studio del movimento volontario dell`arto - Padis

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Università degli Studi di Roma “La Sapienza”
Facoltà di Medicina e Chirurgia
Tesi di Dottorato in
Neuroscienze, Riabilitazione motoria e Scienze del
Comportamento (XVII ciclo)
STUDIO DEL MOVIMENTO
VOLONTARIO DELL’ARTO SUPERIORE
IN SOGGETTI NORMALI E IN PAZIENTI
CON DISORDINI DEL MOVIMENTO:
MECCANISMI FISIOPATOLOGICI
Candidata
Dott. Loredana Dinapoli
Relatore
Prof. Alfredo Berardelli
Correlatore
Dott. Antonio Currà
Anno Accademico 2003-2004
A mio padre
2
Indice
I GANGLI DELLA BASE........................................................................................5
Lo Striato..................................................................................................................6
Il nucleo subtalamico ................................................................................................6
GPe e GPi.................................................................................................................7
SNr e SNc.................................................................................................................7
ANATOMIA FUNZIONALE...................................................................................9
La Malattia di Parkinson .........................................................................................10
Levodopa e discinesie .............................................................................................11
La Distonia .............................................................................................................13
LA STIMOLAZIONE MAGNETICA TRANSCRANICA .....................................16
Cenni introduttivi....................................................................................................16
Metodiche TMS standard........................................................................................17
Soglia Motoria ................................................................................................17
Potenziali Evocati Motori................................................................................18
Metodiche TMS non standard .................................................................................18
Periodo silente ................................................................................................18
Stimolazione Magnetica Transcranica Ripetitiva (rTMS) ................................19
LA TMS E I DISORDINI DEL MOVIMENTO......................................................21
La malattia di Parkinson .........................................................................................21
La distonia..............................................................................................................22
CINEMATICA DEL MOVIMENTO......................................................................24
Studi sui normali.....................................................................................................24
La malattia di Parkinson .........................................................................................27
I movimenti semplici ......................................................................................27
I movimenti complessi ....................................................................................28
La distonia..............................................................................................................29
BIBLIOGRAFIA....................................................................................................31
INTRODUZIONE ALLA PARTE SPERIMENTALE ............................................41
EFFETTI DELLA STIMOLAZIONE MAGNETICA TRANSCRANICA
DELLE AREE MOTORIE PRIMARIE E NON PRIMARIE SULLA
CINEMATICA DEI MOVIMENTI RAPIDI SEQUENZIALI DELL’ARTO
SUPERIORE ..........................................................................................................42
Materiale e metodo .................................................................................................43
Risultati ..................................................................................................................47
Discussione ............................................................................................................50
Bibliografia ............................................................................................................65
STUDIO DEI MOVIMENTI INDIVIDUALI E NON INDIVIDUALI DELLE
DITA IN PAZIENTI AFFETTI DA DISTONIA DELL’ARTO SUPERIORE ........68
Materiale e metodo .................................................................................................69
Risultati ..................................................................................................................71
Discussione ............................................................................................................73
3
Bibliografia ............................................................................................................80
STUDIO DELL’APPRENDIMENTO MOTORIO MEDIANTE
ADDESTRAMENTO BREVE E PROLUNGATO IN PAZIENTI AFFETTI
DA MALATTIA DI PARKINSON ........................................................................84
Materiale e metodo .................................................................................................85
Risultati ..................................................................................................................88
Discussione ............................................................................................................91
Bibliografia ..........................................................................................................100
4
I GANGLI DELLA BASE
I gangli della base rivestono un ruolo attivo nell’esecuzione di comportamenti
complessi che richiedono coordinazione fra processi cognitivi e movimento.
Tale ruolo si riflette anche alla posizione anatomica dei gangli come parte
centrale di un loop neuronale che connette molte aree corticali con i lobi
frontali. Lo striato, il pallido, la substantia nigra e il nucleo subtalamico sono
generalmente considerati le componenti più importanti dei gangli della base e
si dividono a loro volta in sub-nuclei. Lo striato comprende il caudato, il
putamen e il nucleus accumbens, il pallido si divide in una porzione esterna
(GPe), una interna (GPi) ed una ventrale, la substantia nigra si distingue in pars
reticulata (SNr) e in pars compacta (SNc)(Fig. 1).
Fig. 1 I gangli della base (da Herrero et al. 2002)
5
Lo Striato
Lo striato è la stazione primaria di input dei gangli della base. La porzione
dorsale si divide ulteriormente in nucleo caudato e putamen, quella ventrale
include il nucleus accumbens, le porzioni ventrali e mediali di caudato e
putamen e le cellule striatali del tubercolo olfattivo e della sostanza perforata
anteriore. (Gerfern e Wilson, 1996).
Riceve proiezioni massive glutammatergiche (eccitatorie) da tutta la corteccia
(Parent e Hazrati, 1995), eccetto le aree visive e acustiche, e da molti nuclei nel
talamo incluso il ventrale anteriore (McFarland e Haber, 2000); il terzo input
più importante è dopaminergico e arriva dalla pars compacta della substatia
nigra (Haber et al. 2000). L’input dalla corteccia è organizzato in modo
topografico cosicché le proiezioni di aree vicine in corteccia vanno a finire in
bande longitudinali adiacenti e organizzate nello striato (Selemon e GoldmanRakic, 1985).
Dallo striato partono inoltre proiezioni inibitorie verso il GPi, la SNr e al GPe,
(quest’ultimo inibisce a sua volta il STN che riduce la sua eccitazione sul GPi).
Questa via indiretta dallo striato (tramite il GPe e il STN) agisce in opposizione
alla via diretta e consente il focusing del flusso di informazioni dallo striato al
GPi.
Il nucleo subtalamico
Il nucleo subtalamico riceve input glutammatergici dalla corteccia frontale e
dalle aree motorie (aree 4, 6 e 8) e sensoriali (Monakow et al. 1978; Nambu et
al. 1996). Pur essendo notevolmente più piccolo (per dimensioni e numero di
cellule) dello striato esso gioca un ruolo predominante in condizione
fisiologiche e patologiche (Bergman et al. 1990; Nambu et al. 2002b).
Analogamente alle altre strutture dei gangli esso è composto da neuroni di
proiezione e pochi interneuroni, le cellule sono tonicamente attive (20/30
spikes al secondo) e sparano brevi bursts durante il movimento (Wichmann et
al. 1994). Le proiezioni glutammatergiche giungono ad ambo i segmenti del
6
pallido, ma quelle funzionalmente più importanti sono quelle al GPi e alla SNr)
(Smith et al. 1998).
GPe e GPi
Il segmento esterno del globus pallidus (GPe) è una stazione di relay ricevente
input dallo striato e che proietta al nucleo subtalamico (Alexander e Crutcher
1990) e agli interneuroni GABAergici dello striato (Bolam et al. 2000). Con le
sue proiezioni, il GPe crea dense connessioni GABAergiche con il soma dei
neuroni del GPi (Smith et al. 1998), ed inoltre proietta direttamente alla SNr
(Sato et al. 2000). La maggior parte dei neuroni del GPe sono grossi neuroni di
proiezione ad alta frequenza di scarica (50-70 spikes/s) (DeLong 1972).
Il GPi, che riceve input GABAergici dallo striato e dal GPe ed input
glutammatergici dal STN è considerato la stazione di output dei gangli della
base. Gli output GABAergici proiettano ai nuclei talamici di relay (nucleo
ventro-laterale, ventrale-anteriore, medio-dorsale e nucleo abenulare laterale) e
ai nuclei intralaminari aspecifici, centromediano e parafascicolare (Parent et al.
2001). Le caratteristiche anatomiche, fisiologiche e biochimiche delle cellule
del GPi sono simili a quelle del GPe (Nakanishi et al. 1990), mentre
differiscono per una frequenza maggiore di scarica (60-80 spikes/s).
SNr e SNc
In base alle sue caratteristiche morfologiche, biochimiche, fisiologiche e di
connessione la pars reticulata della substantia nigra (SNr) è generalmente
considerata un’estensione caudomediale del GPi (Yelnik et al. 1987; Francois
et al. 1987). Ha connessioni complesse con i neuroni dopaminergici della pars
compacta e con il collicolo superiore; queste ultime hanno un ruolo
nell’organizzazione dei movimenti oculari (Jiang et al. 2003). L’output è
GABAergico e inibitorio verso la porzione mediale del talamo ventrolaterale e
la parte magnocellulare del talamo ventrale anteriore (Oertel e Mugnaini 1984;
Ueki 1983). Queste aree talamiche proiettano alla corteccia premotoria e
prefrontale (Kievit e Kuypers 1977),
7
La pars compacta della substantia nigra riceve input da molteplici strutture: il
nucleo subtalamico, lo striato (Haber et al. 2000) e il sistema limbico (Haber e
Gdowski, 2003) e proietta al caudato e al putamen in maniera topografica
(Hedreeen e De Long 1991). Si colloca dorsocaudalmente alla pars reticulata e
nei tessuti post-mortem è riconoscibile per le strie nere di neuromelatonina
presenti nei neuroni dopaminergici di cui è composta.
