Fondamenti di cognitivismo clinico. C

Ann Ist Super Sanità 2003;39(1):125-133
recensioni, commenti e segnalazioni
A cura di
Federica Napolitani Cheyne
INVASIVE AQUATIC
SPECIES
OF EUROPE.
DISTRIBUTION,
IMPACTS AND
MANAGEMENT.
Erkki Leppäkoski,
Stephan Gollasch
e Sergej Olenin.
Dordrecht: Kluwer
Academic Publishers;
2002. 600 p.
ISBN 1-4020-0837-6.
€ 145,00.
Nel corso degli ultimi tempi un grande numero di nuove
specie, sovente di remota provenienza, si è aggiunto alla
fauna ed alla flora italiane ed europee superando in un
periodo straordinariamente breve le barriere geografiche
interposte tra regioni distanti e spesso differenti dal punto di
vista climatico. Per fare solo qualche esempio basterà
ricordare che nel giro di una manciata di anni l’entomofauna
italiana si è arricchita di nuove componenti come il
lepidottero sudafricano Cacyreus marshalli, infeudato ai
comuni pelargoni, spintosi nel corso dell’anno 2000 dal
versante tirrenico a quello adriatico, la ormai diffusissima
Metcalfa pruinosa, piccolo emittero nordamericano
colonizzatore di giardini e coltivi arborati, la tristemente nota
zanzara tigre (Aedes albopictus) o il cerambice australiano
Phoracantha semipunctata. Tra i mammiferi sono giunti nel
nostro territorio il topo muschiato (Ondatra zibethicus) e lo
sciacallo dorato (Canis aureus), mentre nel campo vegetale
la nostra flora si è arricchita del fior di loto (Nelumbo
nucifera) e della cinese Buddleja davidii, oltre che del più
invasivo Senecio inaequidens, di provenienza sudafricana.
Quest’afflusso di nuovi organismi, che trova incentivo
nel moltiplicarsi dei traffici commerciali e nel degrado degli
ecosistemi, rappresenta uno degli aspetti salienti della
recente storia ecologica e biogeografica di molti degli
ambienti italiani ed europei, anche se allo stato attuale
rimane ancora difficile valutarne in maniera serena la
portata, l’importanza e le possibili implicazioni future.
Tuttavia nell’immediato non vanno sottovalutati i risvolti di
ordine economico e sanitario insiti nel fenomeno, che necessita indubbiamente di un costante ed attento monitoraggio.
Scenari privilegiati di questa invasione in Europa sono
soprattutto il biota marino e quello delle acque interne. È
sufficiente, infatti, l’osservazione degli organismi marini
spiaggiati lungo un litorale mediterraneo o insediati in un
delta fluviale per imbattersi con facilità in nuovi ospiti più o
meno invasivi, sovente capaci di alterare sensibilmente la
fisionomia consolidata del popolamento animale e vegetale.
In singoli casi, come per l’alga tropicale Caulerpa taxifolia,
il processo di diffusione è stato seguito con grande attenzione
dal mondo scientifico e dai mezzi d’informazione, ma in
altre occasioni l’insediamento delle nuove specie è avvenuto
quasi in sordina, rispondendo a dinamiche e modalità non
sempre chiare. In questa situazione fortemente evolutiva, che
coinvolge l’intero continente europeo, assume fondamentale
importanza la possibilità di disporre di un quadro di riferimento complessivo, aggiornato ed autorevole, che riassuma i
risultati derivanti dalle molteplici indagini particolari
condotte negli svariati ambiti locali.
Una risposta a questa urgente esigenza è offerta
finalmente dalla recentissima pubblicazione del libro
Invasive aquatic species of Europe. Distribution, impacts
and management a cura del finladese Erki Leppäkoski, del
tedesco Stephan Gollasch e del lituano Sergej Olenin, che
raccoglie le conclusioni di una vasta gamma di ricerche
effettuate da più di cento studiosi in ben ventiquattro paesi
diversi, che spaziano dall’Irlanda ad Israele, dall’Italia alla
Russia.
La vastità dell’area geografica coperta rappresenta il
primo motivo di straordinaria rilevanza di questa opera.
Accanto ad una ricchissima serie di dati sull’insediamento e
la distribuzione delle specie esotiche nei mari che bagnano i
settori occidentale e settentrionale del continente europeo e
nei sistemi di acque interne correlati, il libro fornisce una
preziosa documentazione sugli sviluppi della situazione nelle
aree periferiche orientali e meridionali dell’Europa, tradizionalmente meno note al di fuori dei contesti locali, ma che
nella dinamica dei flussi di specie spesso si rivelano corridoi
privilegiati per la conquista di nuovi areali nel resto del
continente. Tra queste regioni si colloca il settore più
orientale del Mar Mediterraneo, il Mar di Levante, testimone
da decenni di un lento cambiamento faunistico e floristico
126
recensioni, commenti e segnalazioni
determinato dal graduale insediamento di immigranti
indopacifici o “lessepsiani”, provenienti dal Mar Rosso, che
potrebbe risultare prodromico rispetto ad un più vasto
processo di rinnovamento ed arricchimento biogeografico,
destinato a coinvolgere larga parte del Mediterraneo, con
conseguenze che sul piano ecologico, ma anche economico e
culturale, sono ancora in buona parte da valutare.
Tra i nuovi ospiti stabilitisi nel Mediterraneo si annoverano specie ittiche che hanno assunto un ruolo importante
nella pesca locale, come Siganus luridus, Siganus rivulatus e
Saurida undosquamis, appartenenti a famiglie prima
sconosciute nei mari europei, si deve tuttavia registrare
anche la penetrazione di specie potenzialmente pericolose
per la salute umana, come i Tetraodontidi Lagocephalus
spadiceus, Lagocephalus suezensis, Sphoeroides pachygaster e Torquigener flavimaculosus, in grado di accumulare
nelle viscere e nelle gonadi un potente veleno neurotossico,
la tetrodotossina, responsabile di gravi intossicazioni
alimentari laddove, come in Estremo Oriente, alcuni di questi
organismi sono largamente consumati sotto il nome di “fugu”.
Uno scenario non dissimile è offerto dal Mar Nero e
soprattutto dal Mar Caspio, dove le reiterate immissioni di
specie di interesse alieutico, accompagnate dalle inevitabili
introduzioni accidentali, rischiano di alterare irrimediabilmente la fisionomia e la consistenza del peculiare
popolamento di organismi autoctoni endemici, evolutisi in
condizioni di isolamento.
