Ann Ist Super Sanità 2003;39(1):125-133 recensioni, commenti e segnalazioni A cura di Federica Napolitani Cheyne INVASIVE AQUATIC SPECIES OF EUROPE. DISTRIBUTION, IMPACTS AND MANAGEMENT. Erkki Leppäkoski, Stephan Gollasch e Sergej Olenin. Dordrecht: Kluwer Academic Publishers; 2002. 600 p. ISBN 1-4020-0837-6. € 145,00. Nel corso degli ultimi tempi un grande numero di nuove specie, sovente di remota provenienza, si è aggiunto alla fauna ed alla flora italiane ed europee superando in un periodo straordinariamente breve le barriere geografiche interposte tra regioni distanti e spesso differenti dal punto di vista climatico. Per fare solo qualche esempio basterà ricordare che nel giro di una manciata di anni l’entomofauna italiana si è arricchita di nuove componenti come il lepidottero sudafricano Cacyreus marshalli, infeudato ai comuni pelargoni, spintosi nel corso dell’anno 2000 dal versante tirrenico a quello adriatico, la ormai diffusissima Metcalfa pruinosa, piccolo emittero nordamericano colonizzatore di giardini e coltivi arborati, la tristemente nota zanzara tigre (Aedes albopictus) o il cerambice australiano Phoracantha semipunctata. Tra i mammiferi sono giunti nel nostro territorio il topo muschiato (Ondatra zibethicus) e lo sciacallo dorato (Canis aureus), mentre nel campo vegetale la nostra flora si è arricchita del fior di loto (Nelumbo nucifera) e della cinese Buddleja davidii, oltre che del più invasivo Senecio inaequidens, di provenienza sudafricana. Quest’afflusso di nuovi organismi, che trova incentivo nel moltiplicarsi dei traffici commerciali e nel degrado degli ecosistemi, rappresenta uno degli aspetti salienti della recente storia ecologica e biogeografica di molti degli ambienti italiani ed europei, anche se allo stato attuale rimane ancora difficile valutarne in maniera serena la portata, l’importanza e le possibili implicazioni future. Tuttavia nell’immediato non vanno sottovalutati i risvolti di ordine economico e sanitario insiti nel fenomeno, che necessita indubbiamente di un costante ed attento monitoraggio. Scenari privilegiati di questa invasione in Europa sono soprattutto il biota marino e quello delle acque interne. È sufficiente, infatti, l’osservazione degli organismi marini spiaggiati lungo un litorale mediterraneo o insediati in un delta fluviale per imbattersi con facilità in nuovi ospiti più o meno invasivi, sovente capaci di alterare sensibilmente la fisionomia consolidata del popolamento animale e vegetale. In singoli casi, come per l’alga tropicale Caulerpa taxifolia, il processo di diffusione è stato seguito con grande attenzione dal mondo scientifico e dai mezzi d’informazione, ma in altre occasioni l’insediamento delle nuove specie è avvenuto quasi in sordina, rispondendo a dinamiche e modalità non sempre chiare. In questa situazione fortemente evolutiva, che coinvolge l’intero continente europeo, assume fondamentale importanza la possibilità di disporre di un quadro di riferimento complessivo, aggiornato ed autorevole, che riassuma i risultati derivanti dalle molteplici indagini particolari condotte negli svariati ambiti locali. Una risposta a questa urgente esigenza è offerta finalmente dalla recentissima pubblicazione del libro Invasive aquatic species of Europe. Distribution, impacts and management a cura del finladese Erki Leppäkoski, del tedesco Stephan Gollasch e del lituano Sergej Olenin, che raccoglie le conclusioni di una vasta gamma di ricerche effettuate da più di cento studiosi in ben ventiquattro paesi diversi, che spaziano dall’Irlanda ad Israele, dall’Italia alla Russia. La vastità dell’area geografica coperta rappresenta il primo motivo di straordinaria rilevanza di questa opera. Accanto ad una ricchissima serie di dati sull’insediamento e la distribuzione delle specie esotiche nei mari che bagnano i settori occidentale e settentrionale del continente europeo e nei sistemi di acque interne correlati, il libro fornisce una preziosa documentazione sugli sviluppi della situazione nelle aree periferiche orientali e meridionali dell’Europa, tradizionalmente meno note al di fuori dei contesti locali, ma che nella dinamica dei flussi di specie spesso si rivelano corridoi privilegiati per la conquista di nuovi areali nel resto del continente. Tra queste regioni si colloca il settore più orientale del Mar Mediterraneo, il Mar di Levante, testimone da decenni di un lento cambiamento faunistico e floristico 126 recensioni, commenti e segnalazioni determinato dal graduale insediamento di immigranti indopacifici o “lessepsiani”, provenienti dal Mar Rosso, che potrebbe risultare prodromico rispetto ad un più vasto processo di rinnovamento ed arricchimento biogeografico, destinato a coinvolgere larga parte del Mediterraneo, con conseguenze che sul piano ecologico, ma anche economico e culturale, sono ancora in buona parte da valutare. Tra i nuovi ospiti stabilitisi nel Mediterraneo si annoverano specie ittiche che hanno assunto un ruolo importante nella pesca locale, come Siganus luridus, Siganus rivulatus e Saurida undosquamis, appartenenti a famiglie prima sconosciute nei mari europei, si deve tuttavia registrare anche la penetrazione di specie potenzialmente pericolose per la salute umana, come i Tetraodontidi Lagocephalus spadiceus, Lagocephalus suezensis, Sphoeroides pachygaster e Torquigener flavimaculosus, in grado di accumulare nelle viscere e nelle gonadi un potente veleno neurotossico, la tetrodotossina, responsabile di gravi intossicazioni alimentari laddove, come in Estremo Oriente, alcuni di questi organismi sono largamente consumati sotto il nome di “fugu”. Uno scenario non dissimile è offerto dal Mar Nero e soprattutto dal Mar Caspio, dove le reiterate immissioni di specie di interesse alieutico, accompagnate dalle inevitabili introduzioni accidentali, rischiano di alterare irrimediabilmente la fisionomia e la consistenza del peculiare popolamento di organismi autoctoni endemici, evolutisi in condizioni di isolamento. Questa dettagliata analisi storica dei recenti flussi florofaunistici si accompagna ad un esame approfondito delle dinamiche di diffusione dei singoli taxa attraverso i nuovi mezzi di dispersione resi disponibili dalle attività antropiche. Oggetto privilegiato di questi studi è stato, ad esempio, il ruolo ricoperto dall’imponente sviluppo della rete