Antonio_Lavazza_2015.. - Scuola di Specializzazione in Tecnologia

ANTONIO LAVAZZA
Università Federico II Napoli, “Scuola di Specializzazione in Tecnologia e Patologia delle Specie Avicole, del Coniglio e della Selvaggina” Napoli,
4-5 Giugno 2015
Università Federico II Napoli “Scuola di Specializzazione in Tecnologia e Patologia delle Specie Avicole, del Coniglio e della Selvaggina” Napoli, 4-­‐5 Giugno 2015 ANTONIO LAVAZZA Centro di Referenza Nazionale per le Malattie Virali dei Lagomorfi Laboratorio di Riferimento OIE per Rabbit Haemorrhagic Disease e Myxomatosis Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna 1.
AGGIORNAMENTI E MEV E MIXOMATOSI STRATEGIE DI CONTROLLO DELLA MALATTIE VIRALI: 1.1. MALATTIA EMORRAGICA VIRALE / RABBIT HAEMORRHAGIC DISEASE La MEV/RHDV è una delle due malattie dei lagomorfi notificabili all’OIE (vedi OIE's Terrestrial Manual (capitolo 2.6.2). Per quanto riguarda il commercio di animali e loro prodotti commestibili e non commestibili, vanno garantite le misure sanitarie previste dal O.I.E’s Terrestrial Animal Health Code (capitolo 13.2.13). Definizione La malattia emorragica virale del coniglio (MEV/RHD) è una patologia altamente contagiosa e letale dei conigli domestici e selvatici. Segnalata e descritta per la prima volta nel 1984 nella Repubblica Popolare Cinese, è in seguito comparsa nell’Est asiatico (1985-­‐86), Italia (fine 1986), Europa continentale (1987-­‐90), America Centrale (Messico 1988, Cuba 1994), Africa settentrionale ed Isole dell’Oceano Indiano (1988-­‐89), Medio-­‐Oriente (1990), Gran Bretagna (1992), Oceania (1995), Stati Uniti, Sud America (2004-­‐2005) e Canada (2011). Attualmente risulta segnalata in più di 40 Paesi ed è considerata enzootica in Europa ed in tutto il bacino del Mediterraneo. Il ceppo RHDV2 segnalato per la prima volta in Francia nel 2010 (vedi oltre) è stato ad oggi identificato in Francia, Italia, Spagna, Malta, Portogallo, Norvegia, Regno Unito e Germania. Eziologia L’agente eziologico della MEV/RHD (RHDV) è classificato come genere lagovirus nella famiglia Caliciviridae: è un virus icosaedrico privo di envelope con un genoma a RNA a polarità positiva di 7.437 basi. Tra le caratteristiche peculiari di RHDV si annoverano: la capacità emoagglutinante nei confronti dei globuli rossi umani di tipo O, l’elevata resistenza ambientale e a trattamenti inattivanti, l’incapacità di crescita in vitro e di replicazione su uovo embrionato, come pure la refrattarietà all’infezione di tutte le altre specie animali testate, mammiferi e non, di laboratorio, selvatiche e domestiche. Come la maggior parte dei virus a RNA, anche RHDV è provvisto di una consistente variabilità genetica, che a sua volta può comportare una variabilità antigenica, favorita dall’ampia e rapida diffusione dell’infezione virale a livello mondiale. Nonostante questo, dal 1984, anno della prima identificazione, fino al 1996 tutti i ceppi virali isolati nei diversi Paesi sono risultati antigenicamente e geneticamente molto simili tra loro. Da allora, sono stati isolati dei ceppi “varianti” che, conservando la stessa patogenicità, presentavano delle caratteristiche emoagglutinanti (ceppi HA-­‐) e antigeniche differenti (RHDVa), ma non al punto da essere classificati come sierotipi differenti. Infatti, queste varianti conservavano una buona correlazione sierologica con i ceppi classici e una discreta protezione indotta dalla vaccinazione con tali ceppi “classici”. La convinzione dell’esistenza di un solo sierotipo virulento di RHDV, derivante come detto dal confronto antigenico e genomico fra i diversi stipiti isolati in oltre 25 anni dalla primitiva comparsa della malattia, è stata messa in discussione dall’identificazione in Francia, nell’estate 2010 dapprima in conigli selvatici e 1 ANTONIO LAVAZZA
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successiva anche in allevamenti industriali, di un ceppo avente caratteristiche significativamente differenti dai ceppi patogeni conosciuti. In effetti, RHDVFra10 è un nuovo ceppo, originatosi verosimilmente in modo indipendente dai ceppi RHDV “classici” (RHDVBs89 – tipo originario europeo, e l’RHDVa, suo sottotipo), dotato di caratteristiche cliniche peculiari se confrontate con quanto fino ad oggi osservato in corso di RHD, quali capacità di indurre malattia in soggetti all’ingrasso e in conigli lattanti di 15-­‐20gg, oltre che in riproduttori, anche vaccinati verso i ceppi classici, e tassi di mortalità più bassi ma variabili (5-­‐30%), sia tra selvatici che in aziende industriali. Le analisi di laboratorio hanno confermato la significativa differenza del nuovo virus RHDVFra2010, per il quale appare giustificata la denominazione “RHDV2”, da quelli circolanti all’oggi sul territorio. Differenza che è sia genetica, l’identità aminoacidica è circa del 89,2% verso RHDV-­‐RHDVa, e 76,7% verso EBHSV, che antigenica sulla base del profilo di reazione con un pannello di anticorpi monoclonali. La differenza del corredo antigenico giustifica la protezione solo parziale e per tempi ridotti, indotta dalla vaccinazione effettuata con ceppi classici. Un altro virus, denominato Rabbit Calicivirus (RCV), correlato a RHDV e inquadrabile come suo possibile progenitore, è stato isolato in conigli sani. RCV, responsabile di infezioni subcliniche, si discosta in modo significativo da RHDV in termini di patogenicità, titolo virale, tropismo tissutale, anche se la sequenza dell’unica proteina strutturale è assai simile a quella di RHDV (>90% di omologia). RCV moltiplica a livello enterico, causando un’infezione clinicamente inapparente ed evocando nei conigli una sieroconversione in grado di conferire resistenza alla malattia quando sono infettati con alte dosi di RHDV. Il rilievo di anticorpi con tecniche ELISA tradizionali (cELISA) nei soggetti all’ingrasso solitamente non vaccinati, unitamente alla determinazione delle sottoclassi di immunoglobuline permette una identificazione indiretta della presenza di virus apatogeni RCV e RCV-­‐like. Indagini sieroepidemiologiche condotte in tempi e regioni differenti hanno dimostrato come oltre il 30% degli allevamenti industriali nel nostro Paese sia cronicamente infetto da RCV. Inoltre, i dati sieroepidemiologici raccolti in diverse parti del mondo (Australia, Francia, Regno Unito) hanno permesso di ipotizzare prima e identificare poi altri virus apatogeni più o meno strettamente correlati a RHDV. In questi casi, stante la maggior differenza antigenica rispetto al virus patogeno classico, i titoli anticorpali in soggetti infetti possono essere rilevati utilizzando dei metodi ELISA ad elevata sensibilità, basati sull’utilizzo di antigeni parzialmente denaturati, e come tali in grado di riconoscere un’ampia varietà di epitopi virali. Infatti, in soggetti infetti da virus apatogeni come il RCV-­‐A1 isolato in Australia, usando sistemi ELISA altamente specifici in grado di riconoscere anticorpi prodotti verso epitopi di superficie del solo RHDV, si ottengono risultati pressoché totalmente negativi. E ciò giustifica anche la scarsa o nulla cross-­‐protezione verso infezioni da virus patogeni da essi indotta. Specie sensibili Il coniglio Europeo (Oryctolagus cuniculus) è la sola specie sensibile alla MEV/RHD causata da ceppi RHDV1 e nessun altro lagomorfo americano (Romerolagus diazzi, Lepus californicus, Sylvilagus floridanus) ed europeo (Lepus europaeus, Lepus timidus, Lepus corsicanus, Lepus castroviejoi e Lepus granatensis) si è dimostrato sperimentalmente recettivo. Di fatto, nei Paesi dove la malattia si è endemicizzata, il coniglio è presente anche allo stato selvatico, fatto che ne ha reso pressoché impossibile l’eradicazione. A questo assioma fa eccezione la dimostrata sensibilità della lepre sarda (Lepus capensis subs mediterraneus) e della lepre italica (Lepus corsicanus) al nuovo stipite virale RHDV2, che è in grado di causare in queste specie una malattia del tutto sovrapponibile alla RHD. Nella lepre bruna (Lepus europaeus) è stata descritta all’inizio degli anni ’80 in Nord-­‐Europa, una malattia molto simile alla MEV/RHD, chiamata Sindrome della lepre bruna europea (EBHS, dall’inglese European Brown Hare Syndrome). Nonostante le numerose similitudini tra le due malattie, tra cui anche una stretta correlazione dei rispettivi agenti eziologici (71% identità nucleotidica, 78% identità e 87% similarità aminoacidica), si è visto non esistere cross-­‐infezione tra le due specie ma anzi una stretta specie-­‐specificità. Proprietà e resistenza del virus RHDV è molto stabile e persiste nell’ambiente: la sua infettività non viene ridotta al trattamento con etere o cloroformio e tripsina, alla esposizione a pH 3.0 o al riscaldamento a 50°C per 1 ora. Il virus sopravvive 2 ANTONIO LAVAZZA
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almeno 225 giorni in una sospensione d’organo conservata a 4°C, almeno 105 gg allo stato di essicazione su tessuto a temperatura ambiente e almeno 2gg a 60°C sia in sospensioni d’organo, sia allo stato di essicazione. Il virus RHDV può sopravvivere nelle carcasse di coniglio “in campo” per almeno 3 mesi, mentre il virus esposto direttamente alle condizioni ambientali atmosferiche sopravvive per un periodo inferiore ad 1 mese. In un lavoro di campo sulla sopravvivenza di RHDV, il virus essiccato esposto direttamente alla luce solare su un striscia di cotone è risultato infettante in conigli sensibili per >10 gg ma <44 gg. RHDV conserva la sua infettività alle basse temperature e rimane abbastanza stabile durante cicli di congelamento/scongelamento. RHDV viene inattivato dal trattamento con 1% idrossido di sodio e da altri agenti (es. candeggina) che determina una distruzione della componente proteica mediante innalzamento del pH >12. I trattamenti con formaldeide al 1.0–1.4% o beta-­‐propiolactone al 0.2–0.5% a 4°C inattivano il virus ma non ne riducono l’immunogenicità e sono quindi indicate per la preparazione di vaccini spenti. RHDV può essere inattivato dai raggi ultravioletti (UV) usando un “electronic UV crosslinker” con una dose UV di 168.48 W-­‐s/cm2 e un’intensità UV di 0.0078 W/cm2. Epidemiologia MEV/RHD è caratterizzata da elevati indici di morbilità (90-­‐100%) e mortalità (40-­‐90%). L’infezione si verifica tanto nei conigli domestici che selvatici di tutte le età, anche se la malattia causata da ceppi RHDV1 si osserva solo nei riproduttori e nei giovani di età superiore a 40-­‐50 giorni. Le ragioni della resistenza dei giovani animali alla malattia non è chiara ed è probabilmente correlata alla patogenesi dell’infezione. Il nuovo ceppo RHDV2 è come detto in grado di ammalare anche soggetti di età inferiore ai 40gg, appena svezzati o ancora lattanti a partire dai 15-­‐20gg di età. La morbilità paragonabile a quella della forma classica (90-­‐100%) mentre la virulenza è inferiore rispetto a RHDV1/RHDV1a; la mortalità è sia più bassa (circa 20-­‐
