Lezione 1 5-‐3-‐2012 Tema del cambiamento e

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Lezione 1 5-­‐3-­‐2012 Tema del cambiamento e trasformazione a causa dell’impatto con la cultura occidentale. Le civiltà orientali però non erano affatto statiche prima del contatto con l’occidente. Storici dei paesi ex colonizzati hanno accusato storiografia occ di aver dipinto la storia asia e africa a uso e consumo dell’occidente e non aderente alla realtà (visione eurocentrica dell’oriente per perpetrare la dominazione occ su quelle zone soprattutto durante il periodo coloniale). Non sottoscriviamo una visione del mondo afroasiatico come statico prima dell’arrivo dell’europa. erano società molto elastiche e dinamiche ben prima dell’arrivo eu. Sistema delle caste. Paesi mai stati bloccati. Ciò non esclude però che il rapporto con occidente e impatto con esso sia stato molto significativo e abbia portato conseguenze profonde. Scuola storiografica “Subaltern studies” focalizzata sul colonialismo e le sue conseguenze in oriente; ha prodotto studi sulla visone eu della sanità, della concezione della malattia che fu portata in oriente (dove c’era una concezione olistica) compromissione equilibrio nella società…; però tralascia la storia precedente al colonialismo e esagera estremizzando trasformazioni negative che sarebbero comunque avvenute (es. rotte commerciali importanti già esistevano e nn contemplavano ancora l’eu sia per terra che per mare; i portoghesi primi ad affacciarsi sull’oceano indiano cominciarono ad appropriarsi di queste rotte). L’eu arriva in un mondo che già esiste però ha provocato conseguenze profonde portando valori ed idee estranee a quel mondo. È possibile entro certi limiti generalizzare: certe caratteristiche di fondo delle società afroasiatiche = 1. prevalenza della sfera del sacro che quasi ovunque è quella di riferimento che dà legittimazione a qualsiasi forma di potere ed autorità –certo concettualizzata differentemente e con diversa intensità nelle varie zone; concezione che pervade anche il mondo musulmano ed arabo contemporaneo; fattore che ha dato stabilità e legittimità al potere nel mondo musulmano e in quello indiano delle caste; es impero ottomano e persiano dopo la conquista islamica -­‐. 2. Importanza dei legami di sangue e parentali. La dimensione fondamentale della società è quella più elementare data dalla parentele della famiglia (estesa che forma i clan che a loro volta formano le tribù). Idea che un certo gruppo di persone siano legate dalla discendenza da un unico antenato (valido per mondo musulmano, india caste, cina confuciana con venerazione antenati come base del vivere sociale). Lealtà di sangue. 3. Contemporanea debolezza dell’Io dell’individuo, concetto importato appunto dagli occidentali. L’io, l’individuo non era fonte di valori. No diritti individuali e libertà individuali ma del gruppo. L’individuo è rilevante solo in quanto parte di un gruppo che a sua volta svolge un ruolo all’interno della società. 4. Idea della diseguaglianza. Per eu l’uguaglianza nella società è data per scontata. In paesi af le società sono diseguali  la disuguaglianza è valore fondante (es. india castale) = la società viene pensata come uno spazio composto di diversi gruppi –cui si appartiene per nascita-­‐, ognuno dei quali svolge una diversa funzione, gruppi gerarchizzati in un ordine connesso a valori sacri per cui l’idea del bene è vista come corretto funzionamento società e connessa al mantenimento disuguaglianza. Il bene collettivo discende dalla gerarchia. Trattato dell’Artha (politica in sanscrito; Artha): il buon principe è colui che sa conoscere le gerarchie in una data realtà e le sa mantenere. È colui che agisce di meno nei confronti delle consuetudini locali. Nel mondo islamico i trattati sulla politica e sul buon governo propongono una visione del buon governante come colui che sa mantenere le disuguaglianze presenti nella società. 5. Generalmente le società af nella loro struttura socio-­‐pol non potevano essere immaginate come società in cui lo stato o il governante interagisse con una società orizzontale imponendo la propria autorità (come esercizio del monopolio della forza Weber)direttamente su di essa. Esiste una pluralità di gruppi che esercitano funzioni importantissime delegate loro dal potere politico. In ogni società esisteva una serie di gruppi composti di nobili, confraternite religiose, corporazioni di mestieri cui era delegato mantenimento ordine, riscossione imposte, esercizio giustizia. Nobiltà locale, gruppi tribali, autorità reli, gruppi professionali (d'altronde come nell’eu medievale prima della nascita dello stato moderno!!!). Era uno stato limitato che delegava tantissimo. Era uno stato verticale con tanti livelli di intermediazione tra potere e società. Non esisteva il “despota orientale”: più spesso che no il governante nn esercitava direttamente il potere sul territorio. Testimonianza di viaggiatore fr tra fine ‘600 e ‘700: il sultano nn comanda. Ogni volta che vuole emettere decreto doveva avere prima consenso corte, poi quello di una serie di poteri locali che ovviamente potevano bloccarlo o renderlo inefficace. L’impatto con l’eu effettivamente mise in crisi questa organizzazione, cercando di importare un potere che agisse in modo moderno quasi meccanico, tendenza ad abolire queste figure di autorità locali. È solo tra 700 e 800 che in eu pienamente cambia la struttura dello stato e del potere, fino ad allora era molto simile a quello dei paesi af. L’influenza eu sarà solo tra tardo 700 e XIX secolo davvero importante, importando le sue nuove consolidate concezioni di potere e stato. Trasformazione interna profonda del mondo af. Non tutti i paesi dell’asia e africa sono stati colonizzati. Nel mondo asiatico tuttavia la colonizzazione diretta è stata più un’eccezione che la regola (avendo in mente l’india come quint’essenza del colonialismo). La maggior parte terr asiatico è stato indirettamente influenzato dall’occ, soprattutto l’imp ottomano, cinese, persiano… Controllo indiretto ugualmente profondo: es. persia mai stata colonizzata però profondamente penetrata dalle idee della modernità dell’occ, dalle idee della pol e dell’economia. Idea che ebbe impatto enorme: idea di nazione (che presuppone concetto di individuo, eguaglianza, società orizzontale)  nascita nazionalismi causata dall’influenza eu con questa idea di nazione. Idea trasferita alle proprie colonie e territori controllati che porterà a crisi imperi coloniali e richieste di indipendenza. • I modulo: valenza culturale, analisi diverse civiltà, in che modo in queste civiltà emergono e si formano le istituzioni socio-­‐pol, formazione specifiche concezioni di diritto, islam, civiltà indiana, asia sud orientale. • II modulo: tema del rapporto eu-­‐oriente (prima e dopo epoca moderna), dal 400 all’imperialismo coloniale, crisi imperi coloniali, nascita nazionalismi paesi af con approccio comparativo. Frequentanti: soprattutto appunti + materiale didattico sulla home page docenti; testi riferimento I modulo: -­‐Alessandro Bausani “Islam”, Garzanti oppure Giorgio Vercellin “Istituzioni del mondo Musulmano”. -­‐ Ira Lapidus “storia delle società islamiche” volume II. -­‐ Biardeau Madeleine “L’induismo”. -­‐ Luis Dumont “Homo hierarchicus” (solo alcuni capitoli). II modulo: -­‐Reinahrdt “Storia del colonialismo” (solo alcuni capitoli). -­‐ Droz “storia della decolonizzazione nel XX secolo”. Esame: due prove scritte e una orale. Una fine primo modulo, seconda a fine corso, orale x alzare la media scritti. Per chi fa solo gli scritti voto = media aritmetica. 8-­‐3-­‐2012 lezione2 Civiltà islamica Prima delle grandi civiltà che osserviamo è quella islamica. Non è certo la più antica, anzi è abbastanza recente (I metà VII sec. d.C.). essa ci consente di sottolineare aspetti di continuità e contiguità tra culture: ha avuto la grande importanza di unificare un grane spazio geografico (dalle coste occ. del maroccco fino all’insulindia e alla cina), spazio non unificato dall’islam per la prima volta (già durante epoca ellenistica sotto conquiste Alessandro Magno IV sec.). Cultura romano bizantino area mediterranea e parto-­‐sassanica nel bacino indiano. Si avranno traffici commerciali, una moneta universale di scambio (il Dinar), lingua araba come lingua franca ed universale di interazione per gli scambi commerciali e anche lingua religiosa. Avvento islam  creazione di una grande “economia mondo” che rappresenta un unicum nella storia dei paesi afroasiatici. Nascita civiltà islamica: la gran parte delle spiegazioni razionali che fanno uso di metodi propri di analisi sociologiche sono di origine europea e hanno sottolineato differenze con le altre religione monoteistiche, quelle musulmane invece hanno sottolineato la portata rivoluzionaria della nascita islam e sue differenze con eu. Ambiente in cui c’erano già delle influenze del monoteismo nel VII secolo (a nord penisola arabica c’era l’impero bizantino che aveva fatto penetrare monoteismo in questa area), erano già sorti dei regni arabi cristianizzati che facevano da ponte tra l’area di influenza cristiana e quella ancora pagana, l’ebraismo (II influenza monoteista) era presente nella penisola arabica e il profeta dell’islam entrò in contatto con le comunità ebraiche che a loro volta all’inizio diedero protezione a Maometto, ad est c’era anche l’influenza zoroastriana (antica religione persiana, non religione propriamente monoteista ma capace di influenzare riflessione su un’unica divinità grazie all’idea dicotomica del costante conflitto tra bene e male; concezione astratta del bene che può essere avvicinata alla visione del dio unico). Da pagana-­‐politeista la penisola arabica si muove verso il monoteismo e ci sono delle teorie europee che si sono basate sulle poche fonti storiche che esistono, sulle fonti islamiche, su tradizioni orali per individuare le tappe di questa evoluzione. Hijaz (definizione Hijaz): prevalenza ambiente desertico (nomadismo) + oasi (luoghi della sedentarietà) = complementarietà. Quello nomade era considerato lo stile di vita sovraordinato rispetto alla sedentarietà di cui però c’era bisogno per scambiare prodotti e procurarsi manufatti. Oasi anche importanti dal punto di vista religioso come centri di culti pagani. Haram = sacro, proibito  se un luogo era haram era di pace, in cui era proibito fare la guerra (oasi), luoghi ideali per l’interazione per l’incontro tra diversi gruppi tribali e mediazione di interessi. Un’oasi col tempo poteva diventare rinomata, importante e le tribù che la custodivano acquisivano a loro volta importanza. L’idea dominante è che l’islam debba la sua origine all’evoluzione di una di queste oasi, di questi luoghi haram: la Mecca –nell’hijaz-­‐ dove aveva sede il culto pagano della pietra nera (probabilmente un meteorite). Un culto pagano successivamente islamizzato. Questo culto che aveva luogo nell’oasi de la Mecca ascese nell’importanza religiosa nella regione e da locale divenne regionale e poi nazionale. Il dio di un grande pantheon pagano venerato era definito Allah (= dio) e gradualmente attraverso processo maturazione monoteismo arabo da un dio divenne Allah come dio unico. Islam da un lato enfatizza la discontinuità con ciò che c’era prima (come superamento religioni preesistenti) dall’altro recupererà molto delle religioni precedenti islamizzandole e cambiandone il significato (es. pietra nera diventerà simbolo dell’unico dio). I clan che custodivano luoghi sacri acquisivano importanza, quello di la Mecca era quello degli Quraish che, custodendo l’oasi, ebbe grande influenza. A questa tribù apparteneva Muhammad (= Maometto 572-­‐632 d.C.). Non sappiamo con esattezza quando la rivelazione di M. ebbe inizio (gli stessi musulmani non attribuiscono importanza a ciò). Bausani cita il 612 d.C. (prendendo per vero il fatto che la rivelazione sia avevnuta quando M. aveva 40); 622 d.C. emigrazione a Medina  data con significato sociopolitico e nn religioso. L’islam ha dovuto dare + importanza agli aspetti sociopolitici che a quelli religiosi. I musulmani credono che a un certo punto Allah si sia manifestato nella storia attraverso rivelazioni attraverso l’arcangelo Gabriele che le trasmise oralmente a M. e oralmente da lui tramandate. Oralità importante base del successivo testo coranico. Qu’ran = recitazione. Dal punto di vista islamico il corano è un complesso di rivelazioni che andrebbe recitato e memorizzato. La forma scritta è stata considerata da sempre come solo ausilio alla memoria. Ancora oggi memorizzarlo tutto e saperlo recitare con la giusta intonazione è un atto meritorio e chi lo sa fare è chiamato col titolo onorifico Hafiz (=custode). Secondo trad islamica il testo coranico è letteralmente parola di dio: M. nel dettare il contenuto rivelazioni non lo ha fatto con parole proprie, ma ha solo fatto da tramite per le parole che dio gli ispirava, dettava (≠ antico testamento con profeti che ripetono a parole proprie). Non c’è nulla di umano nel corano. Nella scienza dell’interpretazione coranica si è sviluppato il concetto di alterità del profeta rispetto la rivelazione divina. M. è umano, non ha nulla di sovraumano, è il + benedetto tra gli uomini non è accettabile che ci sia qualcosa di umano nella rivelazione. Qualunque offesa arrecata anche materialmente al testo coranico è pertanto grave. Dogma della irrepetibilità del testo coranico: esso è considerato talmente perfetto –anche nella sua composizione grammaticale e sintattica, arabo: lingua per l’epoca sconosciuta, c’erano solo dialetti-­‐ da essere prova della sua divina origine. Vi sono anche dei passaggi in cui A. rimprovera M. che voleva completare da solo la frase e gli dice qualcosa come “non correre, limitati a ripetere”. La storiografia eu e la scienza della storia religioni occidentale ha tentato di analizzare tutte le modalità delle rivelazioni e lo stesso Bausani nella prefazione alla trad. del corano ci conferma che l’analisi scientifica ha portato risultati positivi: rintracciate delle costanti comuni ad altre esperienze estatiche di altre religioni (es. Santa Caterina). Sono ricostruzioni sulla base di fonti storiche limitate. 112 Sure = capitoli del corano, ogni sura è poi divisa in versetti  sono ordinati sulla base della lunghezza. Distinzione tra 2 grandi gruppi di sure: 1. Meccane = quelle rivelate quando M. si trovava ancora a La Mecca. Contenuto di carattere spirituale, religioso. 2. Medinesi = rivelate in un secondo tempo, con M. rifugiato poco più a oriente a Medina. Contenuto di carattere sociopolitico. È comunque una divisione a posteriori. Notare che questa distinzione è valida anche a livello di contenuto  il trasferimento del profeta con la sua piccola comunità di credenti è un evento importante, avviene nel 622 e segna la nascita della prima comunità islamica e fonda il primo stato islamico della storia: la Umma = comunità politico-­‐religiosa universale dell’ Islam: non ha confini e non si limita a basarsi su un messaggio spirituale ma lo traduce in una comunità con una sua organizzazione, legge e struttura (carattere terreno, mondano della comunità islamica). M. decide di trasferirsi (Hijra = migrazione europizzato in Egira, nascita calendario Islamico) per problemi relativi all’accettazione del suo messaggio spirituale, una buona parte della comunità della Mecca si rifiutò di accettare la leadership politica di M. Conflitto di carattere politico. M. strinse un patto con la popolazione della città da lui ribattezzata Medina (= La città; si chiamava con nome ebraica di Yatrib) che accetta di riconoscerlo come capo comunità. Riedificazione simbolica di una città già esistente, importanza urbanità nel processo formazione islam. M. vuole prendere le distanze da ciò che esisteva prima, la reli stessa si pone come superamento di ciò che c’era prima. M. sceglie di fare dell’islam una religione urbana per eccellenza. Contraddizione: sì l’islam recupera molto, contraddizione tra ciò che viene dichiarato (discontinuità col passato) e ciò che viene fatto (recupero del passato). Per civiltà preesistente l’islam intende il politeismo (considerato immorale nell’ambito della rivelazione coranica). Jahiliya = tutto ciò che era preesistente all’islam  ignoranza, oscurità  termine molto forte con una forte connotazione morale: assenza di luce divina, assenza di moralità. Islam crea una nuova comunità che è diversa anche in termini antropologici: non si basa + sui legami di sangue tribali ma sulla fratellanza nell’aver accettato ed essersi sottomessi al dio unico. Il tribalismo –prima legame fondamentale-­‐ viene rifiutato come base fondante legittima della società. Islàm= sottomissione a dio; deriva dalla radice "S-­‐L-­‐M", ovvero "essere salvato". Muslim= colui che si sottomette al dio unico. Contrapposizione totale tra Umma (nuova società islamica)e la società tribale preesistente fatta di legami di sangue= Asabiya. L’islam rifiuta l’Asabiya, la nuova società è una di fratelli eguali che si riconoscono come sottomessi a dio ciò che l’islam ha affermato. Il sentimento del tribalismo non scomparirà mai del tutto e anche oggi la maggior parte delle società islamiche sono tribalizzate e hanno la famiglia estesa come base società. La prima Umma si costruisce attraverso affermazione forte rottura e discontinuità. Ricordare come troviamo delle tracce nello stesso corano di ciò, con dio che polemizza con la comunità dei beduini che a suo dire non avevano abbandonato i legami tribali ed il passato e avevano abbracciato l’islam solo superficialmente. Va sottolineato anche lo sforzo di abbandonare il conflitto che caratterizzava intrinsecamente le società tribali (essendo egalitarie ognuno poteva essere potenzialmente il leader); la guida era sempre temporanea e necessitava di continue enfatizzazioni e ribadimenti  ciò porta al conflitto che l’islam cerca di superare. Nella Umma il “dogma” diventa quello dell’impossibilità di fare guerra all’interno della comunità musulmana. Si sostituisce una società basata sull’armonia e unione della comunità. Musulmano che attacca un musulmano non può più dirsi tale. Orrore del conflitto intestino. Es. tra gli atti gravi contro dio e la religione che un credente può compiere –anche + grave della miscredenza-­‐ c’è la Fitna = sedizione, spaccatura della comunità  insulto a dio che ha voluto creare tale comunità. Importanza unità comunità come riflesso terreno del dio unico. Concetto dell’ unicità e unità di dio= Tawhid  dio è uno e unico (non è possibile scindere la sua essenza cm nella riflessione cristiana). La comunità musulmana in quanto governata da dio è pertanto una e unica. Nella storia dell’islam ci sn stati relativamente pochi scismi, uno veramente importante (quello tra sunniti e sciiti). Incredibile capacità della ricomposizione conflitti sia in termini giuridici che teologici. Ovviamente conflitto interno alla comunità musulmana, non certo esterno. L’islam ha avuto la tendenza a considerare tutti gli elementi esteriori come forieri di conflitto. Importanza dei comportamenti esteriori  dissenso manifestato esteriormente è molto più grave che quello tenuto privato. L’islam si interessa relativamente poco in termini di coscienza. Dio indica sì agli uomini un percorso di perfezione x avere posto nel regno dei cieli + comanda di dare vita a una comunità socio politica su questa terra (messaggio + potente di quello spirituale). Nell’islam il regno di dio è già in questo mondo. La perfezione secondo la rivelazione coranica è già ora e si è data nel 622. È perciò evidente che l’ottica musulmana finisce per essere molto + esteriore. Il diritto e la legge disciplinano la comunità e perciò diventano la scienza islamica per eccellenza. 