di canali navigabili negli scambi faunistici intercorsi tra i sistemi idrografici dell’Europa centro-orientale. La diffusione delle idrovie artificiali ha significato la caduta di antiche barriere geografiche come quelle che disgiungevano i bacini pontocaspici dal Mar Baltico e dai fiumi dell’Europa media. Proprio questi sono stati i percorsi preferenziali che, secondo gli autori, hanno seguito specie invasive come il mollusco bivalve d’acqua dolce Dreissena polymorpha, di recente diffusosi in larga parte delle acque interne europee ed italiane, dopo essere stato confinato nell’area ponto-caspica dalle glaciazioni pleistoceniche. In questo caso, come in molti altri, le attività antropiche hanno rappresentato uno straordinario fattore di accelerazione di un naturale processo di riconquista dell’antico areale di distribuzione, ridotto o frammentato dalle ultime glaciazioni o da più antichi eventi geologici, che hanno lasciato nei mari e nelle acque interne europei molte nicchie ecologiche solo parzialmente occupate. L’Italia certamente non si sottrae a questa situazione e dal quadro aggiornato delle introduzioni di organismi acquatici esotici fornito da A. Occhipinti Ambrogi dell’Università di Pavia, si evince che Dreissena polymorpha è giunta nel 1969, oltrepassando la catena alpina, e dal lago di Garda, grazie al trasporto passivo da parte dei natanti ed alle larve planctoniche, è dilagata nel bacino padano, spingendosi a colonizzare ultimamente anche il lago Trasimeno. L’esame dell’impatto di Dreissena polymorpha sugli ecosistemi lacustri e fluviali, curato da D. Minchin et al. per l’Europa e da A.Y. Karatayev et al. per gli USA, evidenzia dinamiche e modalità d’inserimento spesso ricorrenti tra le specie invasive, ad un’iniziale “onda biologica” (biological wave) consistente in una massiccia proliferazione del bivalve nel nuovo habitat, segue una graduale riduzione numerica, dovuta anche alla pressione crescente di predatori e parassiti, che ne favorisce un inserimento più armonico nella biocenosi. Purtroppo nelle acque europee le proliferazioni abnormi di organismi alloctoni trovano incentivo nella destrutturazione delle comunità biotiche originarie, conseguente all’impatto delle molteplici azioni antropiche. Non a caso scopriamo quindi che molte delle 111 specie di animali e vegetali esotici segnalati fino ad ora nei mari italiani trovano la loro massima diffusione nell’Adriatico settentrionale, bacino dove agli stress provocati dalla variabilità dei parametri ambientali si sommano quelli derivanti dall’eutrofizzazione, dall’inquinamento chimico, dall’overfishing e dall’acquacoltura. Tra i nuovi inquilini dell’Adriatico e dei sistemi lagunari ad esso connessi, particolarmente rappresentativi appaiono molluschi come Crassostrea gigas, Anadara inaequivalvis, Rapana venosa, Tapes philippinarum, Musculista senhousia e Xenostrobus securis, che giunti in maniera accidentale o introdotti a scopo di molluschicoltura, hanno spesso mostrato di poter competere con successo con le specie indigene, determinandone in alcune casi una consistente riduzione numerica. Le introduzioni di molluschi e di altri organismi marini da paesi esteri per acquacoltura rappresentano, infatti, una delle vie d’ingresso d’elezione per le fasi giovanili di una vasta congerie di specie alloctone generalmente indesiderate, ubiquiste e diffusive. Così le lagune nord-adriatiche, come quella di Venezia, tra le alterne invasioni, hanno conosciuto anche la penetrazione di macroalghe esotiche di origine pacifica come Undaria pinnatifida, Sargassum muticum e Polysiphonia morrowii. Nel contempo in tutto il Mediterraneo, secondo quanto si desume dal contributo da M.A. Ribera Siguan dell’Università di Barcellona, le nuove specie di alghe segnalate assommano a ben 97. Tra esse figurano binomi ormai noti, come le tropicali Caulerpa racemosa e soprattutto Caulerpa taxifolia, la cui diffusione lungo le coste liguri e provenzali ha determinato, qualche anno fa, un tale allarme in alcuni settori del mondo scientifico da suscitare nei mezzi di comunicazione di massa un eco che ha assunto toni da “leggenda nera”. Preoccupazioni forse più giustificate, soprattutto di ordine sanitario, sollevano le biotossine prodotte da alcune microalghe planctoniche penetrate di recente nel Mediterraneo e in altri mari europei attraverso un ulteriore importante mezzo di diffusione: le acque di zavorra delle navi. Secondo I. Wallentinus dell’Università di Goteborg attraverso questa strada, ma anche tramite gli spostamenti di molluschi vivi, sono giunte in Europa ben 41 nuove specie di 127 recensioni, commenti e segnalazioni microalghe, delle quali 19 possono rilasciare metaboliti tossici del tipo della saxitossina, delle gonyautossine, delle yessotossine, delle ittiotossine, ecc., pericolose per la salute umana e per quella dei vertebrati marini, soprattutto in occasione delle “fioriture algali” (harmful algal blooms) che periodicamente interessano le acque eutrofiche. Microalghe dinoficee come Alexandrium catenella, Gymnodinium catenatum e Karenia brevis, entrate di recente a far parte del fitoplancton di alcuni settori del Mediterraneo, sono in grado di originare “maree rosse” e produrre neurotossine idrosolubili o liposolubili che, accumulate da molluschi eduli filtratori come i mitili, possono determinare nell’uomo gravi sintomatologie del tipo PSP (paralytic shellfish poisoning) o NSP (neurotoxic shellfish poisoning). Quest’ultima forma di biointossicazione è causata soprattutto dalle brevitossine secrete da Karenia brevis, specie un tempo endemica delle coste del Golfo del Messico, ma che oggi sembra aver largamente ampliato la propria diffusione. L’incremento dei casi di sindromi di tipo PSP e DSP (diarrhetic shelllfish poisoning) provocate da tossine microalgali, registrato in Europa a partire dagli anni ‘70 del secolo scorso, testimonia il rilievo assunto dal fenomeno che è conseguente soprattutto ai traffici marittimi con le coste asiatiche ed americane. In questi casi le moderne tecniche di trattamento, filtrazione e controllo preventivo delle acque di zavorra, ampiamente discusse nelle sezioni curate da A. Taylor et al. e da A. Cangelosi, potrebbero rappresentare un valido argine nei confronti di questa importante via d’ingresso di specie indesiderate. Considerevoli rischi