30%) ancorché variabile con estremi da pochi punti percentuali fino al 60-­‐70%. MEV/RHD, indipendentemente dal ceppo causale (RHDV2 ha caratteristiche epidemiologiche sovrapponibili ai ceppi classici), si diffonde molto velocemente e l’infezione avviene per via nasale, congiuntivale o orale. La malattia si trasmette direttamente da un animale infetto a uno sano o indirettamente per contatto con carcasse infette o per ingestione di alimento o acqua contaminate con i secreti ed escreti di animali infetti. In virtù della sua elevata resistenza ambientale, deve essere inoltre considerata la possibilità di trasmissione mediante vettori passivi quali insetti, uccelli e roditori oppure tramite utensili e veicoli. Anche l’uomo può giocare un ruolo importante come vettore passivo del virus facilitando sia il passaggio dell’infezione da un allevamento all’altro per ciò che concerne i conigli domestici o disseminando il virus a distanza nel caso dei selvatici, soprattutto durante l’esercizio dell’attività venatoria. Non è inoltre esclusa la possibilità di disseminazione aerogena. E’ stato dimostrato che il pelo di animali malati può veicolare il virus ed anche che i carnivori (cani e volpi) che si alimentano di carcasse di animali deceduti per MEV/RHD possono, pur non infettandosi, eliminare virus ancora infettante con le feci. Sintomatologia La malattia clinica di solito compare improvvisamente nell’ambito di un allevamento e può evolvere in forma iperacuta, acuta, subacuta o cronica. La MEV/RHD iperacuta di solito colpisce conigli suscettibili alla prima introduzione della malattia in un Paese indenne. La forma acuta è prevalente nelle aree epidemiche mentre la forma subacuta/cronica si osserva di solito in un numero ridotto di animali che muoiono tardivamente od anche sopravvivono all’infezione. I sintomi clinici sono osservabili soprattutto nel corso dell’evoluzione acuta della malattia, poiché la forma iperacuta è, come detto, priva di sintomatologia evidente e quella subacuta caratterizzata dagli stessi sintomi dell’acuta ma più sfumati. Il periodo d’incubazione varia da 1 a 3 giorni, la morte subentra dopo 12-­‐
36 ore dalla comparsa di febbre (>40°C). Durante questa fase si possono osservare diversi sintomi quali: anoressia, apatia, prostrazione, segni nervosi (convulsioni, atassia, paralisi, opistotono, pedalamento), urla e grida, segni respiratori (dispnea, scolo sanguinolento), cianosi delle membrane. Nel corso di un episodio clinico sostenuto da ceppi ad alta patogenicità un limitato numero di conigli (5-­‐10%) può manifestare un andamento subacuto o cronico della malattia, caratterizzato da incubazione più lunga (fino a 6 gg) e decorso prolungato con comparsa di ittero grave e generalizzato, apprezzabile soprattutto a livello di mucose esplorabili e cute delle orecchie, perdita di peso e letargia. Tali animali di solito vengono a morte 1 -­‐
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2 settimane più tardi a causa dell’imponente disfunzione epatica. Tuttavia, in animali da carne le lesioni epatiche (degenerazione e necrosi) tipiche della malattia cronica, possono essere riscontrate al macello durante la visita post-­‐mortem dopo regolare macellazione. Nei casi sostenuti da ceppo RHDV2, a parziale conferma dell’apparente minor patogenicità la malattia compare più tardivamente e il decorso è più protratto rispetto al ceppo classico: sintomi e mortalità si hanno 3-­‐9 giorni post infezione e il decorso medio è di 5gg invece di rispettivamente 2-­‐6gg e 3-­‐4gg osservati per la malattia da RHDV classico. Lesioni Le lesioni macroscopiche sono specifiche e consistono essenzialmente in alterazioni circolatorie e degenerative. Esternamente si può osservare imbrattamento emorragico delle narici. Alla necroscopia le lesioni più imponenti sono a carico del fegato, trachea e polmoni. Il fegato appare di colore giallo-­‐
brunastro, con un disegno lobulare molto evidente, friabile, congesto e degenerato, spesso punteggiato di emorragie petecchiali. La mucosa tracheale è iperemica e contiene abbondante fluido schiumoso. I polmoni sono edematosi e congesti. La milza è aumentata di volume con margini arrotondati, soprattutto nei casi a evoluzione subacuta. Emorragie puntiformi e petecchiali sono evidenti nella maggior parte degli organi e sulle sierose. Tali lesioni sono di solito accompagnate da scarsa coagulazione del sangue. Lo stomaco, la vescica e la cistifellea sono generalmente pieni. Gastrite catarrale, enterite catarrale o emorragica, ipertrofia dei linfonodi meseraici e poplitei e reni pallidi sono reperti non costanti. Nei conigli con malattia cronicizzante si osserva una colorazione itterica, evidente a livello delle orecchie delle mucose, dell’intima delle arterie e del sottocute. Le lesioni microscopiche del fegato sono di elevato significato diagnostico; si osserva epatite acuta con necrosi multifocale e i foci necrotici possono confluire per formare aree di maggiore estensione soprattutto in sede perilobulare (necrosi a ponte porto-­‐portale). L’infiltrazione infiammatoria è scarsa e rappresentata soprattutto da linfociti negli spazi portali e da granulociti neutrofili nei sinusoidi e tra gli epatociti distrutti. Le lesioni tracheali e polmonari sono essenzialmente di tipo iperemico-­‐edematoso, spesso associate a emorragie e microtrombi nei capillari alveolari. Le lesioni più importanti negli altri organi e tessuti sono rappresentate dalla carioressi dei tessuti linfoidi, che causa deplezione linfocitaria e linfopenia, dalla microtrombosi, molto frequente nei capillari glomerulari, e dall’iperplasia del tessuto ematopoietico del midollo osseo. Patogenesi Il meccanismo patogenetico della MEV/RHD non è stato del tutto chiarito. All’infezione per via orale, nasale o congiuntivale farebbe seguito una primaria localizzazione del virus a livello di cellule della mucosa oro-­‐
nasale e/o intestinale cui seguirebbe una prima viremia con successiva infezione delle cellule epatiche. Il fegato costituisce l’organo bersaglio, dove avviene la replicazione massiva del virus, che si osserva dapprima negli epatociti e quindi anche nelle cellule di Kupffer. In quest’organo il virus raggiunge le concentrazioni più elevate, mentre la presenza virale in altri organi e tessuti sono correlate all’imponente viremia che precede di alcune ore la morte. L’evento decisivo nello sviluppo di buona parte delle lesioni macroscopiche, evidenziabili in corso di MEV/RHD, è dovuto alla presenza di coagulazione intravasale disseminata (CID). Questa deriverebbe tanto da un danno vascolare virus-­‐indotto, con attivazione del sistema intrinseco della coagulazione, quanto dal danno epatico, cui consegue la liberazione di tromboplastina tessutale e un’insufficiente clearance dei fattori coagulanti, con attivazione del sistema estrinseco della coagulazione. La presenza di microtrombi nel sistema microvascolare, la riduzione del numero di piastrine e l’aumento dei tempi di trombina e protrombina, comporterebbero, in ultima analisi, un esaurimento dei fattori della coagulazione nel contesto di una coagulopatia da consumo, quindi di tipo primario, a sua volta causa della scarsa coagulazione del sangue che domina il quadro patologico. Una coagulopatia secondaria, che verrebbe ad aggravare il quadro di deficit emocoagulativo, deriverebbe dalla ridotta sintesi di fattori della coagulazione da parte degli epatociti danneggiati. E’ stato altresì ipotizzato che la comparsa della CID sia da porre in relazione alla liberazione, da parte di tessuti linfoidi necrotizzati, di mediatori chimici, in particolare il TNF (tumor necrosis factor), causa del danno vasale, ed il CSF (colony stimulating factor) responsabile dell’iperplasia granulocitaria del midollo osseo. Tutto questo potrebbe anche in parte spiegare la refrattarietà alla malattia dei soggetti giovani, presupponendo un’immaturità del sistema immunitario che non consentirebbe l’instaurarsi della sequela di eventi patologici descritti. E’ stata 4 ANTONIO LAVAZZA
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inoltre ipotizzata e in parte dimostrata una diversa suscettibilità individuale e, forse, anche legata ai diversi stipiti genetici, da porre in relazione alla espressione del complesso maggiore di istocompatibilità. Diagnosi Il fegato presenta i titoli virali più elevati (da 103 LD50 a 106.5 LD50) e pertanto rappresenta l’organo più adatto per l’identificazione virale. La quantità di virus riscontrabile negli altri tessuti e organi è direttamente proporzionale al loro grado di vascolarizzazione, per cui il siero (in fase acuta) e la milza (in fase subacuta/cronica) risultano sufficientemente ricchi in particelle virale da poter essere utilizzati quali materiali alternativi su cui eseguire l’indagine diagnostica. Non sono state fino a oggi definite condizioni di crescita e substrati cellulari sensibili che consentano l’isolamento virale in vitro. Le sospensioni d’organo infette possono essere quindi esaminate direttamente con uno dei diversi metodi diagnostici sviluppati, tra i quali per la diagnosi di routine solitamente si usano: - Sandwich Elisa test che utilizza anticorpi monoclonali (MAbs) RHDV-­‐specifici - Sandwich Elisa test che utilizza un pannello di anticorpi monoclonali (MAbs) RHDV-­‐specifici. Questo test permette di distinguere il ceppo RHDV classico dalla variante RHDV e di identificazione nuovi stipiti RHDV correlati, compreso il ceppo RHDV2) - Western Blot analysis che utilizza RHDV-­‐MAbs che riconoscono epitopi interni e cross-­‐reattivi anche con EBHS. Viene usato in quei casi che forniscono un esito dubbio all’esame ELISA e in quegli animali che vengono a morte dopo un decorso cronico della malattia, ovvero quando il virus si presenta in una forma “degradata” priva degli epitopi di superficie - Reverse transcription Polymerase Chain Reaction (RT-­‐PCR). Questo è un test molto sensibile per la diagnosi di RHDV ed è circa 104 volte più sensibile dell’ELISA. Ciononostante la RT-­‐PCR non è strettamente necessaria per la diagnosi di routine di RHDV, ma è molto più utile nell’esecuzione di indagini di epidemiologia molecolare, per studiare la patogenesi dell’infezione, per fare diagnosi in animali giovani, in ospiti non specifici, e vettori, per la diagnosi di infezioni da virus apatogeno e per la caratterizzazione (in associazione al sequenziamento genico) di nuovi ceppi. Esistono diversi protocolli applicabili per la diagnosi di MEV/RHD, alcuni in grado di identificare tutti i ceppi, altri che utilizzano primers specifici per i diversi ceppi virali, tra cui anche il nuovo RHDV2 (http://www.izsler.it/izs_bs/allegati/695/DiagnosiRHDV_17ago2011.pdf). Altri metodi diagnostici, molto utilizzati in passato e soprattutto agli esordi della malattia, sono oggi utilizzati solo in particolari situazioni. Tra questi vanno ricordati: - Immunoelettronmiscroscopia (IEM) e Immunogold, usando un siero iperimmune di coniglio anti-­‐RHDV o anticorpi monoclonali (MAbs) specifici; - Test di emoagglutinazione (HA) con i globuli rossi umani tipo O. A questi tests diagnostici si possono aggiungere altri metodi applicabili in situazioni particolari, tra cui l’immunoistochimica con MAbs RHDV specifici su tessuti fissati in formalina e inclusi in paraffina, l’immunofluorescenza su sezioni criostatiche e l’ibridazione in situ. Il virus RHDV2 si dimostra HA positivo (globuli rossi umani tipo 0) e gli strumenti diagnostici utilizzati per la diagnosi di RHDV e RHDVa si dimostrano capaci di rilevare anche RHDV2, anche se con efficienza minore per le razioni sandwich ELISA. Pertanto sono stati sviluppati e sono oggi disponibili test specifici sia di PCR che immunoenzimatici (reazioni ELISAs con MAbs specifici). Immunità e diagnosi sierologica I conigli che sopravvivono alla malattia mostrano un’elevata siero conversione, facilmente rilevabile già a 4-­‐
6gg post infezione. Quindi, l’infezione da RHDV può essere diagnosticata anche mediante rilievo di anticorpi specifici. Poiché la risposta umorale riveste un’importanza decisiva nel proteggere gli animali dall’infezione, la verifica e la quantificazione della presenza di anticorpi specifici dopo vaccinazione o in animali convalescenti possono consentire di fornire una risposta definitiva sulla capacità degli animali di resistere all’infezione da RHDV. Tuttavia, questi non sono i soli casi in cui si può riscontare una risposta anticorpale specifica in quanto anche l’infezione con ceppi virali “apatogeni”, antigenicamente correlati a RHDV, può indurre la comparsa dei cosiddetti anticorpi “naturali” in conigli provenienti da allevamenti con anamnesi negativa di malattia conclamata ed assenza di interventi vaccinali. Tre tecniche basilari sono oggi utilizzate per la diagnosi sierologica di RHDV: 5 ANTONIO LAVAZZA
