Editoriale
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Timore per Putin? Leggete qui
ono molti anni ormai che la Russia di Putin sta inviando segnali più che chiari sulla sua decisione di non essere più a lungo una potenza indebolita, travagliata e dipendente dall’Occidente come è dalla fine dell’Unione Sovietica.
L’elenco delle iniziative unilaterali di Mosca probabilmente supera quello di Washington nel corso degli ultimi
sei anni. Alcuni esempi. La Russia usa il suo potere di veto nel Consiglio di sicurezza dell’ONU per sostenere la Serbia e mandare in frantumi la speranza del Kossovo all’indipendenza. Nello stesso modo è la Russia che pone dei limiti a ciò che il Consiglio di sicurezza può o non può fare contro l’Iran e la Korea del Nord.
L’elenco continua. Il governo di Putin usa quella che
è stata definita la “pipeline diplomacy” per costringere
Paesi confinanti come la Bielorussia e l’Ucraina a sottomettersi al volere di Mosca e riconoscere la loro dipendenza dalle forniture energetiche russe, così come per rendere evidente che con questi due esempi si intende mandare un obliquo e minaccioso messaggio ai Paesi dell’Europa occidentale.
L’Estonia e la Lettonia sono state intimidite su ciò che
Mosca considera iniziative anti – russe, come la rimozione del memoriale al soldato Sovietico o il trattamento verso i cittadini di lingua russa.
Le compagnie petrolifere occidentali hanno scoperto
che i contratti per il controllo delle fonti energetiche non
sono necessariamente considerati come obbligazioni legalmente vincolanti dal governo russo. Ad esempio giganti
come BP ed EXXON, a lungo considerati gruppi autosufficienti, sono ora letteralmente costretti ad ammettere l’indebolimento della propria posizione contrattuale.
Nelle prime settimane di agosto i russi hanno inoltre
manifestato la loro nostalgia per la passata grandezza, dal
Polo Nord al Mediterraneo, passando dal Caucaso..
Ai primi di agosto un bomba veniva sganciata (senza
esplodere) sulla Georgia, mentre – contemporaneamente
- gli ammiragli russi facevano sapere essere per loro necessaria una presenza stabile della flotta nel Mediterraneo. Il tutto concluso – per ora – con l’annuncio del ripristino dei voli di intercettazione già in uso durante la Guerra Fredda, e dopo aver stracciato i Trattati del ’90 sulla co-
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operazione militare in Europa. La vicinanza tra loro degli
ultimi eventi può essere una coincidenza. Ma che la Russia sia tornata ad essere “assertiva” non è in dubbio.
L’incidente in Georgia avrebbe potuto essere molto serio. I rapporti tra Mosca e Tbilisi sono stati sul punto di rottura per mesi. Non ci sono collegamenti diretti di trasporto tra le due nazioni e le esportazioni di alimentari e vino
georgiani in Russia, sono vietati (naturalmente per ragioni sanitarie!). La Russia sostiene la secessione del Sud Ossetia e dell’Abkhazia che la Georgia sta provando a riprendersi e la bomba inesplosa avrebbe potuto essere il detonatore per una situazione ormai esplosiva. La Georgia ha
denunciato il fatto che la bomba sia stata sganciata da un
bombardiere russo SU-24 che avrebbe così violato lo spazio aereo. Mosca è accusata di “aperta aggressione” ed è
stata chiesta una riunione di emergenza dell’ONU. La Russia ha respinto le accuse indignata, sostenendo che la Georgia si sia tirata il missile da sola. Gli USA parlano prudentemente di una “provocazione” e l’Europa ha sollecitato tutte le parti a fermarsi in tempo.
L’ultima lite con la Georgia, tuttavia, non è la sola causa d’ansia per i Paesi confinanti.
Sempre in agosto il comando navale russo ha proposto di ripristinare la propria presenza permanente nel Mediterraneo con le flotte del Baltico e del Mar Nero. L’ ammiraglio Vladimir Masorin ha reso noto il piano durante
una sua visita a Sebastopoli.
Il collasso dell’Unione sovietica ha privato Mosca dei
porti chiave e le ha tolto le basi navali. Per anni la base navale russa in Siria è rimasta vuota. Il ritorno di una squadra navale russa in Siria è il sogno degli ammiragli ex sovietici ed un incubo per Israele che teme una riedizione della cooperazione russo-siriana, anche se molti analisti dicono che il panico sia prematuro, poichè la flotta russa è più
sulla carta che nella realtà.