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ANATOMIA FUNZIONALE
I circuiti motori hanno ricevuto particolare attenzione nella ricerca, a causa
della loro rilevanza nell’ambito dei disordini del movimento. Essi includono i
campi sensomotori pre e postcentrali, le aree motorie dei gangli e le porzioni
ventrali e ventrolaterali del talamo.
Le proiezioni corticali raggiungono ampie porzioni del putamen che a
sua volta invia afferenze alla SNr e al GPi mediante due tipi di circuiti: una via
monosinaptica diretta ed una via polisinaptica indiretta che attraversa la parte
esterna del globus pallidus (GPe) e il nucleo subtalamico (STN). L’output
gangliare è diretto al talamo e al tronco dell’encefalo (Fig. 2).
Ad eccezione delle efferenze glutammatergiche eccitatorie del STN le
connessioni interne e le altre efferenze dai nuclei della base sono inibitorie
(GABA). Il release di dopamina dai neuroni nigrostriatali modula l’attività di
queste due vie: la trasmissione lungo la via diretta è facilitata dai recettori tipo
D1 e quella lungo la via indiretta è inibita dai recettori tipo D2. L’attivazione
fasica della via diretta produce una ridotta inibizione tonica dell’output dei
gangli della base determinando una disinibizione dei neuroni talamocorticali ed
una facilitazione dei movimenti. Al contrario, un’attivazione fasica della via
indiretta porterebbe ad un aumento dell’output dai gangli della base ed alla
soppressione del movimento. L’effetto complessivo del rilascio striatale di
dopamina è quello di ridurre l’output inibitorio da GPi/SNr incrementando
l’attività dei neuroni talamici verso la corteccia.
I gangli della base sono implicati in una varietà di funzioni motorie –
inclusa la pianificazione, l’avvio e l’esecuzione del movimento volontario – e
sono particolarmente coinvolti nel controllo dell’esecuzione di movimenti
appresi, sequenziali, e simultanei.
I disordini del movimento sono generalmente suddivisi in disturbi
ipocinetici (povertà complessiva di movimento) ed ipercinetici (eccesso di
movimento o presenza di movimenti involontari). Un modello molto
autorevole di funzionamento dei gangli della base riconduce tali disordini ad
un accresciuto (ipocinetici) o diminuito (ipercinetici) output dai gangli della
base. (Wichmann e De Long 1996)
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Fig. 2 Le vie diretta ed indiretta (da Wichmann e De Long 1996)
La Malattia di Parkinson
La malattia di Parkinson, patologia degenerativa del sistema nervoso centrale,
fu descritta per la prima volta da James Parkinson nel 1817 e da lui distinta
dagli altri disturbi caratterizzati da tremore. La prevalenza nella popolazione
generale è di circa l’1/1000, colpisce ambo i sessi ed insorge mediamente fra i
50 e i 60 anni.
I sintomi sono attribuibili alla degenerazione e perdita delle cellule della
pars compacta della substantia nigra; dal punto di vista anatomopatologico,
oltre alla perdita neuronale, vi è un’alterazione degenerativa e presenza di
inclusioni citoplasmatiche, i corpi di Lewy, marker caratteristico della malattia.
Alterazioni anatomopatologiche sono evidenti anche a livello di altre strutture
quali il locus coerulus, il nucleo motore dorsale del vago, la sostanza
innominata e la colonna intermediolaterale del midollo spinale.
Da un punto di vista patogenetico la malattia di Parkinson è considerata
una sindrome da deficienza di dopamina. La perdita dei neuroni dopaminergici
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della substantia nigra determina una riduzione della dopamina striatale: come
risultato, la funzione della via diretta e indiretta dallo striato al talamo risulta
alterata.
L’eziologia della malattia annovera fattori genetici (parkinsonismi
monogenici) e non - in grado di indurre morte progressiva nei neuroni
dopaminergici striatali.
La sintomatologia della malattia di Parkinson comprende segni motori e non
motori. I segni motori sono tremore, rigidità, bradicinesia, instabilità posturale.
I sintomi non motori sono demenza, depressione, ipotensione ortostatica ecc.
Dal punto di vista dei disturbi motori, nelle fasi iniziali la malattia si presenta
in modo subdolo con stanchezza, lieve tremore, difficoltà nella scrittura senza
deficit di forza. Il paziente incontra maggiori difficoltà nell’incominciare e
portare a termine un movimento con la velocità usuale. Il tremore è
inizialmente visibile agli arti superiori, per lo più esordisce in un solo lato ed
interessa l’una o l’altra mano. Il tremore tipico è quello a riposo, ha una
frequenza di 3-7 Hz e compare in circa un terzo dei pazienti; può estendersi
alle labbra o alla mandibola e scompare di solito quando il paziente mette in
atto un movimento finalizzato. La rigidità è un altro sintomo chiave: si
apprezza come aumentato tono muscolare a riposo o durante il movimento
degli arti superiori, inferiori e della muscolatura assiale. La bradicinesia si
manifesta nell’impaccio dei movimenti volontari che risultano meno veloci,
fluidi, di minor ampiezza e facilmente esauribili nelle ripetizioni successive.
L’ipocinesia coinvolge anche i distretti cranici: l’espressione del volto è
amimica, la voce monotona con volume ridotto, la salivazione falsamente
eccessiva per riduzione degli atti deglutitori (è presente inoltre disfagia). Altro
tipico disturbo è la difficoltà nella messa in moto della marcia, fenomeni di
blocco motorio (freezing), e le difficoltà posturali che in genere diventano
rilevanti nella fase avanzata della malattia.
Levodopa e discinesie
Il farmaco maggiormente utilizzato nella terapia del Parkinson è la levodopa
(L-DOPA). Somministrata oralmente, attraversa la barriera ematoencefalica
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per essere trasformata in dopamina a livello dello striato tramite l’azione
dell’enzima DOPA-decarbossilasi. La L-DOPA è di solito abbinata ad un
enzima inibitore della decarbossilasi periferica (carbidopa o benserazide).
L’effetto terapeutico della levodopa diminuisce progressivamente dopo
anni di trattamento continuo, per la progressione della condizione patologica di
base. Oltre al miglioramento clinico la levodopa può indurre movimenti
involontari, fenomeno “ON-OFF” e anormalità psichiatriche. I movimenti
involontari si verificano più frequentemente sotto forma di discinesia coreica,
meno spesso di un improvviso mioclono generalizzato. La discinesia si
sviluppa in relazione alla dose, tende a comparire dopo mesi o anni di
trattamento ed è presente di solito quando si verifica un significativo effetto
terapeutico antiparkinsoniano; tende poi a scomparire in seguito alla
diminuzione del dosaggio o all’interruzione della levodopa. Più a lungo dura il
parkinsonismo, più alte sono le probabilità di comparsa della discinesia. La sua
patogenesi sembra legata all’ipersensibilità da denervazione a livello dei
recettori dopaminergici striatali, presumibilmente privati della fisiologica
stimolazione dopaminergica. Ciò implica un’alterazione della fisiologia del
recettore piuttosto che un effetto diretto della stessa levodopa.
Il fenomeno “ON-OFF” consiste in oscillazioni imprevedibili nella
motilità, che si possono anche verificare diverse volte in un giorno nei soggetti
sottoposti a terapia cronica con levodopa. I pazienti alternano periodi di
parkinsonismo relativamente grave (stato “OFF”) ad intervalli di mobilità
normale (stato “ON”) o addirittura di movimenti involontari (stato “ON” con
discinesie). Il fenomeno ON-OFF sembra derivare da una perdita progressiva
di neuroni dopaminergici con una diminuzione della capacità di sintetizzare,
accumulare e rilasciare dopamina.