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Inibizione della Emoagglutinazione (HI) ELISA indiretta ELISA tipo competizione. I test utilizzati per la diagnostica di routine comprendono: - MAbs-­‐ELISA tipo competizione (cELISA) che è considerato il test standard e di referenza per MEV/RHD. E’ un test altamente specifico che misura soprattutto gli anticorpi diretti verso i determinanti antigenici esposti sulla superficie del virus, di fatto i più specifici e funzionalmente importanti; - Sandwich ELISA sviluppate utilizzando MAbs anti-­‐isotipo (isoELISAs o IgElisa) impiegate per testare i sieri per la presenza di anticorpi specifici anti-­‐RHDV delle classi IgM, IgA e IgG. I titoli verso i singoli isotipi sono, infatti, di estremo valore ai fini della corretta interpretazione dei risultati sierologici e per riconoscere in modo esatto lo stato immunitario dei conigli (ad esempio per differenziare gli anticorpi di origine vaccinale da quelli di origine naturale o materna). Altri metodi sierologici “addizionali” come l’ELISA indiretta (inELISA) e la “solid phase” ELISA (spELISA) possono essere usati in particolari indagini ed in articolare quando è richiesto il dosaggio anticorpale con un livello di sensibilità molto elevato, come può succedere se si ricercano anticorpi in specie non target o per identica anticorpi cross-­‐reattivi indotti da virus correlati RHDV-­‐like. Infine, è disponibile anche un test Sandwich ELISA per quantificare le IgM e IgG direttamente presenti nel fegato o nella milza; questo test è particolarmente utile nella diagnosi di forme croniche, quando l’identificazione virale può rivelarsi difficile. E’ stato dimostrato, anche sperimentalmente, che c’è una stretta correlazione tra i titoli in cELISA ed il grado di protezione dalla malattia ovvero conigli con titolo uguale o superiore a 1/10 risultano protetti se sottoposti a challenge con RHDV patogeno. Nei conigli convalescenti sopravvissuti alla malattia, si possono riscontrare titoli anche superiori a 1/20480, mentre nei vaccinati il titolo è solitamente nel range 1/40-­‐
1/640, in funzione anche del tempo intercorso dall’ultima vaccinazione. Nei conigli giovani, nati da madri sane, e svezzati all’età di 32-­‐35gg gli anticorpi passivi di origine materna solitamente scompaiono entro i 30gg di età; viceversa durano più a lungo (fino a 50gg) nei soggetti nati da madri convalescenti e il loro titolo anticorpale è direttamente proporzionale a quello delle madri. Nei conigli svezzati di 35-­‐45gg un basso livello anticorpale (1:80-­‐1:320) può anche essere indotto da un’infezione attiva con ceppo patogeno, che, a questa età, raramente porta alla comparsa di quadri clinici conclamati. L’utilizzo dei metodi isoELISAs per la determinazione delle sottoclassi di immunoglobuline sono quindi fondamentali per una corretta interpretazione dei risultati. Infatti, in caso di anticorpi passivi di origine materna, troviamo solo IgG, in animali vaccinati non si ha produzione di IgA mentre nei conigli infettatisi di recente si osservano prima IgM poi IgA e IgG. Infine, l’insieme dei risultati sierologici nelle diverse categorie produttive (riproduttori, rimonta, ingrasso) unitamente alla identificazione virale da organi, può servire ad attribuire correttamente la risposta anticorpale ad una infezione con virus RHDV ad elevata patogenicità, rispetto ad un’infezione da virus RCV o RHDV apatogeno. Sebbene i metodi sierologici sviluppati per RHDV1 siano in grado di riconoscere la componente anticorpale cross-­‐reattiva da infezioni con RHDV2, le caratteristiche antigeniche differenziali di questo nuovo virus rendono possibile la differenziazione della risposta anticorpale indotta con test ELISA sierologici sviluppati ad hoc. -
Profilassi Misure efficaci per il controllo del virus della malattia virale emorragica possono essere attuate unicamente nel coniglio allevato industrialmente e nei nuclei rurali, ma non nel coniglio selvatico. Considerando l’elevata virulenza e diffusibilità di RHDV la sola profilassi diretta risulta praticamente inefficace. Il controllo della malattia è quindi principalmente basato sulla attuazione di misure di profilassi indiretta mediante vaccinazione. Il vaccino classico, usato in tutti i paesi dove è comparsa la malattia è preparato usando una sospensione chiarificata di fegati di conigli infettati sperimentalmente, poi inattivata ed adiuvata. Recentemente sono stati sperimentati vaccini biotecnologici che sono attualmente in fase di registrazione. Negli allevamenti in cui vi è un’anamnesi recente negativa per MEV/RHD, è consigliabile vaccinare solo i riproduttori secondo il seguente schema: 1° vaccinazione a 50-­‐60gg di età; 2° vaccinazione dopo 1 mese, rivaccinazione all’accoppiamento e poi richiami annuali. La vaccinazione degli animali all’ingrasso non è necessaria se la situazione dell’allevamento è normale, visto il breve ciclo di vita (circa 6 ANTONIO LAVAZZA
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80gg) e considerando la loro resistenza naturale alla malattia fino a circa 35-­‐40gg di età. Viceversa a seguito di un focolaio è fortemente consigliabile, anche laddove vengano attuate severe misure igienico sanitarie (pulizia e disinfezione delle strutture e degli ambienti, eliminazione controllata delle carcasse e adozione di periodi di vuoto sanitario), vaccinare anche gli animali all’ingrasso all’età di 40 giorni. Solo dopo un certo numero di cicli produttivi si può provare a interrompere la vaccinazione in un nucleo limitato di soggetti allo scopo di accertare l’eventuale persistenza del virus in allevamento. Gli animali vaccinati sviluppano in tempi brevi (4-­‐7gg) una immunità protettiva verso RHDV. Di conseguenza la vaccinazione viene anche considerata un efficace trattamento post-­‐esposizione ed è pertanto primariamente inclusa nelle strategie di emergenza applicate alla comparsa di MEV/RHD nelle conigliere. Nonostante l’elevata efficacia della profilassi vaccinale, che ha permesso di ridurre quasi del tutto l’incidenza della MEV/RHD negli allevamenti intensivi, la probabilità di eradicare la malattia è molto bassa. La persistenza di MEV/RHD in forma endemica è assicurata dal frequente riscontro di casi di malattia, oltre che nei conigli selvatici, negli allevamenti rurali che, oltre ad un'estrema parcellizzazione sul territorio, presentano spesso scarse condizioni igieniche, una scarsa preparazione professionale dei proprietari, una facilità di contatto diretto o indiretto con sorgenti di virus quali animali a vita libera (uccelli, roditori etc,) o alimenti contaminati. Tutto ciò contribuisce a mantenere l’infezione endemica sul territorio e probabilmente riveste un importante e bidirezionale riflesso sulla presenza della malattia tra i conigli selvatici. In Paesi dove RHDV è endemica può risultare utile l’applicazione delle seguenti norme: notifica dei focolai, soppressione e rimozione coatta degli animali infetti o sospetti di infezione, misure di igiene e disinfezione, macellazione o vaccinazione dei soggetti apparentemente sani, raccolta di informazioni o quarantena prima della introduzione di nuovi riproduttori, regole precise per fiere e mercati. Successivamente, alla luce della situazione epidemiologica creatasi con la comparsa del nuovo ceppo RHDV2 il Ministero della Salute ha ritenuto necessario emanare una “Circolare concernente misure sanitarie da adottare in caso di malattia emorragica virale (MEV/RHD)” [0007841-­‐08/04/2014-­‐DGSAF-­‐COD_UO-­‐P] con la quale richiamare alcune misure sanitarie che devono essere applicate rimandando per gli aspetti più specifici all’apposito Manuale operativo predisposto dal Centro di referenza nazionale per le malattie virali dei lagomorfi, di cui all’Allegato B alla circolare stessa. Inoltre, poiché la copertura indotta da vaccini “classici” nei confronti di RHDV2 è ridotta a causa delle differenze antigeniche esistenti tra i due virus (equiparabili di fatto a due sierotipi differenti) è stato chiesta ed ottenuta autorizzazione dal Ministero della Salute, alla produzione e uso di un vaccino stabulogeno per fronteggiare l’emergenza RHDV2. Si ricorda che la procedura d’uso dei vaccini stabulogeni è disciplinata dal DM 17.03.94 n. 287. Pertanto, in caso di focolaio di RHDV2 per il quale sia stato effettuata opportuna notifica secondo la legislazione vigente (Art. 1 Reg. Polizia Veterinaria e Ordinanza Ministero della Sanità 08-­‐09-­‐1990 "Norme per la profilassi della malattia virale emorragica del coniglio" GU SG n. 217, 17-­‐09-­‐
1990, p. 21.) si può procedere alla richiesta di produzione con le modalità previste dalla predetta norma per un uso dell’autovaccino sia nell’allevamento di origine sia negli allevamenti epidemiologicamente collegati. In particolare, va compilata la ricetta utilizzando il format previsto, ed inviata la richiesta di produzione ad uno dei due Istituti attualmente autorizzati alla produzione (IZSLER e IZSUM) ai quali bisogna conferire i fegati degli animali deceduti con cui materialmente viene prodotto il vaccino d’organo inattivato. E’ Inoltre richiesto di comunicarne l’impiego all’ASL competente per territorio e/o ai Servizi Veterinari Regionali e al Centro di Referenza Nazionale per le malattie virali dei lagomorfi, al quale va sempre inviato anche un campione positivo di fegato per l’opportuna caratterizzazione antigenica e genomica del virus RHDV2. Misure di controllo in caso di focolai di MEV A seguito di notifica di focolaio di MEV (Art 1 RPV), indipendentemente dal tipo di virus causale e tenuto conto del fatto che il RPV non prevede attualmente norme di intervento specifiche, sono state date indicazioni differenziate da attuarsi rispettivamente nei piccoli allevamenti rurali/familiari, vale a dire eliminazione di tutti i soggetti ancora presenti e la successiva pulizia e disinfezione degli ambienti, e nelle aziende industriali. In quest’ultimi casi, è fondamentale intervenire tempestivamente con la vaccinazione. 7 ANTONIO LAVAZZA
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Questa dovrebbe essere eseguita, almeno in emergenza, con ceppi omologhi rispetto al virus identificato come causa di focolaio. Ciò al fine di evitare che la protezione parziale, indotta dai vaccini eterologhi a base RHDV, verso l’RHDV2 “spinga” quest’ultimo verso la definitiva modifica antigenica a sierotipo, per il quale il vaccino RHDV sarebbe totalmente inefficace. Nei casi di focolaio da RHDV2 è quindi opportuno intervenire con vaccini specifici e, in attesa della disponibilità di presidi immunizzanti registrati a base di RHDV2, questo può già ora essere effettuato con autovaccini (stabulogeni) nel rispetto della normativa vigente (D.Min. n.287 del 17/3/1994). In aggiunta all’indicazione di vaccinare immediatamente tutti i soggetti presenti (riproduttori, rimonte e degli animali all’ingrasso) sono state indicate le seguenti norme di conduzione igienico sanitaria: i) censimento degli animali presenti e registrazione quotidiana dei dati della mortalità al fine di rendere tracciabile l’evoluzione dello stato sanitario; ii) rimozione controllata delle carcasse con stoccaggio in celle frigorifere ed eventuale smaltimento con automezzi autorizzati a tenuta; iii) movimentazione in uscita dei conigli da ingrasso unicamente con invio “in vincolo” al macello, preavviso al Veterinario ufficiale competente per l’impianto di macellazione, trasporto esclusivo del gruppo su automezzi lavati e disinfettati prima del carico ed effettuazione della macellazione ”a fine ciclo”; iv) introduzione di animali da rimonta solo se certificati aver ricevuto almeno due vaccinazioni; v) pulizia e disinfezione degli ambienti, delle strutture delle attrezzature; vi) divieto d’uscita di mangimi, utensili, oggetti od altri materiali sospetti di contaminazione; vii) permesso di entrata e uscita dall’azienda di automezzi solo previa disinfezione delle ruote e della parte sottostante il veicolo e registrazione in apposito registro dell’entrata e uscita dall’azienda di automezzi e di persone; viii) accertamenti virologici per MEV/RHD, fino alla chiusura del focolaio, a campione su soggetti deceduti (soprattutto riproduttori) con lesioni sospette o comunque non chiaramente riferibili a patologie note; ix) stoccaggio delle deiezioni per un tempo di almeno 45 mesi prima dell’utilizzo per la concimazione. In alternativa, smaltimento immediato delle deiezioni attraverso ditte specializzate e trasporto in condizioni di sicurezza, con destinazione anche bioenergetica; x) utilizzo delle pelli di conigli appartenenti a partite inviate in vincolo al macello o comunque per partite di animali provenienti da zone sottoposte a provvedimenti sanitari, solo dopo trattamento di essicazione (o congelamento) e inattivazione con formaldeide secondo quanto previsto dal Code dell’OIE. Inoltre, in ambito territoriale qualora vi siano allevamenti che hanno una correlazione con il focolaio di tipo funzionale (filiera organizzata) o geografico/territoriale (aree ad elevata densità di allevamenti), è opportuno applicare misure di controllo e prevenzione similari. In particolare: i) un rafforzamento di tutte le misure di biosicurezza e delle normali prassi d’igiene e disinfezione già in atto; ii) la registrazione quotidiana della mortalità per ciascuna categoria produttiva, al fine di rendere tracciabile l’evoluzione dello stato sanitario; iii) l’esecuzione di accertamenti virologici per MEV/RHD su soggetti deceduti (soprattutto riproduttori) con lesioni sospette o comunque non chiaramente riferibili a patologie note; iv) l’applicazione dello stesso protocollo vaccinale del parco riproduttori e delle rimonte previsto per gli allevamenti sede di focolaio; v) l’istituzione di gruppi di animali “sentinella” non vaccinati nell’eventualità che si opti per la vaccinazione anche degli animali all’ingrasso, per verificare, attraverso l’analisi sierologica, la presenza di specifici anticorpi e l’eventuale circolazione virale; vi) l’introduzione in allevamento degli animali ai fini di rimonta solo se animali lattanti di età inferiore a 7gg o animali di qualsiasi età vaccinati almeno due volte. Infine, la suscettibilità alla malattia di lagomorfi selvatici, non solo il coniglio selvatico ma anche come visto di almeno una specie di lepre, impone un rafforzamento della sorveglianza passiva sul territorio. A tal fine dovrebbe essere posta particolare attenzione a segnalare eventuali episodi di mortalità in tutti i lagomorfi selvatici, lepri incluse, favorendone il recupero ed il conferimento ai servizi veterinari e agli IIZZSS localmente competenti, per l’esame delle carcasse e la determinazione delle cause di morte. 8 ANTONIO LAVAZZA
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1.2 MYXOMATOSI La mixomatosi è una malattia infettiva virale altamente contagiosa e letale che colpisce i conigli domestici, selvatici. Il coniglio europeo (Oryctolagus cuniculus) è la specie maggiormente colpita, mentre le specie americane (Sylvilagus spp o “minilepre”) sono più resistenti. Il virus responsabile della malattia appartiene alla famiglia dei Poxviridae. Il virus della Myxomatosi possiede dei geni “immuno modulatori” (o “guastatori”?) ovvero proteine che intralciano (rallentano o aboliscono) il divenire dei processi immunologici sia nativi che adattativi. E’ quindi in grado di determinare malattia attraverso un meccanismo di immunosoppressione. I tessuti maggiormente interessati dalla replicazione virale sono la pelle e i tessuti linfoidi ove si riscontra la maggior concentrazione di virus. Il virus non rintracciabile libero nel sangue ma nei globuli bianchi circolanti. Di fatto non sono riportate significative dimostrazioni di “persistenza” virale ovvero di stato di carrier ma bensì di latenza virale, intesa come equilibrio dinamico tra risposta immune e replicazione virale. In termini di protezione si verifica quindi che durante l’infezione si sviluppano alti titoli anticorpali (IgM e IgG) neutralizzanti in vitro ma molto poco protettivi in vivo. Conferme della ridotta capacità protettiva dell’immunità umorale vengono anche da esperimenti di protezione passiva e da animali con anticorpi materni. Nei guariti, però, gli anticorpi proteggono da re-­‐infezioni. L’immunità cellulare riveste un maggior peso in quanto i geni “guastatori” hanno come bersaglio il sistema cellulare, il virus è quasi sempre intracellulare, l’immunità umorale è ridotta, vi è un ampia variabilità individuale in termini di entità e durata ed i vaccini inattivati non funzionano. Ciononostante la risposta anticorpale è utilizzabile a fini diagnostici. La mixomatosi è poco studiata, nonostante continui a causare notevoli problemi in allevamenti industriali, dove le ricadute economiche sono consistenti, e nelle popolazioni di conigli a vita libera. Attualmente è difficile quantificare la diffusione della mixomatosi in Italia. Anche se è molto più diffus aal centro-­‐nord che al Sud. La myxomatosi è una malattia della Lista OIE e soprattutto è ancora ampiamente diffusa nelle popolazioni selvatiche e nei piccoli allevamenti rurali. Essa inoltre è causa di “grossi” problemi in allevamenti industriali, nei quali, quando si manifesta, si registrano gravi perdite, dirette e indirette, di notevole significato economico. Mancano, tuttavia, dati certi e ufficiali poiché le segnalazioni e denunce ufficiali sono numericamente ridotte a causa soprattutto delle norme di Polizia Veterinaria ritenute tanto dagli allevatori quanto dagli esperti del settore troppo penalizzanti e assolutamente non in linea con le conoscenze scientifiche attuali e con la moderna coniglicoltura nazionale. Nel contempo l’attività di vigilanza veterinaria permanente operata dai Veterinari ufficiali nel settore cunicolo zootecnico (allevamento, trasporto e commercializzazione) è carente e difficilmente porta a far emergere casi conclamati di malattia e le conseguenti segnalazioni e denunce. Ne consegue un’assenza di dati statistici ed epidemiologici relativi alla sanità animale dei conigli. In natura la diffusione della mixomatosi è legata essenzialmente alle variazioni stagionali, alla presenza di insetti vettori (zanzare) e alla alta densità della popolazione cunicola, con punte di morbilità/mortalità differenti. Negli allevamenti intensivi, nei quali la malattia si trasmette principalmente per via aerogena, non si distingue un ritmo stagionale, ma possono essere registrati casi durante tutto l’anno. La presenza in natura di virus, che persistono nelle popolazioni cunicole selvatiche (serbatoi naturali), spiega in gran parte la stagionalità della malattia, legata alla diffusione a causa delle zanzare. La persistenza negli allevamenti commerciali è legata al mutato tropismo di alcuni ceppi virali, che si sono adattati all’epitelio dell’albero respiratorio, virulentandosi in occasione di particolari situazioni negative d’allevamento. Esistono due forma cliniche di mixomatosi: una forma classica mixomatosica o nodulare e una forma atipica, di tipo respiratorio o amixomatosica. La forma classica, facilmente evidenziabile, è caratterizzata da una localizzazione cutanea delle lesioni. Il periodo d’incubazione di questa forma varia da sei a dieci giorni. La virulenza del ceppo influenza l'evoluzione della malattia: esistono, infatti, forme acute, sub-­‐acute e croniche. La forma atipica respiratoria o amixomatosica è stata osservata più di recente. L'incubazione, in questo caso, è di 7-­‐21 giorni e si manifesta principalmente con sintomi respiratori e con lesioni a carico dei genitali e degli occhi con tumefazioni delle palpebre, congiuntivite e scolo nasale muco-­‐purulento. L'interessamento dei genitali è patognomonico, anche se spesso l’esame clinico a tale livello è trascurato. Anche nella forma atipica esistono tre sintomatologie differenti che sono legate al grado di virulenza del ceppo. 10 ANTONIO LAVAZZA
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La diagnosi della mixomatosi si basa principalmente sulle osservazioni cliniche ed epidemiologiche presenti in allevamento. Queste osservazioni, negli allevamenti colpiti dalla forma classica, possono essere sufficienti per una corretta diagnosi. La diagnosi in allevamenti colpiti dalla forma respiratoria può invece essere difficoltosa. In questo caso possono essere necessarie indagini di laboratorio quali l’esame istopatologico, il cornea test o le colture cellulari. Anche l'esame sierologico può essere utile, soprattutto se si tratta di forme sub-­‐acute/croniche che permettono la vita degli animali per almeno 8-­‐10 giorni, tempo minimo richiesto per la formazione di anticorpi evidenziabili con tali tecniche. Il ricorso a misure di profilassi diretta e indiretta rappresenta l'unico mezzo per contrastare l'insorgenza e diffusione della malattia. Esse devono essere considerate complementari, nel senso che una campagna vaccinale avrà successo solo se accompagnata dall'applicazione rigida delle norme igieniche. Le misure di profilassi diretta servono sia a prevenire l'introduzione della malattia in allevamenti indenni, sia a limitare la diffusione e favorire il risanamento di quelli infetti. La profilassi indiretta si basa sulla vaccinazione di tutti i riproduttori e la rimonta e, eventualmente, anche dell'ingrasso. Questa pratica preventiva dovrebbe essere osservata non solo dagli allevamenti industriali, ma anche e soprattutto da quelli rurali e di piccole dimensioni che spesso sono focolai latenti di mixomatosi. Inoltre è importante che gli animali sottoposti a vaccinazione siano in buone condizioni sanitarie. Valutazione delle misure di polizia veterinaria relative alla myxomatosi del coniglio La normativa che regola il comportamento da adottare in caso di Myxomatosi (O.A.C.I.S. 6/11/1953 integrata da O.A.C.I.S. 15/9/1955. “Norme per la profilassi della myxomatosi del coniglio”, a sua volta modificata da O.A.C.I.S. 1/12/1957) andrebbe interpretata e rivista alla luce di quanto intercorso dalla primitiva comparsa della malattia a oggi ed in particolare del fatto che: - la coniglicoltura ha assunto una dimensione e valenza zootecnica caratterizzata da allevamenti a carattere industriale; - la Myxomatosi si è endemizzata nel nostro territorio. In fatti, la presenza sia di un ospite selvatico, appartenete alla stessa specie allevata industrialmente (Oryctolagus cinuculus) e di un altro selvatico alloctono (Sylvilagus floridanus), che agisce da serbatoio asintomatico, unitamente alla modalità di trasmissione per contatto indiretto tramite vettori e per contatto diretto, la rendono di fatto non più eradicabile; - nuove cognizioni scientifiche sulle caratteristiche, sulla natura e sul modo di trasmissione della malattia sono oggi disponibili (es. dalla fine degli anni ’80 esiste anche una forma amyxomatosica, respiratoria, sostenuta da ceppi attenuati); - altri Paesi dell’UE hanno adottato misure di intervento obbligatorie meno penalizzanti per gli allevatori e più idonee rispetto all’attuale tipologia dell'allevamento cunicolo. - attualmente sono presenti vaccini vivi attenuati, anche ricombinati, in grado di contrastare efficacemente la malattia Una revisione dei comportamenti da adottare in caso di focolaio di Myxomatosi, pur nel rispetto di quanto previsto dal Reg. di Polizia Veterinaria e dalla normativa vigente, dovrebbe essere finalizzata ad adottare norme realmente applicabili ed efficaci, utili anche a ripristinare una griglia di controllo ufficiale della sanità degli allevamenti cunicoli, a raccogliere dati statistici indispensabili sulla frequenza, morbilità, mortalità ed evoluzione epidemiologica dell’infezione da virus della myxomatosi. La normativa nazionale dovrebbe quindi essere rivista sia per renderla realmente applicabile ed efficace sia per armonizzarla con quella comunitaria, prevedendo misure meno restrittive per la myxomatosi, dal momento che: - tale rigore normativo risulta essere inapplicato e quindi, di fatto, ininfluente ai fini della sanità animale pubblica - la presenza su tutto il territorio nazionale di conigli selvatici, di conigli allevati in unità rurali a carattere familiare, che costituiscono il serbatoio naturale dell'infezione, nonché, in Pianura Padana, di elevato numero di silvilaghi (Sylvilagus floridanus) che sono di fatto portatore sani del virus, vanifica di fatto l'adozione del provvedimento di zona infetta e rende inutile la misura di zona di protezione; 11 ANTONIO LAVAZZA