9-­‐3-­‐2012 lezione3 Rapporto tra aspetto religioso e politico nella rivelazione coranica tema di discussione anche nell’epoca contemporanea: religione e politica inscindibili nell’islam? dal punto di vista teorico è una visione corretta, come sul piano dei valori. Dio pone l’obbligo di formare una comunità socio politica, la più perfetta che l’uomo abbia visto sulla terra. Due dimensioni connesse. È difficile dare una risposta soddisfacente alla domanda se esista o meno una gerarchia tra le due dimensioni se ragioniamo dal punto di vista islamico. Il momento mistico della rivelazione riporta ad un contenuto che è intrinsecamente laico dal nostro punti di vista: quello di fondare una comunità. Campanini ne “L’islam e la politica” sostiene che cercare una gerarchizzazione è un tentativo molto eurocentrico ma non è il modo islamico di vedere le cose. I musulmani vedono un rapporto paritario tra religione e politica dal punto di vista teorico. Nella prassi, nella storia i due aspetti hanno trovato una definizione diversa e gradualmente l’islam ha introdotto una divisione tra i due momenti. Non significa che gli aspetti spirituali siano assenti, anzi svolgono un ruolo importante soprattutto nella prima fase di comparsa del messaggio divino, fase che si chiude con la fondazione di Medina. In questa fase M. è descritto come profeta con caratteristiche spirituali che è solito cadere in una sorta di trance mistica + aspetti (assenti nella fase medinese) in cui M. sembra avere delle qualità sovraumane compiendo dei miracoli per dimostrare la propria qualità di prescelto divino. Dalla fase meccana a quella medinese gli aspetti spirituali legati alla figura di M. si trasformano in socio politici: M. diventa anche un capo militare e soprattutto politico per mantenere unità della comunità. Dal 622 importante esigenza di fondare e mantenere la comunità islamica. Le sure medinesi effettivamente trattano quasi esclusivamente di questioni che nn hanno più a che fare col rapporto uomo-­‐divinità (ormai dimostrato e chiarito) ma dei i rapporti uomo-­‐uomo. Si enfatizzano gli aspetti umani di M. nascita una delle principali fonti di diritto: la Sharia= legge (esempio del profeta e del suo comportamento sunna = tradizione). E’ il migliore degli uomini che può servire da modello di comportamento. Non è raro trovare nel testo coranico dei passaggi che possono apparire contraddittori che giustificano entrambe le dimensioni apparente contraddizione spiegata attraverso interpretazione cronologica. Cmq grande tradizione orale che per molti anni è rimasta tale, solo poi trascritta (oltretutto in modo discontinuo e non sistematico). Corano: descrizione di un’esperienza religiosa genuina vissuta da parte di un popolo. Esempi rispetto il libero arbitrio (una delle questioni teologiche che ha impegnato la comunità) cercando le risposte nel corano è possibile trovare diverse risposte. Definizione aspetto politico dal 622 porta con se l’importanza che assume la legge nella comunità. L’accento della comunità si sposta sugli aspetti etici (cosa è bene e ciò che è male). Il comandamento etico trova la sua istituzionalizzazione nel diritto. Diritto islamico: 1. Sharia = il diritto islamico –traduzione occidentale insoddisfacente perché utilizza una categoria occidentale come “diritto” che però non copre tutte le ramificazioni che essa ha nell’ambito islamico-­‐. Regola anche i rapporti che esistono tra uomo e dio. Legge religiosa + diritto privato, pubblico, penale, commerciale. Copre uno spazio enorme rispetto la nostra più limitata concezione del diritto. Etimologicamente significa “la via diritta” (“la via diritta che conduce all’acqua” –bene, salvezza-­‐). Si ritiene dal punto di vista islam un corpus di norme di origine divina. La base del suo corpus è il testo coranico. Tecnicamente non esistono dogmi nell’islam a causa dell’idea dell’onnipotenza divina che non può essere limitata in nessun modo, per lo stesso motivo non esistono né liturgia né sacramenti. 2. Fiqh = giurisprudenza. Indica un’attività umana, l’attività della giurisprudenza. Come si conciliano i due aspetti? Si deve tener presente l’evoluzione storica della comunità. Essa non aveva all’inizio alcuna linea guida né direttiva specifica su come organizzare la comunità è stata la comunità attraverso l’uso del consenso al suo interno a considerare il corpus della rivelazione coranica il corpus base per l’organizzazione comunità. Man mano che la comunità crebbe in importanza e complessità, il testo coranico si rivelò insufficiente come codice di norme. Emerse esigenza di trovare altri codici e norme. La comunità trovò spontaneamente la figura del profeta ed il suo esempio come seconda fonte complementare al corano del diritto (nel corano dio dice “voi avete nel mio messaggero un esempio buono”). Vennero così a formarsi le prime due fonti della Sharia: 1) Il Quran. 2) La sunna tradizione, ciò che il profeta ha fatto e detto. Nella pratica eredità dei costumi arabi preislamici. I costumi e i comportamenti degli avi come paradigmatici. Una minima parte degli episodi che hanno come protagonista il profeta sono non verbali. Episodi della sunna in cui il profeta davanti una domanda è rimasto silente e anche da qui si è cercato di trarre una norma, un significato. Spesso protagonisti sono anche i compagni + stretti del profeta. Si compone di singoli episodi che vengono chiamati Hadith. Anche essa è una fonte orale. Dopo la morte del profeta nel 632 si sono iniziati a raccogliere gli esempi di M. Il periodo di formazione della sunna dal VII al X sec. d.C.  fenomeno storico paragonabile alla trascrizione dei vangeli nella tradizione cristiana. Fase di selezione tra testimonianze attendibili o meno. Più ci si allontana dalla morte del profeta, più diventava difficile. Si inventa una scienza che studia l’attendibilità degli Hadith. Hadith si compone di due parti: la prima Matn= episodio vero e proprio + Isnad= catena delle testimonianze. In tutto ci sono tre o quattro raccolte di sunna, quelle che accettano solo gli Hadith Sahi=autentici, in cui ogni testimone è considerato veritiero. La sunna ha avuto nel tempo un’importanza enorme: il profeta M. ha continuato anche nelle epoche successive ad essere considerato come l’esempio buono per eccellenza. Anche nei momenti di crisi dell’islam c’è stata la tendenza a guardare a M. come punto di riferimento, perfetto credente e uomo. Vi è stato un problema nell’invenzione delle tradizioni. Sunna: grande arena di competizione in cui diversi settori della comunità sono entrati in conflitto tentando di presentare la propria visione del profeta per giustificare i propri comportamenti. No c’è stata mai un’autorità decidente, ma era la Umma a decidere, la comunità. Quando un certo numero di dotti conveniva sull’autenticità delle raccolte esse venivano accettate come codice di norme. Entro 632 la comunità si allarga a tutta la penisola arabica, poi maghreb, territori già bizantini, impero persiano-­‐sassanide già nel VII secolo. Un grande stato musulmano già multiculturale e multinazionale aveva bisogno di reperire altre fonti per gestire una comunità così complessa. La comunità sarà costretta ad accettare che l’uomo potesse ragionare sul diritto estrapolando norme non contenute in modo chiaro né nel testo coranico né nella rivelazione profetica. Come giustificare l’attività giurisprudenziale come frutto della sola ragione del mondo? Ci sarà una diversità di opinioni che si tradurranno in moltissime scuole giuridiche islamiche tra VII e X sec. che si andranno a dividere proprio sul tema di fino a che punto l’uomo si può spingere ad integrare ciò che dio o il profeta hanno stabilito. Oggi ne esistono solo 4. Scuola Hanbalita fondata da Ibn Hanbal, ufficiale nell’arabia saudita ammette solo un minimo spazio interpretativo all’uomo, molto rigorista. Attraverso l’intervento dell’uomo sono nate altre 2 fonti di legge = le fonti complementari. 3) Ijma= consenso di tutta la comunità e nella pratica dei dotti. Estensione concetto alla base sunna del comportamento predecessori. Quando la comunità difronte ad un punto controverso di diritto proponeva una soluzione, se essa era accettata dalla maggioranza comunità e suoi personaggi più influenti, il punto diventava legge. Richiede consenso maggioranza comunità + tempo. Differenza tra sunna e questa è più cronologiche che di concetto: la sunna si applica alla generazione del profeta e dei suoi compagni, poi si applica la Ijma. 4) Quiyas= ragionamento per analogia. Fonte sempre più ardita. Difronte ad un problema insolubile facendo riferimento alle prime tre i dotti possono estrapolare nuove fonti confrontando il problema con altri simili risolti in precedenza. Procedimento puramente razionale. È l’uomo che attraverso la razionalità forma una fonte. C’è stata una fase intermedia in cui diversi studiosi nella comunità hanno prodotto un grande numero di analogie anche in modo molto libero. Questa sorta di metodo progenitore del Quiyas si chiama Ra’y (da una radice araba che significa “io penso”). Vanno viste tutte e 4 come parti di un unico ragionamento. La sharia è conclusa già nel X sec. d.C., data spartiacque in cui la comunità decide di terminare il processo formazione sharia chiudendo la porta dell’interpretazione= Ijtiahad. Era fatto divieto a qualunque giurista di riflettere e studiare le fonti di diritto per estrapolare nuove norme. Conformarsi acritico alle interpretazioni del passato= Taqlid. Evento importante soprattutto nelle epoche successive: questa scelta di terminare l’interpretazione ha ovviamente irrigidito l’islam rendendolo incapace di confrontarsi con la modernità. Era necessario riaprire la porta. Ma ancora oggi il diritto continua ad essere teoricamente chiuso. Esiste ancora un’attività giurisprudenziale ma si è ridotta al commento di trattati giuridici preesistenti. Fatwa= decreto che chiarisce l’interpretazione corretta secondo la scuola giuridica di appartenenza non è un’opinione accettata dalla maggioranza della comunità, non fa diritto. Ma nelle cose spicciole aiuta. Può essere anche contraddetta da un altro giurista. Prima del X secolo l’islam mostra il suo volto innovativo e la sua capacità di accettazione di contenuti e innovazioni provenienti da culture altre, flessibile ed elastico. Dopo si cristallizza ed irrigidisce, perde capacità innovativa e molti dei problemi che attribuiamo all’islam come la sua antimodernità sono dovuti all’interpretazione del diritto cristallizzata al X secolo d.C.  questo vale per il mondo sunnita. Quello sciita ha avuto un tempo leggermente + prolungato di adattamento giuridico. 9-­‐3-­‐2012 lezione3 Rapporto tra aspetto religioso e politico nella rivelazione coranica tema di discussione anche nell’epoca contemporanea: religione e politica inscindibili nell’islam? dal punto di vista teorico è una visione corretta, come sul piano dei valori. Dio pone l’obbligo di formare una comunità socio politica, la più perfetta che l’uomo abbia visto sulla terra. Due dimensioni connesse. È difficile dare una risposta soddisfacente alla domanda se esista o meno una gerarchia tra le due dimensioni se ragioniamo dal punto di vista islamico. Il momento mistico della rivelazione riporta ad un contenuto che è intrinsecamente laico dal nostro punti di vista: quello di fondare una comunità. Campanini ne “L’islam e la politica” sostiene che cercare una gerarchizzazione è un tentativo molto eurocentrico ma non è il modo islamico di vedere le cose. I musulmani vedono un rapporto paritario tra religione e politica dal punto di vista teorico. Nella prassi, nella storia i due aspetti hanno trovato una definizione diversa e gradualmente l’islam ha introdotto una divisione tra i due momenti. Non significa che gli aspetti spirituali siano assenti, anzi svolgono un ruolo importante soprattutto nella prima fase di comparsa del messaggio divino, fase che si chiude con la fondazione di Medina. In questa fase M. è descritto come profeta con caratteristiche spirituali che è solito cadere in una sorta di trance mistica + aspetti (assenti nella fase medinese) in cui M. sembra avere delle qualità sovraumane compiendo dei miracoli per dimostrare la propria qualità di prescelto divino. Dalla fase meccana a quella medinese gli aspetti spirituali legati alla figura di M. si trasformano in socio politici: M. diventa anche un capo militare e soprattutto politico per mantenere unità della comunità. Dal 622 importante esigenza di fondare e mantenere la comunità islamica. Le sure medinesi effettivamente trattano quasi esclusivamente di questioni che nn hanno più a che fare col rapporto uomo-­‐divinità (ormai dimostrato e chiarito) ma dei i rapporti uomo-­‐uomo. Si enfatizzano gli aspetti umani di M. nascita una delle principali fonti di diritto: la Sharia= legge (esempio del profeta e del suo comportamento sunna = tradizione). E’ il migliore degli uomini che può servire da modello di comportamento. Non è raro trovare nel testo coranico dei passaggi che possono apparire contraddittori che giustificano entrambe le dimensioni apparente contraddizione spiegata attraverso interpretazione cronologica. Cmq grande tradizione orale che per molti anni è rimasta tale, solo poi trascritta (oltretutto in modo discontinuo e non sistematico). Corano: descrizione di un’esperienza religiosa genuina vissuta da parte di un popolo. Esempi rispetto il libero arbitrio (una delle questioni teologiche che ha impegnato la comunità) cercando le risposte nel corano è possibile trovare diverse risposte. Definizione aspetto politico dal 622 porta con se l’importanza che assume la legge nella comunità. L’accento della comunità si sposta sugli aspetti etici (cosa è bene e ciò che è male). Il comandamento etico trova la sua istituzionalizzazione nel diritto. Diritto islamico: 3. Sharia = il diritto islamico –traduzione occidentale insoddisfacente perché utilizza una categoria occidentale come “diritto” che però non copre tutte le ramificazioni che essa ha nell’ambito islamico-­‐. Regola anche i rapporti che esistono tra uomo e dio. Legge religiosa + diritto privato, pubblico, penale, commerciale. Copre uno spazio enorme rispetto la nostra più limitata concezione del diritto. Etimologicamente significa “la via diritta” (“la via diritta che conduce all’acqua” –bene, salvezza-­‐). Si ritiene dal punto di vista islam un corpus di norme di origine divina. La base del suo corpus è il testo coranico. Tecnicamente non esistono dogmi nell’islam a causa dell’idea dell’onnipotenza divina che non può essere limitata in nessun modo, per lo stesso motivo non esistono né liturgia né sacramenti. 4. Fiqh = giurisprudenza. Indica un’attività umana, l’attività della giurisprudenza. Come si conciliano i due aspetti? Si deve tener presente l’evoluzione storica della comunità. Essa non aveva all’inizio alcuna linea guida né direttiva specifica su come organizzare la comunità è stata la comunità attraverso l’uso del consenso al suo interno a considerare il corpus della rivelazione coranica il corpus base per l’organizzazione comunità. Man mano che la comunità crebbe in importanza e complessità, il testo coranico si rivelò insufficiente come codice di norme. Emerse esigenza di trovare altri codici e norme. La comunità trovò spontaneamente la figura del profeta ed il suo esempio come seconda fonte complementare al corano del diritto (nel corano dio dice “voi avete nel mio messaggero un esempio buono”). Vennero così a formarsi le prime due fonti della Sharia: 5) Il Quran. 6) La sunna tradizione, ciò che il profeta ha fatto e detto. Nella pratica eredità dei costumi arabi preislamici. I costumi e i comportamenti degli avi come paradigmatici. Una minima parte degli episodi che hanno come protagonista il profeta sono non verbali. Episodi della sunna in cui il profeta davanti una domanda è rimasto silente e anche da qui si è cercato di trarre una norma, un significato. Spesso protagonisti sono anche i compagni + stretti del profeta. Si compone di singoli episodi che vengono chiamati Hadith. Anche essa è una fonte orale. Dopo la morte del profeta nel 632 si sono iniziati a raccogliere gli esempi di M. Il periodo di formazione della sunna dal VII al X sec. d.C.  fenomeno storico paragonabile alla trascrizione dei vangeli nella tradizione cristiana. Fase di selezione tra testimonianze attendibili o meno. Più ci si allontana dalla morte del profeta, più diventava difficile. Si inventa una scienza che studia l’attendibilità degli Hadith. Hadith si compone di due parti: la prima Matn= episodio vero e proprio + Isnad= catena delle testimonianze. In tutto ci sono tre o quattro raccolte di sunna, quelle che accettano solo gli Hadith Sahi=autentici, in cui ogni testimone è considerato veritiero. La sunna ha avuto nel tempo un’importanza enorme: il profeta M. ha continuato anche nelle epoche successive ad essere considerato come l’esempio buono per eccellenza. Anche nei momenti di crisi dell’islam c’è stata la tendenza a guardare a M. come punto di riferimento, perfetto credente e uomo. Vi è stato un problema nell’invenzione delle tradizioni. Sunna: grande arena di competizione in cui diversi settori della comunità sono entrati in conflitto tentando di presentare la propria visione del profeta per giustificare i propri comportamenti. No c’è stata mai un’autorità decidente, ma era la Umma a decidere, la comunità. Quando un certo numero di dotti conveniva sull’autenticità delle raccolte esse venivano accettate come codice di norme. Entro 632 la comunità si allarga a tutta la penisola arabica, poi maghreb, territori già bizantini, impero persiano-­‐sassanide già nel VII secolo. Un grande stato musulmano già multiculturale e multinazionale aveva bisogno di reperire altre fonti per gestire una comunità così complessa. La comunità sarà costretta ad accettare che l’uomo potesse ragionare sul diritto estrapolando norme non contenute in modo chiaro né nel testo coranico né nella rivelazione profetica. Come giustificare l’attività giurisprudenziale come frutto della sola ragione del mondo? Ci sarà una diversità di opinioni che si tradurranno in moltissime scuole giuridiche islamiche tra VII e X sec. che si andranno a dividere proprio sul tema di fino a che punto l’uomo si può spingere ad integrare ciò che dio o il profeta hanno stabilito. Oggi ne esistono solo 4. Scuola Hanbalita fondata da Ibn Hanbal, ufficiale nell’arabia saudita ammette solo un minimo spazio interpretativo all’uomo, molto rigorista. Attraverso l’intervento dell’uomo sono nate altre 2 fonti di legge = le fonti complementari. 7) Ijma= consenso di tutta la comunità e nella pratica dei dotti. Estensione concetto alla base sunna del comportamento predecessori. Quando la comunità difronte ad un punto controverso di diritto proponeva una soluzione, se essa era accettata dalla maggioranza comunità e suoi personaggi più influenti, il punto diventava legge. Richiede consenso maggioranza comunità + tempo. Differenza tra sunna e questa è più cronologiche che di concetto: la sunna si applica alla generazione del profeta e dei suoi compagni, poi si applica la Ijma. 8) Quiyas= ragionamento per analogia. Fonte sempre più ardita. Difronte ad un problema insolubile facendo riferimento alle prime tre i dotti possono estrapolare nuove fonti confrontando il problema con altri simili risolti in precedenza. Procedimento puramente razionale. È l’uomo che attraverso la razionalità forma una fonte. C’è stata una fase intermedia in cui diversi studiosi nella comunità hanno prodotto un grande numero di analogie anche in modo molto libero. Questa sorta di metodo progenitore del Quiyas si chiama Ra’y (da una radice araba che significa “io penso”). Vanno viste tutte e 4 come parti di un unico ragionamento. La sharia è conclusa già nel X sec. d.C., data spartiacque in cui la comunità decide di terminare il processo formazione sharia chiudendo la porta dell’interpretazione= Ijtiahad. Era fatto divieto a qualunque giurista di riflettere e studiare le fonti di diritto per estrapolare nuove norme. Conformarsi acritico alle interpretazioni del passato= Taqlid. Evento importante soprattutto nelle epoche successive: questa scelta di terminare l’interpretazione ha ovviamente irrigidito l’islam rendendolo incapace di confrontarsi con la modernità. Era necessario riaprire la porta. Ma ancora oggi il diritto continua ad essere teoricamente chiuso. Esiste ancora un’attività giurisprudenziale ma si è ridotta al commento di trattati giuridici preesistenti. Fatwa= decreto che chiarisce l’interpretazione corretta secondo la scuola giuridica di appartenenza non è un’opinione accettata dalla maggioranza della comunità, non fa diritto. Ma nelle cose spicciole aiuta. Può essere anche contraddetta da un altro giurista. Prima del X secolo l’islam mostra il suo volto innovativo e la sua capacità di accettazione di contenuti e innovazioni provenienti da culture altre, flessibile ed elastico. Dopo si cristallizza ed irrigidisce, perde capacità innovativa e molti dei problemi che attribuiamo all’islam come la sua antimodernità sono dovuti all’interpretazione del diritto cristallizzata al X secolo d.C.  questo vale per il mondo sunnita. Quello sciita ha avuto un tempo leggermente + prolungato di adattamento giuridico. 