Gli effetti collaterali psichiatrici del trattamento cronico con levodopa si
verificano approssimativamente nel 50% dei pazienti in trattamento da almeno
due anni. La fisiopatologia ancora non è ben nota: probabilmente è in relazione
con l’attività centrale dopaminergica. Se il trattamento è continuato nelle forme
gravi può svilupparsi uno stato psicotico. Inizialmente si verificano sogni
vivaci e incubi (nel 30-35% circa dei pazienti); una percentuale simile lamenta
allucinazioni frequenti, di solito notturne, di tipo visivo e uditivo. Gli episodi
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psicotici da levodopa si presentano sotto forma di deliri paranoici a volte
associati a fasi confusionali.
La Distonia
La distonia è un disordine del movimento caratterizzato da contrazioni
muscolari involontarie che producono movimenti ripetitivi e di torsione e
postura anomale in differenti distretti corporei.
La distonia viene classificata in base alla distribuzione clinica in:
-
focale, quando colpisce una parte del singola corpo (blefarospasmo,
distonia oromandibolare, disfonia spasmodica, distonia cervicale e
crampo dello scrivano)
-
segmentale, quando colpisce gruppi muscolari adiacenti
-
multifocale, quando vengono colpiti due o più segmenti corporei
non contigui
-
generalizzata, quando coinvolge l’intero corpo
-
emidistonia, quando è interessato un emisoma
La distonia è classificata in base all’età d’esordio in forme infantili (0-12 anni),
adolescenziali (13-20 anni) e dell’adulto (oltre i 20 anni).
Le caratteristiche cliniche della distonia sono correlate all’età di comparsa della
sintomatologia: le forme generalizzate di solito si manifestano in età infantile
con movimenti involontari degli arti inferiori che diffondono rapidamente agli
altri distretti corporei, procurando una compromissione importante della
motilità.
Le forme focali e segmentali in genere colpiscono più frequentemente gli adulti
e tendono a non diffondere. Il blefarospasmo, ad esempio, è caratterizzato da
una contrazione spasmodica del muscolo orbicolare degli occhi per alcuni
secondi o minuti. Nella distonia oromandibolare i movimenti involontari
colpiscono la metà inferiore del viso. Queste due forme di distonia sono spesso
presenti nello stesso paziente. La disfonia spasmodica, di cui esistono due
forme, la prima che colpisce i muscoli adduttori e la seconda gli abduttori
laringei, può presentarsi in forma isolata o associata ad altri movimenti
involontari. Il torcicollo spasmodico, che compare in età adulta, coinvolge i
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muscoli sternocleidomastoideo, splenio e trapezio; a volte è associato a
distonia cranica o a tremore del capo e degli arti e disturbi della deglutizione.
Il crampo dello scrivano e gli altri crampi occupazionali (tipici nei pianisti,
chitarristi, violinisti e dattilografi), cui un tempo veniva attribuita una causa
psicogena, sono attualmente inquadrate come distonie focali. Accingendosi a
scrivere il paziente con crampo afferra la penna con una forza sproporzionata e
l’arto superiore assume una particolare postura (si eleva), mentre il polso può
flettersi o estendersi. Talvolta è presente un tremore posturale.
Dal punto di vista etiologico la distonia si classifica in forme primarie,
distonia-plus, associate a malattie eredodegenerative, e secondarie.
Si parla di distonia primaria quando non è associata ad altri disturbi neurologici
e quando non sono reperibili cause identificabili. In tali casi spesso vi sono
difetti genetici (finora sono state identificate 13 forme, alcune delle quali si
trasmettono con caratteri autosomici dominanti con ridotta penetranza; altri con
caratteri recessivi, altri legati al sesso).
La DOPA-Responsive Distonia (DRD) è una forma ereditaria di
distonia, esordisce durante l’infanzia (età media 7 anni) ed è caratterizzata da
una progressiva compromissione dell’andatura. Con il progredire del male si
sommano altri sintomi assimilabili a quelli del morbo di Parkinson
(bradicinesia, instabilità posturale, tremore a riposo). Tali disturbi subiscono
fluttuazioni diurne e di solito sono meno severi al mattino. La forma più
comune di DRD è causata da una mutazione nel GTP gene (GTP-CH1).
La distonia mioclonica è una rara forma genetica autosomica dominante
di distonia caratterizzata da rapidi spasmi muscolari e posture distoniche. Le
parti più affette del corpo sono il tronco, gli arti superiori, il collo e le spalle.
Meno affetti il volto e gli arti inferiori. L’età d’esordio è tra la prima e la
seconda decade di vita (www.dystonia-foundation.org).
Manifestazioni distoniche possono essere presenti in pazienti con
malattia
di
Parkinson,
atrofia
multisistemica,
paralisi
sopranucleare
progressiva, morbo di Wilson, malattia di Leigh e deficit di PAN-K1 e
moltissime altre.
Nelle distonie secondarie sono riconoscibili lesioni focali del putamen,
del globus pallidus, del caudato e del talamo ventrale in seguito a traumi,
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tumori, malformazioni vascolari, anossia, sofferenza fetale o perinatale,
esposizione a farmaci.
15
LA STIMOLAZIONE MAGNETICA TRANSCRANICA
Cenni introduttivi
La Stimolazione Magnetica Transcranica (TMS), introdotta da Anthony Barker
dell’Università di Sheffield nel 1985, è stata la prima tecnica - sicura e non
invasiva - utilizzata per attivare la corteccia motoria dell’uomo e valutare il
funzionamento delle vie motorie centrali. L’uso di questa metodologia si è
diffuso rapidamente su vasta scala andando a sostituire la Stimolazione
Elettrica Transcranica (TES) nella ricerca neurofisiologica, neuroscientifica e
psichiatrica, con l’intento, ancora attuale, di estenderne ulteriormente gli
utilizzi nella clinica.
La TMS si basa sul principio dell’induzione elettromagnetica scoperto
nel 1838 da Michael Faraday. Un impulso di corrente, passando con forza e
durata sufficienti attraverso una bobina posta sul capo di un soggetto (coil), fa
sì che si generi un campo magnetico variabile che penetra lo scalpo
raggiungendo il cervello con un’attenuazione minimale (Kobayashi e PascualLeone 2003). Tale campo variabile induce a sua volta una corrente elettrica
secondaria nel cervello, sufficiente a causare una depolarizzazione delle fibra
nervose.
La capacità della TMS di depolarizzare i neuroni dipende dalla
“funzione attivante” (Barker 2002) che la corrente transmembrana (descrivibile
matematicamente come la derivata spaziale del campo elettrico) produce lungo
la fibra nervosa. La stimolazione avverrà dunque nel punto in cui la derivata
spaziale del campo elettrico è massima (Barker 2002; Maccabee et al. 1993;
Abdeen et al. 1994) (Fig. 3).
La TMS attiva indirettamente le cellule piramidali evocando le indirect
waves (I-waves), oppure direttamente il loro monticolo assonale, generando le
direct waves (D-waves)(Day et al. 1989). Assoni ad alta velocità di conduzione
(>75m/s) hanno una soglia inferiore per le D-waves mentre gli assoni a bassa
velocità di conduzione (<55m/s) hanno una soglia inferiore per le I-waves.
Mentre la TES attiva le fibre dolorifiche corticali, la TMS, anche ad alte
intensità, attiva sempre e soltanto gli assoni motori (Edgley et al. 1997). Questa
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peculiarità rende la TMS accettabile dal soggetto e pertanto ideale per studiare
l’eccitabilità corticale. Alcune patologie neurologiche possono causare
un’alterazione dell’eccitabilità corticale o delle connessioni tra strutture
corticali e sottocorticali: la TMS è efficace nell’evidenziare tali modificazioni.
Inoltre essa può essere usata per modificare l’eccitabilità ed attivare strutture
anatomicamente distanti (a livello corticale, subcorticale e spinale).
Durante la stimolazione, l’operatore può controllare l’intensità degli
stimoli cambiando l’intensità del flusso di corrente della bobina, così da
modificare l’ampiezza del campo magnetico indotto e, di conseguenza, del
campo elettrico. Il focus del campo magnetico dipende dalla forma delle bobine
di stimolazione. Le più comuni sono di due tipi: ad otto (o a farfalla) e
circolare. La prima fornisce una stimolazione più focale e consente un
mappaggio dettagliato della corteccia (Thickbroom et al. 2002). La seconda
genera un campo elettrico più distribuito e stimola in modo ampio e bilaterale
gli emisferi (è difatti utilizzata per la stima del tempo di conduzione centrale)
(Meyer 2002). Oltre al tipo di bobina, l’operatore può variare la frequenza di
stimolazione, ottenendo effetti diversi sulle regioni target.
La TMS, somministrata a differenti livelli del nevrasse, fornisce
informazioni sull’integrità funzionale delle strutture neurali attivate, quali le
fibre corticospinali, corticonucleari e callosali, così come le radici nervose e le
vie motorie periferiche.