di ordine sanitario derivano anche dalla introduzione incontrollata dei parassiti che viaggiano con i loro ospiti esotici e possono rivelarsi particolarmente virulenti nei confronti degli organismi indigeni congenerici o imparentati filogeneticamente, come è accaduto per le specie europee di gamberi d’acqua dolce, decimate da una grave epizoozia determinata dal fungo Aphanomyces astaci, giunto in Europa probabilmente a seguito di un’incauta introduzione di gamberi americani effettuata nel 1860 in Lombardia. Eventi di questo tipo esemplificano le caratteristiche devastanti che può assumere l’impatto determinato dalle specie alloctone invasive negli ambienti ristretti ed isolati, ecologicamente “insulari”. Tra questi rientrano molti bacini d’acqua dolce, fluviali e lacustri, in cui l’immissione incontrollata di pesci, crostacei o vegetali esotici finisce con il risolversi nell’eliminazione per esclusione competitiva, predazione, ibridazione o diffusione di parassiti, di pregiati organismi endemici. Il manifestarsi ricorrente di tali evenienze nelle acque interne italiane ed europee, soprattutto a carico del patrimonio di specie ittiche, come l’indigena trota marmorata (Salmo trutta marmoratus) in alcuni fiumi padani, evidenzia chiaramente la necessità di una gestione complessiva degli ambienti acquatici fondata sempre più su criteri rigorosi dal punto di vista ecologico piuttosto che da quello della semplice produttività. L’esame veramente esaustivo delle dinamiche che contraddistinguono l’ecologia delle invasioni di specie aliene negli ambienti acquatici, portato avanti in una pluralità di contesti dagli autori di Invasive aquatic species of Europe. Distribution, impacts and management, dovrebbe ora contribuire a rendere più sereno, consapevole e rigoroso l’atteggiamento degli esperti e di quanti si trovano nella condizione di dover effettuare scelte di valore anche politico nella gestione delle problematiche derivanti dal graduale processo di “neoglobalizzazione” degli areali di distribuzione di molti organismi. Nicola Olivieri Istituto Tecnico Industriale Statale “E. Alessandrini”, Teramo BIOETICA, AMBIENTE, RISCHIO. Carlo Petrini. Roma: Ateneo Pontificio Regina Apostolorum; Logos Press; 2002. 448 p. (Studi e ricerche, 1). ISBN 88-8454-018-6. € 25,00. Questo testo offre una lettura della bioetica nella prospettiva che le è più propria, quella trasversale sia a discipline dell’area sanitaria che a quelle di ambito umanistico, in una costante compenetrazione di piani tra scienze della vita e scienze sociali. Le tematiche affrontate nei diversi capitoli costituiscono il nucleo portante dei corsi tenuti dall’autore presso la facoltà di bioetica dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum e riproducono gli articoli da lui pubblicati sulla rivista Biologi italiani nel periodo compreso tra giugno 1999 e luglio 2002. La problematica di raccordo tra i vari contributi è quella dell’etica ambientale in rapporto alle azioni di tutela della salute umana. Gli argomenti si polarizzano intorno a grandi nuclei tematici saldati a principi e concetti guida delle politiche sanitarie relative ai rischi ambientali e rivelano l’imprescindibilità dell’istanza bioetica. Le riflessioni sono indirizzate a quanti operano in settori professionali sensibili come quelli della sanità e dell’ambiente e si vedono coinvolti in processi decisionali che implicano valutazioni etiche. Le considerazioni e le argomentazioni introdotte da Petrini interessano inoltre chiunque intenda approfondire la cultura della bioetica. 128 recensioni, commenti e segnalazioni Nei vari saggi di questa raccolta, alla coerenza dei contenuti si associa una metodologia uniforme di approccio e di sintesi dei vari argomenti che accompagna molto efficacemente la lettura e l’apprendimento. Sono applicati infatti, in modo quasi sistematico, una chiave di descrizione storica dei temi affrontati, l’esposizione e la discussione di teorie e di valori fondamentali della bioetica, i risultati di progetti, la presenza di riferimenti normativi spesso in una prospettiva comparata tra la situazione italiana e quella di altri paesi, la definizione dei concetti (a partire da quello di bioetica), l’interpretazione del significato di alcune espressioni controverse (es. genoma umano), il riferimento a documenti nazionali e internazionali e la citazione, infine, delle fonti bibliografiche utilizzate. L’intero volume, inoltre, mantiene fede ad un bilanciamento tra elaborazioni di tipo teorico (ad esempio il riferimento alle scuole di pensiero che animano il dibattito tra i bioeticisti contemporanei) e indicazioni di concreta utilità per gli operatori. La volontà di riferirsi alla pratica quotidiana nello svolgimento della professione fa sì che il libro si traduca in una sorta di vademecum di deontologia professionale contenente tutti i riferimenti alla documentazione (es. normativa, linee-guida) utile per interpretare le questioni etiche sollevate in ambito sanitario. Alcune considerazioni importanti riguardano proprio il ruolo degli “esperti” interpellati dalle autorità istituzionali al fine di acquisire dati conoscitivi utili all’emanazione di provvedimenti e le regole da tenere presente da parte del committente e del consulente in ordine all’indagine richiesta. I contenuti del volume si offrono, tra l’altro, non solo a sostegno di scelte operative responsabili sotto il profilo etico, ma anche a fondamento di una opinione pubblica informata e resa partecipe dei problemi sottesi alle questioni di etica ambientale. Tra le tematiche di dibattito attuale, oggetto di trattazione privilegiata da parte di Petrini, si segnala quella relativa al “principio di precauzione” che si richiama alla problematica della valutazione e della gestione del rischio per la salute e l’ambiente. L’applicazione di questo principio prevede che in situazioni di emergenza sia giustificato prendere decisioni operative, anche in presenza di dati scientifici incerti o non ancora definitivi. Un’ulteriore area di rilevazione di problemi etici riguarda quella della prevenzione nelle politiche sanitarie finalizzate alla difesa dell’ambiente. Le strategie di prevenzione impongono problemi di valutazione costi/benefici tali da richiedere agli amministratori pubblici analisi dei rischi e attenzione alle variabili economiche (stanziamento, allocazione e gestione di fondi), nonché sensibilità alle implicazioni etiche (libertà, responsabilità, rispetto della vita e gestione dei dati incerti) delle varie azioni di prevenzione. L’intera problematica del rischio è studiata a fondo in questo volume, anche in relazione alla sperimentazione biomedica. Petrini analizza e discute l’applicazione dei principi di bioetica all’etica della prevenzione e riserva un’attenzione ricorrente alle scelte politiche circa le conseguenze sanitarie di rischi ambientali e al concetto di giustizia ambientale. Infine, sempre in relazione alla valutazione del rischio e delle questioni etiche ad essa collegate, il volume presenta un’introduzione ai concetti fondamentali della radioprotezione. Ne discendono la constatazione di un costante riferimento tra etica e radioprotezione e le evidenti implicazioni economiche legate agli interventi di protezione della salute e della vita. Elisabetta Poltronieri Istituto Superiore di Sanità, Roma THE EUROPEAN HEALTH REPORT 2002. Copenhagen: World Health Organization, Regional Office for Europe; 2002. 156 p. ISBN 92 890 1365 6. US $ 37,80. Il Regional Office for Europe della World Health Organization cura da tempo una serie di pubblicazioni che riguardano questioni attinenti alla salute, all’organizzazione dei servizi sanitari, più in generale alle condizioni socioeconomiche delle nazioni che alla regione europea afferiscono. Essa comprende 870 milioni di persone che vivono in un’area che va dalla Groenlandia alle rive del Mediterraneo, fino a comprendere le aree della Federazione Russa che si affacciano sul Pacifico. Nello specifico, si tratta di cinquantuno paesi: Albania, Andorra, Armenia, Austria, Azerbaijan, Bielorussia, Belgio, Bosnia-Herzegovina, Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Georgia, Germania, Grecia, Ungheria, Islanda, Irlanda, Israele, Italia, Kazakistan, Kirgikistan, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Monaco, Olanda, Norvegia, Polonia, Portogallo, Repubblica di Moldava, Romania, Federazione Russa, San Marino, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Svezia, Svizzera, Taijikistan, la precedente repubblica Iugoslava di Macedonia, Turchia, Turkmenistan, Ucraina, Regno Unito, Uzbekistan, Yugoslavia. La pubblicazione qui recensita è l’European Health Report del 2002, scritto e coordinato da Anatoly Nosikov e Jean-Paul Jardel, con la direzione di Anca Dumitrescu, Roberto Bertollini e Nata Menade, che si sono avvalsi del contributo di numerosi componenti del WHO Regional Office for Europe. Il rapporto è articolato in tre parti o sezioni, rispettivamente dedicate alla situazione della salute nella regione europea, ai suoi maggiori determinanti e alle politiche sanitarie. 129 recensioni, commenti e segnalazioni La prima sezione fornisce in primo luogo una panoramica generale delle condizioni socio-economiche che hanno evidentemente una grande influenza sulle condizioni di salute delle persone, seguita da un’esposizione comparativa delle condizioni di salute secondo i dati più aggiornati disponibili, che variano tra gli ultimi anni ’90 ed il 2000, in termini di mortalità, attesa di vita, attesa di vita in buona salute e situazione delle principali patologie, secondo l’impostazione denominata “Burden of diseases” . Vengono in particolare prese in esame le seguenti condizioni patologiche: malattie trasmissibili (sessualmente trasmesse, HIV/AIDS, tubercolosi, malaria e malattie prevenibili con vaccino); le malattie non trasmissibili (malattie cardiovascolari, tumori, obesità, diabete mellito), la salute mentale, gli incidenti e le morti violente. Vi è poi una descrizione delle condizioni di salute in particolari sottogruppi di popolazione, quali bambini, adolescenti, donne ed anziani. La seconda sezione passa in rassegna la situazione e l’andamento nel tempo dei principali determinanti dello stato di salute, in primo luogo i fattori socio-economici: la povertà, i fattori psicologici, il lavoro, l’istruzione, il genere. Vengono poi esaminati gli stili di vita: l’alimentazione, l’attività fisica, le abitudini di fumo, il consumo di alcol e l’uso di droghe. Sono poi presentati i dati sull’ambiente che interagiscono con la salute: la qualità dell’aria e dell’acqua, la sicurezza alimentare, le abitazioni, il lavoro, i trasporti, la radiazioni ionizzanti. La terza sezione è dedicata ai sistemi sanitari, le cui prestazioni sono essenziali per il raggiungimento degli obiettivi di miglioramento della sanità pubblica, di equità di accesso ai servizi e di solidarietà nei finanziamenti. Ogni sezione è corredata da una ricca bibliografia che comprende, oltre a pubblicazioni della stessa WHO lavori scientifici di studiosi particolarmente qualificati negli specifici argomenti. Il rapporto termina con due allegati: uno sui metodi per descrivere le prestazioni dei sistemi sanitari ed uno con alcune tavole statistiche che contengono gli indicatori socioeconomici e di salute fondamentali, tra i quali citiamo: la popolazione, il prodotto interno lordo, il tasso di disoccupazione, la “linea di povertà”, il numero medio degli anni di studio, la mortalità generale, l’attesa di vita, l’attesa di vita in buona salute, la mortalità evitabile, la spesa sanitaria pro capite, per ciascuno dei cinquantuno paesi che costituiscono la regione europea. Le tavole sono corredate da un utile glossario che definisce gli indicatori presentati. In conclusione, il rapporto costituisce un utile e sintetico strumento di conoscenza della situazione socio-economica, della salute e dell’organizzazione sanitaria dei 51 paesi che costituiscono la regione europea dell’OMS, tra i quali, evidentemente, vi è un’ampia variabilità di situazioni, ben evidenziata nel testo. Susanna Conti e Paola Meli Istituto Superiore di Sanità, Roma I LABORATORI DELLA SANITÀ PUBBLICA. L’AMMINISTRAZIONE SANITARIA ITALIANA TRA IL 1887 E IL 1912. Gianfranco Donelli, Valeria Di Carlo. Roma-Bari: Editori Laterza; 2002. 