Questa dettagliata analisi storica dei recenti flussi florofaunistici si accompagna ad un esame approfondito delle
dinamiche di diffusione dei singoli taxa attraverso i nuovi
mezzi di dispersione resi disponibili dalle attività antropiche.
Oggetto privilegiato di questi studi è stato, ad esempio, il
ruolo ricoperto dall’imponente sviluppo della rete di canali
navigabili negli scambi faunistici intercorsi tra i sistemi
idrografici dell’Europa centro-orientale. La diffusione delle
idrovie artificiali ha significato la caduta di antiche barriere
geografiche come quelle che disgiungevano i bacini pontocaspici dal Mar Baltico e dai fiumi dell’Europa media.
Proprio questi sono stati i percorsi preferenziali che,
secondo gli autori, hanno seguito specie invasive come il
mollusco bivalve d’acqua dolce Dreissena polymorpha, di
recente diffusosi in larga parte delle acque interne europee ed
italiane, dopo essere stato confinato nell’area ponto-caspica
dalle glaciazioni pleistoceniche. In questo caso, come in
molti altri, le attività antropiche hanno rappresentato uno
straordinario fattore di accelerazione di un naturale processo
di riconquista dell’antico areale di distribuzione, ridotto o
frammentato dalle ultime glaciazioni o da più antichi eventi
geologici, che hanno lasciato nei mari e nelle acque interne
europei molte nicchie ecologiche solo parzialmente occupate.
L’Italia certamente non si sottrae a questa situazione e
dal quadro aggiornato delle introduzioni di organismi
acquatici esotici fornito da A. Occhipinti Ambrogi dell’Università di Pavia, si evince che Dreissena polymorpha è giunta
nel 1969, oltrepassando la catena alpina, e dal lago di Garda,
grazie al trasporto passivo da parte dei natanti ed alle larve
planctoniche, è dilagata nel bacino padano, spingendosi a
colonizzare ultimamente anche il lago Trasimeno. L’esame
dell’impatto di Dreissena polymorpha sugli ecosistemi
lacustri e fluviali, curato da D. Minchin et al. per l’Europa e
da A.Y. Karatayev et al. per gli USA, evidenzia dinamiche e
modalità d’inserimento spesso ricorrenti tra le specie
invasive, ad un’iniziale “onda biologica” (biological wave)
consistente in una massiccia proliferazione del bivalve nel
nuovo habitat, segue una graduale riduzione numerica,
dovuta anche alla pressione crescente di predatori e parassiti,
che ne favorisce un inserimento più armonico nella
biocenosi. Purtroppo nelle acque europee le proliferazioni
abnormi di organismi alloctoni trovano incentivo nella
destrutturazione delle comunità biotiche originarie,
conseguente all’impatto delle molteplici azioni antropiche.
Non a caso scopriamo quindi che molte delle 111 specie di
animali e vegetali esotici segnalati fino ad ora nei mari
italiani trovano la loro massima diffusione nell’Adriatico
settentrionale, bacino dove agli stress provocati dalla
variabilità dei parametri ambientali si sommano quelli
derivanti dall’eutrofizzazione, dall’inquinamento chimico,
dall’overfishing e dall’acquacoltura.
Tra i nuovi inquilini dell’Adriatico e dei sistemi lagunari
ad esso connessi, particolarmente rappresentativi appaiono
molluschi come Crassostrea gigas, Anadara inaequivalvis,
Rapana venosa, Tapes philippinarum, Musculista senhousia
e Xenostrobus securis, che giunti in maniera accidentale o
introdotti a scopo di molluschicoltura, hanno spesso mostrato
di poter competere con successo con le specie indigene,
determinandone in alcune casi una consistente riduzione
numerica. Le introduzioni di molluschi e di altri organismi
marini da paesi esteri per acquacoltura rappresentano, infatti,
una delle vie d’ingresso d’elezione per le fasi giovanili di una
vasta congerie di specie alloctone generalmente indesiderate,
ubiquiste e diffusive.
Così le lagune nord-adriatiche, come quella di Venezia,
tra le alterne invasioni, hanno conosciuto anche la penetrazione di macroalghe esotiche di origine pacifica come
Undaria pinnatifida, Sargassum muticum e Polysiphonia
morrowii. Nel contempo in tutto il Mediterraneo, secondo
quanto si desume dal contributo da M.A. Ribera Siguan dell’Università di Barcellona, le nuove specie di alghe segnalate
assommano a ben 97. Tra esse figurano binomi ormai noti,
come le tropicali Caulerpa racemosa e soprattutto Caulerpa
taxifolia, la cui diffusione lungo le coste liguri e provenzali ha
determinato, qualche anno fa, un tale allarme in alcuni settori
del mondo scientifico da suscitare nei mezzi di comunicazione
di massa un eco che ha assunto toni da “leggenda nera”.
Preoccupazioni forse più giustificate, soprattutto di
ordine sanitario, sollevano le biotossine prodotte da alcune
microalghe planctoniche penetrate di recente nel Mediterraneo e in altri mari europei attraverso un ulteriore importante
mezzo di diffusione: le acque di zavorra delle navi.
Secondo I. Wallentinus dell’Università di Goteborg attraverso questa strada, ma anche tramite gli spostamenti di
molluschi vivi, sono giunte in Europa ben 41 nuove specie di
127
recensioni, commenti e segnalazioni
microalghe, delle quali 19 possono rilasciare metaboliti
tossici del tipo della saxitossina, delle gonyautossine, delle
yessotossine, delle ittiotossine, ecc., pericolose per la salute
umana e per quella dei vertebrati marini, soprattutto in
occasione delle “fioriture algali” (harmful algal blooms) che
periodicamente interessano le acque eutrofiche.
Microalghe dinoficee come Alexandrium catenella,
Gymnodinium catenatum e Karenia brevis, entrate di recente
a far parte del fitoplancton di alcuni settori del Mediterraneo,
sono in grado di originare “maree rosse” e produrre
neurotossine idrosolubili o liposolubili che, accumulate da
molluschi eduli filtratori come i mitili, possono determinare
nell’uomo gravi sintomatologie del tipo PSP (paralytic
shellfish poisoning) o NSP (neurotoxic shellfish poisoning).
Quest’ultima forma di biointossicazione è causata soprattutto
dalle brevitossine secrete da Karenia brevis, specie un tempo
endemica delle coste del Golfo del Messico, ma che oggi
sembra aver largamente ampliato la propria diffusione.
L’incremento dei casi di sindromi di tipo PSP e DSP
(diarrhetic shelllfish poisoning) provocate da tossine
microalgali, registrato in Europa a partire dagli anni ‘70 del
secolo scorso, testimonia il rilievo assunto dal fenomeno che
è conseguente soprattutto ai traffici marittimi con le coste
asiatiche ed americane.