Ma l’uscita sul ritorno nelle basi navali mediterranee
è stata – come si diceva - contemporanea all’uscita di Putin sul Polo Nord, mentre il Presidente russo riceveva al
Cremlino, il 7 agosto, Arthur Chilingarov . L’esploratore
aveva guidato due mini- sottomarini sotto la crosta artica
per piantare la bandiera russa sul Polo e come accadde a
Ivanov Papanin nel 1937, un simbolo della scuola di esplo-
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razione russa, che venne ricevuto da Stalin settantanni
prima, anche a Chilingarov è accaduto di ricevere le congratulazioni presidenziali con cui il capo della Russia ha
dichiarato che la “generazione di oggi degli esploratori polari continua la gloriosa tradizione degli eroici pionieri
artici”.
La rivendicazione di una continuità geologica del Polo Nord con la piattaforma oceanica su cui poggia la Russia, oltre ad essere un’assurdità, è tuttavia un fattore di destabilizzazione nell’ambito del diritto internazionale sull’esplorazione e sulla ricerca delle fonti energetiche sottomarine.
In ultimo la denuncia unilaterale dei Trattati sulle armi in Europa sottoscritto alla fine della Guerra Fredda e l’annuncio della imminente ripresa dei voli di intercettazione anche fuori dallo spazio aereo.
Le lancette della storia sembrano dunque portate indietro ai tempi del comunismo sovietico.
Secondo Paul Kennedy, direttore del centro di Studi sulla Sicurezza Internazionale dell’Università di Yale, “non c’è
nella storia della Russia, sin dai tempi di Ivan il Terribile,
nulla che ci dica che Putin stia facendo qualcosa di nuovo”.
Le sue azioni erano prevedibili, sostiene lo studioso americano, che aggiunge come Putin abbia trovato la porta spalancata dalla dipendenza del mondo dal petrolio e, soprattutto, per la “distrazione” degli USA impegnati nella lotta
al terrorismo e nella guerra in Iraq e Afganisthan.
Un fattore di crisi internazionale di lungo termine di
cui il Presidente russo si è (indirettamente) finora avvantaggiato ai danni della sicurezza nell’Occidente e dei diritti umani nel mondo islamico.
Sotto questa prospettiva colpisce la concomitanza tra
l’opposizione agli USA all’ONU sull’Iraq assieme alla Germania di Scroeder e la nomina della stesso Scroeder al vertice di Gazprom una volta perse le elezioni dall’ex Cancelliere tedesco, come un modo per ripagare direttamente i
propri “alleati”.
E colpisce che la ripresa di ruolo internazionale come
potenza, avvenga non sulla base di un vero cambiamento di regime e di un vero rilancio economico del Paese, ma
su una ripresa del confronto duro con l’Occidente e della
corsa al riarmo, verso cui finisce investito il denaro proveniente dalla vendita di gas e petrolio, messa in ombra agli
occhi dell’opinione pubblica occidentale dalla più immediata minaccia dell’aggressione terroristica islamista.
Che tutto questo non sia solo una combinazione tattica e momentanea lo fa ben capire Paul Kennedy che rivela come le odierne edizioni dei testi scolastici di storia siano tutte orientate a magnificare la passata grandezza della nazione russa, comunista o meno che fosse, e come sia
sostenuto dal governo il movimento giovanile “Naschi”
(che tradotto significa “Noi”) che propaganda nozioni come “America imperialista”, “Cecenia terrorista”, “Estonia
ingrata”. Questo movimento organizza campi estivi, attività ginniche e sportive.
Numerose centinaia di giovani sono state recentemente mobilitate contro l’Ambasciatore Britannico ed Estone.
“Come storico – dice Kennedy – sono sempre annichilito
dall’idea che l’educazione debba
essere approvata da qualche ministero”.
Dunque il dietro-front di Putin e l’irrigidimento internazionale russo sembrano intenzionati a coprire la prospettiva anche
delle generazioni venture. Purtoppo per tutti noi quando la storia è propaganda, non può essere “magistra vitae” e la Democrazia sembra destinata a rimanere
un privilegio dell’Occidente ancora per lungo tempo.
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