Metodiche TMS standard
In questo capitolo sono descritte alcune metodiche TMS - standard e non
standard -utilizzate negli studi presentati nella sezione sperimentale della tesi.
Soglia Motoria
La soglia motoria è l’intensità minima necessaria per evocare, mediante un
singolo stimolo, un potenziale evocato motorio (MEP) di 50µV (ampiezza
picco-picco) nel 50% di un numero prestabilito di trial successivi nel muscolo
17
in esame. Il muscolo suddetto può essere sia in condizione di riposo che di
leggera contrazione (Rossini et al. 1994). La soglia motoria riflette
l’eccitabilità di membrana dei neuroni corticospinali e degli interneuroni che ad
essi proiettano nella corteccia motoria, così come l’eccitabilità dei neuroni
spinali, delle giunzioni neuromuscolari e dei muscoli (Mann et al. 1996). Oltre
all’eccitabilità di membrana la soglia motoria può inoltre essere correlata
all’attività degli input neurali nelle cellule piramidali; inoltre può riflettere
l’efficacia delle sinapsi dei neuroni presinaptici corticali sino ai muscoli.
La soglia motoria riflette in parte la permeabilità dei canali del sodio e del
potassio (Ziemann et al. 1996) e - a riposo - l’eccitabilità degli assoni corticali
presinaptici ai neuroni corticospinali (Day et al. 1989). Se valutata in
contrazione, invece, i fenomeni postsinaptici possono esercitare un ruolo
maggiore.
Potenziali Evocati Motori
L’ampiezza del MEP riflette non solo l’integrità del tratto corticospinale ma
anche l’eccitabilità della corteccia motoria e delle radici nervose e la
conduzione lungo le vie periferiche verso i muscoli. Un danno neurologico ad
ognuno dei livelli della via corticospinale può causare anomalie nella risposta
evocata motoria. La riduzione di ampiezza del MEP è associata spesso ad una
disfunzione del CMCT; tuttavia anche nei soggetti sani l’ampiezza del MEP è
molto variabile (variabilità inter- e intraindividuale).
Metodiche TMS non standard
Periodo silente
Per periodo silente (PS) si intende un’interruzione di attività elettromiografica
causata da uno stimolo magnetico sovrasogliare erogato durante la contrazione
muscolare. Tale periodo si misura dalla fine del MEP sino al ripristino della
normale attività elettromiografica. Il periodo silente è causato, per la maggior
parte, da meccanismi inibitori intracorticali che hanno sede nell’area motoria
18
mentre i meccanismi spinali (come l’inibizione di Renshaw) contribuiscono
solo ai primi 50-60 millisecondi (ms) di questa soppressione (Brasil-Neto et al.
1995; Chen et al. 1999; Fuhr et al. 1991). I recettori che mediano il PS sono
GABAergici di tipo B (Werhahn et al 1999).
Stimolazione Magnetica Transcranica Ripetitiva (rTMS)
La Stimolazione Magnetica Transcranica Ripetitiva (rTMS) è una metodica
che consiste nell’erogazione di treni di stimoli ad intensità e frequenza costante
(Kobayashi e Pascual-Leone 2003). Vi sono effetti indotti dalla rTMS che si
manifestano successivamente al termine del treno di stimoli e hanno una durata
limitata nel tempo. Tali effetti si definiscono postumi e consistono nella
modulazione dell’eccitabilità corticale di tipo facilitatorio o inibitorio a
seconda dei parametri di stimolazione ripetitiva (soprattutto la frequenza). A
basse frequenze (fino a 1Hz) l’eccitabilità corticale è diminuita (Chen et al.
1997a), mentre con treni oltre i 3 Hz è aumentata (Maeda et al. 2000;
Berardelli et al. 1998a). I meccanismi degli effetti postumi non sono ancora
chiari, e sono stati chiamati in causa di recente processi quali la long-term
potentiation (Gustaffson et al. 1998) e la long-term depression (Christie et al.
1994).
Molti lavori hanno coniugato l’rTMS con le nuove tecniche di
neuroimaging (Risonanza Magnetica o Tomografia ad Emissione di Positroni)
con l’obiettivo di studiare le variazioni di flusso sanguigno o di metabolismo
indotte dall’applicazione degli stimoli magnetici. A basse frequenze, la rTMS
induce un minore flusso sanguigno al cervello e minore metabolismo,
viceversa, ad alte frequenze, vi è un aumento di tali variabili (Siebner et al.
1998, Pascual-Leone et al. 1998).
19
Fig 3. Principio di funzionamento della TMS. A sinistra: il flusso di corrente nella bobina
genera un campo magnetico che induce un campo elettrico di opposta direzione nei tessuti. Al
centro: il flusso di corrente cambia lungo la fibra nervosa e si traduce in una corrente
transmembrana. A destra: un flusso di corrente costante lungo una fibra che cambia direzione
si traduce in ugual modo in una corrente transmembrana (da Kobayashi e Pascual-Leone 2003).
Fra le tecniche standard qui non presentate vi è anche il tempo di conduzione
centrale (CMCT). Le altre metodiche non standard sono l’input-output curve,
la short intracortical inhibition (SICI), la long intracortical inhibition (LICI),
l’ipsilateral silent period (ISP), l’intracortical facilitation (ICF), l’intracortical
inhibition (ICI), la short afferent inhibition (SAI) e la long afferent inhibition
(LAI).
20
LA TMS E I DISORDINI DEL MOVIMENTO
La malattia di Parkinson
Dati ottenuti con la TMS nella malattia di Parkinson hanno mostrato che la
conduzione corticomotoneuronale è normale (Ellaway et al. 1995), a differenza
di altre patologie quali l’atrofia multisistemica o altri parkinsonismi
(Abbruzzese et al. 1997).
In alcuni casi è stato riportato un accorciamento del CMCT e un aumento
dell’ampiezza del MEP dopo TMS (Kandler et al. 1990). Tale dato potrebbe
dipendere da un’accresciuta eccitabilità corticale o spinale. Di recente è stata
descritta una ridotta latenza corticale da Diòszeghy (1999) in pazienti
parkinsoniani naive e da Hu (1999) in pazienti sottoposti a terapia.
Sia la rigidità che il tremore possono abbassare la soglia in quanto
associati ad attività elettromiografica di sottofondo discontinue.Tuttavia la gran
parte degli studi dimostra che la soglia motoria è normale (Priori et al. 1994a;
Ridding et al. 1995; Berardelli et al. 1996a; Strafella et al. 2000), che non
cambia durante le fasi OFF e ON (Ridding et al. 1995), nè con terapia cronica
con levodopa o pergolide (Strafella et al. 2000), con stimolazione cerebrale
profonda del GPi (Chen 2001a); o pallidotomia (Young et al. 1997).
L’ampiezza del MEP riflette il numero di α-motoneuroni che scaricano
in modo sincrono in risposta allo stimolo corticale: è di fatto un ulteriore indice
dell’eccitabilità della connessione corticomotoneuronale. I primi studi hanno
riportato un aumento dell’ampiezza del MEP nei muscoli a riposo e in
contrazione concordemente con l’idea di un’aumentata eccitabilità corticale
(Cantello et al. 1991; Kandler et al. 1990; Eisen et al. 1991). In seguito VallsSolè et al. (1994) hanno riscontrato un MEP più ampio a riposo nei
parkinsoniani rispetto ai sani, mentre, durante contrazione, l’aumento di area,
ampiezza e durata dei MEP tendeva ad essere inferiore rispetto ai sani. In tal
modo un output maggiore delle fibre discendenti a riposo coesisterebbe con
una minore attivazione durante contrazione. Chen (2001b) ha inoltre
21
dimostrato che il MEP è più ampio nei pazienti a riposo a prescindere dalla
loro condizione farmacologica.
Numerosi studi hanno ripetutamente confermato che il periodo silente è
accorciato (Cantello et al. 1991).
La stimolazione magnetica transcranica ripetitiva è stata applicata nei
parkinsoniani per valutare l’eccitabilità dell’area motoria primaria (Gilio et al.
2002). In Gilio et al. 2000 una stimolazione a 5 Hz sovrasoglia non produceva
nei pazienti senza terapia il normale fenomeno di facilitazione dei MEP (ma
l’assunzione della levodopa era in grado di normalizzare questo fenomeno),
mentre evocava un normale allungamento del PS. Sono stati anche studiati gli
effetti terapeutici della rTMS (Mally e Stowe 1999; Siebner et al. 1999),
dimostrando un beneficio clinico protratto per lunghi periodi (fino a nove mesi)
nei pazienti sottoposti a sedute di rTMS a bassa frequenza.