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la myxomatosi è di fatto una malattia presente in forma endemica su tutto il territorio nazionale da oltre 50 anni; - è stato da tempo dimostrato che la trasmissione della myxomatosi avviene anche per via aerogena e, in particolare negli allevamenti intensivi, la forma respiratoria è da considerare alla stregua di una malattia condizionata, di difficile diagnosi e di conseguenza da gestire in modo differenziato rispetto alla forma classica della infezione. Fermo restando quindi la segnalazione obbligatoria della myxomatosi si ritiene si possano adottare misure sanitarie che tengano conto delle caratteristiche, della natura e delle modalità di trasmissione della malattia stessa nonché dell’attuale tipologia dell'allevamento cunicolo, e quindi demandare all’Autorità Sanitaria Locale o Regionale il compito di stabilire, in ogni singolo focolaio, le modalità di attuazione dei provvedimenti previsti dal R.P.V., anche in ordine alle eventuali procedure di abbattimento e di profilassi vaccinale (compresa anche la vaccinazione accerchiante). In particolare gli aspetti da chiarire e definire riguardano: - le misure di profilassi igienica (pulizia e disinfezioni), di biosicurezza (quarantena di riproduttori, lotta a insetti e mosche etc.) e di management igienico (sospensione temporanea della riproduzione per almeno 2 settimane, diradamento degli animali e riduzione della densità); - i criteri per l'identificazione dei soggetti infetti e sospetti che debbono essere abbattuti ed eliminati per diminuire il rischio di contagio (ovvero che esami afre e con che intervallo); - le procedure da adottare per ottenere gruppi di animali “sani” mediante l’uso di esami sierologici e virologici (pianificazione del campionamento); - i programmi di profilassi vaccinale da attuare (frequenza e categorie di animali); - le procedure di avvio “controllato” alla macellazione (differita) dei gruppi di animali clinicamente sani presenti in allevamenti sede di focolaio; - le condizioni per rimuovere il blocco della movimentazione degli animali sani “da vita”, superando il concetto meramente temporale (6 mesi dall’ultimo caso clinico, 15gg dopo l’eliminazione di tutto l’effettivo) scientificamente non giustificato, ma prevedendo requisiti sanitari basati su indagini analitiche (sierologia e/o analisi virologica con metodi ad alta sensibilità). Aspetto collaterale e fondamentale per la realizzazione di un controllo efficace dei casi di myxomatosi è l’attivazione del sistema informativo nazionale (anagrafe) per la coniglicoltura. Questo strumento può infatti indirettamente contribuire alla maggior qualità delle produzioni nel rispetto di requisiti gestionali e di biosicurezza, consentendo nel contempo un migliore monitoraggio su igiene di allevamento, stato di salute e benessere degli animali, farmaco-­‐vigilanza, residui indesiderati o non ammessi. -
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2.1 GESTIONE INTEGRATA DELLA LEPRE E PIANI DI MONITORAGGIO SANITARI Il panorama delle patologie della lepre è molto ricco e nel contempo complesso. Gli animali selvatici in generale, vivono in comunità ecologica, vale a dire un insieme di popolazioni di specie diverse che coesistono nello spazio e nel tempo. Di fatto le comunità ecologiche sono formate da tutti gli essere viventi, sia quelli che noi vediamo, come ad esempio la lepre, in generale prede e predatori, sia quelli che il nostro occhio non riesce a vedere, come batteri, virus e parassiti. Tra queste diverse specie si instaurano effettive o potenziali forme di interazione, come per esempio la predazione, la competizione per uso di risorse comuni, ma anche il parassitismo. Le malattie infettive e lo stato patologico ad esse connesso, si manifestano quando avviene la rottura dell`equilibrio normalmente esistente tra difese dell`organismo e agenti patogeni infettivi, come batteri, virus e parassiti, a favore di quest`ultimi. Le malattie che colpiscono gli animali selvatici a vita libera fanno quindi parte di un bilancio ecologico e non possono essere considerate solo come “un nemico da sconfiggere”, ma un elemento naturale da gestire nel limite delle capacità umane. Infatti, l’uomo non è in grado di intervenire sempre e con garanzia di successo nelle dinamiche naturali. In ogni caso, alla base della gestione vi è la raccolta di dati e informazioni, che, in termini di sanità, si esplica nella conoscenza dello stato sanitario delle specie selvatiche, e nella conoscenza dei patogeni (batteri, virus, parassiti) presenti nelle popolazioni selvatiche. Questo anche in considerazione del fatto che l’uomo stesso fa parte delle comunità ecologiche e come tale, unitamente agli animali domestici e di interesse zootecnico, può essere bersaglio della trasmissione di taluni patogeni presenti negli animali selvatici. Prendendo in considerazione la lepre, diverse sono i patogeni che possono albergare in questa specie, causando malattie ad andamento letale o stati patologici sub-­‐acuti o cronici che, pur non causando la morte direttamente, debilitano l’animale rendendolo più facilmente esposto ad altri patogeni ed ai predatori, riducendone la capacità di sopravvivenza, anche con meccanismi di immunodepressione. L’E.B.H.S. deve essere considerata come la principale patologia virale propria della lepre, in quanto capace di determinare alti tassi di mortalità esclusivamente in questa specie, laddove le popolazioni non siano immunologicamente protette, siano esse selvatiche o di animali allevati in cattività. E' tuttavia importante ricordare come l’impatto che in generale le malattie assumono e la capacità di gestirle in maniera efficace possono essere diversi a seconda del contesto in cui esse si manifestano, facendo riferimento in particolare a soggetti allevati in cattività o a animali allo stato libero. Per esempio, esiste la possibilità di vaccinare le lepri allevate per taluni patogeni, possibilità estrema e difficilmente percorribile, e forse non del tutto etica, per i soggetti selvatici. Per quanto riguarda le patologie batteriche, a conferma di quanto prima detto, nelle lepri di allevamento si osservano patologie scarsamente presenti negli animali a vita libera. In particolare, nei soggetti allevati adulti possono essere riscontrate con facilità patologie a carico dell’appartato respiratorio e/o riproduttivo, come la pasteurellosi, la yersinosi e la stafilococcosi, mentre i giovani sono più sensibili a patogeni enterici, come E. coli o clostridi. Di contro, negli animali selvatici, oltre alla yersioniosi e alla pasterellosi, vi sono altre patologie batteriche assai importanti come la tularemia e la brucellosi. Queste anche se rilevate sporadicamente nel contesto italiano, meritano di essere citate in quanto importanti patologie zoonosiche cioè trasmissibili all’uomo. La lepre non solo è potenziale veicolo dell’infezione, ma agisce anche come specie sentinella e, di conseguenza, il verificarne in questa specie l’eventuale presenza ha un ruolo fondamentale nella prevenzione della trasmissione ad altre specie domestiche e selvatiche ma soprattutto in termini di salute pubblica. Le parassitosi, e tra queste la principale è la coccidiosi, sono poco rilevanti nei soggetti adulti verosimilmente perché vivono in condizioni di isolamento; viceversa sono più importanti nei giovani e in particolare in soggetti posti a terra nei recinti d'ambientamento. Difficilmente, negli animali a vita libera, si riscontrano parassitosi così gravi da causare la morte dei soggetti colpiti. L’unica parassitosi che in condizioni di gravissim infestazione potrebbe causare la morte dell’animale è la cisticercosi, causta dalla forma larvale di una tenia dei canidi (Taenia pisiformis), ma anche di questa malattia avremo modo di riparlarne in maniera diffusa. 13 ANTONIO LAVAZZA
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Nella tabella sottostante sono riportate le principali patologie della lepre suddivise in base alla natura dell’agente eziologico virali, batteriche e parassitarie) e tra queste sono indicate quelle aventi proprietà zoonosiche. Alcune, inoltre sono oggetto di specifiche misure e norme legate all’importazione di soggetti destinati al ripopolamento. Tabella 1: Principali patologie della lepre endemiche in Italia (^normate per l’ importazione lepri; *zoonosi) Patologie Virali Patologie Batteriche Patologie parassitarie EBHS^ Fibromatosi nodulare Tularemia*^ Brucellosi*^ Pseudotubercolosi* Pasteurellosi Stafilococcosi Clostridiosi Listeriosi* Borreliosi* Leptospirosi* Parassitosi enteriche (coccidi vermi tondi, vermi piatti) Cisticercosi Toxoplasmosi* Il significato principale delle norme sanitarie è quello di impedire l’introduzione e diffusione di malattia a elevata diffusione epidemica e significato patologico quale sono, come anticipato, EBHS, tularemia e brucellosi. Allo stesso tempo è importante garantire il controllo delle altre malattie, endemiche o presenti con maggior frequenza. Tutto questo è ottenibile attraverso strategie mirate e differenziate a seconda del contesto: se si tratta di allevamenti possono essere adottati disciplinari e protocolli di profilassi diretta e indiretta, mentre sulle popolazioni selvatiche possono essere attuati piani di sorveglianza e monitoraggio finalizzati a conoscere l’incidenza e prevalenza delle varie infezioni, sia attraverso controlli sulle carcasse di animali deceduti (sorveglianza passiva) sia attraverso prelievi di sangue su animali da prelievo venatorio o da zone di ripopolamento. L’applicazione di un programma di monitoraggio sanitario si inserisce così nella gestione della lepre come parte integrante di un nuovo sistema che combinandosi con la gestione ambientale e faunistico-­‐venatoria definisce un approccio “integrato” della specie allo scopo di minimizzare il rischio di comparsa di malattie nella popolazione a vita libera, privilegiando così il ripopolamento che fa leva sulla produzione di soggetti ottenibili in aree di rispetto locali. 2.2 CALO DI POPOLAZIONI DI LEPRI: TANTE IPOTESI SULLE POSSIBILI CAUSE MA POCHE CERTEZZE La sempre maggior attenzione e curiosità, con cui i cacciatori affrontano le diverse problematiche che gravitano sulla pratica venatoria e che ne possono influenzare l’evoluzione, hanno portato negli ultimi anni a considerare l’esistenza di un connubio tra sanità, intesa anche come patologie, e fauna selvatica. Lo studio di quest’associazione appare vieppiù una necessità, se si considerano i trend in negativo, in alcuni casi allarmanti, che riguardano alcune specie selvatiche. Le popolazioni di lepre bruna (Lepus europeus) già da anni in drastica riduzione in tutta Europa per una serie di motivazioni e cause spesso concatenate (inquinamento ambientale, modifica e riduzione degli habitat, agricoltura intensiva, malattie come l’EBHS) sono oggi fonte di particolare preoccupazione per le basse numerosità riscontrate durante le fasi di cattura in diverse provincie della Pianura Padana. I fatti dicono che negli ultimi anni, ma in particolare durante la stagione venatoria 2013-­‐2014 e 2014-­‐2015, le stime di popolazioni eseguite con i censimenti autunnali, ma ancor più le catture di lepri nelle zone di ripopolamento e cattura a fine stagione di caccia, hanno fornito esiti preoccupanti con cali sensibili del numero di animali. Un fenomeno più o meno generalizzato, soprattutto nelle zone ad elevata intensità agricola della Pianura Padana, ma molto meno evidente nelle zone collinari appenniniche e prealpine. Tali riduzioni di consistenza del numero di lepri, suffragate anche da carnieri scarsi, hanno suscitato opinioni e pareri contrastanti soprattutto nel cercare di spiegarne le cause. Ipotesi varie, con una base 14 ANTONIO LAVAZZA