13-­‐3-­‐2012 Lezione4 I generazione = dei compagni; II generazione = dei seguaci. Chi era esistito prima era più vicino alla perfezione, in quanto più vicini cronologicamente al profeta (o addirittura suoi conoscenti). Sclerotizzazione dell’islam: incapacità dell’islam di adattarsi dal punto di vista giuridico al mutare dei tempi. Tendenza fin dalle origini a glorificare al passato ed in campo giuridico significa attribuire maggior importanza alle interpretazioni formatesi in passato. Si crea un principio giuridico inverso rispetto il civil law occidentale (il successiovo abroga il precedente). Il diritto dell’islam non è codificato (non sono mai esistiti dei codici veri e propri)  Forza: ha offerto la possibilità al diritto islamico di avere una sua identità astratta ed in quanto tale applicabile in ogni tempo ed in ogni luogo. Mantenere in teoria il principio dell’unità della umma, come unità politica della comunità islamica. Non si è codificata la sharia per timore di trascrivere le prescrizioni divine (e dio non aveva ordinato di farlo), una sorta di barriera psicologica + il fatto che la sharia deve essere interpretata dal corpo dei dotti (anch’essi un corpo dai contorni indefiniti che dovrebbero rappresentare la comunità-­‐società civile e non lo stato) spontaneamente proveneienti dalla comunità + inizio di rivalità tra ‘Ulama e lo stato (resa più facile da una mancanza di un codice sicuro e preciso; nell’epoca Abbaside tra 8°-­‐13° secolo). Es. Imperatore Aurangzeb (imp. dell’impero Moghul) tenta una sorta di raccolta di fatwa= la fatawa-­‐i-­‐alamgiri da consegnare ai suoi funzionari per rimpiazzare gli ‘ulama nei tribunali, però precedente isolato e senza seguito. La sharia per sua natura ha un’applicazione più facile ed eficace in alcuni campi (civilistico) che in altri (penale)  basata sul modello della controversia (diritto civile), è poi assente il concetto di pubblica accusa (appartenente all’area del penale); è molto vaga e astratta nello stabilire delle pene, ci sono solo 5 casi (Hudud= i limiti imposti da dio alla vita dell’uomo) nel penale: 1. Uso di alcolici. 2. Adulterio. 3. Furto. 4. Omicidio. 5. Apostasia (rinnegare l’islam e abbandonare lo status di musulmano). Reati che costituiscono un’offesa arrecata direttamente a dio e non solo alla comunità ma, persino in questi casi, l’onere della prova (prova orale fatta da musulmani adulti di sesso maschile di provata fede che abbiano assistito al fatto, se non c’è questra prova la pena è quella decisa a discrezionalità del giudice che però non può essere la più severa prevista) è così diffcile da rendere applicabili con fatica le pene coraniche. Vaghezza pene + onere della prova + difficoltà applicare tale codice alla modernità. Sono comunque pochi i paesi in cui si applica la sharia integralmente sia nel penale che nel civile. Solitamnete si usa un po’ di sharia nel civile + istituzioni di diritti di stampo europeo. Le difficoltà causate dalla difficile applicabilità del diritto della sharia hanno avuto come conseguenza che lo stato ha avuto la tendenza a mettere i piedi nell’ambito giuridico con promulgazione propri regolamenti anche dove non era previsto e non solo nel penale già dal X secolo. Questa attività normativa da parte dello stato= siyasa sharia (= politica secondo la legge religiosa; siyasa indica l’attività politica in senso lato e laica, secolare –etimologia militare: “arte di condurre il cavallo in battaglia”-­‐ + sharia legge religiosa)  chiara gerarchia di concetti: il processo normativo da parte dello stato è accettato, purchè l’attività regolamentare si mantanga entro i limiti della legge religiosa. Nella pratica invece, i sultani hanno avuto la tendenza a travalicare i confini posti dalla sharia. C’è qui una contraddizione fortissima: l’unica legge applicabile alla comunità islamica è la sharia ma anche lo stato come potere politico si è arrogato il diritto di emanare legge  frattura creatasi spontaneamente per risolvere dei problemi concreti di organizzazione comunità, in questo senso la giurisprudenza islamica, con atteggiamento pragmatista di accettazione del fatto, ha finito per accettare ciò a patto però della superiorità della sharia. Al Ghazali XII secolo= padre sia della giurisprudenza che della teologia sunnita. Ambiguità normativa riguardo alla possibilità dello stato di crearsi una autonomia di azione rispatto alla dimensione della religione (utile a giustificare sia azione riformatrice di governanti anche ai nostri giorni sia nell’ imperi ottomano qanun= leggi emanate dai sultani sulla base della s.sharia) vs. principio astratto dove politica e religione sono un tutt’uno. Bisogna guardare alla teroia o alla prassi? 13-­‐3-­‐2012 Lezione4 I generazione = dei compagni; II generazione = dei seguaci. Chi era esistito prima era più vicino alla perfezione, in quanto più vicini cronologicamente al profeta (o addirittura suoi conoscenti). Sclerotizzazione dell’islam: incapacità dell’islam di adattarsi dal punto di vista giuridico al mutare dei tempi. Tendenza fin dalle origini a glorificare al passato ed in campo giuridico significa attribuire maggior importanza alle interpretazioni formatesi in passato. Si crea un principio giuridico inverso rispetto il civil law occidentale (il successiovo abroga il precedente). Il diritto dell’islam non è codificato (non sono mai esistiti dei codici veri e propri)  Forza: ha offerto la possibilità al diritto islamico di avere una sua identità astratta ed in quanto tale applicabile in ogni tempo ed in ogni luogo. Mantenere in teoria il principio dell’unità della umma, come unità politica della comunità islamica. Non si è codificata la sharia per timore di trascrivere le prescrizioni divine (e dio non aveva ordinato di farlo), una sorta di barriera psicologica + il fatto che la sharia deve essere interpretata dal corpo dei dotti (anch’essi un corpo dai contorni indefiniti che dovrebbero rappresentare la comunità-­‐società civile e non lo stato) spontaneamente proveneienti dalla comunità + inizio di rivalità tra ‘Ulama e lo stato (resa più facile da una mancanza di un codice sicuro e preciso; nell’epoca Abbaside tra 8°-­‐13° secolo). Es. Imperatore Aurangzeb (imp. dell’impero Moghul) tenta una sorta di raccolta di fatwa= la fatawa-­‐i-­‐alamgiri da consegnare ai suoi funzionari per rimpiazzare gli ‘ulama nei tribunali, però precedente isolato e senza seguito. La sharia per sua natura ha un’applicazione più facile ed eficace in alcuni campi (civilistico) che in altri (penale)  basata sul modello della controversia (diritto civile), è poi assente il concetto di pubblica accusa (appartenente all’area del penale); è molto vaga e astratta nello stabilire delle pene, ci sono solo 5 casi (Hudud= i limiti imposti da dio alla vita dell’uomo) nel penale: 1. Uso di alcolici. 2. Adulterio. 3. Furto. 4. Omicidio. 5. Apostasia (rinnegare l’islam e abbandonare lo status di musulmano). Reati che costituiscono un’offesa arrecata direttamente a dio e non solo alla comunità ma, persino in questi casi, l’onere della prova (prova orale fatta da musulmani adulti di sesso maschile di provata fede che abbiano assistito al fatto, se non c’è questra prova la pena è quella decisa a discrezionalità del giudice che però non può essere la più severa prevista) è così diffcile da rendere applicabili con fatica le pene coraniche. Vaghezza pene + onere della prova + difficoltà applicare tale codice alla modernità. Sono comunque pochi i paesi in cui si applica la sharia integralmente sia nel penale che nel civile. Solitamnete si usa un po’ di sharia nel civile + istituzioni di diritti di stampo europeo. Le difficoltà causate dalla difficile applicabilità del diritto della sharia hanno avuto come conseguenza che lo stato ha avuto la tendenza a mettere i piedi nell’ambito giuridico con promulgazione propri regolamenti anche dove non era previsto e non solo nel penale già dal X secolo. Questa attività normativa da parte dello stato= siyasa sharia (= politica secondo la legge religiosa; siyasa indica l’attività politica in senso lato e laica, secolare –etimologia militare: “arte di condurre il cavallo in battaglia”-­‐ + sharia legge religiosa)  chiara gerarchia di concetti: il processo normativo da parte dello stato è accettato, purchè l’attività regolamentare si mantanga entro i limiti della legge religiosa. Nella pratica invece, i sultani hanno avuto la tendenza a travalicare i confini posti dalla sharia. C’è qui una contraddizione fortissima: l’unica legge applicabile alla comunità islamica è la sharia ma anche lo stato come potere politico si è arrogato il diritto di emanare legge  frattura creatasi spontaneamente per risolvere dei problemi concreti di organizzazione comunità, in questo senso la giurisprudenza islamica, con atteggiamento pragmatista di accettazione del fatto, ha finito per accettare ciò a patto però della superiorità della sharia. Al Ghazali XII secolo= padre sia della giurisprudenza che della teologia sunnita. Ambiguità normativa riguardo alla possibilità dello stato di crearsi una autonomia di azione rispatto alla dimensione della religione (utile a giustificare sia azione riformatrice di governanti anche ai nostri giorni sia nell’ imperi ottomano qanun= leggi emanate dai sultani sulla base della s.sharia) vs. principio astratto dove politica e religione sono un tutt’uno. Bisogna guardare alla teroia o alla prassi? 15-­‐3-­‐2012 lezione5 Scuole giuridiche tendono a formarsi sulla base di diverse interpretazioni del diritto e si formano attorno a personalità influenti nella seconda metà VIII sec. Si formano tantissime di queste scuole di pensiero cristallizzate attorno a personalità influenti nella penisola arabica (luoghi in cui il profeta era vissuto, dove le persone si sentono depositarie della sua memoria, forte enfasi alla sunna) + zona dell’attuale Iraq (allora mesopotamia). Le scuole giuridiche sono: 1. Hanafita la più liberale, tendenzialmente urbana nell’ iraq, ampio spazio alle fonti complementari e al giurista con conseguente ampio spazio dato alla storia dell’individuo rispetto alla comunità ≠ scuole nate in luoghi diversi dalle città (es. nell’istituzione del matrimonio è la + liberale nei confronti diritti della sposa). Importante nell’islamizzazione di quasi tutta l’asia ad eccezione ad esempio dell’india del sud con 3. 2. Malikita  nasce a Medina nella penisola arabica, si basa principalmente sulla sunna e quindi sulle tradizioni sulla vita del profeta, abbastanza liberista. Essenzialmente nordafricana e africana ad eccezione dell’egitto e parte corno d’africa che è 3. Importanza nel processo di arabizzazione sulle popolazioni berbere. 3. Shafi’ita penisola arabica, si basa su una concezione + rigorista della sunna accettando solo gli hadith verbali. La troviamo in egitto, corno d’africa ma la sua zona d’origine ed espansione è il sud della penisola arabica con l’oman, diffusasi poi attraverso le navigazioni arabe lungo coste oceano indiano, coste meridionali india e indonesia (ex. Insulindia). Tendenzialmente tollerante e pacifica che ha avuto come veicolo le navigazioni arabe marittime e commerciali addirittura antecedenti all’islam. Islam tollerante e mercantile anche per la natura di queste attività commerciali. 4. Hanbalita  si forma per ultima nel IX secolo per fusione di altre 2 scuole di pensiero nella penisola arabica (3. con maggior rigidità), limitata alla penisola arabica per diversi secoli a causa del suo rigorismo, revival in epoca medievale attorno XIV secolo quando venne rielaborata da un grande teologo musulmano che darà vita a una corrente neo-­‐hanbalita Ibn Taymiya. Farà da base ad un’altra corrente, quella Wahabita nata nel corso ‘700 grazie ad Abdal Wahab (grande movimento puritano di riforma dell’islam). Nata come scuola molto marginale ha vissuto un revival perché prima nel XIV secolo c’è stata una crisi del califfato e si cercò di darvi risposta con un’interpretazione efficace e poi nel tardo XVIII secolo a causa di una nuova crisi politica derivante dallo strapotere dell’occidente e si trovò una soluzione religiosa conservatrice alla crisi politica. Ora non è che sia estremamente diffusa, anzi è ufficialmente adottata solo in Arabia Saudita, altrove ci sono delle sacche di influenze intellettuali. Distinzione di massima tra le prime tre (liberali)e la quarta (conservatrice). Ci sono delle differenze anche nelle prime tre. Non c’è dubbio che l’islam nella sua espansione sarà favorito dall’uso di strumenti giuridici + aperti ed elastici, quindi le scuole + liberali le troviamo nell’islam periferico  l’islam entra in una fase di espansione non solo politico e militare ma anche religioso e si avvalse delle prime 3. Lasciare + spazio al consenso e all’analogia (maggior libertà interpretativa) era utile a far accettare l’islam in maniera + attraente: altrimenti ci sarebbe stato solo un rigetto e un dialogo impossibile su di un terreno comune (shirk= paganesimo; kafir= infedele). Tema della conversione per certi aspetti controverso per la visione che abbiamo dell’islam come religione che si è imposta con la forza, cosa che non è del tutto vera: si è imposto con la forza da un punto di vista politico e militare ma ha dato meno importanza alla conquista delle anime. Gli importava la supremazia politica su di un territorio e, il fatto che un territorio fosse governato da un reggente islamico, lo rendeva musulmano, cosa che non accadeva in base alla confessione delle popolazioni. Distinzione tra dar-­‐al-­‐islam e dar-­‐al-­‐harab (terra della guerra  sarebbe obbligo di matrice coranica muovergli guerra al fine di sottomissione all’islam) –
non presente nel corano-­‐ sulla base della reggenza politica. Coloro che vivono nel territorio devono essersi sottomessi all’islam. Importanza all’aspetto conversione  • spiegazione classica fa riferimento alla consapevolezza della superiorità islamica sulle altre confessioni (sarebbe stato poi naturale che le popolazioni sottomessi si sarebbero volontariamente convertiti). • riferimento alle conseguenze economiche e sociali: c’era un obbligo di pagare una tassa =jizya (≠ zakàt elemosina rituale data dai musulmani come dovere del credente) alla comunità musulmana da parte dei non musulmani di altre confessioni  se tutti si fossero convertiti = minori introiti fiscali. L’islam ha adottato nel rapporto con i non musulmani un’elasticità considerevole (non facile da riscontrare nel testo coranico, anzi, da lì traspare un grande progetto divino per un mondo interamente islamico). Pragmaticamente l’elasticità è derivata dalla consapevolezza che non sarebbe stato possibile islamizzare l’intero mondo: un dar-­‐al-­‐harab sarebbe sempre esistito e cmq non tutti si sarebbero convertiti. Ci voleva un modus convivendi: cmq una forte gerarchia in cui il musulmano è su un rango superiore (all’inizio nn musulmani contrassegnati da un drappo giallo), il non musulmano può conservare la propria fede ma non può fare proselitismo nel pubblico. Non sembra, al di là di alcune eccezioni, che l’islam abbia posto attenzione al tema conversione come dato importante. Eccezioni storiche: a + riprese casi diversi e sparsi sul territorio in cui venivano lanciate ondate di repressione e conversione forzata  es. nel caso in cui un governante si sentiva debole e poteva trovare comodo lanciare una campagna di conversione –sia violenta che con modalità del patronato-­‐ per presentarsi come un buon principe musulmano di fronte alla comunità e alle gerarchie religiose consolidando il proprio potere. Tendenza generale invece alla coabitazione. Le conversioni venivano attuate nn solo con la forza ma anche con pressione psicologica. La prevalenza di una scuola giuridica in un dato territorio è stata importante per capire la diffusione dell’islam e le sue conseguenze. Esempio di patronato dei Mawali (= “prendersi cura di”, ebrei o iraniani zoroastriani) che avevano delle competenze tecniche essenziali per lo stato musulmano, pertanto cooptati all’islamismo. Fino al XIX secolo le interpretazioni occidentali davano maggiormente peso e importanza solo alle conversioni forzate con la violenza ≠ da oggidì. Fase evolutiva della comunità islamica: aspetto politico della leadership  finchè il profeta era in vita questo problema non si poneva nemmeno, era invece destinato ad emergere nel 632 con la morte del profeta che creò vuoto di potere. Non si era dato né nel corano né nella tradizione un meccanismo di successione per la continuità della leadership della comunità. Problema + grande anche perché M. era il sugello della profezia (= unico profeta della storia nell’islam, non ce ne sarebbero stati altri ≠ da ebraismo e cristianesimo). Come si è risolto: si è creata una forte divisione, scisma tra la comunità: sciiti e sunniti  dissidio nato essenzialmente per contrapposizioni politiche e scontro di personalità sulla questione dell’eredità -­‐metafisica-­‐ del profeta, quelle teologiche sono successive. Ragione storica diatriba = ricostruzione ultimi momenti vita profeta: • Sunniti: (= il popolo della tradizione e della comunità) maggioranza comunità: affermò che M. era morto senza indicare successore o modalità successione  x loro l’autorità di cui era depositario M. doveva tornare alla comunità, la Umma che avrebbe poi avuto il potere-­‐dovere di indicare un altro leader essenzialmente politico e militare. • Sciiti: minoranza, faceva una ricostruzione diversa: M. aveva fatto pubblicamente il nome del successore durante un’assemblea convocata dal profeta stesso: indicò il suo cugino e genero che caveva sposato la figlia di M. = Fatima-­‐ ‘Alì come suo successore.  Shi’a= partito, fazione, in questo caso di di ‘Alì, solo e unico successore legittimo del profeta. Affermavano una diversa idea autorità: ‘Ali (1° Imam comunità) era sì il successore, tuttavia l’autorità non risiedeva nella comunità ma nel sangue del profeta (quindi solo nella discendenza parentale di M.). Costruiscono una “sacra famiglia”* Poi la shi’a si situa soprattutto nella Persia. Nasce anche una visione esoterica della rivelazione coranica (M. aveva spiegato ad ‘Alì la il vero significato nascosto delle rivelazioni coraniche che solo pochi eletti ovvero i suoi discendenti, gli imam avrebbero potuto conoscere ≠ sunniti per cui c’era un unico significato, quello scritto)  primo esempio di visione mistica dell’islam e lettura allegorica del corano, solo successivamente sufismo anche per i sunniti, allora ancora molto pragmatici. Scoppierà una vera e propria guerra civile nella comunità, già nel 632 ed è stata lunga e complessa ma mai sanata nonostante delle tregue. La maggioranza scelse un proprio leader non riconoscendo la legittimità di ‘Alì alla successione: il Califfo 1. Abu Bakr (Khalifa= il vice, colui che fa le veci). Istituzione cmq con poteri limitati non portando né una nuova profezia né una nuova legge ma deve fungere da centro della comunità mantenendone l’unità, implementando le disposizioni divine. Poi ci saranno 2. Omar e 3. Uthman. Il conflitto prosegue durante il governo dei tre califfi e nel 656 alla morte di Uthman la minoranza sciita prende il controllo e fanno accettare 4. ‘Alì. 661 ‘Alì viene ucciso dai sunniti e si riapre la ancor oggi insanabile divisione tra le due fazioni. Durante il periodo di governo di tutti 4 califfi rashidun (= ben guidati, ben diretti) i sunniti rintracciano l’età d’oro del califfato ≠ sciiti che considerano i primi tre degli impostori alimentando una polemica con caratteristiche anche un po’ volgari e scurrili (vere e proprie offese soprattutto in Iran in epoca recente). * ‘Ali + Fatima Hasan Husain Alidi 16/03/2012
lezione6
(Abbiamo capito che il manuale di base è quello del Bausani!)