294 p. ISBN 88-420-6776-8. € 35,00. Venticinque anni di storia della sanità in Italia alla vigilia della prima guerra mondiale; un periodo breve ma intenso di avvenimenti che vedono la nascita e l’affermarsi dei laboratori scientifici di sanità pubblica, il punto di partenza per lo sviluppo della futura politica sanitaria italiana, il primo passo verso l’emancipazione del nuovo Stato in vista del raggiungimento delle stesse mete perseguite da altre nazioni europee quali l’Inghilterra, la Francia, la Svezia, e gli Stati Uniti d’America. Il volume, che fa parte della collana della Laterza espressamente dedicata alla storia della medicina e della sanità, costituisce un prezioso strumento conoscitivo, un tassello mancante al complesso e poco esplorato passato della storia sanitaria italiana la cui conoscenza offre interessanti spunti di riflessione anche utili al confronto con l’attuale situazione sanitaria del nostro Paese. Il passato ci aiuta a meglio comprendere il presente e a riflettere su possibili scelte future; questo testo, ricco di risorse, documenti, fatti, dati, testimonianze e immagini, rappresenta un importante contributo di un dirigente di ricerca dell’Istituto Superiore di Sanità, Gianfranco Donelli che, con una sua giovane collaboratrice, Valeria Di Carlo, ha saputo trovare, tra i molteplici impegni nel settore della ricerca scientifica, uno spazio per una attenta e rigorosa ricerca storica volta ad esplorare un passato che è strettamente legato alle attività oggi svolte dall’Istituto. I laboratori scientifici della sanità pubblica infatti, articolati fin dall’inizio in una sezione batteriologica ed in una chimica, pur cambiando spesso denominazione, hanno assunto negli anni un ruolo ben definito, e rappresentano il nucleo originario di quello che diverrà l’Istituto di Sanità Pubblica nel 1934, che assumerà poi nel 1941 l’odierna denominazione di Istituto Superiore di Sanità. Pochi decenni prima del periodo qui considerato - come scrive Giorgio Cosmacini nella bella introduzione al volume - Pasteur era approdato nel 1857 all’enunciazione della “teoria dei germi”, individuati come agenti delle infezioni. Nel 1854 l’italiano Filippo Pacini aveva individuato il vibrione colerico nel contenuto intestinale delle vittime di 130 recensioni, commenti e segnalazioni una delle tante epidemie di quel tempo; e ancora, nel 1882, Koch descriveva per primo il bacillo della tubercolosi. In breve tempo vennero scoperti quasi tutti gli agenti batterici e i loro vettori, responsabili diretti o indiretti delle malattie infettive allora conosciute. Siamo nel periodo in cui tutto sembrava attribuibile al microbo e l’igiene divenne il cardine attorno al quale si venne costituendo una nuova sanità pubblica la cui tutela cominciava ad assumere un ruolo di primo piano accanto alla tradizionale cura della salute individuale. In questo periodo si diffonde la consapevolezza dello stretto legame esistente tra ignoranza, arretratezza e salute, riconoscendo il ruolo primario svolto dall’ambiente di vita e di lavoro, e l’importanza dell’igiene e della prevenzione. È in tale contesto che nascono ufficialmente, nel 1887, i primi laboratori di sanità pubblica le cui attività sono ampiamente documentate nei sei capitoli in cui è articolato il volume contribuendo a creare un sicuro quadro di riferimento per l’analisi dell’amministrazione sanitaria italiana in un momento di grandi cambiamenti. Si parte dalla descrizione delle prime inchieste sulle condizioni igienico-sanitarie del Paese precedenti al 1887, in particolare le indagini riguardanti le acque, quali veicolo di diffusione dei microrganismi patogeni responsabili di molte malattie, tra cui il colera. Si passa poi all’analisi della legge “Sulla tutela dell’Igiene e della Sanità pubblica” varata, nel dicembre 1888 da Francesco Crispi, allora Ministro dell’Interno. Tale legge, mirante a coniugare i paradigmi posti dalle nuove conoscenze scientifiche con le esigenze socio-economiche e politiche del Regno, rappresenta un passo fondamentale nella storia della sanità italiana. Essa prevedeva, fra l’altro, una riforma del Consiglio Superiore di Sanità, la sorveglianza e il controllo di farmaci, alimenti e bevande, l’igiene del suolo e delle acque, l’introduzione della vaccinazione antivaiolosa obbligatoria, la denuncia dei casi “delle malattie infettive e diffusive pericolose o sospette di esserlo”, le nuove figure di ufficiale sanitario e medico provinciale e in generale un maggiore controllo delle condizioni igieniche sanitarie del Paese. All’emanazione della legge fece immediatamente seguito l’entrata in funzione, presso il Ministero dell’Interno, della Direzione Generale della Sanità Pubblica del Regno che aveva il ruolo di perseguire il miglioramento delle condizioni igieniche generali del Paese e di prevenire l’insorgere di malattie. Alla Direzione facevano capo i laboratori, la scuola di sanità pubblica, e l’Istituto Vaccinogeno dello Stato le cui funzioni, complementari tra di loro, sono ampiamente descritte a fronte dei testi di legge e delle opinioni di illustri studiosi: Angelo Celli, Luigi Pagliani, Giuseppe Penso, solo per citarne alcuni. Il nuovo apparato legislativo rese possibile in breve tempo, ma non senza difficoltà, la riduzione delle epidemie e l’abbassamento della mortalità conferendo una maggiore coscienza dell’importanza di una adeguata formazione del personale sanitario e di una più corretta informazione sanitaria per tutti i cittadini. Il pregio di questo testo è quello di accompagnare il lettore nella ricerca di una verità storica attraverso la riproduzione di fonti originali introdotte dai necessari raccordi che consentono un immediato orientamento senza forzare il giudizio. Ad esempio, vengono appena accennati i cambiamenti di indirizzo politico (crisi del governo Crispi dopo la sconfitta di Adua) che determinarono la breve vita della citata Direzione Generale, soppressa nel 1896, ma si presentano ricchi stralci di documenti a commento dell’evento che portò alla trasformazione dei laboratori e alla chiusura della Scuola d’Igiene e dell’Istituto Vaccinogeno. Non sono riportate solo citazioni testuali, ma anche immagini inedite di altre fonti documentarie, depositate presso l’Archivio Centrale dello Stato o tratte dall’archivio privato di Gianfranco Donelli, che ci consentono di rivivere più da vicino il passato della amministrazione sanitaria italiana. Per fare alcuni esempi: il frontespizio delle Istruzioni Pratiche del Consiglio Superiore di Sanità sul Colera, del 1884; un decreto del 1886 di Umberto I, re d’Italia; una circolare della Direzione Generale della Sanità Pubblica, del 1889, firmata “Pel Ministro