In questi casi le moderne tecniche di trattamento,
filtrazione e controllo preventivo delle acque di zavorra,
ampiamente discusse nelle sezioni curate da A. Taylor et al.
e da A. Cangelosi, potrebbero rappresentare un valido argine
nei confronti di questa importante via d’ingresso di specie
indesiderate. Considerevoli rischi di ordine sanitario
derivano anche dalla introduzione incontrollata dei parassiti
che viaggiano con i loro ospiti esotici e possono rivelarsi particolarmente virulenti nei confronti degli organismi indigeni
congenerici o imparentati filogeneticamente, come è
accaduto per le specie europee di gamberi d’acqua dolce,
decimate da una grave epizoozia determinata dal fungo
Aphanomyces astaci, giunto in Europa probabilmente a
seguito di un’incauta introduzione di gamberi americani
effettuata nel 1860 in Lombardia.
Eventi di questo tipo esemplificano le caratteristiche
devastanti che può assumere l’impatto determinato dalle
specie alloctone invasive negli ambienti ristretti ed isolati,
ecologicamente “insulari”. Tra questi rientrano molti bacini
d’acqua dolce, fluviali e lacustri, in cui l’immissione
incontrollata di pesci, crostacei o vegetali esotici finisce con
il risolversi nell’eliminazione per esclusione competitiva,
predazione, ibridazione o diffusione di parassiti, di pregiati
organismi endemici. Il manifestarsi ricorrente di tali
evenienze nelle acque interne italiane ed europee, soprattutto
a carico del patrimonio di specie ittiche, come l’indigena
trota marmorata (Salmo trutta marmoratus) in alcuni fiumi
padani, evidenzia chiaramente la necessità di una gestione
complessiva degli ambienti acquatici fondata sempre più su
criteri rigorosi dal punto di vista ecologico piuttosto che da
quello della semplice produttività.
L’esame veramente esaustivo delle dinamiche che contraddistinguono l’ecologia delle invasioni di specie aliene
negli ambienti acquatici, portato avanti in una pluralità di
contesti dagli autori di Invasive aquatic species of Europe.
Distribution, impacts and management, dovrebbe ora contribuire a rendere più sereno, consapevole e rigoroso l’atteggiamento degli esperti e di quanti si trovano nella condizione
di dover effettuare scelte di valore anche politico nella
gestione delle problematiche derivanti dal graduale processo
di “neoglobalizzazione” degli areali di distribuzione di molti
organismi.
Nicola Olivieri
Istituto Tecnico Industriale Statale “E. Alessandrini”, Teramo
BIOETICA,
AMBIENTE, RISCHIO.
Carlo Petrini.
Roma: Ateneo Pontificio
Regina Apostolorum;
Logos Press; 2002. 448 p.
(Studi e ricerche, 1).
ISBN 88-8454-018-6.
€ 25,00.
Questo testo offre una lettura della bioetica nella
prospettiva che le è più propria, quella trasversale sia a
discipline dell’area sanitaria che a quelle di ambito
umanistico, in una costante compenetrazione di piani tra
scienze della vita e scienze sociali. Le tematiche affrontate
nei diversi capitoli costituiscono il nucleo portante dei corsi
tenuti dall’autore presso la facoltà di bioetica dell’Ateneo
Pontificio Regina Apostolorum e riproducono gli articoli da
lui pubblicati sulla rivista Biologi italiani nel periodo
compreso tra giugno 1999 e luglio 2002.
La problematica di raccordo tra i vari contributi è quella
dell’etica ambientale in rapporto alle azioni di tutela della
salute umana. Gli argomenti si polarizzano intorno a grandi
nuclei tematici saldati a principi e concetti guida delle
politiche sanitarie relative ai rischi ambientali e rivelano
l’imprescindibilità dell’istanza bioetica. Le riflessioni sono
indirizzate a quanti operano in settori professionali sensibili
come quelli della sanità e dell’ambiente e si vedono coinvolti
in processi decisionali che implicano valutazioni etiche. Le
considerazioni e le argomentazioni introdotte da Petrini
interessano inoltre chiunque intenda approfondire la cultura
della bioetica.
128
recensioni, commenti e segnalazioni
Nei vari saggi di questa raccolta, alla coerenza dei
contenuti si associa una metodologia uniforme di approccio
e di sintesi dei vari argomenti che accompagna molto
efficacemente la lettura e l’apprendimento. Sono applicati
infatti, in modo quasi sistematico, una chiave di descrizione
storica dei temi affrontati, l’esposizione e la discussione di
teorie e di valori fondamentali della bioetica, i risultati di
progetti, la presenza di riferimenti normativi spesso in una
prospettiva comparata tra la situazione italiana e quella di
altri paesi, la definizione dei concetti (a partire da quello di
bioetica), l’interpretazione del significato di alcune
espressioni controverse (es. genoma umano), il riferimento a
documenti nazionali e internazionali e la citazione, infine,
delle fonti bibliografiche utilizzate.
L’intero volume, inoltre, mantiene fede ad un
bilanciamento tra elaborazioni di tipo teorico (ad esempio il
riferimento alle scuole di pensiero che animano il dibattito tra
i bioeticisti contemporanei) e indicazioni di concreta utilità per
gli operatori. La volontà di riferirsi alla pratica quotidiana
nello svolgimento della professione fa sì che il libro si traduca
in una sorta di vademecum di deontologia professionale
contenente tutti i riferimenti alla documentazione (es.
normativa, linee-guida) utile per interpretare le questioni
etiche sollevate in ambito sanitario. Alcune considerazioni
importanti riguardano proprio il ruolo degli “esperti”
interpellati dalle autorità istituzionali al fine di acquisire dati
conoscitivi utili all’emanazione di provvedimenti e le regole
da tenere presente da parte del committente e del consulente in
ordine all’indagine richiesta. I contenuti del volume si offrono,
tra l’altro, non solo a sostegno di scelte operative responsabili
sotto il profilo etico, ma anche a fondamento di una opinione
pubblica informata e resa partecipe dei problemi sottesi alle
questioni di etica ambientale.
Tra le tematiche di dibattito attuale, oggetto di trattazione
privilegiata da parte di Petrini, si segnala quella relativa al
“principio di precauzione” che si richiama alla problematica
della valutazione e della gestione del rischio per la salute e
l’ambiente. L’applicazione di questo principio prevede che in
situazioni di emergenza sia giustificato prendere decisioni
operative, anche in presenza di dati scientifici incerti o non
ancora definitivi.