Abbiamo visto che la scissione tra sciiti e sunniti è avvenuta per motivi prevalentemente politici e
solo in seguito religiosi, e contrappone una concezione collettiva dell’islam a coloro che invece
hanno una visione dell’autorità legata al carisma di uno specifico casato (i discendenti diretti del
profeta partendo da ‘Ali). In termini moderni possiamo dire che i sunniti hanno una concezione
democratica della politica (Jama’at= comunità, associazione), mentre gli sciiti carismatica. Si arriva
poi a delle differenze di carattere teologico: alla visione dell’islam materialista sunnita si
contrappone lo spiritualismo sciita. Gli sciiti sono i primi a concepire l’islam in termini “dentrofuori”, contrapponendo la parte essoterica a quella esoterica. Per i sunniti l’uomo comune deve
accontentarsi di avvicinarsi al corano interpretandolo solo in modo letterale, non deve aspirare ad
altro, questo compito spetta a pochi eletti, studiosi, teologi ecc. (altrimenti ci sarebbe il rischio di
relativizzare l’interpretazione del testo sacro e di frammentare l’autorità religiosa).
Le scuole teologiche
-­‐ La scuola teologica ufficiale dell’islam sunnita (Asharita) si svilupperà in risposta al
dibattito sull’interpretazione letterale vs interpretazione nascosta preferendo un modo di
interpretazione letteralista.
-­‐ Gli sciiti ricorrono invece all’interpretazione allegorica, mistica, esoterica pur lasciando
spazio alla ragione umana (scuola Mu’tazilita).
Nel mondo sunnita tutti i credenti sono uguali e hanno la possibilità di raggiungere la conoscenza
attraverso la lettura del testo sacro, per gli sciiti il senso profondo non è divulgabile con facilità tra
la massa, che a sua volta non è pronta ad accoglierlo e a comprenderlo pienamente. Le influenze
non arabe sono state forti nel mondo della Shi’a.
Il Califfo e l’Imam
Sunniti e sciiti costruiscono ognuno la propria leadership: il califfo da un lato e l’imam dall’altro.
Queste due figure non sono assolutamente assimilabili:
-­‐ il califfo è una figura che nel mondo sunnita si cercherà di limitare nei suoi poteri e nella
sua autorità, le sue qualità sono prettamente umane, è addirittura discusso se i califfi
potessero dare un’interpretazione autentica delle scritture, si dice che ai primi tre califfi sia
stato chiesto di dare un’intrepretazione della Shariia e loro stessi si siano rifiutati perché non
si ritenevano qualificati. Il califfo è un primus inter pares (primo fra gli uguali). Nel
concreto il califfo si avvaleva della consulenza di un’assemblea di saggi e anziani della
comunità (Shura), retaggio di istituzioni precedenti. Come compito principale il califfo ha
quello di mantenere l’unità della comunità e applicare la legge divina, inoltre ha la capacità
di dichiarare guerra ecc. Non è un profeta, è considerato un semplice “vice”, ma non in
quanto continuatore della profezia bensì solo come capo politico.
-­‐ L’imam è portatore di un carisma ereditario, di una benedizione dalla forte caratterizzazione
mistica, ha un potere derivato da dio ed è chiaramente superiore agli altri uomini. Il grado di
divinità dell’imam varia molto a seconda delle varie sotto-sette sciite.
Le correnti dello sciismo
Proprio sulla base di questo si sono scisse (dal punto di vista teologico, non politico!) le diverse
correnti dello sciismo. Le tre principali sono:
1. Shi’a estrema → Ismailismo: la figura dell’imam è estremamente esaltata, l’imam è
infallibile, senza difetti, è in grado di prevedere il futuro. Attributi che il mondo sunnita
non ha mai accettato, così come altri settori della comunità sciita (timore che l’imam si
confondesse con la figura del profeta). Gli ismailiti sono una comunità piccola in termini
numerici, diffusasi in India e in pakistan, non sono estremisti sotto nessun altro punto di
vista se non quello puramente teologico.
2. Shi’a mediana → Duodecimani: corrente più numerosa e diffusa nel mondo, sviluppatasi
in persia, iran (religione ufficiale dal XVI sec.) ma anche nella penisola arabica, nello
yemen, in india e in pakistan. Detta mediana perché adotta una via di mezzo, un
compromesso tra la visione sunnita del leader come persona dotata unicamente di qualità
umane e la visione ismailita. Riconoscono una successione di 12 imam.
3. Shi’a moderata → Zaiditi: piccola comunità di qualche centinaia di migliaia di soggetti.
Degradano gli attributi dell’imam a tal punto che è difficile trovare una differenza con la
figura del califfo.
L’occultamento
In generale il mondo sciita è fedele ai discendenti di ‘Ali. Ogni volta che una successione tra un
imam e l’altro appariva sospetta e c’erano dubbi che un settore avesse favorito un proprio
rappresentante uccidendo il predecessore, una parte della comunità accettava la successione e
continuava la linea dell’imamato, mentre un’altra parte non lo legittimava e fermava la successione
all’imam precedente affermando una concezione escatologica: l’imam non è morto ma è entrato in
occultamento (Ghaiba) e sarà sempre presente e vigile sulla terra, fino alla fine dei tempi. L’imam
occultato è destinato a tornare alla fine dei tempi per far trionfare gli sciiti e portare il bene e la
giustizia nel mondo. Su questo punto critico si innesta questa concezione peculiare sciita,
escatologica: l’idea dell’attesa del messia che creerà il governo giusto e perfetto. Le varie branche
della Shi’a quindi riconoscono un numero diverso di imam (gli ismailiti 7 → detti anche settimani, i
duodecimani 12). In realtà gli ismailiti riconoscono delle figure rappresentanti dell’imam sulla terra,
gli Agha Khan (= grande leader). Quindi c’è una duplice differenziazione: grado di divinità
dell’imam che porta alla tripartizione sciita + numero di imam riconosciuti.
Tutte e tre le branche della Shi’a concordano sull’occultamento → non esiste un imam vivente.
Nell’ambito dodecimano-iraniano l’organizzazione della comunità fa sì che siano i dotti a guidare la
comunità indicando il bene e il male sulla base di una sorta di intima connessione con l’imam
occultato. I più eminenti sono spiritualmente connessi all’imam e riflettono il suo volere in ciò che
dicono e decidono. Sul piano storico politico ci sono state delle conseguenze interessanti,
soprattutto per ciò che riguarda l’evoluzione della politica iraniana: sulla base di questo nessuna
altra forma di governo, prima che ritorni l’imam, sarebbe legittima → contestazione di qualsiasi
altro tipo di potere al di fuori di quello dei dotti. Nella pratica spesso l’interpretazione fatta propria
dai dotti accettava il governo laico e si manteneva a distanza dalla politica concentrandosi +
sull’aspetto religioso nell’attesa del ritorno dell’imam. Tra la fine dell’800 e l’inizio del 900 i dotti
hanno cominciato ad affermare l’illegittimità del potere politico laico → grande fenomeno di
contestazione politica che ha portato alla rivoluzione khomeinista del 1979.
Si aggiunge all’idea dell’attesa quella della sconfitta sciita (non sono stati in grado di ottenere la
dominazione) e del martirio, che è alimentata da miti storici. Il sacrificio dell’imam Hussein, uno
dei figli di Ali e Fatima, vittima della guerra civile contro i sunniti (morto a Karbala, per alcuni
ucciso, per altri lasciato morire di sete nel deserto), è diventato una sorta di mito fondativo
dell’immaginario sciita. Il martirio e la sofferenza conducono necessariamente all’attesa della
rivincita e del trionfo finale. Specialmente in Iran, durante il 10 ottobre 680 (10 muḥarram 61 dell'Egira), viene ricordato Hussein attraverso delle manifestazioni di pubblico dolore in cui il
ruolo del sangue è centrale (si autoimpongono ferite attraverso la fustigazione, si tagliano con delle
lamette) per simbolizzare il sacrificio.
I sunniti sono una comunità in cui l’idea della perfezione si è già manifestata con la figura del
profeta, non aspettano nulla, hanno una visione della storia pessimista (non si può che peggiorare
allontanandosi dalla perfezione). E’ però nata nel mondo sunnita, sotto influenza dello sciismo,
l’idea del Mahdi [Il Mahdi lett. « ben guidato da Dio » è elemento fondamentale dell'escatologia islamica, riproponendo in questo contesto l'idea messianica tipica dell'Ebraismo. Secondo la
fede islamica il Mahdī apparirà nel mondo alla fine dei tempi, dopo che il Dajjāl -una sorta di
Anticristo che si dichiara musulmano- avrà attuato la sua opera devastatrice delle coscienze dei
credenti. Al Mahdī dunque è riservata l'azione antagonistica del Male, rappresentato dal Dajjāl,
preannunciando la fine del mondo -il "Dì del Giudizio", yawm al-dīn, ossia "Il giorno della
religione", questo accadrà dopo la morte di Gesù- nel quale Dio decreterà per i defunti resuscitati di
tutte le generazioni umane, per l'occasione, il destino di salvezza o di dannazione. Secondo la
tradizione dopo il Mahdī verrà Gesù (in arabo ‘Īsà) per uccidere l'anticristo e sarà lui stesso re della
terra per 40 anni, ed è per questo che nella Moschea degli Omayyadi di Damasco un minareto è
chiamato "di ˁĪsà", visto che da esso calerà in terra quello che per la cultura islamica è considerato
un grandissimo profeta.] L’unica cosa che i sunniti possono fare è quella di cercare di creare uno
stato islamico sulla terra e aspettare il giudizio finale al termine dei giorni. Mente per i sunniti la
perfezione si è già incarnata nel profeta, gli sciiti invece pensano che il governo perfetto si creerà
una volta che l’imam tornerà sulla terra. I sunniti, più materiali e realisti, riconoscono che il califfo
non è perfetto, può commettere errori (ma non violare apertamente e pubblicamente la Sharia!), ma
deve essere rispettato e obbedito fintanto che rispetta esteriormente la legge divina. Gli sciiti sono
più idealisti, attendono il governo perfetto, non si accontentano di ciò che c’è. Nella prassi in realtà
le due attitudini, sunnita e sciita, si sono avvicinate, anche se gli ideali sono completamente diversi.
I sunniti hanno una visione egalitaria, democratica (il sapere è aperto a tutti), gli sciiti una più
elitaria, particolarista. “Imam” è un termine molto generico, significa molte cose: il significato che abbiamo usato fino
adesso è particolare e tipico della comunità sciita. Può indicare anche il fondatore di una scuola
(teologica o giuridica), è un titolo onorifico. Così come addirittura la persona che guida i credenti
durante la preghiera (quello che fa i movimenti che tutti poi seguono -non deve avere per forza delle
credenziali particolari, può essere chiunque-), quando svolge questo compito viene definito imam.
Gli sciiti invece gli attribuiscono un significato molto più ristretto e selettivo.
In ambito sciita si sono sviluppate molteplici “eresie” islamiche, sulla base di una continua presenza
del sacro sulla terra, e numerose moltiplicazioni → esistono piccoli gruppi locali autonomi e
diversificati da altri per le loro credenze sulla leadership religiosa. In Siria una minoranza di questo
tipo è andata al potere nonostante la maggioranza della popolazione sia sunnita. Vd anche Libano.
La Shi’a è l’ambito in cui l’islam ha sviluppato originariamente una propria tensione mistica,
troviamo i primi tentativi di ricercare dei significati esoterici nelle rivelazioni. In ambito ortodosso
(NB: in ambito sunnita è il consenso della comunità a stabilire cosa è ortodosso e cosa non lo è)
questa misticità non è presente: chiunque può avvicinarsi a dio e raggiungere una conoscenza del
divino attraverso la lettura, altre forme non sono previste. I dotti (‘Ulama) non sono dei mediatori,
ma dei giurisperiti (affini al sacerdozio del mondo ebraico, il rabbinato). Qadi e Yufiti sono giuristi
in senso stretto, risolvono le controversie in tribunale. ‘Ulama deriva da “conoscenza, sapere”.
Sono figure di cui la comunità ha esigenza per applicare il diritto, si sono specializzati nell’essere
giudici, magistrati, è un corpo che nasce da sé per evoluzione naturale-funzionale, teoricamente tutti
possono fare quello che fanno loro, non c’è un comandamento divino esplicito che li legittima. Però
ci sono un paio di versetti a loro sostegno, tipo: “e nascerà tra di voi una classe di uomini che
proibisce il male e consente il bene”.
La preghiera è uno dei 5 pilastri (Arkàn al-­‐Islàm), è un obbligo del credente ma più che essere un
atto liturgico in senso stretto serve a sottolineare l’unità della comunità di credenti. La moschea non
è il luogo sacro per eccellenza, in termini stretti, tant’è vero che la preghiera si può svolgere
ovunque, è svincolata dalla sacralità di un luogo. Sì, ci sono delle tappe importanti nella vita
dell’uomo, ma non si può parlare di liturgie vere e proprie.
Non è prevista nessuna intercessione tra uomo e dio tranne nel caso del profeta (che si manifesterà
però solo nel giorno del giudizio). Com’è possibile che in una religione così pragmatica si sia creata
questa corrente mistica così ricca e importante? Proprio le caratteristiche così esteriorizzanti
dell’islam l’hanno portata ad esistere. Se una persona rispetta i comandamenti esteriori
sostanzialmente è in pace con i suoi fratelli e con dio e può legittimamente sperare di avere salva
l’anima; dell’aspetto spirituale, interiore invece molto è lasciato alla discrezionalità del credente. Si
è sviluppato così un approccio interiore verso dio, un tendenza a cercare un rapporto più intimo e
diretto.
16/03/2012
lezione6
(Abbiamo capito che il manuale di base è quello del Bausani!)
Abbiamo visto che la scissione tra sciiti e sunniti è avvenuta per motivi prevalentemente politici e
solo in seguito religiosi, e contrappone una concezione collettiva dell’islam a coloro che invece
hanno una visione dell’autorità legata al carisma di uno specifico casato (i discendenti diretti del
profeta partendo da ‘Ali). In termini moderni possiamo dire che i sunniti hanno una concezione
democratica della politica (Jama’at= comunità, associazione), mentre gli sciiti carismatica. Si arriva
poi a delle differenze di carattere teologico: alla visione dell’islam materialista sunnita si
contrappone lo spiritualismo sciita. Gli sciiti sono i primi a concepire l’islam in termini “dentrofuori”, contrapponendo la parte essoterica a quella esoterica. Per i sunniti l’uomo comune deve
accontentarsi di avvicinarsi al corano interpretandolo solo in modo letterale, non deve aspirare ad
altro, questo compito spetta a pochi eletti, studiosi, teologi ecc. (altrimenti ci sarebbe il rischio di
relativizzare l’interpretazione del testo sacro e di frammentare l’autorità religiosa).
Le scuole teologiche
-­‐ La scuola teologica ufficiale dell’islam sunnita (Asharita) si svilupperà in risposta al
dibattito sull’interpretazione letterale vs interpretazione nascosta preferendo un modo di
interpretazione letteralista.
-­‐ Gli sciiti ricorrono invece all’interpretazione allegorica, mistica, esoterica pur lasciando
spazio alla ragione umana (scuola Mu’tazilita).
Nel mondo sunnita tutti i credenti sono uguali e hanno la possibilità di raggiungere la conoscenza
attraverso la lettura del testo sacro, per gli sciiti il senso profondo non è divulgabile con facilità tra
la massa, che a sua volta non è pronta ad accoglierlo e a comprenderlo pienamente. Le influenze
non arabe sono state forti nel mondo della Shi’a.
Il Califfo e l’Imam
Sunniti e sciiti costruiscono ognuno la propria leadership: il califfo da un lato e l’imam dall’altro.
Queste due figure non sono assolutamente assimilabili:
-­‐ il califfo è una figura che nel mondo sunnita si cercherà di limitare nei suoi poteri e nella
sua autorità, le sue qualità sono prettamente umane, è addirittura discusso se i califfi
potessero dare un’interpretazione autentica delle scritture, si dice che ai primi tre califfi sia
stato chiesto di dare un’intrepretazione della Shariia e loro stessi si siano rifiutati perché non
si ritenevano qualificati. Il califfo è un primus inter pares (primo fra gli uguali). Nel
concreto il califfo si avvaleva della consulenza di un’assemblea di saggi e anziani della
comunità (Shura), retaggio di istituzioni precedenti. Come compito principale il califfo ha
quello di mantenere l’unità della comunità e applicare la legge divina, inoltre ha la capacità
di dichiarare guerra ecc. Non è un profeta, è considerato un semplice “vice”, ma non in
quanto continuatore della profezia bensì solo come capo politico.
-­‐ L’imam è portatore di un carisma ereditario, di una benedizione dalla forte caratterizzazione
mistica, ha un potere derivato da dio ed è chiaramente superiore agli altri uomini. Il grado di
divinità dell’imam varia molto a seconda delle varie sotto-sette sciite.
Le correnti dello sciismo
Proprio sulla base di questo si sono scisse (dal punto di vista teologico, non politico!) le diverse
correnti dello sciismo. Le tre principali sono:
4. Shi’a estrema → Ismailismo: la figura dell’imam è estremamente esaltata, l’imam è
infallibile, senza difetti, è in grado di prevedere il futuro. Attributi che il mondo sunnita
non ha mai accettato, così come altri settori della comunità sciita (timore che l’imam si
confondesse con la figura del profeta). Gli ismailiti sono una comunità piccola in termini
numerici, diffusasi in India e in pakistan, non sono estremisti sotto nessun altro punto di
vista se non quello puramente teologico.