La distonia
Sono stati condotti numerosi studi con la TMS nei distonici focali; la
fisiopatologia di questa sindrome include alterazioni dell’eccitabilità di riflessi
troncali e spinali, conseguenza di anomali comandi discendenti.
La maggior parte degli autori concorda sul fatto che la soglia, attiva e a riposo,
sia normale nel distonico (Abbruzzese et al. 2001; Gilio et al. 2000), che non vi
siano differenze tra l’emisfero affetto e non affetto nei pazienti con crampo
dello scrivano (Byrnes et al. 1998), o prima e dopo infiltrazione di tossina
botulinica (Byrnes et al. 1998).
Allo stesso modo anche il MEP a riposo è normale nei pazienti con crampo
dello scrivano. In contrazione, invece, molti autori hanno trovato una
facilitazione del MEP – il contrario di quanto accade nei parkinsoniani. Tale
dato sarebbe spiegato da un’ipereccitabilità corticale (Ikoma 1996) che però
non è stata riconfermata successivamente (Chen 1997b).
Nei pazienti affetti da distonia dell’arto superiore il periodo silente non è
aumentato dopo stimoli di intensità crescente (Mavroudakis et al. 1995) come
accade nei soggetti normali; è invece più corto nel corso di una contrazione
distonica rispetto alla contrazione dello stesso muscolo eseguita in un
22
movimento normale (Filipovic et al. 1997). Chen (1997b) ha riscontrato un
accorciamento del periodo silente sul lato affetto nel crampo dello scrivano
mentre in Rona et al. (1997) - studio che ha avuto come oggetto differenti
forme di distonia - il risultato era bilaterale.
Un lavoro di Currà et al. (2000a) ha studiato il PS in pazienti con distonia
cervicale. I pazienti con blefarospasmo e distonia oromandibolare avevano un
PS più corto dei pazienti affetti solo da blefarospasmo: questo dimostra che,
quando la distonia coinvolge i muscoli facciali superiori ed inferiori i
meccanismi inibitori corticali sono maggiormente compromessi.
23
CINEMATICA DEL MOVIMENTO
L’esecuzione
di un
movimento
volontario
comprende due momenti
fondamentali: la preparazione motoria e la successiva effettuazione dell’atto.
Durante la prima fase, il sistema nervoso pianifica e codifica i programmi
motori; durante la seconda, tali programmi vengono tradotti in movimento.
Lo studio dei movimenti volontari comprende l’analisi dell’attività
elettromiografica (EMG) e di importanti variabili cinematiche come la durata
del tempo di reazione (RT), del tempo di movimento (MT), il valore della
velocità e dell’accelerazione dell’arto in moto.
A seconda della complessità del movimento e della traiettoria, i
movimenti volontari sono classificati come semplici o complessi; a seconda
delle articolazioni attivate sono classificati come movimenti a singolo giunto o
monoarticolari e poliarticolari; a seconda della richiesta di accuratezza e
velocità come movimenti lenti o veloci; a seconda della modalità di esecuzione
come a guida esterna o interna (externally-triggered o self-initiated).
Studi sui normali
Nel 1926 Wacholder and Altenburger fecero una prima descrizione completa
dell’attività EMG durante i movimenti dell’arto superiore: quelli lenti
apparivano caratterizzati da un’attività continua nei muscoli agonisti ed
antagonisti, mentre i movimenti veloci presentavano burst EMG alternanti.
Studi successivi hanno confermato questo dato durante l’esecuzione motoria di
movimenti semplici: due scariche (burst) di attività muscolare fasica nei
muscoli agonisti (AG1 e AG2) sono separati da un breve periodo di silenzio
elettrico in cui si realizza l’attività fasica nel muscolo antagonista (ANT).
Questo pattern EMG è presente nei movimenti rapidi o ballistici, con un
profilo di velocità ben caratterizzato con fasi di accelerazione e decelerazione
simili (Hallett et al. 1975; Berardelli et al. 1996b). Il pattern trifasico è presente
non solo nei movimenti dei segmenti distali e prossimali degli arti, ma si
osserva anche durante gli aggiustamenti posturali del tronco. Minime
24
alterazioni dell’organizzazione di questo pattern possono pertanto influenzare
profondamente il comportamento motorio.
Il primo burst dell’agonista (AG1) imprime la forza necessaria
all’esecuzione del movimento: fino ad un certo grado di ampiezza la durata di
AG1 resta costante, mentre aumenta la sua ampiezza. Durante l’esecuzione di
movimenti più ampi o attuati contro un carico crescente sia la durata che
l’ampiezza di AG1 aumentano. Per descrivere le variazioni di ampiezza e
durata di AG1 indotti dalle variabili del movimento sono stati proposti due
modelli principali (Gottlieb et al. 1989; Corcos et al. 1989; Berardelli et al.
1996b). Il modello di controllo pulse-height assume che l’input al pool
motoneuronale dell’agonista abbia una durata (pulse) costante, e che il grado di
eccitazione sia modulato solo da variazioni della sua ampiezza (height). Il
modello di controllo pulse-width prevede invece un input di ampiezza costante
erogabile al pool motoneuronale per durate crescenti di tempo. Le strategie
pulse-width e pulse-height sono modulate in base ai parametri richiesti per
l’esecuzione del compito motorio e dai vincoli fisiologici imposti dalla
meccanica muscolare, dando luogo ad un sistema graduabile che consente
l’esecuzione di vari tipologie di movimento.
Nella pausa di silenzio elettrico fra AG1 e AG2 ha luogo il burst
antagonista (ANT). La funzione di ANT è quella di decelerare il movimento, e
la sua ampiezza dipende dalla dall’entità della forza richiesta per fermare l’arto
nella posizione desiderata. Questa forza dipende a sua volta dalla velocità del
movimento, dall’inerzia del carico e dalla forza meccanica passiva che agisce a
livello delle articolazioni. Durata e ampiezza dell’ANT dipendono dalle
variabili intrinseche al movimento (Brown e Cooke 1981; Berardelli et al.
1996b).
Il secondo burst dell’agonista (AG2) segue l’attività dell’antagonista ed
è la fase più variabile delle tre del pattern. La latenza si accorcia nei movimenti
più veloci e l’ampiezza aumenta quando le distanze di movimento sono più
lunghe. AG2 stabilizza l’oscillazione e blocca l’arto alla fine del movimento
(Brown e Cooke 1981 e 1990; Berardelli et al. 1996b).
Numerose osservazioni supportano l’ipotesi che nonostante il pattern
trifasico possa essere modulato da input afferenti, (Rothwell et al. 1982; Sanes
et al. 1985; Berardelli et al. 1996b) esso abbia origine a livello centrale
25
(Garland et al. 1972; Hallett et al. 1975; Waters e Strick, 1981). Le alterazioni
del pattern trifasico comportano lentezza nell’esecuzione motoria, irregolarità
nelle traiettorie e perdita di accuratezza.
I movimenti che eseguiamo quotidianamente di rado constano di azioni
semplici o singole: sono invece complessi e diretti verso un obiettivo, eseguiti
in sequenza o simultaneamente e coinvolgono più articolazioni in più di un
arto.
Per programmare ed eseguire un movimento volontario complesso il
sistema nervoso dell’uomo deve completare una serie di processi. Innanzitutto
deve identificare, raggruppare ed ordinare le risposte necessarie, quindi deve
programmare i parametri fisici di ciascuna risposta, risolvere il problema di
come e dove la risposta debba essere arrestata (controllo dell’endpoint) ed,
infine, controllo il passaggio fra movimenti successivi di una sequenza.
Recenti studi di neuroimaging hanno evidenziato il ruolo rilevante di
quattro aree frontomesiali nel controllo motorio: le regioni anteriore e
posteriore dell’area supplementare motoria (pre-SMA, post-SMA), e la zona
rostrale e caudale del cingolo (RCZ-CCZ). Queste aree regolano il tipo di
movimento (semplice o sequenziale), il tempo del movimento (lento, veloce,
ritmico o non ritmico) e la messa in atto del movimento (self initiated – SI – o
externally triggered – ET – ) (Deiber et al. 1999; Roland e Zilles. 1996).