Luigi Pagliani”; una parcella del 1889, scritta a mano, per poco più di 150 lire per sopralluogo e analisi batteriologica dell’acqua da immettere nel costruendo acquedotto di Forlì; le cartoline postali inviate dai giovani laureati interessati alla Scuola di igiene della direzione generale della sanità, il frontespizio delle Istruzioni popolari contro il tifo della Direzione Generale della Sanità pubblica del Ministero dell’Interno del 1908. A conclusione del volume, di grande supporto per un immediato orientamento anche dei lettori meno preparati, si presentano i profili biografici dei principali protagonisti delle attività descritte: ricercatori, clinici, politici, storici. Estremamente utili anche l’indice delle malattie e l’indice dei nomi che consentono il recupero diretto delle informazioni citate nel testo. Paola De Castro Istituto Superiore di Sanità, Roma FONDAMENTI DI COGNITIVISMO CLINICO. Cristiano Castelfranchi, Francesco Mancini e Maria Miceli (Ed.). Torino: Edizioni Bollati Boringhieri; 2002. 304 p. ISBN 88-339-5672-5. € 26,00. Questo interessante e complesso volume offre un utile strumento agli psicoterapeuti che vogliano avere informazioni circa le recenti ricerche nel campo della 131 recensioni, commenti e segnalazioni psicologia cognitiva, quella branca della psicologia, molto di successo negli ultimi due lustri, che si occupa delle strutture e dei processi mentali. Il libro risponde quindi all’esigenza di far entrare a contatto due mondi distinti e tuttora distanti, quello clinico-terapeutico e quello psicologico-accademico, che si occupano degli stessi argomenti pur con approcci piuttosto diversi. Gli psicoterapeuti gestiscono quotidianamente le emozioni, sia normali sia patologiche, dei pazienti con disfunzioni cognitive e metacognitive e, a volte, con deficit comportamentali di varia natura, ma mostrano di solito scarso interesse e conoscenza dei meccanismi psicologici sottostanti. I ricercatori nel campo della psicologia cognitiva hanno invece interesse e competenza specifica proprio per la comprensione e lo studio di tali meccanismi. Gli autori ritengono quindi di importanza fondamentale che il mondo della clinica si avvicini al mondo della ricerca, poiché, come suggerisce Francesco Mancini nell’Introduzione “…dovendo far curare (…) una persona a noi molto cara (…) preferiremmo un medico che fonda la sua terapia su robuste e ben consolidate conoscenze di anatomia, fisiologia e biologia, o piuttosto ci rivolgeremmo a un medico che ha messo a punto una cura senza tenerne conto?” Il volume è curato da personalità emerite nel mondo della psicologia cognitiva quali Cristiano Castelfranchi direttore dell’Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione (ISTC) del CNR, Francesco Mancini, direttore della Scuola di specializzazione in Psicoterapia cognitiva e Maria Miceli, ricercatrice presso l’ISTC-CNR; riporta contributi di psicologi, psichiatri, psicoterapeuti e ricercatori del mondo della filosofia e delle scienze cognitive che si occupano tutti di cognitivismo e delle sue relazioni con le pratiche psicoterapeutiche. Il testo inizia con alcuni importanti capitoli di carattere teorico, utilmente mirati a fornire una visione globale di riferimento a chi si avvicina per la prima volta al mondo della psicologia cognitiva. Il primo capitolo, infatti, tratta delle recenti teorie della scienza cognitiva quale quadro teorico di riferimento, dove la psicoterapia cognitiva possa trovare fecondi supporti di base e aiuti a creare “interazioni e sinergie fra lo studio dei disturbi mentali e settori di ricerca come la psicologia del ragionamento o la teoria della mente”. Nel secondo capitolo viene invece trattato l’argomento della formalizzazione dei concetti e dei principi fondamentali di una “architettura della mente” tale da concepire la mente come un’entità che utilizzi le proprie conoscenze per regolare la propria attività (il comportamento) in base agli scopi da raggiungere (modello cibernetico di purposive behaviour di Wiener e Rosenblueth e sue successive elaborazioni). In quest’ottica, prendono significato termini quali conoscenze e scopi come categorie costitutive dell’attività mentale e come strumento di analisi dell’organizzazione generale della mente. Seguono poi tre capitoli in cui emergono gli importanti contributi che in questi ultimi anni sono stati forniti dalla psicologia cognitiva alla comprensione di specifici meccanismi psicologici alla base della sofferenza psichica (cap. 3), di emozioni di forte interesse clinico quali il senso di colpa, la vergogna o l’invidia (cap. 4), nonché alla base della demotivazione e sulle sue conseguenze quali frustrazione, delusione e scoraggiamento (cap. 5). Nel capitolo 6, nell’ambito di un più generalizzato dibattito sulla presunta dicotomia fra mente fredda (ragione) e mente calda (emozioni, tradizionalmente classificate come irrazionali), viene affrontato il problema delle “euristiche”, ovvero delle scorciatoie cognitive cui gli esseri umani fanno ricorso quando non abbiano tempo e risorse per acquisire maggiori informazioni su un problema da risolvere. Gli autori fanno notare come le euristiche non siano presenti esclusivamente in soggetti patologici, come tradizionalmente sostenuto, poiché presenti e a volte funzionali anche in soggetti normali; le euristiche avrebbero invece un ruolo psicopatologico quando rafforzano e autoalimentano credenze negative, innescando un meccanismo a spirale che aggrava la patologia come ad esempio nei soggetti con manie di persecuzione. Nel capitolo 7 si affronta il problema del cosiddetto “paradosso nevrotico” ovvero della tendenza a perseverare in atteggiamenti negativi tipici di questa patologia: qui si cerca di dare una nuova spiegazione a questo interessante fenomeno alla luce delle moderne teorie della psicologia cognitiva. Nel capitolo 8, dopo aver dato una definizione delle funzioni metacognitive, ovvero quelle funzioni che permettono di riconoscere e regolare gli “stati mentali”, gli autori delineano una teoria che inquadra alcuni disturbi della personalità più o meno gravi (dall’autismo e la schizofrenia a disturbi lievi come psicopatologie legate a deficit delle funzioni metacognitive): in quest’ottica forniscono un’utile classificazione funzionale dei vari tipi di deficit metacognitivi, suggerendo infine