5. Shi’a mediana → Duodecimani: corrente più numerosa e diffusa nel mondo, sviluppatasi
in persia, iran (religione ufficiale dal XVI sec.) ma anche nella penisola arabica, nello
yemen, in india e in pakistan. Detta mediana perché adotta una via di mezzo, un
compromesso tra la visione sunnita del leader come persona dotata unicamente di qualità
umane e la visione ismailita. Riconoscono una successione di 12 imam.
6. Shi’a moderata → Zaiditi: piccola comunità di qualche centinaia di migliaia di soggetti.
Degradano gli attributi dell’imam a tal punto che è difficile trovare una differenza con la
figura del califfo.
L’occultamento
In generale il mondo sciita è fedele ai discendenti di ‘Ali. Ogni volta che una successione tra un
imam e l’altro appariva sospetta e c’erano dubbi che un settore avesse favorito un proprio
rappresentante uccidendo il predecessore, una parte della comunità accettava la successione e
continuava la linea dell’imamato, mentre un’altra parte non lo legittimava e fermava la successione
all’imam precedente affermando una concezione escatologica: l’imam non è morto ma è entrato in
occultamento (Ghaiba) e sarà sempre presente e vigile sulla terra, fino alla fine dei tempi. L’imam
occultato è destinato a tornare alla fine dei tempi per far trionfare gli sciiti e portare il bene e la
giustizia nel mondo. Su questo punto critico si innesta questa concezione peculiare sciita,
escatologica: l’idea dell’attesa del messia che creerà il governo giusto e perfetto. Le varie branche
della Shi’a quindi riconoscono un numero diverso di imam (gli ismailiti 7 → detti anche settimani, i
duodecimani 12). In realtà gli ismailiti riconoscono delle figure rappresentanti dell’imam sulla terra,
gli Agha Khan (= grande leader). Quindi c’è una duplice differenziazione: grado di divinità
dell’imam che porta alla tripartizione sciita + numero di imam riconosciuti.
Tutte e tre le branche della Shi’a concordano sull’occultamento → non esiste un imam vivente.
Nell’ambito dodecimano-iraniano l’organizzazione della comunità fa sì che siano i dotti a guidare la
comunità indicando il bene e il male sulla base di una sorta di intima connessione con l’imam
occultato. I più eminenti sono spiritualmente connessi all’imam e riflettono il suo volere in ciò che
dicono e decidono. Sul piano storico politico ci sono state delle conseguenze interessanti,
soprattutto per ciò che riguarda l’evoluzione della politica iraniana: sulla base di questo nessuna
altra forma di governo, prima che ritorni l’imam, sarebbe legittima → contestazione di qualsiasi
altro tipo di potere al di fuori di quello dei dotti. Nella pratica spesso l’interpretazione fatta propria
dai dotti accettava il governo laico e si manteneva a distanza dalla politica concentrandosi +
sull’aspetto religioso nell’attesa del ritorno dell’imam. Tra la fine dell’800 e l’inizio del 900 i dotti
hanno cominciato ad affermare l’illegittimità del potere politico laico → grande fenomeno di
contestazione politica che ha portato alla rivoluzione khomeinista del 1979.
Si aggiunge all’idea dell’attesa quella della sconfitta sciita (non sono stati in grado di ottenere la
dominazione) e del martirio, che è alimentata da miti storici. Il sacrificio dell’imam Hussein, uno
dei figli di Ali e Fatima, vittima della guerra civile contro i sunniti (morto a Karbala, per alcuni
ucciso, per altri lasciato morire di sete nel deserto), è diventato una sorta di mito fondativo
dell’immaginario sciita. Il martirio e la sofferenza conducono necessariamente all’attesa della
rivincita e del trionfo finale. Specialmente in Iran, durante il 10 ottobre 680 (10 muḥarram 61 dell'Egira), viene ricordato Hussein attraverso delle manifestazioni di pubblico dolore in cui il
ruolo del sangue è centrale (si autoimpongono ferite attraverso la fustigazione, si tagliano con delle
lamette) per simbolizzare il sacrificio.
I sunniti sono una comunità in cui l’idea della perfezione si è già manifestata con la figura del
profeta, non aspettano nulla, hanno una visione della storia pessimista (non si può che peggiorare
allontanandosi dalla perfezione). E’ però nata nel mondo sunnita, sotto influenza dello sciismo,
l’idea del Mahdi [Il Mahdi lett. « ben guidato da Dio » è elemento fondamentale dell'escatologia islamica, riproponendo in questo contesto l'idea messianica tipica dell'Ebraismo. Secondo la
fede islamica il Mahdī apparirà nel mondo alla fine dei tempi, dopo che il Dajjāl -una sorta di
Anticristo che si dichiara musulmano- avrà attuato la sua opera devastatrice delle coscienze dei
credenti. Al Mahdī dunque è riservata l'azione antagonistica del Male, rappresentato dal Dajjāl,
preannunciando la fine del mondo -il "Dì del Giudizio", yawm al-dīn, ossia "Il giorno della
religione", questo accadrà dopo la morte di Gesù- nel quale Dio decreterà per i defunti resuscitati di
tutte le generazioni umane, per l'occasione, il destino di salvezza o di dannazione. Secondo la
tradizione dopo il Mahdī verrà Gesù (in arabo ‘Īsà) per uccidere l'anticristo e sarà lui stesso re della
terra per 40 anni, ed è per questo che nella Moschea degli Omayyadi di Damasco un minareto è
chiamato "di ˁĪsà", visto che da esso calerà in terra quello che per la cultura islamica è considerato
un grandissimo profeta.] L’unica cosa che i sunniti possono fare è quella di cercare di creare uno
stato islamico sulla terra e aspettare il giudizio finale al termine dei giorni. Mente per i sunniti la
perfezione si è già incarnata nel profeta, gli sciiti invece pensano che il governo perfetto si creerà
una volta che l’imam tornerà sulla terra. I sunniti, più materiali e realisti, riconoscono che il califfo
non è perfetto, può commettere errori (ma non violare apertamente e pubblicamente la Sharia!), ma
deve essere rispettato e obbedito fintanto che rispetta esteriormente la legge divina. Gli sciiti sono
più idealisti, attendono il governo perfetto, non si accontentano di ciò che c’è. Nella prassi in realtà
le due attitudini, sunnita e sciita, si sono avvicinate, anche se gli ideali sono completamente diversi.
I sunniti hanno una visione egalitaria, democratica (il sapere è aperto a tutti), gli sciiti una più
elitaria, particolarista. “Imam” è un termine molto generico, significa molte cose: il significato che abbiamo usato fino
adesso è particolare e tipico della comunità sciita. Può indicare anche il fondatore di una scuola
(teologica o giuridica), è un titolo onorifico. Così come addirittura la persona che guida i credenti
durante la preghiera (quello che fa i movimenti che tutti poi seguono -non deve avere per forza delle
credenziali particolari, può essere chiunque-), quando svolge questo compito viene definito imam.
Gli sciiti invece gli attribuiscono un significato molto più ristretto e selettivo.
In ambito sciita si sono sviluppate molteplici “eresie” islamiche, sulla base di una continua presenza
del sacro sulla terra, e numerose moltiplicazioni → esistono piccoli gruppi locali autonomi e
diversificati da altri per le loro credenze sulla leadership religiosa. In Siria una minoranza di questo
tipo è andata al potere nonostante la maggioranza della popolazione sia sunnita. Vd anche Libano.
La Shi’a è l’ambito in cui l’islam ha sviluppato originariamente una propria tensione mistica,
troviamo i primi tentativi di ricercare dei significati esoterici nelle rivelazioni. In ambito ortodosso
(NB: in ambito sunnita è il consenso della comunità a stabilire cosa è ortodosso e cosa non lo è)
questa misticità non è presente: chiunque può avvicinarsi a dio e raggiungere una conoscenza del
divino attraverso la lettura, altre forme non sono previste. I dotti (‘Ulama) non sono dei mediatori,
ma dei giurisperiti (affini al sacerdozio del mondo ebraico, il rabbinato). Qadi e Yufiti sono giuristi
in senso stretto, risolvono le controversie in tribunale. ‘Ulama deriva da “conoscenza, sapere”.
Sono figure di cui la comunità ha esigenza per applicare il diritto, si sono specializzati nell’essere
giudici, magistrati, è un corpo che nasce da sé per evoluzione naturale-funzionale, teoricamente tutti
possono fare quello che fanno loro, non c’è un comandamento divino esplicito che li legittima. Però
ci sono un paio di versetti a loro sostegno, tipo: “e nascerà tra di voi una classe di uomini che
proibisce il male e consente il bene”.
La preghiera è uno dei 5 pilastri (Arkàn al-­‐Islàm), è un obbligo del credente ma più che essere un
atto liturgico in senso stretto serve a sottolineare l’unità della comunità di credenti. La moschea non
è il luogo sacro per eccellenza, in termini stretti, tant’è vero che la preghiera si può svolgere
ovunque, è svincolata dalla sacralità di un luogo. Sì, ci sono delle tappe importanti nella vita
dell’uomo, ma non si può parlare di liturgie vere e proprie.
Non è prevista nessuna intercessione tra uomo e dio tranne nel caso del profeta (che si manifesterà
però solo nel giorno del giudizio). Com’è possibile che in una religione così pragmatica si sia creata
questa corrente mistica così ricca e importante? Proprio le caratteristiche così esteriorizzanti
dell’islam l’hanno portata ad esistere. Se una persona rispetta i comandamenti esteriori
sostanzialmente è in pace con i suoi fratelli e con dio e può legittimamente sperare di avere salva
l’anima; dell’aspetto spirituale, interiore invece molto è lasciato alla discrezionalità del credente. Si
è sviluppato così un approccio interiore verso dio, un tendenza a cercare un rapporto più intimo e
diretto.
19-­‐3-­‐2012 lezione7 La mistica nell’islam. È forse la meno mistica delle religioni, anche ad una ricerca più approfondita. Come è possibile che nella tradizione islamica si sia imposta anche un’interpretazione mistica? Sembra efficace la risposta di Bausani nell’enfatizzare la distanza che esiste nell’islam tra la visione ortodossa che dà tanta importanza al comportamento esteriore del credente e la dimensione interiore. L’islam ortodosso dà tanta importanza al conformarsi esteriore del credente a una serie di norme contenute nella sharia tanto che le inclinazioni interiori del credente sono ininfluenti nell’ambito della dottrina, a patto che il suo percorso di conoscenza interiore non spinga il credente a muoversi in maniera dissenziente rispetto il consesso comunitario maggioritario: solo in quel momento la mistica può diventare pericolosa e mal vista dalla comunità. Quella che sembra la più opprimente tra le religioni, quella che pone enfasi sul conformarsi è forse la più democratica in quanto non interessata a ciò che il credente persegue nella sua sfera intima. All’interno della comunità islamica si era vissuta una discussione sull’importanza da attribuire al comportamento esteriore, anche prima della comparsa della mistica esistono delle prove importanti. Un gruppo di sciiti ultraortodossi non d’accordo con una tregua nei confronti dei sunniti si distaccherà a sua volta dando vita alla visione –estremista e marginale-­‐ Kharijita (no tregua + contestazione anche al musulmano che anche esteriormente si conforma ai principi della legge ma che dentro di sé non è un buon musulmano  contestazione di ‘Alì perché si era comportato male a loro avvisi nella sostanza dei doveri del buon musulmano). È difficile decidere chi sia o meno un buon musulmano. Secondo la maggioranza comunque non sta all’uomo leggere le menti e i cuori altrui, aderendo così alla visione per cui unica cosa importante è conformarsi alla legge esteriore. Un ritorno dell’etica K. anche nel giudicare l’anima delle persone lo ritroviamo nel fondamentalismo islamico ad esempio quello di Sayyid Qutb (anni ’50-­‐’60) nella critica della Fratellanza Musulmana. È l’assenza di una chiesa a richiedere tutte queste cautele tuti quelli che esteriormente sono buoni musulmani non possono essere scomunicati, tantomeno da un credente per evitare il pericolo di frammentazione della Umma anche ai mostri giorni (tesi di Roy in “Global Muslim”). Dibattito che non ha portato ad una risposta accettata da tutti. Non c’è dubbio che fossero presenti nella penisola arabica influenze cristiane e del misticismo (anche individuale e a carattere ascetico) all’epoca della nascita del profeta, ma nella rivelazione coranica questa dimensione non è quella principale né tantomeno incoraggiata. La stessa rivelazione coranica nasce da potenti esperienze mistiche e poco importa che queste esperienze siano limitate nel tempo e nello spazio (periodo meccano). Effettivamente si ha l’impressione che la maggioranza della comunità avesse la tendenza a raccogliere la rivelazione coranica nella sua istanza etica (ciò che è bene e ciò che è male) e meno nei suoi insegnamenti mistici. La comunità non era monolitica e quindi lasciava spazio e diverse riflessioni. Riguardo il fatto che la rivelazione coranica scoraggiasse l’ascetismo e la mistica esistono pochi dubbi o incertezze, ci sono passaggi in cui dio stessa sconsiglia ai credenti l’astrazione dal mondo, il monachesimo e l’ascetismo (sura n.57 “quanto al monachesimo –riferimento a cristiani-­‐ fu da loro istituito solo per desiderio del compiacimento di dio ma non lo osservarono come andava osservato e[...]molti tra loro sono empi”). Dal tardo VII secolo ci sarà la tendenza di una corrente misticheggiante nella comunità a rafforzare la propria posizione. In una prima fase era un fenomeno individuale e disordinato, anzi, è stato ipotizzato che non ci fosse nemmeno un corpo di mistici come gruppo differenziato ma solo un gruppo di pii indifferenziato che poi avevano in nuce gli ‘Ulama e i mistici. All’inizio era una categoria di figure molto diverse che erano chiamate asceti, recitatori –del corano-­‐, lamentatori. Man mano che la mistica va affermandosi come movimento dotato di una sua identità propria questi termini vanno a perdersi per essere sostituiti da Suf (ricondotto alla parola “lana”  i primi mistici andavano vestiti con vesti stracciate di lana o Safa= purezza o Suffa= piattaforma dove sorge la moschea= Masjid ) e Tasawuf ( = mistica islamica). Le prime manifestazioni collettive della mistica islamica erano riunioni libere con esercizi spirituali e discussioni + nascita di una liturgia con una sorta di litania fatta dalla ripetizione dei 99 nomi di dio (questo esercizio spirituale viene a chiamarsi Dhikr= ricordare). Con il tempo le confraternite cominceranno a differenziarsi e i dhikr diventeranno sempre + complessi che diventeranno i “marchi di fabbrica” delle varie tradizioni mistiche (es. confraternita Naqshbandiya che fa uso dello dhikr silenzioso). Il sufismo è un ambiante che ha recepito moltissimo dalle diverse tradizioni culturali sincretismo religioso. Quando da fenomeno individuale diventa collettivo comincia ad essere considerata deviante dall’ortodossia, entrando con essa in rotta di collisione. Man mano che si costruiscono queste liturgie, cominciano a costruirsi credenze e teorie particolari  tra l’VIII e IX secolo nasce la dottrina dell’ “assorbimento o annullamento di dio”= Fanà by Al Bistami l’idea per cui l’adepto attraverso una serie di tappe spirituali –stati psicognostici-­‐ gradualmente si avvicina alla conoscenza di dio annullandosi in lui. Ciò non piaceva agli ‘Ulama che la vedevano come una pericolosa minaccia al principio dell’unicità di dio e non come un’esaltazione della sua onnipotenza. Viene a crearsi il fenomeno della santità che l’islam non conosceva, nel corano c’era solo il concetto-­‐ponte di wilaya= vicinanza wali= colui che è vicino a dio, l’amico di dio. Sulla base di questo termine la mistica costruì il concetto di santo come colui che ha raggiunto l’annullamento e in quanto tale poteva fungere da mediatore tra dio e gli altri uomini e poiché vicino a dio poteva avere qualità sovraumane (capacità di compiere miracoli –per l’ortodossia dovevano avere uno scopo ben preciso e compiuti solo da dio-­‐) tutte cose non accettate dall’islam anche per il rischio di confusione tra la figura del santo e del profeta soprattutto dopo l’introduzione del termine “sugello dei santi” troppo simile a “sugello” riferito al profeta. Il sufismo per cautelarsi dall’ortodossia tendeva ad usare una terminologia coranica. Si crea l’idea di una gerarchia invisibile di santi che proteggono la terra e che fa da perno per essa, a capo di questa gerarchia c’è il Qutb= il polo –presente in ogni epoca-­‐. Se il mondo esiste solo perché esiste questa colonna vertebrale di santi che lo reggono, l’ordine terreno è apparente ed inutile (quindi svilimento dell’ordine apparente e anche del califfato: l’islam stesso è apparenza)  problema x l’ortodossia. Il sufismo con questa idea nell’ambito della mistica sunnita sviluppa una distinzione interno/esterno (zahir/batin) come ciò che Shi’a è stata per quella sciita  grande porta attraverso cui elementi dello sciismo sono entrati nella mistica sunnita. Idea della differenza interno/esterno si sviluppa negli anni del declino del califfato quando si sviluppa l’idea della svalutazione dell’ordine apparente anche sociopolitico, il sufismo sviluppa l’idea di se stesso come visione alternativa che dà + importanza a ciò che è invisibile che a ciò che è esteriore. Ciò ha portato a uno scisma all’interno dell’islam sunnita? No, la divisione è stata ricomposta per due ragioni principali: • Intervento di giuristi e mistici che hanno lavorato per comporre la frattura e reintrodurre la mistica nell’ortodossia. • Evoluzione che è avvenuta all’interno stessa mistica in cui si è creata una diversificazione di due correnti, una + estremista che ha continuato a perseguire la rottura e un’altra che ha accettato le norme base dell’islam ortodosso riconciliandosi con esso almeno esteriormente (*). Ad Al Ghazali (XII secolo) dobbiamo la teologia sunnita + riconciliazione: era un grande giurista, teologo e mistico. Lavora sui concetti della mistica islamica per purificarla da tutti gli elementi che potevano essere considerati non islamici e la riconcettualizza (riconcettualizza la figura del santo differenziandola bene da quella del profeta e pone la visione interno/esterno come accettabile facendo della sharia comunque una cosa da seguire anche per il mistico). Crea un sufismo ortodosso, possibilità che verrà colta da tutta una serie di tradizioni sufi (*). Però all’interno mistica si distaccherà una corrente eterodossa che non seguirà né la strada indicata da Al Ghazali né quella delle tradizioni mistiche shariatiche ma darà luogo a fenomeni anche collettivi che enfatizzeranno aspetti particolari non conciliabili con il mondo ortodosso. Cmq il sufismo in quanto tale non è stato espulso dall’islam. Oggi possiamo dire che la mistica è un aspetto dell’islam ma la dialettica tra essa e l’islam non si è mai fermata. Dal XII secolo in poi per un credente era possibile essere un buon musulmano e un mistico. 