Un’ulteriore area di rilevazione di problemi etici
riguarda quella della prevenzione nelle politiche sanitarie
finalizzate alla difesa dell’ambiente. Le strategie di prevenzione impongono problemi di valutazione costi/benefici tali
da richiedere agli amministratori pubblici analisi dei rischi e
attenzione alle variabili economiche (stanziamento,
allocazione e gestione di fondi), nonché sensibilità alle
implicazioni etiche (libertà, responsabilità, rispetto della vita
e gestione dei dati incerti) delle varie azioni di prevenzione.
L’intera problematica del rischio è studiata a fondo in questo
volume, anche in relazione alla sperimentazione biomedica.
Petrini analizza e discute l’applicazione dei principi di
bioetica all’etica della prevenzione e riserva un’attenzione
ricorrente alle scelte politiche circa le conseguenze sanitarie
di rischi ambientali e al concetto di giustizia ambientale.
Infine, sempre in relazione alla valutazione del rischio e
delle questioni etiche ad essa collegate, il volume presenta
un’introduzione ai concetti fondamentali della radioprotezione.
Ne discendono la constatazione di un costante riferimento tra
etica e radioprotezione e le evidenti implicazioni economiche
legate agli interventi di protezione della salute e della vita.
Elisabetta Poltronieri
Istituto Superiore di Sanità, Roma
THE EUROPEAN
HEALTH REPORT 2002.
Copenhagen: World
Health Organization,
Regional Office for
Europe; 2002. 156 p.
ISBN 92 890 1365 6.
US $ 37,80.
Il Regional Office for Europe della World Health
Organization cura da tempo una serie di pubblicazioni che
riguardano questioni attinenti alla salute, all’organizzazione dei
servizi sanitari, più in generale alle condizioni socioeconomiche delle nazioni che alla regione europea afferiscono.
Essa comprende 870 milioni di persone che vivono in
un’area che va dalla Groenlandia alle rive del Mediterraneo,
fino a comprendere le aree della Federazione Russa che si
affacciano sul Pacifico.
Nello specifico, si tratta di cinquantuno paesi: Albania,
Andorra, Armenia, Austria, Azerbaijan, Bielorussia, Belgio,
Bosnia-Herzegovina, Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca,
Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Georgia, Germania,
Grecia, Ungheria, Islanda, Irlanda, Israele, Italia, Kazakistan,
Kirgikistan, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Monaco,
Olanda, Norvegia, Polonia, Portogallo, Repubblica di
Moldava, Romania, Federazione Russa, San Marino,
Slovacchia, Slovenia, Spagna, Svezia, Svizzera, Taijikistan, la
precedente repubblica Iugoslava di Macedonia, Turchia,
Turkmenistan, Ucraina, Regno Unito, Uzbekistan, Yugoslavia.
La pubblicazione qui recensita è l’European Health
Report del 2002, scritto e coordinato da Anatoly Nosikov e
Jean-Paul Jardel, con la direzione di Anca Dumitrescu,
Roberto Bertollini e Nata Menade, che si sono avvalsi del
contributo di numerosi componenti del WHO Regional
Office for Europe.
Il rapporto è articolato in tre parti o sezioni, rispettivamente dedicate alla situazione della salute nella regione europea, ai
suoi maggiori determinanti e alle politiche sanitarie.
129
recensioni, commenti e segnalazioni
La prima sezione fornisce in primo luogo una
panoramica generale delle condizioni socio-economiche che
hanno evidentemente una grande influenza sulle condizioni
di salute delle persone, seguita da un’esposizione comparativa delle condizioni di salute secondo i dati più aggiornati
disponibili, che variano tra gli ultimi anni ’90 ed il 2000, in
termini di mortalità, attesa di vita, attesa di vita in buona
salute e situazione delle principali patologie, secondo
l’impostazione denominata “Burden of diseases” .
Vengono in particolare prese in esame le seguenti
condizioni patologiche: malattie trasmissibili (sessualmente
trasmesse, HIV/AIDS, tubercolosi, malaria e malattie prevenibili
con vaccino); le malattie non trasmissibili (malattie cardiovascolari, tumori, obesità, diabete mellito), la salute mentale,
gli incidenti e le morti violente. Vi è poi una descrizione
delle condizioni di salute in particolari sottogruppi di
popolazione, quali bambini, adolescenti, donne ed anziani.
La seconda sezione passa in rassegna la situazione e
l’andamento nel tempo dei principali determinanti dello stato
di salute, in primo luogo i fattori socio-economici: la povertà,
i fattori psicologici, il lavoro, l’istruzione, il genere. Vengono
poi esaminati gli stili di vita: l’alimentazione, l’attività fisica,
le abitudini di fumo, il consumo di alcol e l’uso di droghe.
Sono poi presentati i dati sull’ambiente che interagiscono
con la salute: la qualità dell’aria e dell’acqua, la sicurezza
alimentare, le abitazioni, il lavoro, i trasporti, la radiazioni
ionizzanti.
La terza sezione è dedicata ai sistemi sanitari, le cui
prestazioni sono essenziali per il raggiungimento degli
obiettivi di miglioramento della sanità pubblica, di equità di
accesso ai servizi e di solidarietà nei finanziamenti.
Ogni sezione è corredata da una ricca bibliografia che
comprende, oltre a pubblicazioni della stessa WHO lavori
scientifici di studiosi particolarmente qualificati negli
specifici argomenti.
Il rapporto termina con due allegati: uno sui metodi per
descrivere le prestazioni dei sistemi sanitari ed uno con
alcune tavole statistiche che contengono gli indicatori socioeconomici e di salute fondamentali, tra i quali citiamo: la
popolazione, il prodotto interno lordo, il tasso di
disoccupazione, la “linea di povertà”, il numero medio degli
anni di studio, la mortalità generale, l’attesa di vita, l’attesa
di vita in buona salute, la mortalità evitabile, la spesa
sanitaria pro capite, per ciascuno dei cinquantuno paesi che
costituiscono la regione europea.
Le tavole sono corredate da un utile glossario che
definisce gli indicatori presentati.
In conclusione, il rapporto costituisce un utile e sintetico
strumento di conoscenza della situazione socio-economica,
della salute e dell’organizzazione sanitaria dei 51 paesi che
costituiscono la regione europea dell’OMS, tra i quali,
evidentemente, vi è un’ampia variabilità di situazioni, ben
evidenziata nel testo.
Susanna Conti e Paola Meli
Istituto Superiore di Sanità, Roma
I LABORATORI
DELLA SANITÀ
PUBBLICA.
L’AMMINISTRAZIONE
SANITARIA
ITALIANA
TRA IL 1887 E IL 1912.