un indirizzo terapeutico che utilizzi proprio l’approccio metacognitivo come base curativa. Nell’ultimo capitolo viene infine affrontato il tema della comunicazione umana, intesa come azione intenzionale e cosciente che può avvenire sia con modalità linguistiche sia gestuali o simboliche. La trattazione viene focalizzata sull’intenzionalità dell’azione e sui diversi stati mentali degli “attori comunicanti” proprio alla luce delle moderne teorie cognitiviste. Il testo si conclude con una disanima della rilevanza di una corretta comunicazione e comprensione dei meccanismi sottostanti (e causativi) all’interno della relazione fra paziente e terapeuta, in modo che la terapia possa meglio esercitare un effetto positivo sulla salute mentale del paziente. Armelle Queyras e Enrico Alleva Istituto Superiore di Sanità, Roma 132 recensioni, commenti e segnalazioni TELEPATOLOGIA. Strumenti, problemi, applicazioni. Claudio Clemente e Lucio Scopsi. Torino: C.G. Edizioni medico scientifiche; 2000. 230 p. ISBN 88-7110-080-8. € 33,57. Il libro è attualmente l’unico, curato dai massimi esperti in Italia, che tratta in maniera sistematica le potenzialità applicative della telepatologia nel corso dell’ultimo decennio, ovvero la possibilità di effettuare consulti di ordine patologico a opera di specialisti operanti a distanza in tempi generalmente rapidi mediante la visualizzazione di immagini provenienti da un microscopio situato in una zona remota, al fine di ottenere, in tempo reale, materiale informativo - sistematicamente aggiornato - a supporto della diagnosi clinica. In quanto sviluppo di precedenti esperienze nel campo della morfometria e settore specifico della telemedicina, la diagnosi patologica a distanza è fatta oggetto nel presente contributo di un’analisi sistematica con particolare riferimento alla situazione italiana caratterizzata da iniziative locali spesso passibili di sviluppi significativi, ma effettivamente poco supportate da un reale interesse economico volto a sviluppare sistemi operativi appropriati e diffusi per il loro utilizzo da parte dei vari operatori interessati. Una prima sezione è dedicata all’immagine digitale, ai suoi processi di acquisizione tramite sensori elettronici - tutti attualmente appartenenti alla categoria dei CCD (telecamere, scanner piani, macchine fax e fotocamere digitali) - alla definizione dei loro parametri qualitativi ed alla progressiva emergenza, a sostegno dello scambio di informazioni per la telemedicina e la telepatologia, delle tecnologie Web in quanto capaci di fornire protezione per i dati in transito e per l’accesso non autorizzato agli stessi. Problema aperto risulta viceversa ancora quello di garantire riproducibilità e omogeneità delle immagini tanto nei siti di acquisizione quanto in quelli di consultazione remota. Nei capitoli successivi viene inoltre fatto riferimento alle possibilità applicative della compressione delle immagini digitali ed alla loro utilizzazione in anatomia patologica, ambito all’interno del quale la rilevanza qualitativa dell’immagine si configura in stretta interdipendenza con le risultanze diagnostiche. Quanto alla distribuzione dei dati, una volta realizzata la loro trasformazione strutturale da analogici a digitali - tema aperto fra i più attuali del settore - lo stato della ricerca appare sostanzialmente orientato verso l’aumento sensibile delle capacità di banda e l’ottimizzazione della capillarità di distribuzione e accesso dei dati mediante tecnologie (evoluzione dei cavi di rame, fibre ottiche, satelliti) la cui prevalenza appare tuttavia condizionata da forti interessi economici nonché, in alcuni paesi, da lacune di tipo progettuale ed organizzativo rispetto alla necessità di avviare strategie idonee alla progressiva digitalizzazione dei medesimi. Nella seconda parte del libro - dedicata alla strumentazione sono quindi descritte alcune esperienze applicative specifiche la cui disamina in termini di competenza e affidabilità dei prodotti non può tuttavia essere disgiunta dalla necessità - avvertita in termini di gap tra offerta tecnologica e domanda per l’utilizzo - di favorire tra gli anatomopatologi e nel curriculum studiorum delle scuole di specialità nozioni di informatica medica utili a consentire l’impiego delle metodiche diagnostiche citoistologiche basate su informazioni digitali. Alla loro effettiva diffusione come sistemi di telepatologia destinati a supportare la diagnosi a distanza nelle sue principali categorie - telediagnosi intraoperativa e teleconsulto per seconda opinione - si oppongono infatti nel settore degli specialisti di anatomia patologica dinamiche correlate specificamente alla condivisione di responsabilità diagnostica, ovvero alla insufficiente chiarezza normativa delle sue complicazioni giuridiche ed alla ancora inadeguata configurazione della convenienza economica nell’applicazione della telepatologia. Agli aspetti etici relativi a quest’ultima, ovvero all’istanza morale di partenza tesa a perseguire il continuo miglioramento della qualità della risposta diagnostica ed alle implicite connessioni giuridiche, è poi improntata la terza sezione, articolata da un lato nella trattazione delle problematiche etico-legali riscontrate genericamente nella telemedicina sicurezza e privacy dei dati, negligenza, responsabilità, problemi di giurisdizione - dall’altro nell’individuazione di quelle più precipuamente pertinenti l’ambito telepatologico statico e dinamico, ovvero selettività dei campioni rappresentativi e prelievi dei campioni operatori in forma disgiunta. A tali difficoltà debbono poter essere opposti standard qualitativi in grado di limitare l’incidenza delle differenze geografiche e di uniformare il trattamento e la sicurezza degli utenti del sistema stesso. Circa gli aspetti legislativi specifici della diagnosi patologica a distanza, individuati nella ripartizione della responsabilità tra i vari operatori, nel consenso informato all’utilizzazione di un sistema telemedico, nel trattamento dei dati personali e nella regolamentazione dell’attività di telepatologia fra i vari centri, vengono poste in evidenza le posizioni della giurisprudenza consolidata, espressasi a riguardo in termini di corresponsabilità fra i patologi ripartita secondo i casi ed il diverso utilizzo delle risorse tecnologiche. A corollario di