Numerose ricerche hanno chiarito i processi di controllo spaziale e
temporale che soggiacciono alla corretta esecuzione del movimento volontario
simultaneo o sequenziale nell’uomo. Gli studi volti ad analizzare gli aspetti
temporali di tali compiti motori hanno mostrato che i soggetti normali
muovono alla stessa velocità quando eseguono uno stesso sub-movimento nel
contesto di una sequenza motoria oppure isolatamente. L’osservazione che le
durate dei sub-movimenti che compongono una sequenza motoria o un compito
motorio simultaneo non sono fra loro correlati, indica che la loro esecuzione è
sotto il controllo di differenti programmi motori che vengono sovraimposti o
assemblati in sequenza (Benecke et al. 1986a).
Quando un soggetto sano deve disegnare figure geometriche semplici
(linee, triangoli o quadrati) di diverse misure ma appartenenti alla stessa classe,
il tempo impiegato per tracciare ciascuna figura rimane costante (principio
dell’isocronia). Inoltre, nell’eseguire una sequenza motoria, il soggetto sano
26
non varia la durata dei singoli sub-movimenti durante l’esecuzione (Berardelli
et al.1986a; Agostino et al. 1992). Infine, i soggetti sani sono sempre in grado
di ottimizzare l’esecuzione dei movimenti ballistici per cui la loro velocità di
esecuzione non migliora fornendo stimoli esterni uditivi o visivi (Georgiou et
al. 1994 e 1995). Per quanto concerne le caratteristiche spaziali del movimento,
quando i soggetti sani devono muovere verso un target su un piano frontale
essi usano preferibilmente traiettorie lineari che danno origine a profili di
velocità a campana. Se il movimento da eseguire è tridimensionale tendono ad
eseguirlo su un singolo piano e, quando passano da un piano ad un altro, la
traiettoria percorsa diviene segmentata.
La malattia di Parkinson
I movimenti semplici
I pazienti affetti da malattia di Parkinson sono estremamente lenti nell’eseguire
movimenti semplici e le loro difficoltà aumentano per movimenti di ampiezza
crescente. A differenza dei soggetti sani, che velocizzano l’esecuzione dei
movimenti in proporzione all’ampiezza, i parkinsoniani non riescono ad
aumentare la velocità in funzione dell’ampiezza (Flowers, 1975 e 1976), sono
lenti nei movimenti che richiedono una particolare accuratezza (Sheridan e
Flowers, 1990), e quando muovono inseguendo mire in movimento. A
differenza dei soggetti sani i pazienti parkinsoniani mostrano cicli multipli di
burst EMG (Hallett e Koshbin 1980; Berardelli et al. 1984), attivati
probabilmente nel tentativo di compensare la mancanza dell’attivazione
iniziale di AG1 (Hallett e Koshbin 1980). Studi effettuati sull’AG1 durante
movimenti di ampiezza e carico crescenti hanno mostrato l’incapacità del
parkinsoniano di attivare correttamente l’agonista a seconda alle caratteristiche
di ampiezza e di carico (Berardelli et al.1986b).
Le cause della bradicinesia nel Parkinson sono state attribuite o ad una
ridotta produzione di forza (Stelmach et al. 1989), riscontrata in pazienti OFF
in particolare nei muscoli estensori (Corcos et al. 1996), o al fatto che
un’esecuzione lenta consente in modo più efficace di mantenere un adeguato
27
livello di accuratezza. Questa seconda ipotesi è contrastata da dati sperimentali
che dimostrano la presenza di bradicinesia anche in situazioni in cui il limite
dell’accuratezza è abolito (Stelmach et al. 1989).
I movimenti complessi
La bradicinesia nel Parkinson si valuta esaminando i movimenti complessi,
simultanei e sequenziali. La Unified Parkinson's Disease Rating Scale
comprende tre tipi di task sequenziali: finger tapping, apertura e chiusura della
mano, pronazione e supinazione dell’avambraccio.
Nel lavoro di Agostino et al. (1998) la prestazione nel tapping era
particolarmente compromessa. La spiegazione sta nel fatto che l’esecuzione dei
movimenti delle dita richiede un controllo corticale più fine o una facilitazione
maggiore: tali processi risultano alterati nel Parkinson dato l’abnorme output
dei gangli della base verso la corteccia.
I primi studi sui movimenti complessi hanno riguardato l’effettuazione
di movimenti simultanei, ma presentavano alcuni limiti legati a bias da
difficoltà del compito o da apprendimento, limiti che furono superati dai
disegni sperimentali successivi. Benecke et al. (1986b) ha dimostrato che
l’esecuzione di movimenti simultanei è più difficoltosa se i movimenti
richiedono l’attivazione dei sistemi motori dello stesso emilato: questo deficit è
infatti correlato alle anomalie funzionali nelle connessioni tra gangli della base
e corteccia motoria.
Altri lavori su compiti di interferenza motoria (Jahanshahi et al. 1993;
Johnson et al. 1998) hanno evidenziato la difficoltà del paziente parkinsoniano
nell’eseguire due programmi motori in contemporanea - specie se è coinvolto
lo stesso arto – per la ridotta capacità a sovrapporre comandi motori per
articolazioni separate.
Lo studio dei movimenti sequenziali ha evidenziato l’incapacità di
passare da un programma motorio all’altro, difficoltà che viene in qualche
modo superata con la terapia con levodopa (Benecke et al. 1987). All’esame
clinico i movimenti sequenziali dell’arto superiore risultano lenti, impacciati ed
28
inaccurati, e queste alterazioni tendono a diventare più rilevanti quando la
sequenza diviene più lunga.
Agostino et al. (1992) hanno studiato movimenti biarticolari volti a
disegnare figure geometriche composte da un numero crescente di segmenti
della stessa lunghezza. Gli autori hanno osservato che i pazienti erano lenti e la
durata dei movimenti aumentava con il prolungarsi della sequenza. Il
deterioramento della prestazione motoria era legato alla natura sequenziale del
compito motorio e non alla posizione dei segmenti nello spazio di lavoro o alla
direzione da seguire per tracciarli. Sebbene i parkinsoniani si fermassero più a
lungo al vertice della figura, la durata delle pause non si allungava con il
crescere della sequenza. Questo dimostra che la peculiarità dei pazienti è quella
di essere lenti nel passare da un movimento, all’altro indipendentemente dal
numero di sub-movimenti in una sequenza e dal tipo di movimenti (non
ripetitivi o ripetitivi) che la sequenza implica (Agostino et al. 1994).
Un filone di ricerca aperto da Stern (1983; 1984) e arricchito dal lavoro
di Georgiou et al. (1993) ha evidenziato l’importanza per il paziente
parkinsoniano di poter contare su segnali esterni per migliorare l’esecuzione di
un compito motorio in laboratorio o di azioni quotidiane come la scrittura
(Oliveira et al. 1997) e la marcia (Morris et al. 1998). Uno studio di Currà et
al.1997 ha dimostrato che l’esecuzione di un compito motorio noto a priori (e
pertanto eseguito a guida interna) è meno efficiente dell’esecuzione dello
stesso compito ignoto a priori ed eseguito a guida esterna (stimoli visivi).
L’insieme di queste osservazioni punta verso l’ipotesi di un ruolo primario dei
gangli della base nell’implementazione dei meccanismi di controllo dei
movimenti a guida interna.
La distonia
L’attività EMG registrata da muscoli coinvolti in posture distoniche è continua
e si accompagna a tratti a burst ripetuti che si associano ai segni motori classici
della malattia come il tremore posturale o d’azione, la mioritmia e il mioclono
(Berardelli et al. 1998b). All’incapacità di compiere in modo pulito movimenti
indipendenti (Cohen e Hallett, 1988) si associa un’attività remota di muscoli
29
non direttamente coinvolti nell’esecuzione motoria (overflow) (van der Kamp
et al. 1989).
In pazienti affetti da distonia dell’arto superiore, l’attività EMG della
flessione rapida del gomito mostra una fase AG1 più lunga e di ampiezza
variabile. Il profilo di velocità è invece normale (van der Kamp et al. 1989).
Uno studio recente di Currà et al. (2000c) ha verificato l’importanza
degli stimoli esterni nell’esecuzione dei movimenti. Due gruppi di distonici –
focali e generalizzati – eseguivano un movimento rapido sequenziale (a zigzag) in condizione di guida esterna (GE, in risposta ad uno stimolo visivo), di
guida interna (GI, in cui muovevano per decisione interna del soggetto), e di
guida mista (GM), in cui il primo movimento della sequenza era eseguito in
risposta ad uno stimolo mentre i successivi per decisione interna. I soggetti di
controllo muovevano molto velocemente nel compito a guida interna. I pazienti
focali avevano tempi di reazione normali ma erano lenti nell’esecuzione dei
movimenti singoli e sequenziali, mostravano pause lunghe nella condizione GI,
e il primo sub-movimento della sequenza era eseguito più lentamente nella
condizione GE rispetto alla condizione GI. I distonici generalizzati avevano
tempi di reazione prolungati nella condizione GE, pause lunghe nella
condizione GI. Anche per loro il primo sub-movimento della sequenza era
eseguito più lentamente in condizione GE che GI. Il dato più importante di
questo lavoro è trattavia la marcata bradicinesia nel compito GI, ad indicare il
mal funzionamento delle aree motorie primarie e non primarie nella distonia.