Gianfranco Donelli,
Valeria Di Carlo.
Roma-Bari: Editori Laterza;
2002. 294 p.
ISBN 88-420-6776-8.
€ 35,00.
Venticinque anni di storia della sanità in Italia alla vigilia
della prima guerra mondiale; un periodo breve ma intenso di
avvenimenti che vedono la nascita e l’affermarsi dei
laboratori scientifici di sanità pubblica, il punto di partenza
per lo sviluppo della futura politica sanitaria italiana, il primo
passo verso l’emancipazione del nuovo Stato in vista del
raggiungimento delle stesse mete perseguite da altre nazioni
europee quali l’Inghilterra, la Francia, la Svezia, e gli Stati
Uniti d’America.
Il volume, che fa parte della collana della Laterza
espressamente dedicata alla storia della medicina e della
sanità, costituisce un prezioso strumento conoscitivo, un
tassello mancante al complesso e poco esplorato passato
della storia sanitaria italiana la cui conoscenza offre
interessanti spunti di riflessione anche utili al confronto con
l’attuale situazione sanitaria del nostro Paese. Il passato ci
aiuta a meglio comprendere il presente e a riflettere su
possibili scelte future; questo testo, ricco di risorse,
documenti, fatti, dati, testimonianze e immagini, rappresenta
un importante contributo di un dirigente di ricerca
dell’Istituto Superiore di Sanità, Gianfranco Donelli che, con
una sua giovane collaboratrice, Valeria Di Carlo, ha saputo
trovare, tra i molteplici impegni nel settore della ricerca
scientifica, uno spazio per una attenta e rigorosa ricerca
storica volta ad esplorare un passato che è strettamente legato
alle attività oggi svolte dall’Istituto. I laboratori scientifici
della sanità pubblica infatti, articolati fin dall’inizio in una
sezione batteriologica ed in una chimica, pur cambiando
spesso denominazione, hanno assunto negli anni un ruolo
ben definito, e rappresentano il nucleo originario di quello
che diverrà l’Istituto di Sanità Pubblica nel 1934, che
assumerà poi nel 1941 l’odierna denominazione di Istituto
Superiore di Sanità.
Pochi decenni prima del periodo qui considerato - come
scrive Giorgio Cosmacini nella bella introduzione al volume
- Pasteur era approdato nel 1857 all’enunciazione della
“teoria dei germi”, individuati come agenti delle infezioni.
Nel 1854 l’italiano Filippo Pacini aveva individuato il
vibrione colerico nel contenuto intestinale delle vittime di
130
recensioni, commenti e segnalazioni
una delle tante epidemie di quel tempo; e ancora, nel 1882,
Koch descriveva per primo il bacillo della tubercolosi. In
breve tempo vennero scoperti quasi tutti gli agenti batterici e
i loro vettori, responsabili diretti o indiretti delle malattie
infettive allora conosciute. Siamo nel periodo in cui tutto
sembrava attribuibile al microbo e l’igiene divenne il cardine
attorno al quale si venne costituendo una nuova sanità
pubblica la cui tutela cominciava ad assumere un ruolo di
primo piano accanto alla tradizionale cura della salute
individuale. In questo periodo si diffonde la consapevolezza
dello stretto legame esistente tra ignoranza, arretratezza e
salute, riconoscendo il ruolo primario svolto dall’ambiente di
vita e di lavoro, e l’importanza dell’igiene e della prevenzione. È in tale contesto che nascono ufficialmente, nel 1887,
i primi laboratori di sanità pubblica le cui attività sono
ampiamente documentate nei sei capitoli in cui è articolato il
volume contribuendo a creare un sicuro quadro di
riferimento per l’analisi dell’amministrazione sanitaria
italiana in un momento di grandi cambiamenti.
Si parte dalla descrizione delle prime inchieste sulle
condizioni igienico-sanitarie del Paese precedenti al 1887, in
particolare le indagini riguardanti le acque, quali veicolo di
diffusione dei microrganismi patogeni responsabili di molte
malattie, tra cui il colera. Si passa poi all’analisi della legge
“Sulla tutela dell’Igiene e della Sanità pubblica” varata, nel
dicembre 1888 da Francesco Crispi, allora Ministro
dell’Interno. Tale legge, mirante a coniugare i paradigmi
posti dalle nuove conoscenze scientifiche con le esigenze
socio-economiche e politiche del Regno, rappresenta un
passo fondamentale nella storia della sanità italiana. Essa
prevedeva, fra l’altro, una riforma del Consiglio Superiore di
Sanità, la sorveglianza e il controllo di farmaci, alimenti e
bevande, l’igiene del suolo e delle acque, l’introduzione
della vaccinazione antivaiolosa obbligatoria, la denuncia dei
casi “delle malattie infettive e diffusive pericolose o sospette
di esserlo”, le nuove figure di ufficiale sanitario e medico
provinciale e in generale un maggiore controllo delle
condizioni igieniche sanitarie del Paese. All’emanazione
della legge fece immediatamente seguito l’entrata in
funzione, presso il Ministero dell’Interno, della Direzione
Generale della Sanità Pubblica del Regno che aveva il ruolo
di perseguire il miglioramento delle condizioni igieniche
generali del Paese e di prevenire l’insorgere di malattie. Alla
Direzione facevano capo i laboratori, la scuola di sanità
pubblica, e l’Istituto Vaccinogeno dello Stato le cui funzioni,
complementari tra di loro, sono ampiamente descritte a
fronte dei testi di legge e delle opinioni di illustri studiosi:
Angelo Celli, Luigi Pagliani, Giuseppe Penso, solo per
citarne alcuni. Il nuovo apparato legislativo rese possibile in
breve tempo, ma non senza difficoltà, la riduzione delle
epidemie e l’abbassamento della mortalità conferendo una
maggiore coscienza dell’importanza di una adeguata
formazione del personale sanitario e di una più corretta
informazione sanitaria per tutti i cittadini.
Il pregio di questo testo è quello di accompagnare il
lettore nella ricerca di una verità storica attraverso la
riproduzione di fonti originali introdotte dai necessari
raccordi che consentono un immediato orientamento senza
forzare il giudizio. Ad esempio, vengono appena accennati i
cambiamenti di indirizzo politico (crisi del governo Crispi
dopo la sconfitta di Adua) che determinarono la breve vita
della citata Direzione Generale, soppressa nel 1896, ma si
presentano ricchi stralci di documenti a commento
dell’evento che portò alla trasformazione dei laboratori e alla
chiusura della Scuola d’Igiene e dell’Istituto Vaccinogeno.