19-­‐3-­‐2012 lezione7 La mistica nell’islam. È forse la meno mistica delle religioni, anche ad una ricerca più approfondita. Come è possibile che nella tradizione islamica si sia imposta anche un’interpretazione mistica? Sembra efficace la risposta di Bausani nell’enfatizzare la distanza che esiste nell’islam tra la visione ortodossa che dà tanta importanza al comportamento esteriore del credente e la dimensione interiore. L’islam ortodosso dà tanta importanza al conformarsi esteriore del credente a una serie di norme contenute nella sharia tanto che le inclinazioni interiori del credente sono ininfluenti nell’ambito della dottrina, a patto che il suo percorso di conoscenza interiore non spinga il credente a muoversi in maniera dissenziente rispetto il consesso comunitario maggioritario: solo in quel momento la mistica può diventare pericolosa e mal vista dalla comunità. Quella che sembra la più opprimente tra le religioni, quella che pone enfasi sul conformarsi è forse la più democratica in quanto non interessata a ciò che il credente persegue nella sua sfera intima. All’interno della comunità islamica si era vissuta una discussione sull’importanza da attribuire al comportamento esteriore, anche prima della comparsa della mistica esistono delle prove importanti. Un gruppo di sciiti ultraortodossi non d’accordo con una tregua nei confronti dei sunniti si distaccherà a sua volta dando vita alla visione –estremista e marginale-­‐ Kharijita (no tregua + contestazione anche al musulmano che anche esteriormente si conforma ai principi della legge ma che dentro di sé non è un buon musulmano  contestazione di ‘Alì perché si era comportato male a loro avvisi nella sostanza dei doveri del buon musulmano). È difficile decidere chi sia o meno un buon musulmano. Secondo la maggioranza comunque non sta all’uomo leggere le menti e i cuori altrui, aderendo così alla visione per cui unica cosa importante è conformarsi alla legge esteriore. Un ritorno dell’etica K. anche nel giudicare l’anima delle persone lo ritroviamo nel fondamentalismo islamico ad esempio quello di Sayyid Qutb (anni ’50-­‐’60) nella critica della Fratellanza Musulmana. È l’assenza di una chiesa a richiedere tutte queste cautele tuti quelli che esteriormente sono buoni musulmani non possono essere scomunicati, tantomeno da un credente per evitare il pericolo di frammentazione della Umma anche ai mostri giorni (tesi di Roy in “Global Muslim”). Dibattito che non ha portato ad una risposta accettata da tutti. Non c’è dubbio che fossero presenti nella penisola arabica influenze cristiane e del misticismo (anche individuale e a carattere ascetico) all’epoca della nascita del profeta, ma nella rivelazione coranica questa dimensione non è quella principale né tantomeno incoraggiata. La stessa rivelazione coranica nasce da potenti esperienze mistiche e poco importa che queste esperienze siano limitate nel tempo e nello spazio (periodo meccano). Effettivamente si ha l’impressione che la maggioranza della comunità avesse la tendenza a raccogliere la rivelazione coranica nella sua istanza etica (ciò che è bene e ciò che è male) e meno nei suoi insegnamenti mistici. La comunità non era monolitica e quindi lasciava spazio e diverse riflessioni. Riguardo il fatto che la rivelazione coranica scoraggiasse l’ascetismo e la mistica esistono pochi dubbi o incertezze, ci sono passaggi in cui dio stessa sconsiglia ai credenti l’astrazione dal mondo, il monachesimo e l’ascetismo (sura n.57 “quanto al monachesimo –riferimento a cristiani-­‐ fu da loro istituito solo per desiderio del compiacimento di dio ma non lo osservarono come andava osservato e[...]molti tra loro sono empi”). Dal tardo VII secolo ci sarà la tendenza di una corrente misticheggiante nella comunità a rafforzare la propria posizione. In una prima fase era un fenomeno individuale e disordinato, anzi, è stato ipotizzato che non ci fosse nemmeno un corpo di mistici come gruppo differenziato ma solo un gruppo di pii indifferenziato che poi avevano in nuce gli ‘Ulama e i mistici. All’inizio era una categoria di figure molto diverse che erano chiamate asceti, recitatori –del corano-­‐, lamentatori. Man mano che la mistica va affermandosi come movimento dotato di una sua identità propria questi termini vanno a perdersi per essere sostituiti da Suf (ricondotto alla parola “lana”  i primi mistici andavano vestiti con vesti stracciate di lana o Safa= purezza o Suffa= piattaforma dove sorge la moschea= Masjid ) e Tasawuf ( = mistica islamica). Le prime manifestazioni collettive della mistica islamica erano riunioni libere con esercizi spirituali e discussioni + nascita di una liturgia con una sorta di litania fatta dalla ripetizione dei 99 nomi di dio (questo esercizio spirituale viene a chiamarsi Dhikr= ricordare). Con il tempo le confraternite cominceranno a differenziarsi e i dhikr diventeranno sempre + complessi che diventeranno i “marchi di fabbrica” delle varie tradizioni mistiche (es. confraternita Naqshbandiya che fa uso dello dhikr silenzioso). Il sufismo è un ambiante che ha recepito moltissimo dalle diverse tradizioni culturali sincretismo religioso. Quando da fenomeno individuale diventa collettivo comincia ad essere considerata deviante dall’ortodossia, entrando con essa in rotta di collisione. Man mano che si costruiscono queste liturgie, cominciano a costruirsi credenze e teorie particolari  tra l’VIII e IX secolo nasce la dottrina dell’ “assorbimento o annullamento di dio”= Fanà by Al Bistami l’idea per cui l’adepto attraverso una serie di tappe spirituali –stati psicognostici-­‐ gradualmente si avvicina alla conoscenza di dio annullandosi in lui. Ciò non piaceva agli ‘Ulama che la vedevano come una pericolosa minaccia al principio dell’unicità di dio e non come un’esaltazione della sua onnipotenza. Viene a crearsi il fenomeno della santità che l’islam non conosceva, nel corano c’era solo il concetto-­‐ponte di wilaya= vicinanza wali= colui che è vicino a dio, l’amico di dio. Sulla base di questo termine la mistica costruì il concetto di santo come colui che ha raggiunto l’annullamento e in quanto tale poteva fungere da mediatore tra dio e gli altri uomini e poiché vicino a dio poteva avere qualità sovraumane (capacità di compiere miracoli –per l’ortodossia dovevano avere uno scopo ben preciso e compiuti solo da dio-­‐) tutte cose non accettate dall’islam anche per il rischio di confusione tra la figura del santo e del profeta soprattutto dopo l’introduzione del termine “sugello dei santi” troppo simile a “sugello” riferito al profeta. Il sufismo per cautelarsi dall’ortodossia tendeva ad usare una terminologia coranica. Si crea l’idea di una gerarchia invisibile di santi che proteggono la terra e che fa da perno per essa, a capo di questa gerarchia c’è il Qutb= il polo –presente in ogni epoca-­‐. Se il mondo esiste solo perché esiste questa colonna vertebrale di santi che lo reggono, l’ordine terreno è apparente ed inutile (quindi svilimento dell’ordine apparente e anche del califfato: l’islam stesso è apparenza)  problema x l’ortodossia. Il sufismo con questa idea nell’ambito della mistica sunnita sviluppa una distinzione interno/esterno (zahir/batin) come ciò che Shi’a è stata per quella sciita  grande porta attraverso cui elementi dello sciismo sono entrati nella mistica sunnita. Idea della differenza interno/esterno si sviluppa negli anni del declino del califfato quando si sviluppa l’idea della svalutazione dell’ordine apparente anche sociopolitico, il sufismo sviluppa l’idea di se stesso come visione alternativa che dà + importanza a ciò che è invisibile che a ciò che è esteriore. Ciò ha portato a uno scisma all’interno dell’islam sunnita? No, la divisione è stata ricomposta per due ragioni principali: • Intervento di giuristi e mistici che hanno lavorato per comporre la frattura e reintrodurre la mistica nell’ortodossia. •
Evoluzione che è avvenuta all’interno stessa mistica in cui si è creata una diversificazione di due correnti, una + estremista che ha continuato a perseguire la rottura e un’altra che ha accettato le norme base dell’islam ortodosso riconciliandosi con esso almeno esteriormente (*). Ad Al Ghazali (XII secolo) dobbiamo la teologia sunnita + riconciliazione: era un grande giurista, teologo e mistico. Lavora sui concetti della mistica islamica per purificarla da tutti gli elementi che potevano essere considerati non islamici e la riconcettualizza (riconcettualizza la figura del santo differenziandola bene da quella del profeta e pone la visione interno/esterno come accettabile facendo della sharia comunque una cosa da seguire anche per il mistico). Crea un sufismo ortodosso, possibilità che verrà colta da tutta una serie di tradizioni sufi (*). Però all’interno mistica si distaccherà una corrente eterodossa che non seguirà né la strada indicata da Al Ghazali né quella delle tradizioni mistiche shariatiche ma darà luogo a fenomeni anche collettivi che enfatizzeranno aspetti particolari non conciliabili con il mondo ortodosso. Cmq il sufismo in quanto tale non è stato espulso dall’islam. Oggi possiamo dire che la mistica è un aspetto dell’islam ma la dialettica tra essa e l’islam non si è mai fermata. Dal XII secolo in poi per un credente era possibile essere un buon musulmano e un mistico. 23-­‐3-­‐2012 lezione8 La fase della cristallizzazione delle confraternite sufi avviene tra il X e il XIII secolo. Nuove confraternite nasceranno da quelle esistenti anche dopo attorno ai leader carismatici: i grandi santi sufi e questa proliferazione continua anche oggi. Vi è stata la tendenza del sufismo di porsi al riparo dalle critiche del mondo ortodosso legando le proprie pratiche e credenze al testo coranico ed utilizzandone anche la terminologia o quella della sunna. Concetto di concatenazione (Isnad) o trasmissione del sapere religioso che avevamo trovato nella sunna del profeta (hadith) che troviamo anche nel sufismo in chiave mistica silsila= catena catena di trasmissione almeno in origine del messaggio spirituale, dell’insegnamento sufi dal santo fondatore (wali o shaikh legittimato da uno dei primi quattro califfi e questi dal profeta stesso, legittimato a sua volta da dio  // col fenomeno della shi’a) della confraternita ai suoi discepoli (khalifa= vice, successore di un santo). Nel corso dei secoli queste catene sono diventate molto lunghe e complesse. È avvenuto molto spesso che un nuovo santo abbia dato un’impronta personale alla tradizione creando una “sotto silsila”, magari dando il proprio nome alla silsila stessa. Nella vita e nell’autorappresentazione della confraternita queste silsile sono molto importanti perché racchiudono le basi dell’autorità. Quasi tutte le confraternite dicono di derivare da ‘Ali con la sola eccezione della Naqshbandiya che si rifà ad Abubakr. La confraternita è tanto + celebre quanto + celebri sono le grandi figure del passato cui si dice legata e le confraternite competono tra loro sul piano della spiritualità con questa genealogia dell’autorità. ‘Urs(= matrimonio con dio): giorno della celebrazione della morte del santo. Silsila: pur nascendo come ricordo e memoria di una serie e successione di maestri spirituali, essa sviluppa anche un significato //  genealogia di sangue. Discendenza spirituale e di sangue dal maestro. Da un lato un maestro importante spiritualmente e per questo ci sono i suoi discepoli per la trasmissione del pensiero, dall’altro tendenza innata da parte islam a dare valore alla discendenza di sangue e pertanto la comunità inizia a interpretare la silsila come discendenza di sangue. La comunità inizierà a venerare non solo il discepolo del maestro, ma anche i suoi figli e parenti. Il santo risulta essere possessore di una carisma ereditario. Questa idea per cui esiste una sorta di carisma spirituale trasmissibile per discendenza è chiamate baraka= carisma, benedizione divina. Silsila “colta” allora composta da concatenazione maestri con discepoli tramite messaggio spirituale + una silsila “popolare” parallela in cui il santo trasmette il suo carisma ai suoi figli e le due si possono sovrapporre o correre parallelamente. Nell’islam periferico le due silsila solitamente corrono parallele. L’uditorio a chi dà maggior ascolto? Una grande confraternita ha anche un uditorio complesso. Idea della taumaturgia posseduta da chi ha avuto la benedizione divina: attorno a questo aspetto genealogico della santità si crea un bel miscuglio antropologico. Es. amuleti cn dentro foglietti con iscrizioni coraniche= ta’wiz che possiedono santità. Il sufismo interpretato in questa versione magica e miracolistica ha più successo nelle regioni rurali. Questo genere di pratiche non è accettato dall’ortodossia. Diverse sensibilità anche tra gli ‘Ulama anche meno interessate alla formalità degli atti. Le scuole + legalistiche (e sono la maggioranza) tendono invece a non accettare queste pratiche. Tendenza da parte storici e sociologi a considerare la versione del messaggio spirituale come “colta” e l’altra come islam folk. Tendenza alla divisione alto/basso troppo rigida ma utile almeno a distinguere le due tipologie differenti e da tenere distinte e utile anche ad interpretarle nei diversi ambienti sociali in cui si manifestano. L’islam della baraka è decisamente + popolare di quello della mistica a causa della grande massa di persone illetterate. La versione ereditaria ha trovato poi ambiente favorevole nelle società tribale, quelle ad organizzazione su legami di sangue che è base di tali società e pertanto comprende meglio il messaggio di questo tipo di islam. Il mondo tribale per sua natura ha una tendenza a cercare un’ incarnazione del sacro. Gli ‘Ulama simbolicamente rappresentano la umma che non si incarna né in persone né in istituzioni. Il corano non può essere “carne e sangue”, ciò di cui invece hanno bisogno le società tribali. Nelle società tribali vere e proprie l’islam coranico è assente. Mullah= termine dispregiatorio per chiamare gli ‘Ulama, il rappresentante dell’islam coranico. Pir= anziano, saggio (il santo, lo shaikh nel mondo tribale) ha invece un enorme carisma e influenza non solo religiosa ma anche sociale, capace anche di guidare una tribù in guerra. L’islam della trasmissione sanguinea è diventato col tempo quello praticato in maggioranza. Naturalmente la letteratura occidentale spesso si è posta il problema di interpretare questa divisione tendenza a dare un giudizio di valore descrivendo l’islam del messaggio spirituale come colto e puro che via via col tempo si è corrotto fino ad approdare a quello popolare perdendo la propria purezza. Es. “Sufi orders in Islam” di Trimingham, “Sufism” di Arberry [prima metà ‘900] tentativo di ordinare una situazione che sembrava disordinata e periodo di attrazione verso quel mondo, simpatizzando per la versione + bella e simile alla forma mentis cristiana. Es. Louis Massignon che si concentrò su Al Hahhaj –santo musulmano indiano medievale che scandalizzava dicendo “io sono dio”-­‐. Visione cronologica e consecutiva delle due visioni oggi confutata: si sono sviluppate contemporaneamente e hanno convissuto gomito a gomito fin dalle origini del sufismo influenzandosi reciprocamente. Due termini tratti dalla lingua persiana: • Khanquah= ospizio sufi, luogo dove ha luogo l’insegnamento da parte del santo e dove alloggiavano i discepoli, luogo legato all’islam “colto”. • Dargah= (originariamente significava la corte e per estensione il santuario, la tomba del santo) luogo della sepoltura del santo come centro della confraternita, luogo legato all’islam della baraka. Parole della confraternita: o Taruquah, (turuq pl.) = l’ordine sufi, la confraternita sufi; la via mistica, metodo spirituale inventato da un maestro che cristallizzandosi ha dato vita ad una vera e propria confraternita. o Quaduriya= la confraternita + importante che esiste in tutto l’islam, fondata da Abdul Qadir Jilani nel XII secolo con tomba a Baghdad. Stile religioso di compromesso, evita le forme estreme di pratiche religiose (es. no sia eccessivo atteggiamento ascetico sia di allontanamento dal mondo); ruolo mediazione tra sunniti e sciiti facilitato anche per la sua capillare diffusione anche nelle zone a forte presenza sciita (iraq da cui proviene). o Naqshbandiya= nota per avere un approccio religioso molto riformatore e puritano, ha criticato le interpretazioni + estreme di sufismo che minacciavano la superiorità della sharia, fondata a Bukhara da Al Naqshband solo nel XIV secolo. Confraternita puramente intellettuale e ribadisce la necessità di rispettare gli obblighi formali ed informali del credente e della sharia. Ruolo di coscienza critica nell’islam nei momenti in cui c’era il rischio di abbandono della sharia es. nell’india; anche ruoli militari con degli shaikh che hanno difeso l’islam da minacce esterne es. nel caucaso tra ‘700 e ‘800 vs. espansione russa. Difendono ortodossia sunnita e prendono distanze da ‘Ali. Approccio molto interiore e sobrio, il loro modo di fare lo dhikr è in silenzio. Anonimato: i membri della confraternita sono segreti, concetto espresso dalla frase “solitudine nella folla” di matrice persiana. Segretezza l’ha aiutata a sopravvivere in ambienti ostili (europa dell’est, russia e asia centrale). Sono confraternite che fanno convivere il rispetto sharia con la pratica della mistica a differenza ad esempio dei santi mendicanti. Considerare il sufismo come parte del corpo dell’islam. L’evoluzione storica ha fatto si che da un lato la versione giuridica dell’islam e dall’altra la via mistica si siano sviluppate come vie parallele e da non vedere in antitesi. Il credente della strada non vive alcuna contraddizione tra queste due visioni. Esistono dei momenti di attrito solo relativi alle forme estreme di sufismo. Sono due grandi espressioni dell’islam, due grandi canali attraverso cui il sapere islamico ha percorso le generazioni. Califfato è l’archetipo dello stato islamico. È l’istituzione che nasce per supplire a un problema presente nella comunità= vuoto di leadership dopo morte M. è un istituzione nel mondo sunnita che ha trovato la propria ragion d’essere da un’esigenza della comunità senza che vi fosse un’indicazione nel testo coranico in cui è assente un preciso comandamento. È creato dalla comunità e questa decisione è stata giustificata a posteriori dalla comunità con il principio dell’unità e unicità divina (Tawhid) come dio è uno e unico, così è bene la anche la comunità non si frammenti, cosa che accadrebbe senza un leader. Rappresenta la soluzione sulla terra di un ordine divino. Secondo la teoria classica il califfo è il vice del profeta come leader politico religioso della comunità (non è un altro profeta e nn porta una legge, legge che è già data), ha caratteristiche umane ed è un primus inter pares. Carattere quasi democratico perché il califfo doveva avvalersi dell’approvazione di un consesso di persone= Shura. È leader militare. Questa originaria concezione prettamente araba del califfato cambierà con i suoi spostamenti soprattutto verso oriente, incontrandosi con altre concezioni dello stato e della monarchia assumendo qualità + carismatiche. 26-­‐3-­‐2012 lezione9 Il califfato va distinto in 2 periodi storici: il califfato ben guidato o diretto ed il califfato monarchico o ereditario. Sono state le stesse fonti musulmane a sancire tale distinzione. Primo periodo 632-­‐661 il califfo rimane tra i più stretti collaboratori di M. considerati i più pii e devoti musulmani in quanto accettarono il messaggio del profeta anche in situazioni difficili e pericolose; istituzione califfale interpretata in maniera conforme a quella che la comunità riteneva corretta. I primi quattro califfi sono: 1. Abu Bakr 2. Omar 3. Uthman 4. ‘Ali esclusivamente in questa fase secondo la tradizione islamica il califfato è stato realizzato conformemente a come sarebbe dovuto essere realizzato ed interpretato sotto tutti i punti di vista. Età dell’oro dal punto di vista sia religioso che politico, califfato come archetipo del potere politico, la + piena realizzazione dello stato islamico come comandato da dio. Vicinanza al profeta come motivo di vicinanza alla perfezione. Per l’800 e tutto il ‘900 questo mito è stato enfatizzato dai musulmani. Dopo cosa è successo? Il califfato si è trasformato in niente più che un’istituzione monarchica, la più forte tra le diverse forze presenti nella Umma con diversi interessi: interessi religiosi, interessi tribali tra nord e sud della siria, militari. Dopo 661 sarà il clan che esce vincitore a diventare il grande avversario dello sciismo Ommiadi o Ommayadi che terranno il califfato dal 661 al 750 d.C. La capitale viene spostata dopo la Mecca e Medina a Damasco. Spostamento importante perché si sposta il baricentro del califfato. La posizione geopolitica della capitale è molto importante dal punto di vista del controllo del territorio e Damasco era ben posizionata per la natura del territorio circostante entroterra molto fertile e economicamente importante per sostenere l’impero + efficace nel controllare il mondo del mediterraneo. Dopo 750 spostamento ancora più ad oriente con la dinastia degli Abbasidi (prendono il nome dall’eponimo di Abbas che secondo loro sarebbe stato zio di M.) 750-­‐1258 con capitale Baghdad. La città si trovava vicino alla vecchia capitale dell’impero sassanide Ctesifonte. Da questo momento il califfato entrò in contatto con la cultura persiana processo di persianizzazione del califfato: la lingua araba rimane quella della politica e della religione ma si assisterà ad una grande ascesa dell’elemento culturale persiano nella Umma e nei secoli successivi diventerà la seconda cultura dell’islam e dal medioriente ad est (oriente islamico) diventa la + importante a meno dal punto di vista prettamente politico. La cultura araba tenderà a specializzarsi nell’ambito religioso mentre nell’ambito politico sarà la persiana ad essere dominante a causa del fatto che il califfato, cresciuto per importanza territoriale-­‐