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tecnico-­‐scientifica o di pura fantasia, purtroppo più spesso basate su sentori e convinzioni individuali, che non su fatti e rilievi oggettivi, concreti e obiettivi. Perché se di diminuzioni si parla, non si può certo affermare che a determinarle sia una mortalità acclarata e definita in una fase specifica della vita della lepre. Di fatto non sono giunte segnalazioni di mortalità massive, non ci sono reperti di carcasse di animali morti, non vi è un elemento analitico di laboratorio con caratteristiche di unicità assoluta, a fornirci spiegazioni certe. Ciò induce a pensare che, se di mortalità si tratta, questa probabilmente si potrebbe essere verificata in una fase di età molto precoce della vita delle lepri, vale a dire subito dopo la nascita, e/o nel primo mese di vita. Si tratterebbe, quindi, come sostenuto da alcuni, di perdita di un elevato numero di soggetti giovani concentrata in un periodo dell’anno molto ristretto (aprile-­‐giugno) e, a controprova di ciò, vi sarebbe il rilievo nel corso dei censimenti primaverili di un tasso di riproduzione “normale”. Se questo fosse vero, verrebbe così esclusa un’altra possibilità da alcuni proposta, ossia quella di una mancata o ridotta capacità riproduttiva delle lepri da attribuire o a un elevato grado di consanguineità (altamente improbabile) o ad altre cause sub-­‐letali in grado di agire sul metabolismo animale (avvelenamenti subacuti-­‐cronici, micotossicosi, deficit alimentari, parassitosi croniche). Nel complesso quella della mancata riproduzione è probabilmente l’ipotesi più semplice da escludere se solo fosse possibile esaminare con regolarità gli uteri degli animali provenienti da prelievo venatorio, per stabilire, attraverso l’esame degli impianti uterini, se e quanto si sono riprodotte le lepri. Ovviamente questo passa attraverso una collaborazione dei cacciatori che dovrebbero rendersi disponibili a consegnare e a far esaminare in modo sistematico i visceri delle lepri prelevati in fase di eviscerazione. In poche parole se i cacciatori si facessero interpreti attivi di un piano di sorveglianza attiva e passiva, l’unico strumento in grado di fornire dati e indicazioni attendibili per cercare di capire l’origine del fenomeno di riduzione osservato. D’altra parte il particolare lasso temporale nel quale si verificherebbe la maggior perdita di animali (primavera) porta a considerare come plausibile l’ipotesi che stagioni particolarmente avverse da un punto di vista meteorologico con abbondanti precipitazioni per periodi di tempo prolungati possano effettivamente costituire un fattore limitante la sopravvivenza dei giovani leprotti. Tale situazione oltretutto giustificherebbe l’esistenza di differenze tra quanto osservato in collina/montagna, dove il dilavamento del terreno avverrebbe con più facilità, rispetto alle zone agricole di pianura dove si concretizzano con frequenza situazioni di vero e proprio allagamento con conseguente morte precoce degli animali per cause variabili e molteplici quali inanizione, affogamento, traumi o malattie condizionate (es. polmonite). Tuttavia, alcuni dati certi e acquisiti ci sono; ad esempio è un dato di fatto che la cisticercosi, una malattia parassitaria indotta dalle forme larvali di Tenia pisiformis, verme che vive da adulto nell’intestino di carnivori come gatto, cane, volpe e lupo, sia in forte espansione. Infatti, non solo si registra un aumento dei casi di parassitosi massiva, sotto forma di cisti multiple disseminate sugli organi interni e sierose, evidenziati come reperto incidentale durante lo scuoiamento ed eviscerazione di animali da prelievo venatorio, ma anche l’estensione territoriale in cui vengono segnalati tali casi è in rapida evoluzione con un’evoluzione da est verso ovest. Ai primi casi segnalati in Emilia Romagna qualche anno or sono, si associa la presenza segnalata in tempi recenti in diverse provincie lombarde (BS, MN, CR. BG, LO) ed anche in Piemonte. Ciononostante, è assai improbabile che la cisticercosi possa essere ritenuta la causa primaria e diretta della “scomparsa” di un numero così elevato di lepri, anche se non si può escludere una corresponsabilità nell’indurre uno stato di debilitazione e iporeattività metabolica e immunodepressione degli animali in un quadro eziopatogenetico multifattoriale. Un altro dato certo è che la diminuzione delle consistenze delle popolazioni di lepri non è da attribuire a un aumento di casi di EBHS. Questa malattia infettiva, causata da un lagovirus e caratterizzata da elevata virulenza, pur essendo in grado nel passato di causare focolai ad andamento epidemico con elevate mortalità, è oggigiorno presente in forma endemica nel nostro Paese senza causare danni ingenti. Infatti, i casi conclamati di EBHS, solitamente osservati nelle lepri adulte, sono stati diagnosticati assai sporadicamente in questi ultimi 2-­‐3 anni, a fronte invece di riscontro di popolazioni largamente protette da immunità attiva. Le prevalenze sierologiche riscontrate in diverse zone, ambiti e provincie anche nel corso della stagione appena conclusa, variano al variare delle densità e sono solitamente più elevate dove la 15 ANTONIO LAVAZZA
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densità è più alta, proprio perché queste sono le condizioni che predispongono a un’infezione attiva quando le lepri sono refrattarie alla malattia, ma in grado comunque di sviluppare un’immunità attiva senza ammalarsi, ovvero quando hanno un’età inferiore a 2-­‐3 mesi. Altre sono le ipotesi e le possibili spiegazioni che da più parti sono state avanzate allo scopo di interpretare il calo numerico delle lepri, incluso il possibile ruolo dell’avvelenamento per ingestione di sostanze fertilizzanti, pesticidi o antiparassitari usati in agricoltura, in particolare nelle zone a elevata produzione maidicola. Ancora una volta si tratta di ipotesi non confutabili ma neanche confermabili per la mancanza di reperti, le carcasse di soggetti morti, su cui condurre analisi chimiche residuali. Cosa si può dunque fare, in una situazione quale l’attuale che vede spesso i tecnici e i laboratoristi come spettatori impotenti e incapaci di trovare risposte certe ed elaborare soluzione e strategie per invertire il trend negativo delle popolazioni di lepre? E’ indispensabile che il mondo faunistico-­‐venatorio si scrolli di dosso l’immagine di semplice “raccoglitore” e inizi a vestire i panni del “gestore”, cioè di colui che si occupa in termini concreti della risorsa “natura”, avendo il privilegio e il compito di salvaguardarla. Questo implica un’oculata valutazione dei parametri strutturali, dei caratteri quali-­‐quantitativi e dello stato di salute delle popolazioni selvatiche. I cacciatori e gli addetti al settore (guardie volontarie, forestali, vigili provinciali etc.) possono quindi offrire un contributo efficace, economico e attuabile da tutti, sia per la cosiddetta “sorveglianza passiva”, vale a dire il recupero delle carcasse degli animali rinvenuti morti sul territorio, sia per una “sorveglianza attiva”, ovverosia consegnando il pacchetto di visceri degli animali abbattuti durante l’esercizio venatorio. In entrambi i casi, carcasse e visceri, dovranno essere conferiti alle Autorità Pubbliche (Provincia, CFS) e/o Strutture Sanitarie Veterinarie (ASL, IIZZSS, etc.) presenti su tutto il territorio nazionale per l’esecuzione delle opportune indagini. Nel concreto, quindi, l’unico metodo adeguato per il controllo delle popolazioni selvatiche e delle loro malattie è il monitoraggio, sia generale che mirato. In particolare, le attività di monitoraggio e controllo hanno lo scopo di raccogliere informazioni utili a una valutazione del rischio per gli stessi animali selvatici ma anche, più in generale, per le popolazioni domestiche di animali da reddito e per l’uomo stesso. Comune denominatore di ogni “Azione” deve essere la volontà e la convinzione da parte degli operatori e attori del mondo faunistico venatorio (tra cui la figura fondamentale del tecnico faunistico) ad attuare quei principi che sono fondamentali per una consapevole gestione sanitaria della fauna selvatica. Alla base di queste sfaccettature della gestione vi è la capacità di intervenire tempestivamente accorciando il tempo che intercorre tra la comparsa e/o introduzione di una patologia/sindrome in un territorio, la sua identificazione primaria e la definizione delle cause. Questo traguardo si può raggiungere solo se ogni singolo cacciatore acquisisce la consapevolezza che l’applicazione di quei principi sopra riportati non è solo attuabile ma anche un dovere di tutti i cacciatori. 2.3 SCHEDE SINTETICHE PATOLOGIE DELLA LEPRE BORRELIOSI E' un'infezione sostenuta da Borrelia burgdorferi
Vedi epidemiologia
Non descritte
Immunofluorescenza indiretta, consigliabile è l’utilizzo di uno stipite italiano di
Borrelia
Trasmessa da zecche (Ixodes ricinus), è ampiamente diffusa in Europa (Paesi
dell’Est)
Le informazioni sulla recettività della lepre e sul suo possibile ruolo di serbatoio,
cioè sulla possibilità di sviluppare una batteriemia persistente alla pari d'altri
micromammiferi selvatici, sono nulle.
La lepre potrebbe avere un ruolo di specie “sentinella” per fornire informazioni utili
sulla circolazione di B. burgdorferi sul territorio
E’ una patologa zoonosica.
Eziologia
Sintomatologia
Lesioni anatomo-patologiche
Diagnosi
Dinamica di diffusione
Carattere epidemiologico
Zoonosi
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BRUCELLOSI Eziologia
Sintomatologia
Lesioni anatomo-patologiche
Diagnosi
Dinamica di diffusione
Carattere epidemiologico
Normativa
Zoonosi
Nella lepre si osservano più spesso infezioni sostenute da B. suis biovar 2, di cui è
il principale serbatoio naturale.
L’ andamento solitamente è cronico (anche > 1 anno) e condizionato da fattori
predisponenti (condizioni climatiche avverse, mancanza di cibo, forti cariche
parassitarie).
Il quadro clinico iniziale descrive solo lesioni genitali, poi dimagramento, zoppie,
debolezza.
Le lesioni, a carico principalmente degli organi genitali, sono differenti nei due
sessi
- Nel maschio sono riscontrabili flogosi suppurativa dei testicoli, mono o
bilaterale, aumento di volume e consistenza, presenza di noduli e ascessi
confluenti caseosi.
- Nella femmina sono presenti scoli vaginali, piometra con contenuto caseoso,
noduli sulle ovaie.
E’ possibile valutare la presenza di noduli caseosi anche nel fegato, milza,
sottocute, linfonodi e infezioni articolari.
Esame batteriologico e sierologico indiretto
D.D. con stafilococcosi, pseudotubercolosi, tularemia.
Contatto con materiali infetti (invogli fetali, urine, feci, latte). Durante
l’accoppiamento, attraverso cute lesa e mucose.
Elevata resistenza dell’agente nell’ambiente esterno: 4 mesi in materiale organico
in ottimali condizioni.
Segnalata in Sud-Italia nel 1995 in lepri probabilmente importate.
La legislazione italiana prevede sulle lepri importate un'osservazione di 24hr e
l’esame sierologico su 5% dei soggetti d'età >1 anno.
Il rischio zoonosico non è tanto per B. suis tipo 2, ma per tipo 1 e 3 e B. abortus e
B. melitensis, che pure possono infettare la lepre.
La soppressione dei sospetti in aree endemiche, la rimozione e distruzione delle
carcasse, l’eliminazione dei feti e invogli fetali sono d’obbligo essendo una
possibile zoonosi. Anche il divieto di consumo delle carni d'animali infetti e l’obbligo
di denuncia sono essenziali per circoscrivere un eventuale focolaio.
TOXOPLASMOSI Eziologia
Sintomatologia
Lesioni anatomo-patologiche
Diagnosi
Dinamica di diffusione
Carattere epidemiologico
Zoonosi
Toxoplasma gondii, protozoo parassita intracellulere obbligato i cui ospiti definitivi
sono i felini, mentre ogni animale a sangue caldo può essere suo ospite
intermedio.