Il movimento volontario è quindi caratterizzato da un’attività
sovrapposta nei muscoli agonisti e antagonisti con presenza di diffusione a
distretti muscolari remoti, è lento, di ampiezza irregolare e tende a peggiorare
in compiti più complessi ed eseguiti a guida interna.
30
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40
INTRODUZIONE ALLA PARTE SPERIMENTALE
Lo scopo della tesi è stato quello di studiare il movimento volontario dell’arto
superiore in soggetti normali e in pazienti con disordini del movimento,
mediante l’utilizzo di due metodologie sperimentali: la stimolazione magnetica
transcranica e la registrazione cinematica del movimento.
Nella sezione seguente sono presentati tre lavori:
-
il primo, di prossima pubblicazione su Experimental Brain Resarch,
intitolato The timing of Transcranial Magnetic Stimulation, and intensity and
scalp site stimulated as variables influencing motor sequenze performance in
healthy subjects, è stato effettuato su soggetti sani e si è avvalso di entrambe le
tecniche. L’obiettivo è stato quello di studiare le caratteristiche fisiologiche
delle aree motorie corticali primarie e non primarie mediante l’erogazione di
stimoli magnetici durante l’esecuzione di un compito di puntamento. L’analisi
del movimento è stata eseguita tramite registrazione e valutazione dei
parametri cinematici.
-
il secondo, pubblicato su Movement Disorders: 2004 vol. 19 (11) 1351-
1357, intitolato Impairment of individual finger movements in patients with
hand distonia, ha avuto lo scopo di ampliare le conoscenze sulla fisiopatologia
della distonia mediante lo studio dei movimenti delle dita, utilizzando
metodiche di tipo cinematico.
-
il terzo, pubblicato su Movement Disorders: 2004 vol. 19 (11) 1285-
1293, intitolato Prolonged practice is of scarce benefit in improving motor
performance in Parkinson's disease ha cercato di ampliare le conoscenze
acquisite sul motor learning nella malattia di Parkinson mediante l’utilizzo di
un paradigma di apprendimento motorio a breve e a lungo termine, con lo
scopo di valutare se i pazienti parkinsoniani abbiano o meno un normale
apprendimento motorio.
41
EFFETTI
DELLA
STIMOLAZIONE
MAGNETICA
TRANSCRANICA DELLE AREE MOTORIE PRIMARIE E
NON PRIMARIE SULLA CINEMATICA DEI MOVIMENTI
RAPIDI SEQUENZIALI DELL’ARTO SUPERIORE
Una
delle
tecniche
neurofisiologiche
più
utilizzate
per
studiare
la
programmazione e l’esecuzione motoria è la Stimolazione Magnetica
Transcranica (TMS), somministrata durante il tempo di reazione (RT) o
durante il tempo di movimento (MT) (Pascual-Leone et al. 1992a; Day et al.
1989; Berardelli et al. 1994).
Negli esperimenti sul tempo di reazione semplice, la TMS, erogata a
basse intensità durante la fase iniziale del movimento, accorcia l’MT (PascualLeone et al. 1992b); invece, se somministrata ad alte intensità, in una fase
tardiva del movimento, allunga l’MT (Day et al. 1989; Berardelli et al. 1994).
Tali effetti sono dovuti alla capacità della TMS di eccitare o inibire in modo
temporaneo la corteccia motoria primaria (M1).
Ulteriori ricerche hanno analizzato gli effetti della TMS sulle aree
motorie non primarie (Cunnington et al. 1996; Gerloff et al. 1997; Ziemann et
al. 1997). Nel soggetto sano, durante l’esecuzione di una sequenza motoria a
guida interna, un singolo stimolo erogato sull’area supplementare motoria
(SMA) durante la fase iniziale di un submovimento non ne modifica la durata
(Cunnington et al. 1996). Invece, la stimolazione ripetitiva dell’area
supplementare motoria prolunga alcuni movimenti complessi e sequenziali
delle dita, lasciando invariata l’esecuzione di movimenti singoli.
La TMS, erogata sull’area premotoria, compromette il processo di
selezione di una risposta motoria in un paradigma di tempo di reazione
complesso (Schluter et al. 1998).
Sino ad ora, nessuna ricerca ha studiato gli effetti della stimolazione
magnetica sulle aree motorie, erogata in tempi differenti di stimolazione su un
gruppo di soggetti sani che eseguono lo stesso compito motorio: per questa
ragione abbiamo studiato la cinematica di una sequenza motoria di puntamento
modificando le variabili della TMS: intensità, numero degli stimoli e sito di
stimolazione.
42
Materiale e metodo
Abbiamo studiato dieci soggetti sani (6 uomini e 4 donne), d’età media 30 ±
5.5 anni. Tutti hanno dato il proprio consenso informato allo studio e il
protocollo è stato approvato dal comitato etico locale, concordemente alla
dichiarazione di Helsinki.
Per registrare i movimenti nello spazio tridimensionale abbiamo
utilizzato l’ELITE motion system. Il sistema consiste di due telecamere a
infrarossi (100 Hz frequenza di campionamento) che rilevano il movimento di
marker passivi, e di un sistema TV che digitalizza e ricostruisce le coordinate
del movimento del marker. L’elaborazione matematica delle coordinate
spaziali fornisce le informazioni sulla velocità del movimento in coordinate 3D
e le mostra in forma grafica.
Nei primi tre esperimenti la TMS è stata somministrata mediante una
bobina a forma di otto (diametro di ciascun circolo 9 cm) collegata ad uno
stimolatore bifasico Magstim Super Rapid (Magstim Company, Dyfed, Wales,
UK). Nel quarto esperimento abbiamo invece usato una bobina biconica, che
consente la stimolazione di strutture nervose profonde.
Per stimolare l’hot-spot (punto di massima eccitabilità) del muscolo
deltoide (M1-D) abbiamo posizionato la bobina sul sito dello scalpo che
evocava una contrazione muscolare nel muscolo preattivato. Abbiamo testato il
muscolo preattivato per riprodurre la posizione di partenza del soggetto nel
compito e per ridurre la soglia motoria. In questo modo la somministrazione
era sempre inferiore al massimo erogabile dallo stimolatore.
Per quanto riguarda il muscolo primo interosseo dorsale (M1-FDI), la
condizione di partenza era di riposo.
Per stimolare l’area premotoria, la bobina era collocata 25 mm davanti
all’hot-spot per l’FDI (Schluter et al. 1998). Al fine di evitare la diffusione
dello stimolo, spostavamo con accortezza la bobina sullo scalpo.
Per stimolare l’area motoria supplementare la bobina veniva poggiata
sul sito più vicino a Cz stando facendo attenzione a non evocare un potenziale
motorio o una contrazione nei muscoli tibiali anteriori (Ziemann et al. 1997).
Questa procedura è stata scelta perché la rappresentazione corticale dei muscoli
43
della gamba in M1 è in posizione adiacente alla SMA ad un’analoga profondità
nella scissura interemisferica. I siti di stimolazione ottimale per ciascuna area
motoria (M1-D, M1-FDI, SMA, and PM) sono stati evidenziati graficamente
sullo scalpo.
Disegno sperimentale
I partecipanti allo studio sedevano comodamente su una sedia di fronte a uno
schermo, tenendo il braccio pronato alla spalla, l’avambraccio flesso
lievemente all’altezza del gomito e il dito indice esteso.
Il compito consisteva nell’eseguire una sequenza motoria composta da
cinque submovimenti rapidi della stessa ampiezza (350 mm), seguendo una
sequenza proiettata sullo schermo, a partire da un target mostrato in basso a
destra, fino ad un target in alto a sinistra. I soggetti assumevano la posizione di
partenza quando il primo target si attivava e partivano al segnale di go, ossia
quando tutti gli altri target si illuminavano (Fig. 1). L’accensione dei target era
randomizzata cosicché i partecipanti non potevano prevedere il momento di
partenza.