politica ed economica, cominciò a necessitare ormai di istituzioni + complesse e la cultura araba (importantissima per la prima spinta) non era più adeguata (grandi guerrieri sì ma scarsa normalizzazione, organizzazione e teorizzazione dello stato). Le elites persiane nobili verranno cooptate e saranno importantissime per la gestione politica e fiscale e anche dal punto di vista militare verranno fatte proprie anche le elites dell’esercito sassanide. Certamente ci furono conversioni ma anche ci saranno gruppi che non abbracceranno l’islam ma nonostante ciò svolgeranno funzioni importantissime. Al centro dell’impero cmq ci fu la tendenza alla conversione perché almeno teoricamente la sharia non permette ad un non musulmano di governare su un musulmano. Alla periferia es. in india invece ci furono elites indù che fecero parte di incarichi civili e politici senza convertirsi e così fu anche per gli ebrei –come mediatori + gli arabizzati che non si convertivano all’islam ma si adeguavano ai costumi e alla lingua araba-­‐ nella spagna musulmana, tutte distinzioni spazzate via dalla reconquista cristiana. Il personale di governo e specializzato fu quindi reperito tra le elites degli stati sottomessi. Si crearono anche degli attriti tra le elites e l’impero islamico in quanto la parità con i cittadini musulmani non veniva praticata. Es. Mawali (-­‐wly radice da cui sono nate parole molto importanti nel lessico: wilayat= protezione e custodia, termine utilizzato per indicare le provincie; wali in ambito sufi= colui che è vicino a dio; wali= tutore nell’ambito matrimonio) in epoca abbaside, elites dell’impero sassanide poste sotto protezione dell’impero facendo si che si islamizzassero una sorta di forma di patronato-­‐clientela. Tensione poi tra arabi e mawali che furono cmq sottomessi all’élite di arabo-­‐musulmani. Il fallimento della risoluzione di questo problema considerato come fattore di debolezza e concausa della caduta dell’impero musulmano. Un altro grosso problema della teoria araba era l’essere priva di teorizzazione dello stato e della politica sufficientemente sofisticata. Solo principio generale per cui la politica non deve avere autonomia rispetto religione, ragione principale per la mancanza di un discorso politico autonomo. Quindi il califfato andò a reperire altrove teorizzazioni sulla politica, nel mondo persiano perché presentava già una tradizione politica come stato sedentario ed aveva prodotto teorie dello stato che entrarono a far parte della dialettica e della concezione dello stato islamico. L’islam come una spugna che assorbe moltissimo e anche si dimostra flessibile. Il califfato nella sua originaria versione (califfato accettato de facto dalla comunità e pertanto privo di teorizzazione) viene inteso dalla comunità una leadership dalle qualità arabe, concetto egalitario di tutti i musulmani dinnanzi a dio, califfo come primus inter pares senza alcuna qualità superiore (diversamente dagli sciiti per cui l’imam è superiore agli altri). Poi la leadership si orientalizza ed il califfo viene percepito come un leader dalle qualità intrinseche superiori alla comunità. Soprattutto in area persiana in epoca abbaside la concezione sciita comincia a farsi sentire. Califfo come soggetto che ha in sé un’aura di sacralità, è il prescelto da dio. È il califfato stesso a proporsi così anche nelle proprie rappresentazioni. I califfi abbasidi nella loro pretesa di affermare la propria posizione e caratterizzazione sacra si descrivono come discendenti di Abbas zio di M. Crescere di attriti tra ‘Ulama e califfo, soprattutto a causa di interferenze e ingerenze del secondo negli affari religiosi dei primi. Diatriba di lana caprina in epoca abbaside tra ‘ulama e califfo sul tema del dogma della natura increata del corano. I califfi cominceranno a sostenere l’idea (propria dei settori + razionalisti dell’islam) che il corano fosse il frutto di un atto creativo di dio e come l’aveva fatto una volta ne poteva creare infiniti. Se il corano fosse stato ritenuto creato così anche lo status dei suoi custodi sarebbe risultato ridotto nei confronti del potere politico. I califfi poi saranno costretti a cedere. Nel 1258 per i musulmani termina l’epoca del califfato unitario= un unico califfo riconosciuto da tutta la comunità. Da quella data saranno le invasioni mongole a spazzar via tutto quello che c’era di unitario nell’islam uccidendo l’ultimo califfo abbaside. Qualcuno vedrà nel potere del sultano ottomano l’eredità del califfato. Velocità di diffusione ed espansione islam al di fuori della penisola arabica: entro il 632 l’islam aveva conquistato tutta la penisola arabica e poi si espande sia verso occidente che verso oriente. Agli inizi VIII secolo l’islam aveva già conquistato tutta l’africa settentrionale e dal marocco si accingeva a metter piedi in europa fino alla sconfitta da parte di Carlo Martello a Poitiers (732) etc... Rapidità espansione riferimento alle debolezze intrinseche degli stati che incontrava sul suo percorso + disaffezioni delle popolazioni appartenenti a confessioni minoritarie nei confronti gerarchie bizantine che accolsero i conquistatori musulmani come quasi liberatori, essendo attratte dall’ almeno in teoria presente principio egalitario dell’islam. Non ci fu una grande durezza nel momento successivo alla sottomissione popolazione, atteggiamento di tendenziale tolleranza. C’è nell’atteggiamento islamico l’attenzione a non compromettere l’economia dei paesi conquistati -­‐+ evoluti economicamente e nell’organizzazione statale-­‐. Atteggiamento di cautela nei confronti delle istituzioni assoggettate soprattutto nel mondo urbano. Due caratteristiche approccio islamico: valorizzazione ed attenzione al mondo urbano preesistente c’era il mito che l’islam potesse realizzarsi pienamente solo in ambito urbano. Cura a preservare le istituzioni preesistenti per non comprometterle. Gli arabi si insediavano in accampamenti fortificati a margine della città conquistata (x preservarla da saccheggi e razzie). Piccola città militare che cresceva accanto a quella civile conquistata, poi processo di osmosi tra le due: la prima cominciava a civilizzarsi e con clientele e conversioni, la seconda a poco a poco si arabizzava nasceva una agglomerato urbano “cosmopolita” formazione di una civiltà islamica urbana propria del califfato. L’elemento arabo si fonde con quello culturale incontrato, l’elemento tribale scompare con civilizzazione e detribalizzazione del califfato che comincia ad avere una civiltà sedentaria e conquista. Ulteriore fase di sviluppo nella tarda fase abbaside del IX-­‐X secolo con ingresso dell’elemento turco accanto a quello arabo e persiano. Entra dall’asia centrale dopo conquista schiavi ed islamizzati e con il tempo + massicciamente entra a farvi parte a seguito dell’incapacità di mantenere le frontiere del califfato con penetrazioni turche nell’orbita califfato (migrazioni tribali). Schiavitù nel mondo islamico è diversa da quella occidentale: lo schiavo nella prassi califfato riceveva lo status del proprio padrone e poteva accadere che uno schiavo militare poteva fare carriera in quel reparto e diventare personaggio influente (ci furono dei generali schiavi e delle dinastie politiche schiave ai margini del califfato). Schiavi turchi= ghulam o mamluk (questi furono una dinastia regnante tra 1500 e 1800 in egitto). Tre grandi elementi del califfato che vi entrano in successione: 1. arabo rimarrà dominante nell’ambito religioso 2. persiano importante per la cultura alta ad soprattutto ad oriente; persiano= lingua della politica e della cultura cm latino e poi fr in eu. 3. Turco contributo di tipo militare, inizialmente come schiavi e poi cm liberati. 29-­‐3-­‐2012 lezione10 Distinguiamo il califfato in due gradi periodi: quello ben diretto e quello monarchico. Diversi modi in cui la tradizione musulmana ha interpretato questi periodi. Cultura araba primo motore dell’espansione del califfato cui poi si aggiungono quella persiana e quella turca. Prima ancora che il califfato unitario cessasse di esistere, l’elemento turco diventò già l’elemento più importante nella linea dinastica. Tutte turche le dinastie che nasceranno nel subcontinente indiano e dall’india all’anatolia (Iran fino XX secolo, impero ottomano dal XIII al XX secolo). I grandi stati di epoca post califfale sono stati turchi. La cultura araba rimarrà come riferimento della cultura alta e religiosa islamica. La cultura persiana e il bagaglio di conoscenze legate alla sua lingua farà parte delle grandi entità politiche sì, etnicamente turchi, ma culturalmente persiani (a corte si parlerà il persiano). Osmanli è colui che fondò l’impero ottomano. Lingua Urdu (dalla stessa radice deriva “orda”) diventò una lingua franca dei conquistatori nel subcontinente indiano. Lo spartiacque simbolicamente è dato dalla scomparsa del califfato unitario di Baghdad. Il califfato abbaside ha comunque un lento declino e già nel X secolo non è più all’apice della sua potenza, il califfato era già facile preda delle conquiste da parte del mondo turco che dall’asia centrale si spostava verso ovest immigrando nei territori del califfato. Lo spostamento del fulcro del califfato ha delle conseguenze Damasco era utile a controllare mondo mediterraneo, Baghdad si prestava bene a regnare sull’oriente musulmano. Il maghreb sfuggì al controllo diretto del califfato. Periodo caotico dell’africa settentrionale con dinastie arabo-­‐berbere che si contesero quell’area. La graduale incapacità del califfo di B. di esercitare il potere e controllare la frontiera orientale porta a grandi infiltrazioni di gente turca nel califfato. Con il tempo queste genti , questi signori turchi misero sotto controllo il califfato, diventandone protettori ed invertendo il rapporto di partenza. Il califfo per i musulmani era la fonte dell’autorità legittima e nessun altro poteva governare. Nacque la distinzione tra califfo (indica il successore in quanto leader del profeta, depositario del potere politico religioso dell’islam) e sultano (da sultan, carica esclusivamente politica che si impone come signore del territorio, che per essere legittimo deve avere il mandato del califfo, la trasmissione del suo carisma). Inizialmente il califfo, ogni volta che un sultano, un emiro (da amir), un signore della guerra gli si presentava, via via dava loro un bene placido a governare. Via via furono i sultani turchi a proteggere il califfo che diventa sempre più autorità religiosa. Dal 945 fino 1055 circa la dinastia turca + importante nella zona di Baghdad era sciita= dinastia degli Buyidi prende il potere ma non scaccia il califfo sunnita. Vanno ricordate 2 dinastie turche: i Buyidi e Selgiuchidi. Il califfato rimane un’autorità importante per i musulmani, soprattutto dotti  finchè c’era un califfo, l’ordine politico sulla terra poteva essere riccondotto alle linee dispositive divine. Si crea una distanza tra una teoria e la prassi con l’arrivo dei turchi, distanza che porta alle prime vere discussioni sulla natura e sulla necessità del califfato, dell’obbligo di una certa forma di governo per i musulmani. Il politico e la forma di governo ha una sacralità o no? Temi che emergono a causa crisi califfato. Mancava una teorizzazione del califfato. Non trovando una diretta menzione nel corano non era mai stato teorizzato in modo sistematico né mai messo in discussione. Dio è la causa ed il motore degli eventi per l’islam. Se c’è un califfato che fino a un certo momento funziona bene (fino primi anni dinastia abbaside) e l’islam è sempre + importante in questo mondo dio vuole il califfato. Quando entra in crisi anche i dotti non possono + fare finta di nulla e cominciano a porsi dei problemi. Troviamo soltanto che quando il califfato entra in crisi si scrivono delle opere che provano a impostarne una teorizzazione e giustificazione opere importanti di due giuristi che si trovano a vivere durante la crisi + profonda del califfato e ne sono testimoni: • al-­‐Mawardi contributo + interessante perché costruisce una prova del conservatorismo, quietismo e conformismo culturale e politico dei musulmani. Si occupa di ristabilire il corretto ordine dei valori tra il califfo e i sultani turchi. Afferma che l’unica autorità legittima è rappresentata dal califfo. Le altre forme di potere sul territorio (emirato di conquista, spregiatorio come termine) sono forme di governo eccezionale che possono esserci solo su autorizzazione concessa in modo grazioso dal califfo. Politica e religione continuano ad essere inscindibili, essendo sempre il califfo a dare l’autorizzazione. “Politica e religione sono sorelle gemelle”, legate in maniera indissolubile. All’epoca già non era così: erano i sultani e gli emiri a prendersi tale autorizzazione. Islam= din wa dunya= fede e mondo. Il califfato per lui non è istituzione razionale ma imposto nelle pieghe dalla rivelazione (+ un dogma che una spiegazione logica). Non possiamo dire che il suo contributo fosse utile a ricondurre la teoria politica dell’islam alla pratica, anzi il contrario. Ribadisce la scala dei valori ma inutile per la lettura della realtà che era andata in tutt’altra direzione. In questa lacuna interpretativa si situa il contributo sottostante. • al-­‐Gazzali successivo di una generazione, approccio + pragmatico, fa fare un passo avanti alla teoria politica dell’islam. Si sente in dovere di ribadire la teorica indissolubilità di religione e politica (“la religione e il potere sono in perfetto accordo”). Si rende conto della situazione di contraddizione delle due istituzioni di califfo e sultano. Visto che i califfi sono ormai incapaci di gestire il potere, nonostante la loro posizione sia insostituibile, bisogna trovare un sistema legale per giustificare la posizione di subordinazione di fatto verso i sultani. Tratta così i metodi di elezione del califfo (x elezione, eredità, designazione del califfo precedente e elezione assegnata ad un capo militare  sultano che con la forza del suo esempio porta alla sottomissione dei più al califfo da lui designato). Si crea ambiguità tra politica e religione, ambiguità che viene creata con altre argomentazioni all’argomento del sultanato (quindi anch’esso un’autorità legittima): se il sultano è anche lui depositario di un’autorità che è frutto dell’autorità divina, allora non gli si può negare la possibilità di disciplinare l’amministrazione del suo territorio con norme e regolamenti che gli consentano di mettere in pratica l’autorità divina. G. attribuisce al sultano anche una potestà (diritto-­‐
dovere) governativa problemi con la sharia in cui solo Dio fa legge  questa potestà dovrebbe essere esercitata solo in campi in cui la sharia ha delle lacune non toccata da essa e senza violarla o contraddirla (sfere di carattere amministrativo). La chiama Siyasa (indica attività politica nel senso laico e secolare nel linguaggio odierno) sharia = politica secondo la legge religiosa. Si deve muovere entro i confini della sharia come normativa, frutto del potere politico militare di un signore della guerra sul territorio. G. rompe un tabù: ammette la possibilità che l’uomo possa fare delle leggi, benché con delle cautele e molte restrizioni anche dal punto di vista territoriale: applicabili solo nel territorio del sultano, no valore universale. Si deroga la principio secondo cui solo Dio fa le leggi e l’uomo le interpreta. Problemi: quando si dice che nell’islam il politico non ha sfera di autonomia è sì vero ma di fatto parzialmente è ammessa una sfera autonoma, quella del sultano  ambiguità ai limiti del potere: principio teorico vs. prassi della siyasa sharia cui i principi hanno fatto ricorso in maniera abbondante. Es. dei qanun ottomani: codici di norme x organizzare e riformare l’impero nel suo momento di crisi dal XIX secolo o es. Muammad’Ali che si avvalse della s.s. e è considerato padre egitto. Insomma è stata interpretata ed usata in maniera abbastanza estensiva. G. riconosce di fatto che l’unità politica della umma non c’è più, attraverso la legittimazione dei sultani si ammetta la frammentazione dello spazio politico islamico. Se questo spazio non è più unificato sotto un unico sovrano ha ancora senso parlare dell’unità umma? Sì e si tratta di una unità della umma di carattere legislativo e non politico  dove c’è sharia, lì c’è umma. Importanza identitaria enorme della sharia che diventò così simbolo appartenenza alla comunità islamica universale. La sharia fa le veci dell’unità politica scomparsa con la fine califfato. Approccio del conservatorismo e giustificazionismo dello status quo sulla base della teoria. Grande difficoltà di distaccarsi dalla realtà califfale per giustificare la situazione di fatto ed entrambi in ogni caso ribadiscono la teorica unità del politico col religioso e necessità del califfato alla comunità non sarebbe dato quindi di ribellarsi al potere politico, in quanto anche religioso, altrimenti peccato di fronte a Dio. Louis Gardet negli “Uomini dell’islam” ha scritto che questa prassi medievale islamica ha creato le basi dottrinarie teoriche e giuridiche per l’ascesa degli autoritarismi nel mondo islamico. Durante il declino califfato sorgeranno altri due califfati concorrenti: quello dei fatimidi in egitto di origine ismailita + in spagna a Cordova, fondato come universale da profughi della dinastia Ommiade. 