Non sono riportate solo citazioni testuali, ma anche
immagini inedite di altre fonti documentarie, depositate
presso l’Archivio Centrale dello Stato o tratte dall’archivio
privato di Gianfranco Donelli, che ci consentono di rivivere
più da vicino il passato della amministrazione sanitaria
italiana. Per fare alcuni esempi: il frontespizio delle
Istruzioni Pratiche del Consiglio Superiore di Sanità sul
Colera, del 1884; un decreto del 1886 di Umberto I, re
d’Italia; una circolare della Direzione Generale della Sanità
Pubblica, del 1889, firmata “Pel Ministro Luigi Pagliani”;
una parcella del 1889, scritta a mano, per poco più di 150 lire
per sopralluogo e analisi batteriologica dell’acqua da immettere nel costruendo acquedotto di Forlì; le cartoline postali
inviate dai giovani laureati interessati alla Scuola di igiene
della direzione generale della sanità, il frontespizio delle
Istruzioni popolari contro il tifo della Direzione Generale
della Sanità pubblica del Ministero dell’Interno del 1908.
A conclusione del volume, di grande supporto per un
immediato orientamento anche dei lettori meno preparati, si
presentano i profili biografici dei principali protagonisti delle
attività descritte: ricercatori, clinici, politici, storici.
Estremamente utili anche l’indice delle malattie e l’indice
dei nomi che consentono il recupero diretto delle informazioni citate nel testo.
Paola De Castro
Istituto Superiore di Sanità, Roma
FONDAMENTI DI
COGNITIVISMO
CLINICO.
Cristiano Castelfranchi,
Francesco Mancini e
Maria Miceli (Ed.).
Torino: Edizioni Bollati
Boringhieri; 2002. 304 p.
ISBN 88-339-5672-5.
€ 26,00.
Questo interessante e complesso volume offre un utile
strumento agli psicoterapeuti che vogliano avere
informazioni circa le recenti ricerche nel campo della
131
recensioni, commenti e segnalazioni
psicologia cognitiva, quella branca della psicologia, molto
di successo negli ultimi due lustri, che si occupa delle
strutture e dei processi mentali. Il libro risponde quindi
all’esigenza di far entrare a contatto due mondi distinti e
tuttora distanti, quello clinico-terapeutico e quello
psicologico-accademico, che si occupano degli stessi
argomenti pur con approcci piuttosto diversi. Gli
psicoterapeuti gestiscono quotidianamente le emozioni, sia
normali sia patologiche, dei pazienti con disfunzioni
cognitive e metacognitive e, a volte, con deficit comportamentali di varia natura, ma mostrano di solito scarso
interesse e conoscenza dei meccanismi psicologici
sottostanti. I ricercatori nel campo della psicologia
cognitiva hanno invece interesse e competenza specifica
proprio per la comprensione e lo studio di tali
meccanismi. Gli autori ritengono quindi di importanza
fondamentale che il mondo della clinica si avvicini al
mondo della ricerca, poiché, come suggerisce Francesco
Mancini nell’Introduzione “…dovendo far curare (…) una
persona a noi molto cara (…) preferiremmo un medico che
fonda la sua terapia su robuste e ben consolidate
conoscenze di anatomia, fisiologia e biologia, o piuttosto ci
rivolgeremmo a un medico che ha messo a punto una cura
senza tenerne conto?”
Il volume è curato da personalità emerite nel mondo
della psicologia cognitiva quali Cristiano Castelfranchi
direttore dell’Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione (ISTC) del CNR, Francesco Mancini, direttore della
Scuola di specializzazione in Psicoterapia cognitiva e
Maria Miceli, ricercatrice presso l’ISTC-CNR; riporta
contributi di psicologi, psichiatri, psicoterapeuti e
ricercatori del mondo della filosofia e delle scienze
cognitive che si occupano tutti di cognitivismo e delle sue
relazioni con le pratiche psicoterapeutiche.
Il testo inizia con alcuni importanti capitoli di carattere
teorico, utilmente mirati a fornire una visione globale di
riferimento a chi si avvicina per la prima volta al mondo
della psicologia cognitiva. Il primo capitolo, infatti, tratta
delle recenti teorie della scienza cognitiva quale quadro
teorico di riferimento, dove la psicoterapia cognitiva possa
trovare fecondi supporti di base e aiuti a creare “interazioni
e sinergie fra lo studio dei disturbi mentali e settori di
ricerca come la psicologia del ragionamento o la teoria
della mente”.
Nel secondo capitolo viene invece trattato l’argomento
della formalizzazione dei concetti e dei principi
fondamentali di una “architettura della mente” tale da
concepire la mente come un’entità che utilizzi le proprie
conoscenze per regolare la propria attività (il
comportamento) in base agli scopi da raggiungere (modello
cibernetico di purposive behaviour di Wiener e
Rosenblueth e sue successive elaborazioni). In quest’ottica,
prendono significato termini quali conoscenze e scopi come
categorie costitutive dell’attività mentale e come strumento
di analisi dell’organizzazione generale della mente.
Seguono poi tre capitoli in cui emergono gli importanti
contributi che in questi ultimi anni sono stati forniti dalla
psicologia cognitiva alla comprensione di specifici
meccanismi psicologici alla base della sofferenza psichica
(cap. 3), di emozioni di forte interesse clinico quali il senso
di colpa, la vergogna o l’invidia (cap. 4), nonché alla base
della demotivazione e sulle sue conseguenze quali
frustrazione, delusione e scoraggiamento (cap. 5). Nel
capitolo 6, nell’ambito di un più generalizzato dibattito
sulla presunta dicotomia fra mente fredda (ragione) e mente
calda (emozioni, tradizionalmente classificate come
irrazionali), viene affrontato il problema delle “euristiche”,
ovvero delle scorciatoie cognitive cui gli esseri umani
fanno ricorso quando non abbiano tempo e risorse per
acquisire maggiori informazioni su un problema da
risolvere. Gli autori fanno notare come le euristiche non
siano presenti esclusivamente in soggetti patologici, come
tradizionalmente sostenuto, poiché presenti e a volte
funzionali anche in soggetti normali; le euristiche
avrebbero invece un ruolo psicopatologico quando
rafforzano e autoalimentano credenze negative, innescando
un meccanismo a spirale che aggrava la patologia come ad
esempio nei soggetti con manie di persecuzione.
Nel capitolo 7 si affronta il problema del cosiddetto
“paradosso nevrotico” ovvero della tendenza a perseverare
in atteggiamenti negativi tipici di questa patologia: qui si
cerca di dare una nuova spiegazione a questo interessante
fenomeno alla luce delle moderne teorie della psicologia
cognitiva.