Reperti non costanti sono la perdita di diffidenza (diminuito istinto di fuga) e pelo
arruffato. Il decorso è acuto e porta a morte
Enterite emorragica, splenomegalia, iperplasia linfonodale con focolai di necrosi
biancastri, infiammazione della mucosa nasale con secrezioni.
Il parassita è evidenziabile in polmoni, fegato, milza, cuore e reni.
L’indagine mediante PCR è da effettuaesi solo dopo evidenti lesioni anatomopatologiche (principalmente splenomegalia).
Possibile la ricerca di anticorpi con metodo IFAT
D.D. pseudotubercolosi, pasteurellosi e tularemia
Infezione tramite le mucose o per ingestione di alimenti contaminati.
Sono state riscontrate positività sierologiche soprattutto negli allevamenti ma
segnalati anche casi clinici in selvatici (Danimarca, Cecoslovacchia, Svizzera,
Austria, Svezia e Italia).
Possibile zoonosi. Manipolare con attenzione le carcasse, non le carni delle lepri
infette.
Il decorso della malattia nell’uomo è per lo più asintomatico, fatta eccezione dei
soggetti immunodepressi. Particolare attenzione per le donne in corso di
gravidanza in quanto il parassita può determinare aborto, difetti congeniti,
soprattutto a livello oculare e nervoso.
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COCCIDIOSI Eziologia
Sintomatologia
Lesioni anatomo-patologiche
Diagnosi
Dinamica di diffusione
Carattere epidemiologico
Zoonosi
Si conoscono 8 tipi di coccidi del genere Eimeria che possono infestare la lepre; i
coccidi sono strettamente specie-specifici e non è possibile la cross-infezione con
il coniglio. I diversi coccidi propri della lepre sono: E. europaea, E. hungarica, E.
leporis, E. robertsoni, E. semisculpta, E. townsendi, E. stefanskii, E. babatica e E.
macrosculpta .
Le oocisti rimangono vitali a temperature tra i 10 e i 40°C e, in condizioni naturali,
possono rimanere infestanti da 49 giorni a 86 settimane a seconda della specie,
della temperatura, dell’umidità, dell’ossigenazione, dall’irradiazione solare, dalla
presenza di ombra e dal tipo di vegetazione.
I sintomi della coccidiosi sono febbre, diarrea siero-mucosa alternata a stipsi,
timpanismo, dimagramento, disidratazione ed un progressivo indebolimento
dell’animale che è così maggiormente esposto ai predatori. Ciò fa sì che ci sia una
sottostima dell’intensità di lepri morte per coccidiosi secondo le carcasse inviate in
laboratorio.
Nell’epitelio intestinale le lesioni più gravi sono date dalla progressiva
disepitelizzazione intestinale e conseguente assorbimento delle sostanze tossiche
derivate dalla normale fermentazione nonché infezioni batteriche secondarie.
Al tavolo anatomopatologico si possono osservare nell’intestino congestione,
piccoli focolai emorragici, piccoli noduli biancastri ed un contenuto intestinale
caseoso ed in parte fluido.
Esame al microscopio ottico sia a fresco, con prelievi provenienti dai diversi tratti
dell’intestino, sia dopo flottazione e sedimentazione del contenuto del grosso
intestino.
Il ciclo della malattia è oro-fecale, con infezione tramite l’ingestione delle cisti
sporulate nel terreno che restano infettanti per lungo tempo. L’emissione di oocisti
presenta un caratteristico andamento ciclico con il massimo grado di emissione di
oocisti durante il periodo autunnale per le favorevoli condizioni climatiche e
l’aumento della popolazione a seguito dei nuovi nati, peraltro più recettivi. Questo
processo, dinamico e ciclico, tende a mantenere in equilibrio il sistema ospite
parassita permettendo la sopravvivenza di entrambi e l’endemizzazione della
malattia.
Tra le parassitosi, la coccidiosi è la più importante causa di mortalità e colpisce in
particolare le lepri di età inferiore ai 2-4 mesi.
Questa parassitosi, se non adeguatamente controllata, è la causa di maggiore
mortalità nei parchetti di preambientamento dove, se mal gestiti, la mortalità può
raggiungere e superare il 50%.
La patologia non è zoonosica.
Aspetto macroscopico di coccidiosi. a) La presenza di aggregati
di oocisti (granulomi parassitari) è visibile come punti biancastri
in trasparenza attraverso la sierosa;
Aspetto macroscopico di coccidiosi. b) Enterite emorragica
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Reperto di coccidiosi al microscopio ottico.
Principali coccidi della lepre e loro localizzazione preferenziale (Gallazzi)
DISAUTONOMIA DELLA LEPRE Eziologia sconosciuta, probabile fattore tossico legato all'alimentazione
Cachessia, deperimento, diarrea e stipsi, morte
Dilatazione dello stomaco, paresi ciecale, splenomegalia, distensione della
vescica, presenza di muco nel retto. Lesioni istologiche tipiche a livello di neuroni
dei gangli del sistema nervoso autonomo e del sistema nervoso centrale.
Istologica.
Sconosciuta.
Segnalata nel 1990 in GB. Simile alla “grass sickness” del cavallo e alla sindrome
paresi ciecale-enterite mucoide del coniglio.
No
Eziologia
Sintomatologia
Lesioni anatomo-patologiche
Diagnosi
Dinamica di diffusione
Carattere epidemiologico
Zoonosi
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EBHS – SINDROME DELLA LEPRE BRUNA EUROPEA Eziologia
Sintomatologia
Lesioni anatomo-patologiche
Diagnosi
Dinamica di diffusione
Carattere epidemiologico
Zoonosi
Calicivirus, genere lagovirus, correlato antigenicamente al virus della Rabbit
Haemorragic Disease (RHD) del coniglio, ma distinto e senza possibilità di
cross-infezioni tra le due specie.
Il decorso può essere acuto, (morte dopo 72-96 hr dall’infezione), subacuto o
cronico (morte dopo le 96 hr od anche sopravvivenza). Sono evidenti delle
alterazioni comportamentali: disorientamento, difficoltà di movimento con
ondeggiamenti, ridotto istinto di fuga, tendenza ad avvicinarsi a centri abitati.
Decesso rapido. Difficoltà respiratorie, decubito laterale e fuoriuscita di liquido
siero-emorragico dalle narici possono comparire durante la fase agonica.
Nell’evoluzione cronica si può rilevare la comparsa di ittero a livello di
cartilagine auricolare e di mucose e un’imponente splenomegalia.
Il fegato appare aumentato di volume e congesto, con trama perilobulare
evidente, degenerato e di colore rosso-brunastro.La milza è di solito
notevolmente ipertrofica, con bordi arrotondati e intensa congestione. La
trachea appare congesta, edematosa e ripiena di liquido schiumoso sieroemorragico. Stomaco e vescica sono generalmente pieni. Reperti non
costanti sono la presenza di imbrattamento siero-emorragico delle narici,
enterite catarrale od emorragica, emorragie delle sierose, presenza di liquido
emorragico nelle cavità, ipocoagulabilità del sangue, congestione dei vasi
meningei.
Nell’evoluzione cronica, lo stato itterico è rilevabile dalla colorazione giallastra
del grasso, dell'intima dei vasi, delle mucose e del sottocute.
La diagnosi di sospetto è emessa in base alle lesioni che risultano
abbastanza caratteristiche. La diagnosi di certezza è basata sugli esami
virologici di laboratorio degli omogenati di fegato e milza o sangue mediante:
1. Virologica: ELISA “sandwich” test molto sensibile e specifico,basato
sull’utilizzo di siero iperimmune lepre e anticorpi monoclonali specifici antiEBHS.
2. Sierologia: ELISA “competizione” permette di rilevare anticorpi specifici
anti-EBHSV. Infatti, la risposta immunitaria che il virus dell’EBHS
determina è prevalentemente di tipo umorale, è apprezzabile in tempi
molto brevi (4-5 gg. dopo l’infezione), è persistente nel tempo ed è
totalmente protettiva.
Elementi e fattori essenziali che condizionano la diffusione:
1. la densità e la dinamica di popolazione.
2. la resistenza naturale giovanile.
3. il virus resiste per lungo tempo nell’ambiente (fino a 4 mesi con T° e UR
adeguate);
In zone ad alta densità la diffusione del virus è veloce ed efficiente: gli animali
giovani vengono in contatto con il virus molto precocemente sviluppando
un’immunità duratura ma non la malattia. Di contro, in zone a bassa densità la
lenta diffusione fa sì che più spesso siano gli animali sub-adulti ad infettarsi
con certo livello di letalità.
La lepre bruna rappresenta l’unica specie sensibile. L’infezione avviene per
via oro-nasale, per contatto diretto, tra animale malato e sano o, più
frequentemente, per via indiretta. Il virus presenta un’elevata resistenza
ambientale, le modalità di diffusione passiva sono molteplici: dai predatori (il
virus ingerito con la preda, viene escreto ancora infettante con le feci), agli
automezzi, all’uomo stesso.
La morbilità può raggiungere il 100% in una popolazione composta
interamente da soggetti sieronegativi, la mortalità è di circa il 30-50%,
venendo a morte solo soggetti di età superiore a 2-3 mesi.
Non è una patologia zoonosica.
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Carcassa di lepre deceduta per EBHS. Si apprezza il quadro
emorragico generalizzato
Degenerazione epatica: il fegato appare aumentato di volume,
friabile e di colore chiaro. La cogestione delle vene centrolobulari
determina il tipico quadro “a noce moscata”
Congestione splenica con conseguente splenomegalia
Polmone: congestione, edema ed emorragie
Modello deterministico: rapporto tra tra densità, prevalenza, tempo e letalità in aree dove l’EBHS è endemica.
alta densità (>15 ind/kmq)
bassa densità(<8 ind/kmq)
rapida trasmissione
lenta trasmissione
esposizione dei giovani in età non sensibile ( ≤ 2-3 mesi)
esposizione dei giovani in età sensibile ( ≥ 2-3 mesi)
BASSA MORTALITA’
ALTA MORTALITA’
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FIBROMATOSI NODULARE DELLA LEPRE Eziologia
Sintomatologia
Lesioni anatomo-patologiche
Diagnosi
Dinamica di diffusione
Carattere epidemiologico
Zoonosi
Malattia sostenuta dal Hare fibroma leporipoxvirus, un poxvirus correlato più
al virus del Fibroma del coniglio che non al virus della mixomatosi.
Noduli e tumori protrudenti singoli o multipli a livello di testa e zampe. Nelle
fasi croniche esitano aree alopeciche, talvolta ulcerate e sanguinanti o
ricoperte da croste. Anche se il tasso di mortalità è basso, le lepri
deperiscono diventando più sensibili ad eventuali infezioni secondarie.
La malattia si manifesta con tumori nodulari cutanei, singoli o multipli, del
diametro di 1-3 cm, localizzati soprattutto a testa, orecchie e zampe.
ME. Può essere confermata attraverso l'isolamento del virus in colture
cellulari renali primarie.
La malattia di trasmette attraverso il contatto diretto o tramite insetti
ematofagi; microlesioni o traumi cutanei possono agire da fattori
predisponenti.
La malattia è stata segnalata in Italia nel 1909 e successivamente fino al
1964; è ricomparsa solo all’inizio degli anni 2000 in lepri di allevamento o in
soggetti importati dall’Est Europa.
La morbilità è elevata ma la mortalità normalmente è molto bassa; si ha
guarigione spontanea in 1-3 mesi.
Non è una patologia zoonosica
Aspetti macroscopici di noduli.
Aree alopeciche, emorragiche, crostose e cicatrizzate che residuano dopo la escissione e caduta dei noduli
Particolare di sezione di un nodulo.
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LEPTOSPIROSI Eziologia
Sintomatologia
Lesioni anatomo-patologiche
Diagnosi
Dinamica di diffusione
Carattere epidemiologico
Leptospira interrogans. Più volte riscontrati anticorpi specifici in sieri di lepri
selvatiche, soprattutto verso la sierovariante grippothyphosa, ma anche verso
interrogans.
Nelle lepri con forma clinica, questa assume decorso subacuto/cronico.
Debolezza, interessamento renale, gastroenterite a decorso acuto o cronico.
Le lesioni sono riferibili a gastroenterite emorragica per la forma cronica.