30-­‐3-­‐2011 lezione 11 Questione uomo-­‐donna. Tema che consente mettere in luce contraddizioni dell’islam tra ciò che le scritture affermano e ciò che le comunità hanno dedotto da esse nel corso dei secoli. Ricordare che esiste un’ortodossia (dottrina considerata cogente e dominante) ed un’ortoprassi (comportamento considerato dominante) che spesso possono non coincidere. Si nota spesso l’errore da parte di osservatori dell’islam di passare da un estremo all’altro, troppa importanza o totale alla lettera delle scritture (approccio diffuso soprattutto in occidente) o viceversa guardare solamente a ciò che i musulmani fanno e come si comportano concretamente. Bisognerebbe invece trarre le affermazioni partendo dall’interazione delle due dimensioni. Tenere presenti entrambe le dimensioni: quella normativa e quella della prassi scio-­‐antropologica, culturale. F. Robinson ad esempio ha affermato che tutte le società musulmane tendano a conformarsi ad uno standard alto di comportamento sempre + vicino alle scritture. Ci sono mille modi diversi di praticare l’islam, anche a seconda delle diverse collocazioni geografiche. Tema della posizione della donna nell’islam: bisogna tenere presente sia il messaggio divino delle scritture sia le prassi e mentalità locali. In certe aree la posizione donna non cambia sensibilmente a seconda della religione dei gruppi di appartenenza. Mutilazioni femminili nel continente africano ad esempio sono praticate in zone non a maggioranza islamica. Pratiche frutto di mentalità locali molto antiche, pratiche antropologiche cui è stata attribuita una coloritura religiosa successiva, fatto fisiologico, tendenza ad islamizzare ciò che già c’era. In generale i regimi laici nel mondo musulmano, sorti nella fase colonizzazione e decolonizzazione hanno tentato di modernizzare le proprie società anche riformando e migliorando la condizione femminile con le normative ad essa riferita. Es. Tunisia anni ’60. In maniera uguale e contraria gli stati di ispirazione islamista hanno preso la condizione femminile come paradigma della de-­‐islamizzazione delle loro comunità (+ la donna era libera, secolarizzata ed emancipata  + la società islamica si stava corrompendo; es. Arabia Saudita). La donna è stata gravata di un peso ideologico gravissimo: rappresentare visivamente l’adesione di un’intera comunità a valori di volta in volta o filo occidentali o islamici. Cominciamo dall’aspetto normativo: ci accorgiamo che le scritture islamiche (corano e sunna) non presentano un unico profilo femminile, ma diversi modelli di donna che corrispondono ad altrettanti tipi ideali dell’immaginario musulmano maschile. È un’immagine filtrata dall’universo maschile e tre figure concrete, storiche nei primi secoli dell’islam: 1. KhadJa= prima moglie del Profeta. Figura essenziale per la nascita Islam e ha caratteristiche che la rendono archetipo della donna forte e protettiva verso l’islam. + anziana di M., una vedova molto benestante e molto attiva negli affari. Quando M. la incontra lei lo protegge e lo aiuta anche economicamente e lo sostiene moralmente nel periodo difficile dell’inizio della rivelazione. Considerata la prima credente dell’islam, la prima persona ad avere accettato l’autenticità della rivelazione coranica dopo M. M. fu sempre a lei fedele e prese altra moglie solo dopo la sua morte. Interessante perché la prima figura di donna della tradizione islamica non corrisponde affatto all’ideale della donna sottomessa, lontana da attivismo nella sfera pubblica e costretta a quella familiare, è forte, attiva, assertiva quasi dominante. 2. Aisha= terza moglie del Profeta e figlia del primo califfo ben diretto. Sposata a 9 anni, divenne la prediletta di M., è molto attiva, prese parte a battaglie con anche posizioni di comando. Figura sessualmente abbastanza attiva. Disinvolta e libera per molti aspetti. Pure un sospetto adulterio perdonato da M. Un hadith riporta che il profeta avrebbe ricevuto una delle rivelazioni mentre era a letto con la moglie. Dopo la sua scomparsa appare Fatima. 3. Fatima= figlia del Profeta e moglie del quarto califfo ben diretto, a sua volta cugino del profeta e padre sciismo. Figura completamente differente. È sempre moglie e madre, figura di carattere famigliare. Ma rispetto alle precedenti e soprattutto precedente ci appare come asessuata. Poco aggressiva, molto rassicurante. Donna il cui profilo si avvicina a quello della Maria cristiana. + madre che donna. È diventata oggetto di un culto devozionale nell’islam popolare anche dei culti magici. È universalmente venerata dal mondo musulmano. Mano di Fatima amuleto a protezione dallo sguardo cattivo delle persone. Il tramonto delle prime due e l’ascesa della terza ha segnato il tramonto del modello di donna forte, assertiva e dominante nell’immaginario musulmano e la prevalenza della donna tendenzialmente sottomessa, rassicurante e legata a luoghi familiari + che indipendenti Ipotesi di Verzellini. Donna che non minaccia il predominio maschile e si adatta a determinati stereotipi. Ipotesi interessante che va presa con le pinza e bisogna tenere presente che la 1. avesse entrambe le qualità ed è ricordata come la prima credente. Ci colpisce il fatto che dalle scritture e dalle biografie di M. (altre fonti importanti oltre corano e sunna) un ruolo attivo della donna non è affatto assente, tuttavia l’immagine + rassicurante e subordinata di 3. ha avuto il sopravvento: archetipo dell’ideale donna musulmana. Nomi come Fatima e Maryàm sono molto diffusi nell’Islam. Il caso della prima moglie –esempio di passaggio da paganesimo e islam-­‐ ci lascia intendere che prima dell’islam la posizione della donna nella società araba non era esclusa da essa. L’avvento dell’islam ha migliorato la posizione della donna nella penisola arabica e esso costituisce il miglioramento anche rispetto alla sua posizione nella tradizione ebraica e cristiana. Guardando al corano rispetto il rapporto uomo-­‐donna: 1) Garanzia della donna che deve essere protetta. 2) Chiara gerarchia tra i sessi usata come fondamento all’attuale disuguaglianza della donna nelle società musulmane. Chiara dipendenza della donna all’uomo già dall’atto creativo. Vd. versetti. Primo versetto: c’è indicazione del matrimonio come contratto e unione sessuale con importanza e rilevanza –anche per limitare gli impulsi sessuali all’interno dello stesso per non nuocere alla comunità-­‐ (diversamente dal cristianesimo in cui prevale la funzione procreativa). Matrimonio= nikah= accoppiamento. Il matrimonio è un tipo particolare di contratto: l’uomo deve mantenere la donna e ella si deve concedere al marito. La procreazione non è punto essenziale, ma la capacità di generare figli ha nella prassi posto la donna in posizione + forte (anche nella competizione con le altre mogli). Persino la schiava che genera figli acquista uno status + elevato. Dote nell’islam ha regolamentazione rispetto cristianesimo: il donativo nuziale= mahr è portato dall’uomo : contesto in cui il divorzio unilaterale da parte uomo era agevole, quindi il mahr serviva a garantire la posizione donna in caso di scioglimento del matrimonio (⅔ venivano trattenuto dalla famiglia sposa, il resto a lei e in caso divorzio tutto alla sposa). Requisiti matrimonio: capacità giuridica degli sposi, consenso sposi, presenza tutore= wali (figura che cura interessi sposa, soprattutto padre sposa), donativo nuziale. È una cerimonia cui vengono attribuiti significati sociali molto importanti con aggiunta di usi locali anche preislamici. Posizione delle famiglie che devono dare in sposa le figlie riveste il matrimonio di aspetti economici. Come in quasi tutti i contatti dell’islam non c’è obbligo di registrazione o trascrizione (oralità vera forma di conoscenza nell’islam; solo i waqf= donazioni hanno bisogno di registrazione). In epoca moderna la mancanza di trascrizione è diventata un problema e rende la donna + vulnerabile (soprattutto con l’immigrazione musulmana in paesi non islamici). Nell’ambito del tentativo di introdurre leggi a tutela donna è stato posto l’obbligo di registrazione matrimonio, tuttavia il dibattito non è ancora spento. Divorzio: ha a che fare con la posizione di preminenza maschile chiara preferenza dell’uomo per le possibilità di separazione; tre casi: • annullamento o dissoluzione matrimonio x gravi ragioni = richiedibile da entrambi le parti ma accettano solo da alcune scuole giuridiche. • per mutuo consenso. • ripudio unilaterale (ammesso solo x il marito)= talaq: con modalità diverse a seconda delle scuole giuridiche. Con la legge di famiglia 1962 in Pakistan: ci deve essere una forma di mediazione obbligatoria e necessario tentare conciliazione. Al di fuori dello stato i divorzi avvengono solo sulla base sharia. Poligamia: ammessa dalla sharia e con base in un versetto coranico che inizia con la descrizione necessità mantenimento orfani (in una situazione sociale che in quanto conflittuale e di guerra costante presentava + donne e orfani che uomini). Riferimento al dovere del marito di essere giusto con tutte le mogli. Fino a 4 mogli. Aspetto + teorico che reale: per questioni economiche sono comunque casi rari. Velo: l’analisi storica mostra che l’uso di nascondere il viso delle donne soprattutto di classi elevate era presente prima dell’avvento islam (es. nella società bizantina). D’altra parte però questa prassi ha acquisito una valenza religiosa poiché il velo è citato dal corano. Ma i riferimenti nelle scritture sono scarsi e vaghi. Si può dedurre una tendenza a una separazione dei generi ma non se ne deduce un obbligo assoluto per le donne a coprirsi. HiJab= tenda nel corano, poi andato a significare velo integrale. È stato ipotizzato che questa impostazione si basi su un’idea presente nelle società islamiche che vede sessualità femminile come potenzialmente sovversiva dell’ordine sociale. Anche per differenziare l’islam e rigettare le epoche precedenti in cui non c’era freno all’interazione uomo-­‐donna e agli impulsi (cosa che porrebbe delle limitazioni ad entrambi i generi, ma in una società in cui l’uomo è gerarchicamente superiore si è tradotta in obblighi solo per la donna). Secondo versetto: trattare le donne con gentilezza per volere di Dio + contraddizione tra l’aspetto etico di eguaglianza di tutti i musulmani nei confronti di Dio e superiorità maschile sulla donna. Idea di uguaglianza rivoluzionaria per le società dell’epoca. Nella contraddizione possiamo leggere una flessibilità dell’islam, capace di mantenere prassi e credenze già diffuse (gerarchie uomo-­‐donna) islamizzandole. La contraddizone non ha mancato di essere sottolineata e l’islam non ha cercato di risolverla. Difficile affermare che dalle scritture appaia un modello assoluto di donna e moltissimo incidono le componenti culturali, dello status sociale, dalla collocazione geografica e delle credenze e prassi preesistenti. 2-­‐4-­‐2012 lezione12 Questione del velo ancora oggetto di discussione sia nel mondo occidentale che in quello orientale. Dalle scritture non emerge un modello unico, esiste un profilo di carattere morale ed etico che invita la comunità a una tendenziale suddivisione tra i livelli maschile e femminile ma non c’è un’obbligazione assoluta in capo alla donna a coprirsi. In concreto il tema dell’abbigliamento è dipeso moltissimo da variabili di contesto storico, di carattere ideologico e geografico e molto dallo status sociale di appartenenza. Velo associato alle classi elevate nella società musulmana e ad ambienti urbani. C’è sempre stato un collegamento tra rispetto sharia e ambizioni di appartenenza status sociale elevato. Importante sottolineare che è un fatto osservabile anche indietro nel tempo e abbiamo testimonianze di osservatori e viaggiatori europei che ci permettono di effettuare anche un’analisi di tipo comparativo  es. caso illumaninate e paradigmatico offertoci da Renzo Manzoni (nipote Manzoni, geografo botanico ed etnografo del XIX secolo) che viaggiò nello Yemen tra 1877 e 1878 e ci ha lasciato un diario di viaggio  osservazioni sui costumi locali ed in particolare su quelli delle donne: differenza tra donne rurali-­‐del deserto (donne beduine= nobili e qabile = contadine) e quelle cittadine della capitale Sana’a sia nei costumi che nel comportamento. Le prime molto libere, no velo e praticata maggiormente la monogamia (e se poligamia era praticata in + case), incedere elegante e sicuro, partecipi del lavoro del marito; le seconde invece, nella città di Yerim (piccola città vicino capitale) si cominciano ad incontrare donne velate che però levano il velo entrando in casa anche in presenza di uomini (collegamento, transizione tra le prime estremamente libere e quelle della capitale), a Sana’a tutte le donne usano il velo scuro dal capo ai piedi –anche il volto-­‐. Il costume sociale è strettamente legato all’ambiente sociale, alla classe ed educazione. La norma religiosa in quanto tale non è mai assoluta, ma adattabile alla situazione in cui è inserita. Nel mondo musulmano l’abbigliamento non è mai uniforme ed omogeneo (anche se spinte all’uniformità recenti) ma risponde a criteri di divisione all’interno della comunità, essendo l’islam fortemente gerarchico. Sono anche gli accessori a fare la differenza. È un contesto molto articolato in cui l’abbigliamento svolge un ruolo importante in cui le persone in quanto diseguali (società gerarchizzate) adottano “stili” diversi anche per essere riconoscibili. Esistenza di società patrilineari e matrilineari le arabe e quelle del subcontinente indiano sono patrilineari, ma non tutte le società musulmane sono così: il sud est asiatico con l’Indonesia (il + grande paese musulmano dal punto di vista numerico) è matrilineare e la donna svolge dei ruoli molto rilevanti. Normalmente la distribuzione dello spazio è fatta distinguendo tra spazio pubblico e privato: in quello pubblico prevale la forza e la sopraffazione con aggressività e pertanto è il mondo degli uomini; quello privato è quello della pace e dell’amore, dove si allevano ed educano i figli: mondo della donna. Continuità con valori preislamici: in arabia pre islamica vi era la credenza che determinati luoghi fossero sacri (haram= proibiti, sacri) haram (altro termine + laico: zenana deriva dal persiano) è il luogo destinato alle donne, lo spazio + interno dell’abitazione. Le stanze sono situate in modo da imporre al visitatore una sorta di progressione verso gradi di intimità e sacralità, cui nessun estraneo + accedere. Non deve essere violato né da valori provenienti dall’occidente (deislamizzazione) e concretamente neanche da persone che non fanno parte della famiglia. La tenda –che compare anche in un passo coranico-­‐ ha un significato anche in termini astratti e simbolici + forte: distinzione tra esterno ed interno, tra ciò che è lecito o meno. Contraddizione con lo spazio pubblico come luogo della violenza e il fatto che nel dar al islam ci dovrebbe essere la pace (guerra da portare fuori nel dar al haram) come se antropologicamente l’islam capisse che il suo ideale non è raggiungibile concretamente. L’harem è il luogo dell’affetto, dell’educazione e del contatto dei figli con le madri. La prima educazione del bambino nello spazio femminile è anche una palestra per l’apprendimento delle gerarchie nel mondo musulmano. Verso ogni persona il giovane della famiglia impara che deve corrispondere un determinato atteggiamento. Nel loro spazio la donne non hanno affatto ruoli marginali: ci sono ruoli nascosti perché non portati alla visione degli esterni. Famiglia come palestra. Ruoli che le donne svolgono nella complessa forma di interazione sociale e di relazioni sociali che è il matrimonio: sono le donne che hanno il ruolo + importante in questa istituzione. Il matrimonio “combinato” è molto differente da caso a caso, da società a società e da famiglia a famiglia e può non essere una forma di sopraffazione sulle ragazze. Aneddoti. Tanto + il matrimonio diventa un evento sociopolitico tra famiglie, tanto -­‐ diventa rilevante il volere della donna. Oggi sono le giovani generazioni a mettere in discussione l’istituzione tradizionale del matrimonio. Indubbiamente queste concezioni tradizionali dello spazio, del ruolo donna sono entrate in crisi dal tardo XVIII secolo e nei periodi successivi a causa del contatto con l’occidente per l’espansione coloniale europea occ-­‐europeizzazione dello spazio pubblico tendenza dell’islam a ritirarsi nello spazio privato lo spazio privato e in questo il ruolo delle donne ha finito per ricevere un’attenzione ancora maggiore da parte intellettuali islamici ed esponenti di quella cultura la donna ha finito per essere rivalutata dal tardo ‘700 in poi con risposte dell’islam di carattere intellettuale e culturale: rispondere alla crisi riflettendo sulla propria cultura e sulle proprie fonti (anche risposte militari, ovviamente) risposte di carattere riformista interpretando la crisi come crisi dei valori della corretta pratica dell’islam, dell’islam autentico  ritorno alle fonti del corano e della sunna: critica al sufismo, al culto dei santi con maggiore o minore radicalità. Paradosso del riformismo conservatore: correnti di riforma che per adattare l’islam alle sfide correnti hanno proposto un ritorno al passato. La donna si è così ritagliata, anzi le hanno ritagliato un ruolo importante: man mano che le società musulmane si spostavano verso la modernità e secolarismo (di impronta weberiana) e laicità (sfera pubblica secolarizzata e islam ricondotto alla sfera intima) si realizzò una deislamizazione della sfera pubblica a scapito del potere degli ‘Ulama (che rivendicheranno sempre un ritorno dell’islam nella sfera pubblica). Alle donne viene attribuita nuova importanza dalle sopracitate correnti riformiste: • sono i primi agenti della socializzazione e istruzione dei bambini ai veri valori islamici; • diventano il primo agente della riforma dell’islam e pertanto bisognava educarle (re-­‐
islamizzarle) ai veri valori islamici e pratiche quotidiane per far sì che li potessero trasmettere correttamente; educarle ad uno stile di vita coerente con il messaggio ed esempio profetico, in un mondo già pre-­‐globalizzato con numerose tentazioni forvianti; insegnare loro a muoversi in quel contesto di rapida evoluzione e cambiamento senza smarrirsi. Movimento importante della città indiana di Deoband di re-­‐islamizzazione (di ulama indiani paese che prima di altri ha vissuto la colonizzazione) che diede vita a una corrente di riforma indirizzato alle donne con Ashraf Ali Thanwi che scrive un manuale, una guida quotidiana di comportamento e socializzazione indirizzato alle donne musulmane ortodosse scritto in lingua urdu Bihishti zewar (“I gioielli del paradiso”): ancora oggi molto diffuso e dato in regalo alle giovani spose. Questo movimento si disinteressava della sfera pubblica –gestita dagli inglesi-­‐. Questo libro sfidava la concezione che fosse sbagliato istruire troppo le donne, dicendo che al contrario era necessario educarle perché se istruite potevano trasmettere conoscenze ai figli ed essere a loro volta agenti di islamizzazione dei membri maschi della famiglia. Esortava le lettrici ad approfondire gli studi. In appendice c’era una lista di altre letture di approfondimento e libri sconsigliati. Non è poi che le donne in eu godessero di una sorte migliore. Anche al di fuori dell’india c’erano correnti riformiste e moderniste. Necessità di una donna con un grande controllo di sé e dell’ambiente –ostile-­‐ che la circondava. Nel successivo fondamentalismo (ideologia nata tra anni 20-­‐30 del 1900) la donna avrà un ruolo importantissimo: recuperare tutto quello spazio pubblico che era stato de-­‐islamizzato grande responsabilità gettata sulle donne, diventate il metro per misurare il grado di occidentalizzazione e de-­‐islamizzazione della società direttamente proporzionale al grado di modernizzazione della donna e dei suoi costumi + o – occidentalizzati. La donna al confine tra due civiltà prossime allo scontro (Huntington). 
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