Nel capitolo 8, dopo aver dato una definizione delle
funzioni metacognitive, ovvero quelle funzioni che
permettono di riconoscere e regolare gli “stati mentali”, gli
autori delineano una teoria che inquadra alcuni disturbi
della personalità più o meno gravi (dall’autismo e la
schizofrenia a disturbi lievi come psicopatologie legate a
deficit delle funzioni metacognitive): in quest’ottica
forniscono un’utile classificazione funzionale dei vari tipi
di deficit metacognitivi, suggerendo infine un indirizzo
terapeutico che utilizzi proprio l’approccio metacognitivo
come base curativa.
Nell’ultimo capitolo viene infine affrontato il tema
della comunicazione umana, intesa come azione
intenzionale e cosciente che può avvenire sia con modalità
linguistiche sia gestuali o simboliche. La trattazione viene
focalizzata sull’intenzionalità dell’azione e sui diversi stati
mentali degli “attori comunicanti” proprio alla luce delle
moderne teorie cognitiviste. Il testo si conclude con una
disanima della rilevanza di una corretta comunicazione e
comprensione dei meccanismi sottostanti (e causativi)
all’interno della relazione fra paziente e terapeuta, in modo
che la terapia possa meglio esercitare un effetto positivo
sulla salute mentale del paziente.
Armelle Queyras e Enrico Alleva
Istituto Superiore di Sanità, Roma
132
recensioni, commenti e segnalazioni
TELEPATOLOGIA.
Strumenti, problemi,
applicazioni.
Claudio Clemente
e Lucio Scopsi.
Torino: C.G. Edizioni
medico scientifiche; 2000.
230 p.
ISBN 88-7110-080-8.
€ 33,57.
Il libro è attualmente l’unico, curato dai massimi esperti
in Italia, che tratta in maniera sistematica le potenzialità
applicative della telepatologia nel corso dell’ultimo
decennio, ovvero la possibilità di effettuare consulti di ordine
patologico a opera di specialisti operanti a distanza in tempi
generalmente rapidi mediante la visualizzazione di immagini
provenienti da un microscopio situato in una zona remota, al
fine di ottenere, in tempo reale, materiale informativo - sistematicamente aggiornato - a supporto della diagnosi clinica.
In quanto sviluppo di precedenti esperienze nel campo
della morfometria e settore specifico della telemedicina, la
diagnosi patologica a distanza è fatta oggetto nel presente
contributo di un’analisi sistematica con particolare riferimento alla situazione italiana caratterizzata da iniziative
locali spesso passibili di sviluppi significativi, ma effettivamente poco supportate da un reale interesse economico volto
a sviluppare sistemi operativi appropriati e diffusi per il loro
utilizzo da parte dei vari operatori interessati.
Una prima sezione è dedicata all’immagine digitale, ai
suoi processi di acquisizione tramite sensori elettronici - tutti
attualmente appartenenti alla categoria dei CCD (telecamere,
scanner piani, macchine fax e fotocamere digitali) - alla
definizione dei loro parametri qualitativi ed alla progressiva
emergenza, a sostegno dello scambio di informazioni per la
telemedicina e la telepatologia, delle tecnologie Web in
quanto capaci di fornire protezione per i dati in transito e per
l’accesso non autorizzato agli stessi. Problema aperto risulta
viceversa ancora quello di garantire riproducibilità e
omogeneità delle immagini tanto nei siti di acquisizione
quanto in quelli di consultazione remota.
Nei capitoli successivi viene inoltre fatto riferimento alle
possibilità applicative della compressione delle immagini
digitali ed alla loro utilizzazione in anatomia patologica,
ambito all’interno del quale la rilevanza qualitativa
dell’immagine si configura in stretta interdipendenza con le
risultanze diagnostiche.
Quanto alla distribuzione dei dati, una volta realizzata la
loro trasformazione strutturale da analogici a digitali - tema
aperto fra i più attuali del settore - lo stato della ricerca
appare sostanzialmente orientato verso l’aumento sensibile
delle capacità di banda e l’ottimizzazione della capillarità di
distribuzione e accesso dei dati mediante tecnologie (evoluzione dei cavi di rame, fibre ottiche, satelliti) la cui
prevalenza appare tuttavia condizionata da forti interessi
economici nonché, in alcuni paesi, da lacune di tipo progettuale ed organizzativo rispetto alla necessità di avviare
strategie idonee alla progressiva digitalizzazione dei
medesimi.
Nella seconda parte del libro - dedicata alla strumentazione sono quindi descritte alcune esperienze applicative
specifiche la cui disamina in termini di competenza e
affidabilità dei prodotti non può tuttavia essere disgiunta
dalla necessità - avvertita in termini di gap tra offerta
tecnologica e domanda per l’utilizzo - di favorire tra gli anatomopatologi e nel curriculum studiorum delle scuole di
specialità nozioni di informatica medica utili a consentire
l’impiego delle metodiche diagnostiche citoistologiche basate
su informazioni digitali.
Alla loro effettiva diffusione come sistemi di telepatologia destinati a supportare la diagnosi a distanza nelle
sue principali categorie - telediagnosi intraoperativa e
teleconsulto per seconda opinione - si oppongono infatti nel
settore degli specialisti di anatomia patologica dinamiche
correlate specificamente alla condivisione di responsabilità
diagnostica, ovvero alla insufficiente chiarezza normativa
delle sue complicazioni giuridiche ed alla ancora inadeguata
configurazione della convenienza economica nell’applicazione della telepatologia.
Agli aspetti etici relativi a quest’ultima, ovvero all’istanza
morale di partenza tesa a perseguire il continuo miglioramento
della qualità della risposta diagnostica ed alle implicite
connessioni giuridiche, è poi improntata la terza sezione,
articolata da un lato nella trattazione delle problematiche
etico-legali riscontrate genericamente nella telemedicina sicurezza e privacy dei dati, negligenza, responsabilità,
problemi di giurisdizione - dall’altro nell’individuazione di
quelle più precipuamente pertinenti l’ambito telepatologico
statico e dinamico, ovvero selettività dei campioni rappresentativi e prelievi dei campioni operatori in forma disgiunta.
A tali difficoltà debbono poter essere opposti standard
qualitativi in grado di limitare l’incidenza delle differenze
geografiche e di uniformare il trattamento e la sicurezza degli
utenti del sistema stesso.
Circa gli aspetti legislativi specifici della diagnosi
patologica a distanza, individuati nella ripartizione della
responsabilità tra i vari operatori, nel consenso informato
all’utilizzazione di un sistema telemedico, nel trattamento
dei dati personali e nella regolamentazione dell’attività di
telepatologia fra i vari centri, vengono poste in evidenza le
posizioni della giurisprudenza consolidata, espressasi a
riguardo in termini di corresponsabilità fra i patologi ripartita
secondo i casi ed il diverso utilizzo delle risorse tecnologiche.