La diagnosi definitiva si basa sulla dimostrazione della presenza di leptospire dal
sangue di soggetti con segni clinici riferibili alla patologia.
La ricerca nei sieri di lepri può dare falsi negativi perché la batteriemia è
transitoria.La presenza di leptospire in organi o fluidi corporei può essere effettuata
tramite PCR.
La trasmissione avviene tramite il contatto con urine infette di lesioni cutanee.
La sierovariante l.grippothyphosa ha come ospite di mantenimento il Microtus
arvalis, per cui è ipotizzabile un potenziale ruolo della lepre come ospite
accidentale
Zoonosi
La sua potenzialità zoonosica ne comporta l'obbligo di denuncia.
Nell’uomo provoca febbre, cefalea, dolori muscolari, encefalite. Attenzione nel
maneggiare le carcasse.
LISTERIOSI Eziologia
Sintomatologia
Lesioni anatomo-patologiche
Diagnosi
Dinamica di diffusione
Carattere epidemiologico
Zoonosi
Patologia sostenuta da Listeria monocytogenes; germe molto resistente in grado di
sopravvivere anche per anni in ambiente umido (insilati).
La malattia decorre in forma setticemica, con morte in pochi giorni.
Presenza di focolai necrotici al fegato; degenerazione miocardica; polomonite; a
volte encefalite suppurativa.
Isolamento tramite coltura batterica.
La listeria viene eliminata con feci, urine, secrezioni nasali; il contagio avviene
normalmente per ingestione di materiali infetti. Probabilmente in concomitanza con
fattori predisponenti (freddo, mancanza di cibo, carica parassitaria, cambio
d'alimentazione primaverile) il germe è in grado di infettare le lepri
Esistono differenze di virulenza tra ceppi ma, pur essendo molto diffuso in natura,
causa raramente malattia nei selvatici.
E’ una potenziale zoonosi. La sintomatologia è di tipo gastroenterico con rialzo
termico,nei casi in cui sia presente encefalite, questa porta a morte nel 30% dei
casi.
Nelle donne gravide l’infezione intrauterina può portare ad aborto.
SPIROCHETOSI Eziologia
Sintomatologia
Lesioni anatomo-patologiche
L'agente di questa malattia, conosciuta da 100 anni, ma raramente descritta, è il
Treponema paraluisleporis.
Causa una dermatite a livello orale e di prepuzio
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Diagnosi
Dinamica di diffusione
Carattere epidemiologico
Zoonosi
E’ eseguita mediante reazione con inchiostro di china e indagine istologica. La
diagnosi sierologica mediante T. pallidum HA test, IF o test d'immobilizzazione.
Contatto diretto
E' ampiamente diffusa in Olanda (sieroprevalenza 60%)
Può causare infertilità.
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PASTEURELLOSI Eziologia
Sintomatologia
Lesioni anatomo-patologiche
Diagnosi
Dinamica di diffusione
Carattere epidemiologico
Zoonosi
P. multocida che di solito causa decessi sporadici, tuttavia in concomitanza di
fattori che provocano indebolimento (freddo, umidità, mancanza di cibo, massive
infestazioni parassitarie) può assumere un carattere epizootico e causare gravi
perdite. La malattia in questa forma causa un aumento della virulenza del germe,
cosicché anche animali più forti sono contagiati.
L’andamento è iperacuto in forma setticemica, raramente subacuto-cronico.
Episodi acuti si esauriscono velocemente.
Sono evidenziabili depressione, apatia, difficoltà di respirazione, disturbi di
deambulazione che comportano difficoltà alla fuga. Reperti non rari possono
essere scolo nasale da siero-emorragico a purulento.
Soprattutto all’apparato respiratorio: congestione di trachea e laringe, flogosi
polmonare anche essudato fibrinoso emorragico su pleura, pericardio e peritoneo.
In corso di setticemia si può osservare splenomegalia e talvolta gastroenterite.
Le alterazioni più marcate sono nei casi subacuti: grave pleuropolmonite fibrinosa
con aderenze, essudati cavitari giallognoli e torbidi, necrosi puntiformi epatiche.
Esame batteriologico.
D.D. con stafilococcosi, pseudotubercolosi, tularemia, toxoplasmosi.
Il contagio avviene per contatto diretto (il germe sviluppa sulle mucose) o per
ingestione di cibo contaminato da feci infette.
I momenti più critici sono gli inverni e le primavere fredde e umide. Lo sviluppo dei
germi presenti sulle mucose rappresenta il primo passaggio dell’infezione,
successivamente si ha l’ingresso nel circolo ematico del batterio oppure
l’ingestione di cibo imbrattato da escrementi d'animali ammalati. L’epidemia
normalmente si risolve spontaneamente con il migliorare delle condizioni
climatiche.
Anche se è una patologia non zoonosica è d’obbligo l’eliminazione delle carcasse
(incenerimento, infossamento) e lo svolgimento dell’attività venatoria senza
l’utilizzo del cane.
Quadri di polmonite acuta e cronica coesistono: congestione, essudazione fibrinosa e purulenta e carnificazione
Dettaglio di una porzione apicale di un lobo polmonare con polmonite purulenta
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PSEUDOTUBERCOLOSI Eziologia
Sintomatologia
Lesioni anatomo-patologiche
Diagnosi
Dinamica di diffusione
Carattere epidemiologico
Zoonosi
Malattia sostenuta da un batterio, Yersinia pseudotuberculosis. Il germe mostra elevata
resistenza nell’ambiente; può replicare nell’acqua e rimane infettante nell’ambiente per
mesi.
La malattia evolve normalmente in forma cronica e dura da 8-10gg a diverse settimane,
rare sono le forme acute con morte in 3-4 gg. Può presentarsi in forma sporadica o
enzootica. In fase iniziale non sono apprezzabili sintomi e si rilevano lesioni solo
all’eviscerazione. Nei casi cronici è apprezzabile indebolimento, apatia, ridotto riflesso di
fuga.
Poco visibili nella forma acuta; in forma cronica sono presenti i tipici focolai di necrosi
bianco-grigia o giallastra ed ascessi a milza, fegato, polmoni, intestino e linfonodi. E’
sempre apprezzabile splenomegalia, a volte polmonite purulenta, emorragie della
mucosa gastrica ed enterite emorragica. Tipica è la presenza di focolai necrotici
all’appendice ciecale.
La presenza dei noduli e ascessi è indicativa, l'esame batteriologico con isolamento ha
valore di conferma. D.D. con tularemia, pasteurellosi, toxoplasmosi e brucellosi.
La comparsa della malattia è favorita dalle alte concentrazioni di animali, dai climi freddi
e umidi e dalla scarsa disponibilità di cibo. E’ una malattia stagionale, tipica degli autunni
piovosi e dei mesi freddi e umidi. Tramite ciclo oro-fecale ovvero il germe viene eliminato
con le feci e quindi ingerito con l’alimento. Il contatto diretto è poco importante.
La malattia è ampiamente diffusa nell’Europa centro-settentrionale, e in Italia è segnalata
regolarmente nel Nord dove è enzootica in alcune province. Colpisce la lepre, ma anche
il coniglio e altri roditori; segnalata raramente nel capriolo, uccelli e animali domestici.
E’ possibile l’infezione umana con l’eviscerazione, lo scuoiamento e la manipolazione
delle carcasse. La malattia si presenta con forme intestinali diarroiche acute e raramente
con lesioni articolari. Le carni di animali infetti non vanno consumate ma non è
obbligatoria la denuncia.
Essendo una potenziale zoonosi è importante eliminare le fonti di infezione ossia
rimozione delle carcasse ed eliminazione dei malati, morti o abbattuti con incenerimento
o infossamento previa denaturazione con calce, distruzione dei visceri di animali
apparentemente sani.
Una corretta gestione sanitaria della lepre può inoltre ridurre i fattori condizionanti: lotta a
parassiti, creazione di zone di riparo, disponibilità alimentari.
Splenomegalia in corso di esame autoptico.
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Focolai di necrosi giallastra ed ascessi a milza, fegato e reni.
Splenomegalia e focolai necrotici giallastri alla milza
CLOSTRIDIOSI DA Clostridium spiroforme Eziologia
Sintomatologia
Lesioni anatomo-patologiche
Diagnosi
Dinamica di diffusione
Carattere epidemiologico
Zoonosi
Clostridium spiroforme è un microrganismo Gram positivo, anaerobio obbligato,
sporigeno, di forma semi-circolare o elicoiadale in grado di produrre la iota-tossina.
Molto spesso non esistono sintomi patognomonici e la morte sopraggiunge nelle
forme acute-iperacute in 6/24 ore, si può verificare diarrea ed imbrattamento della
regione perineale.
Dall’esame anatomo-patologico nelle forme iperacute gli animali appaiono in
buono stato di nutrizione e senza evidenti segni di enterite, mentre nelle forme
acute si verificano quadri di tiflite, colitiflite catarrale, meteorismo, contenuto
intestinale liquido e piccole emorragie diffuse sulla sierosa.
Colorazione di Gram a fresco di raschiato della parete dell’intestino cieco.
Il batterio è normalmente presente nell’intestino cieco con basse concentrazioni.
Patogeno opportunista, che approfitta della compromissione delle normali difese
dell’ospite e dell’equilibrio della normale flora microbica per provocare gravi
disturbi a livello enterico, assistendo così ad una loro massiva moltiplicazione a
livello di intestino cieco.
Non è una patologia zoonosica.
Aspetti (a,b) del Cl. Spiroforme al microscopio ottico
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STAFILOCCOSI Eziologia
Sintomatologia
Lesioni anatomo-patologiche
Diagnosi
Dinamica di diffusione
Carattere epidemiologico
Zoonosi
Staphylococcus aureus, un germe molto resistente e ampiamente diffuso in natura,
anche su pelle e mucose
Può assumere decorso acuto (raro) e causare una forma setticemica con morte
rapida oppure, più frequentemente decorso cronico caratterizzato da ascessi
cutanei, nella muscolatura, organi interni e guaine tendinee. La morte in questo
caso può subentrare per debilitazione o predazione. Una forma particolare è
l'”eczema maligno” ossia un'infiammazione purulenta del bulbo pilifero a livello
plantare che può esitare in necrosi profonde.
Si può presentare una forma acuta con ascessi limitati, gastroenterite spleno ed
epatomegalia, emorragie petecchiali sulle sierose.
Nella forma cronica si rilevano d'ascessi diffusi sulla cute con possibile
imbrattamento e incrostazioni della pelliccia e a livello d'organi interni (fegato, rene,
milza, polmone, linfonodi) pleura e peritoneo, muscoli e tendini. Possibile
colliquazione purulenta dei testicoli.
La presenza degli ascessi è indicativa, l'esame batteriologico con isolamento ha
valore di conferma.
D.D. con pasteurellosi e pseudotubercolosi.
La trasmissione avviene attraverso pelle e mucose, soprattutto se lese a seguito di
ferite, morsi, graffi etc., oppure attraverso le mucose con cibi contaminati. Da qui il
germe passa nel sangue tramite il quale può raggiungere ed infettare altri organi e
tessuti.
La sua virulenza è variabile e la resistenza dell’organismo risulta decisiva nella
diffusione dell’infezione. Ciò implica una certa importanza da parte di fattori
condizionanti. Colpisce perlopiù singoli animali, raramente enzootica, ma molto
frequente.
I controlli sono da adottare solo in caso di mortalità elevata: abbattimento dei
soggetti deboli ed eliminazione controllata delle carcasse. Le carni non possono
essere destinate al consumo, in quanto vi è un potenziale zoonosico: l’uomo può
infettarsi eviscerando, scuoiando o sezionando le carcasse. Il germe può cosi
penetrare attraverso la cute a dare lesioni ascessuali a mani, braccia e linfonodi
regionali (ascellari). Possibili quadri d'enterotossemia se si tratta di ceppi produttori
di tossine.
Bibliografia 28 ANTONIO LAVAZZA
Università Federico II Napoli, “Scuola di Specializzazione in Tecnologia e Patologia delle Specie Avicole, del Coniglio e della Selvaggina” Napoli,
4-5 Giugno 2015
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