tale partizione si pone la necessità del consenso informato del paziente, fondamentale anche in caso di errata diagnosi e tale da dover essere formulato in base ai 133 recensioni, commenti e segnalazioni requisiti di validità richiesti dal codice deontologico. Di particolare delicatezza appare inoltre la questione dell’utilizzo dei dati personali del paziente stesso sottoposti nella telepatologia, a livello gestionale, ad una effettiva duplicazione di titolarità sia da parte di colui il quale si incarica di trasmetterli sia da parte di colui il quale li riceve. In merito l’Italia, sulla scia interpretativa della Direttiva Europea del 1995, si è collocata in una posizione giuridica d’avanguardia approvando una legge volta a favorire una raccolta centralizzata dei dati stessi, cui poter attingere da parte del medico della telediagnosi. Priva di regolamentazione deontologica e giuridica si configura invece, fino ad oggi, l’attività svolta dai centri di telepatologia, ferma restando la duplice potenzialità di utilizzo delle trasmissioni a distanza di immagini patologiche, radiologiche ed endoscopiche: nel caso dell’istituzione di riferimento nei confronti dei siti periferici satellite (diagnosi intraoperatorie e diagnosi radiologiche) sia in quello della revisione e discussione a distanza di diagnosi all’interno di un’istituzione, configurazioni operative entrambe per le quali le soluzioni appropriate potrebbero essere rispettivamente la sperimentazione di forme di telemedicina nei confronti dei siti “satellite” o la collaborazione regolare per es. fra gli IRCCS oncologici nell’ambito di programmi di garanzia di qualità, con condivisione sistematica di diagnosi e costituzione di database iconografici. Per quanto riguarda gli aspetti tecnici e normativi inerenti la privacy e soprattutto l’integrità dei dati sensibili attraverso canali telematici - parametri ambedue fondamentali ai fini dell’utilizzo della consulenza a distanza, né sufficientemente garantiti, quanto a salvaguardia dei dati medesimi, dal ricorso a reti telematiche di vario tipo passibili di interferenze nel passaggio dei dati stessi - si delineano, oltre ai sistemi crittografici più diffusi, le soluzioni normative vigenti negli Stati Uniti, in Europa ed in Italia individuandone, pur nella diversità degli inquadramenti legislativi, le garanzie necessarie all’individuazione di soluzioni possibili in termini di rispetto delle regole relative ai documenti digitali e di quelle già in vigore per i prodotti telematici specie nel caso dei sistemi informativi di laboratorio preposti a gestire ingenti quantità di dati. Del resoconto di alcune particolari esperienze applicative di telepatologia si occupa quindi la quarta sezione del testo con specifico riferimento al caso della Provincia di Trento interessato dal 1997 da un progetto di telemicroscopia del Ministero della Sanità avente lo scopo di verificare l’effettiva capacità delle tecnologie informatiche di supportare la cura integrata del paziente oncologico su territorio provinciale, al caso dell’Istituto di Anatomia Patologica del Policlinico Universitario di Udine fattosi promotore dal 1995 di un sito Web istituzionale - il primo in Europa - strutturato in modo da fornire all’utenza contenuti di base sull’Istituto e contenuti originali con informazioni concernenti materiali didattici e di aggiornamento utilizzabili tramite Web, all’istituzione nel 1998 di un sito Internet da parte di un gruppo eterogeneo di patologi dell’area milanese avente una molteplicità di scopi relativi fra l’altro alla discussione di tumori rari o di difficile interpretazione, alla individuazione di casi didattici ed al confronto diagnostico e gestionale specifico del settore ed infine, alla creazione nel 1997 del “sito SIAPEC” affiancato al periodico Pathologica da parte della Società Italiana di Anatomia Patologica e Citopatologia Diagnostica come strumento di pubblicazione e comunicazione ufficiale della Società. Nella sezione finale, dedicata più in generale alle potenzialità applicative della telecomunicazione remota quale conseguenza delle attività mediche inerenti la telemedicina - prevenzione, diagnosi, terapia, assistenza, ricerca e analisi - sancita nella riforma (DL 229/99) del servizio sanitario e descritta negli elementi costitutivi principali di una postazione, si passano infine ad analizzare le problematiche di ambito formativo a supporto dei servizi della didattica e dell’aggiornamento a distanza e la loro diretta relazione con il più ampio sistema organizzativo della teleformazione. L’inderogabilità della realizzazione attuativa di quest’ultima come diritto/dovere del personale tutelato dalle istituzioni ne rappresenta infatti l’odierna configurazione: economicamente sostenibile nonché in grado di soddisfare le esigenze degli utenti del settore sanitario, la teleformazione presenta tuttavia ancora l’inconveniente costituito dall’impossibilità di certificarne effettivamente l’utenza. Concludono infine l’analisi dell’argomento il resoconto ed il bilancio di una serie di esperienze progettuali venute delineandosi negli ultimi anni nel settore: dall’istituzione del Sistema Bibliotecario Biomedico Lombardo nato dalla collaborazione tra l’Università di Milano e la Regione Lombardia allo scopo di rendere fruibile da parte di più di 100 strutture sanitarie dislocate in ambito regionale una aggiornata ricerca bibliografica on-line, all’attivazione dal 1995 e tramite il progetto PathGallery, di un archivio di casi multimediali per l’aggiornamento professionale in anatomia patologica realizzato dall’Università di Udine e destinato a sviluppi strettamente connessi alla costruzione di microscopi virtuali utilizzabili a scopo diagnostico, alla costituzione di GENECA, un sito Web italiano, autorizzato dall’Ordine dei Medici della provincia di La Spezia, comprendente oltre 800 pagine e 15 sezioni per la ricerca sui tumori ereditari e familiari, alla realizzazione di progetti pilota di teleconsulto oncologico istituiti grazie ad una sinergia collaborativa tra l’Unità Applicativa di Informatica Medica e Telemedicina dell’Istituto di Ricerca Scientifica del Trentino con sede a Trento e le strutture pubbliche regionali volti all’integrazione della cura di tale tipo di patologia nel territorio. Margherita Branca Istituto Superiore di Sanità, Roma