braccio uno strumento capace di infliggergli scariche elettriche di diversa intensità. L’insegnante veniva invece messo in una stanza accanto in cui poteva sentire ma non vedere lo studente e il suo scopo era pronunciare una delle due parole per ogni coppia del foglio e aspettare la risposta dallo studente.Se lo studente non ricordava la parola associata gli veniva inflitta una scarica elettrica e la successiva scarica veniva aumentata di 15-volt. Lo scopo dell’esperimento, veniva detto ai due, era testare se la memoria potesse migliorare tramite la punizione degli errori. In realtà la parte dello studente era recitata da un attore e dall’altra parte della stanza c’era solamente un registratore che faceva sentire urla pre-registrate. Milgram voleva vedere fino a che punto l’insegnante (il vero individuo testato) si sarebbe spinto nell’infliggere le scariche all’altro sotto la pressione di un’autorità. Al contrario di quanto molti amici e colleghi di Milgram pensavano sull’esito dell’esperimento un numero incredibile di persone inflisse voltaggi altissimi. Il 65% dei testati inflisse la carica massima potenzialmente mortale da 450-volt anche se con estrema difficoltà e chiedendo se era davvero necessario andare avanti.Molti continuarono ad infliggere scariche anche quanto lo “studente” fingeva di voler interrompere l’esperimento, urlava per il dolore e dichiarava di avere problemi di cuore. Ma allora perchè anche se visibilmente scossa la gente continuava ad infiggere le scariche elettriche? La risposta è una ed è molto semplice, la gente si sentiva obbligata ad obbedire alla figura autoritaria che li invitava a continuare tramite i seguenti ordini: • Per favore continui • L’esperimento richiede che lei continui • E’ assolutamente necessario che lei vada avanti • Lei non ha scelta, deve andare avanti attraverso questo efficace esperimento, Milgram, mette in luce(tra le altre cose) come la nostra capacità cognitiva, che riteniamo essere responsabile del nostro discernere, in realtà sia in larga parte assoggettata dalla natura delle relazioni che ci circondano. La terza onda In California Ron Jones, professore di Storia in un liceo tiene alla sua classe una lezione sul nazionalsocialismo. Ma davanti alle domande dei suoi alunni il professore non sa che risposta fornire. «Come hanno potuto, i tedeschi, sostenere di essere stati all’oscuro del massacro degli ebrei? Come hanno potuto, cittadini, ferrovieri, insegnanti, medici sostenere di non avere saputo dei campi di concentramento e dei forni crematori? Come hanno potuto, i vicini di casa e forse anche gli amici dei cittadini ebrei, sostenere di non essere stati lì, mentre tutto questo accadeva?». È per questo che decide di iniziare un esperimento per dimostrare agli studenti che le masse sono facilmente manipolabili e che quindi sarebbe ancora possibile una dittatura. Jones diede così vita ad un movimento chiamato “The Third Wave” (“La terza onda”) e convinse i suoi studenti che era necessaria l’eliminazione della democrazia con il motto “Forza attraverso la disciplina, forza attraverso l’unione, forza attraverso l’azione, forza attraverso l’orgoglio”. L’andamento dell’esperimento è stato documentato direttamente dallo stesso professor Jones. Egli scrive che iniziò il primo giorno dell’esperimento con cose semplici come il corretto modo di sedersi, addestrando gli studenti finché questi erano in grado di arrivare dall’esterno della classe fino alle proprie sedie e prendere posizione nel modo corretto in meno di 30 secondi senza fare alcun rumore. Procedette quindi con una ferrea disciplina in classe emergendo come una figura autoritaria. Viene inserito anche un rigido regolamento disciplinare, imponendo ai ragazzi di alzarsi prima di parlare, di rispondere in modo coinciso alle domande e di chiamarlo “Signor Jones”. Nel secondo giorno organizzò le cose in modo da mescolare la sua classe di storia in un gruppo con un supremo senso della disciplina e della comunità. Creò un saluto simile a quello del regime nazista e ordinò ai membri della classe di salutarsi vicendevolmente in quel modo anche al di fuori della classe. Ognuno di loro si attenne a questo comando. A questo punto l’esperimento prese vita per conto suo, con studenti che da un po’ tutta la scuola vi si univano: il terzo giorno la classe si allargò dagli iniziali 30 studenti a 43 partecipanti. Tutti gli studenti mostrarono un drastico miglioramento nelle loro abilità accademiche e una motivazione straordinaria. Jones istruì gli studenti su come fare un’iniziazione ai nuovi membri, e per la fine del giorno il movimento aveva già oltre 200 partecipanti. E nasce una vera e propria dittatura: i dissidenti vengono ostracizzati, i membri del movimento cominciano a spiarsi a vicenda, e gli studenti che si rifiutano di aderire vengono accusati. È al quarto giorno di esperimento che Jones decide di porre fine al movimento perché ne sta perdendo il controllo. Annunciò così ai partecipanti che il movimento era solo una parte di un movimento a livello nazionale e che nel giorno seguente un candidato presidenziale del movimento ne avrebbe annunciato pubblicamente l’esistenza. Jones ordinò agli studenti di partecipare ad una manifestazione a mezzogiorno del giorno dopo per testimoniare all’annuncio. Invece di un discorso televisivo del loro leader, agli studenti venne però presentato un canale vuoto con rumore bianco. Dopo alcuni minuti di attesa, Jones annunciò che tutti loro avevano preso parte ad un esperimento sul fascismo e che tutti quanti avevano volontariamente creato un senso di superiorità che i cittadini tedeschi avevano nel periodo della Germania nazista. E così l’esperimento finì. Jones dirà : “Un’esperienza che non rifarei mai. Mi sono imbattuto in un lato primordiale della psiche umana che potrebbe essere utile conoscere”. Ho cercato di rendere, con carattere discorsivo, ciò che ci siamo detti all’interno dello spazio e del tempo che abbiamo condiviso. Per qualsiasi delucidazione o approfondimento contattatemi al [email protected] o al 3491323766.