A corollario di tale partizione si pone la necessità del
consenso informato del paziente, fondamentale anche in caso
di errata diagnosi e tale da dover essere formulato in base ai
133
recensioni, commenti e segnalazioni
requisiti di validità richiesti dal codice deontologico. Di
particolare delicatezza appare inoltre la questione dell’utilizzo dei dati personali del paziente stesso sottoposti nella
telepatologia, a livello gestionale, ad una effettiva
duplicazione di titolarità sia da parte di colui il quale si
incarica di trasmetterli sia da parte di colui il quale li riceve.
In merito l’Italia, sulla scia interpretativa della Direttiva
Europea del 1995, si è collocata in una posizione giuridica
d’avanguardia approvando una legge volta a favorire una
raccolta centralizzata dei dati stessi, cui poter attingere da
parte del medico della telediagnosi.
Priva di regolamentazione deontologica e giuridica si
configura invece, fino ad oggi, l’attività svolta dai centri di
telepatologia, ferma restando la duplice potenzialità di utilizzo
delle trasmissioni a distanza di immagini patologiche,
radiologiche ed endoscopiche: nel caso dell’istituzione di
riferimento nei confronti dei siti periferici satellite (diagnosi
intraoperatorie e diagnosi radiologiche) sia in quello della
revisione e discussione a distanza di diagnosi all’interno di
un’istituzione, configurazioni operative entrambe per le quali
le soluzioni appropriate potrebbero essere rispettivamente la
sperimentazione di forme di telemedicina nei confronti dei siti
“satellite” o la collaborazione regolare per es. fra gli IRCCS
oncologici nell’ambito di programmi di garanzia di qualità,
con condivisione sistematica di diagnosi e costituzione di database iconografici.
Per quanto riguarda gli aspetti tecnici e normativi
inerenti la privacy e soprattutto l’integrità dei dati sensibili
attraverso canali telematici - parametri ambedue
fondamentali ai fini dell’utilizzo della consulenza a distanza,
né sufficientemente garantiti, quanto a salvaguardia dei dati
medesimi, dal ricorso a reti telematiche di vario tipo passibili
di interferenze nel passaggio dei dati stessi - si delineano,
oltre ai sistemi crittografici più diffusi, le soluzioni
normative vigenti negli Stati Uniti, in Europa ed in Italia
individuandone, pur nella diversità degli inquadramenti
legislativi, le garanzie necessarie all’individuazione di
soluzioni possibili in termini di rispetto delle regole relative
ai documenti digitali e di quelle già in vigore per i prodotti
telematici specie nel caso dei sistemi informativi di
laboratorio preposti a gestire ingenti quantità di dati.
Del resoconto di alcune particolari esperienze applicative
di telepatologia si occupa quindi la quarta sezione del testo
con specifico riferimento al caso della Provincia di Trento
interessato dal 1997 da un progetto di telemicroscopia del
Ministero della Sanità avente lo scopo di verificare l’effettiva
capacità delle tecnologie informatiche di supportare la cura
integrata del paziente oncologico su territorio provinciale, al
caso dell’Istituto di Anatomia Patologica del Policlinico
Universitario di Udine fattosi promotore dal 1995 di un sito
Web istituzionale - il primo in Europa - strutturato in modo
da fornire all’utenza contenuti di base sull’Istituto e
contenuti originali con informazioni concernenti materiali
didattici e di aggiornamento utilizzabili tramite Web, all’istituzione nel 1998 di un sito Internet da parte di un gruppo
eterogeneo di patologi dell’area milanese avente una
molteplicità di scopi relativi fra l’altro alla discussione di
tumori rari o di difficile interpretazione, alla individuazione
di casi didattici ed al confronto diagnostico e gestionale
specifico del settore ed infine, alla creazione nel 1997 del
“sito SIAPEC” affiancato al periodico Pathologica da parte
della Società Italiana di Anatomia Patologica e Citopatologia
Diagnostica come strumento di pubblicazione e comunicazione ufficiale della Società.
Nella sezione finale, dedicata più in generale alle
potenzialità applicative della telecomunicazione remota
quale conseguenza delle attività mediche inerenti la
telemedicina - prevenzione, diagnosi, terapia, assistenza,
ricerca e analisi - sancita nella riforma (DL 229/99) del
servizio sanitario e descritta negli elementi costitutivi
principali di una postazione, si passano infine ad analizzare
le problematiche di ambito formativo a supporto dei servizi
della didattica e dell’aggiornamento a distanza e la loro
diretta relazione con il più ampio sistema organizzativo della
teleformazione.
L’inderogabilità della realizzazione attuativa di
quest’ultima come diritto/dovere del personale tutelato dalle
istituzioni ne rappresenta infatti l’odierna configurazione:
economicamente sostenibile nonché in grado di soddisfare le
esigenze degli utenti del settore sanitario, la teleformazione
presenta tuttavia ancora l’inconveniente costituito dall’impossibilità di certificarne effettivamente l’utenza.
Concludono infine l’analisi dell’argomento il resoconto
ed il bilancio di una serie di esperienze progettuali venute
delineandosi negli ultimi anni nel settore: dall’istituzione del
Sistema Bibliotecario Biomedico Lombardo nato dalla
collaborazione tra l’Università di Milano e la Regione
Lombardia allo scopo di rendere fruibile da parte di più di
100 strutture sanitarie dislocate in ambito regionale una
aggiornata ricerca bibliografica on-line, all’attivazione dal
1995 e tramite il progetto PathGallery, di un archivio di casi
multimediali per l’aggiornamento professionale in anatomia
patologica realizzato dall’Università di Udine e destinato a
sviluppi strettamente connessi alla costruzione di microscopi
virtuali utilizzabili a scopo diagnostico, alla costituzione di
GENECA, un sito Web italiano, autorizzato dall’Ordine dei
Medici della provincia di La Spezia, comprendente oltre 800
pagine e 15 sezioni per la ricerca sui tumori ereditari e
familiari, alla realizzazione di progetti pilota di teleconsulto
oncologico istituiti grazie ad una sinergia collaborativa tra
l’Unità Applicativa di Informatica Medica e Telemedicina
dell’Istituto di Ricerca Scientifica del Trentino con sede a
Trento e le strutture pubbliche regionali volti all’integrazione della cura di tale tipo di patologia nel territorio.
Margherita Branca
Istituto Superiore di Sanità, Roma