La terminologia in tema di mercato della riproduzione è complessa. La prima distinzione che va fatta è fra le transazioni che riguardano bambini già concepiti e quelli che riguardano la gestazione di bambini. Chi si oppone al mercato parla di ‘commercio di bambini’ o ‘bambini in vendita’ in entrambi i casi. Chi ha una posizione meno intransigente preferisce servirsi di termini diversi per le diverse fattispecie. La gestazione di bambini in cambio di denaro può essere motivata dalla semplice aspettativa di vendita a concepimento avvenuto, senza cioè un ordine emesso da uno specifico cliente. Quando invece l’ordine parte da un committente che paga per il processo di gestazione e il trasferimento dei diritti di genitorialità si parla di ‘adozione su commissione’ ( ‘commissioned adoption’). La ‘maternità in affitto’ (pregnancy for hire) è il termine colloquiale per l’adozione su commissione che però non coglie con altrettanta accuratezza i dettagli della transazione. La maternità surrogata commerciale è una fattispecie particolare della maternità in affitto e rende il termine inglese di commercial surrogacy. In questo caso i committenti forniscono materiale genetico (ovuli, sperma) e acquistano il processo di gestazione. Di maternità surrogata si parla però anche quando la gestazione non è acquistata bensì donata, per esempio quando una coppia gay riceve in dono da un’amica il bambino concepito usando lo sperma di uno dei membri della coppia. ‘Utero in affitto’ (womb rental) è una espressione coniata dai media per denotare la maternità surrogata. Entrambe questi termini mascherano qualcosa. Utero in affitto maschera il fatto che si paga per il concepimento e lo scambio di un bambino mentre la maternità surrogata maschera il fatto che la madre è quella vera e non un sostituto.