1° Esperimento
Durante il tempo di reazione venivano erogati un singolo stimolo o una tripletta
di stimoli su M1-D, PM (controlaterali all’arto in movimento) e SMA. Le
intensità erano sottosoglia (90%) e sovrasoglia (125%). Il tempo di
stimolazione era a 190 ms per il singolo e 150 ms per la tripletta, di modo che
l’ultimo stimolo della tripletta coincidesse temporalmente con lo stimolo
singolo. Dopo una breve pratica si registravano blocchi di 9 movimenti per
ogni condizione (sham, M1, PM e SMA). La stimolazione sham era effettuata
tenendo la bobina lontana dallo scalpo a circa 10 cm da Cz.
2° Esperimento
In questa sessione gli stimoli erano erogati al 100% dell’output dello
stimolatore, ossia a circa il 170%-200% della soglia motoria per l’FDI. La
44
stimolazione ripetitiva non è stata effettuata in quanto dolorosa e non è stata
stimolata l’area premotoria poiché era impossibile evitare la diffusione su M1.
Il tempo di stimolazione era sempre 190 ms. Si registravano blocchi di 9
movimenti per ogni condizione (sham, M1-FDI, M1-D e SMA).
3° Esperimento
La tripletta di stimoli (20 ms di intervallo interstimolo - ISI -) veniva
somministrata su M1-D, PM e SMA 50 ms dopo il go-signal al 90% e al 125%
di intensità. Si registravano blocchi di 9 movimenti per ogni condizione (sham,
M1-D, PM e SMA).
4° Esperimento
In questo set abbiamo somministrato uno stimolo singolo sulla SMA mediante
una bobina biconica ad intensità del 125% rispetto alla soglia per il deltoide.
Abbiamo registrato blocchi di nove movimenti per sham e SMA.
Durante tutti gli esperimenti le condizioni erano presentate in maniera
randomizzata mediante un software dedicato. Dopo ogni movimenti e dopo
ogni blocco seguiva una breve pausa.
5° Esperimento
I soggetti dovevano eseguire il task motorio in quattro condizioni: click
acustico, stimolazione elettrica sui muscoli del collo, stimolazione simultanea
(acustica ed elettrica) – erogata sempre 50 ms dopo l’onset del go-signal – e
nessuna stimolazione.
Lo stimolo acustico era dato dal suono prodotto dalla scarica della bobina al
massimo output di stimolazione mentre lo si teneva a 10 cm da Cz.
Lo stimolo elettrico era somministrato sui muscoli del collo (seguendo le linee
guida di Terao et al. 1997) usando un solo stimolo della durata di 0.2 ms di
intensità pari a 1.5-2 volte la soglia sensoriale mediante uno stimolatore
periferico (Digitimer Stimulator DS7) e comandato mediante lo stesso software
di gestione dello stimolo visivo. Sono stati anche effettuati dei trials senza
45
stimolazione TMS. Abbiamo registrato blocchi di nove trials randomizzati per
tutte le condizioni. Per evitare che i soggetti si affaticassero abbiamo consentito
loro di fare piccole pause tra trials e blocchi sperimentali.
Misure
Le variabili cinematiche del movimento erano ricostruite dal software ELITE.
Abbiamo definito la soglia motoria come l’intensità minima capace di indurre
– nel braccio esteso – uno spostamento della punta del dito di almeno 5 mm sul
piano verticale. Al fine di esser certi che ci fosse una reale attivazione del
deltoide, il soggetto doveva tenere tutte le dita estese, mentre lo sperimentatore
si curava che ci fosse uno spostamento della spalla e che tutte le dita si
muovessero contemporaneamente dopo lo stimolo. I trials in cui lo
spostamento della spalla non era visibile erano scartati. La soglia per l’FDI era
identificata nel valore più basso capace di evocare uno spostamento di almeno
5 mm sul piano orizzontale dell’indice a riposo dovuto all’adduzione, senza
ulteriori movimenti della mano e della spalla.
Il valore medio della soglia era di 66 ± 10.1 per il deltoide e 35 ± 8.3 per l’FDI
(in base all’output massimo dello stimolatore).
L’inizio e la fine del movimento erano determinati dalla velocità e dal profilo
di spostamento, usando il valore di 50 mm/sec come soglia per il movimento.
Il Reaction Time (RT) era calcolato come la il tempo trascorso tra il go-signal e
l’inizio dell’atto motorio.
Analisi statistica
I dati sono stati espressi in medie e deviazioni standard (SD). I reaction times
(RTs) sono stati sottoposti ad ANOVA between condition.
Nell’esperimento 1 abbiamo utilizzato un’ANOVA con fattori between
“regione stimolata” (M1-D, PM e SMA), “stimolo” (singolo e tripletta) e
“intensità” (sottosoglia e sovrasoglia), con fattore ripetuto “submovimento”
(1°, 2°, 3°, 4° e 5° submovimento, S1, S2, S3, S4 e S5) per paragonare RTs e i
tempi di movimento (MTs).
46
Nell’esperimento 2 abbiamo usato un’ANOVA separata between condition con
fattori between “regione stimolata” (M1-D, M1.FDI e SMA) e con fattore
ripetuto “submovimento”.
Nell’esperimento 3 abbiamo praticato un’ANOVA separata between condition
con fattori between “regione stimolata” (M1-D, PM e SMA), “intensità” e
come fattore ripetuto “submovimento”.
Nell’esperimento 4 abbiamo utilizzato un’ANOVA separata between condition
con fattore between “stimolazione” (sham e SMA) e come fattore ripetuto
“submovimento”.
Nell’esperimento 5 abbiamo usato un’ANOVA separata between condition con
fattore between “stimolazione” (click acustico, stimolo elettrico, stimolazione
simultanea elettrica e acustica, no stimolo) e come fattore ripetuto
“submovimento”.
In tutti gli esperimenti il post-hoc era il Tukey’s Honest Significant Difference
Test. I valori inferiori a 0.05 erano considerati significativi.
Risultati
Effetti della TMS sul tempo di reazione
Esperimento 1 (M1-D vs. PM vs. SMA, sottosoglia e sovrasoglia, stimoli
singoli o tripli, 150 o 190 ms dopo il go-signal)
In tutte le condizioni sperimentali non abbiamo osservato variazioni
significative dell’RT. Se erogata su SMA (sovrasoglia, con stimolazione
singola o ripetitiva), l’RT tendeva a diminuire se paragonata alla stimolazione
sottosoglia ma il dato non era significativo (Fig. 2).
Esperimento 2 (M1-FDI vs. M1-D vs. SMA, stimoli singoli ad intensità
massimale, 190 ms dopo il go-signal)
L’ANOVA per gli RT ottenuta nei trials con e senza TMS ha mostrato un
effetto principale del fattore “regione stimolata” (F3,20=15.7; p<0.001). Il posthoc ha mostrato che la stimolazione di M1-FDI, ma non di M1-D e SMA,
aumentava l’RT (Fig. 3).
47
Esperimento 3 (M1-D vs. PM vs. SMA, sottosoglia e sovrasoglia, stimoli tripli,
50 ms dopo il go-signal)
L’ANOVA ha mostrato un effetto principale dei fattori “regione stimolata”
(F2,233=3.6; p=0.00) e “intensità” (F2,233=6.3; p=0.01). Il post-hoc ha
evidenziato che la TMS somministrata precocemente durante l’RT lo accorcia
a prescindere dall’area corticale stimolata (Fig. 4).
Esperimento 4 (Sham vs. SMA, sovrasoglia, singoli stimoli, 50 ms dopo il gosignal, bobina biconica)
L’ANOVA non ha mostrato alcun effetto per il fattore “stimolazione”. La
durata media degli RT era di 216.28±41 ms nei trials con stimolazione e
247±45 ms nei trials senza stimolazione.
Esperimento 5 (no stimolazione vs. click acustico vs. stimolazione elettrica dei
muscoli del collo vs. stimolazione simultanea elettrica e acustica)
I dati hanno mostrato una tendenza all’accorciamento dei Reaction Times, dopo
il click acustico e la stimolazione elettrica, tendenza che si accentuava dopo
stimolazione simultanea.
Ad ogni modo l’ANOVA per l’RT non ha mostrato effetti per il fattore
“stimolazione” (F3,40=1,24 p<0.3075, Fig. 8).
Effetto della TMS sul tempo di movimento
Esperimento 1 (M1-D vs. PM vs. SMA, sottosoglia e sovrasoglia, stimoli
singoli o tripli, 150 o 190 ms dopo il go-signal)
La durata (media ± deviazione standard) dei submovimenti nelle sequenze
motorie eseguite senza TMS era di 176.8±26.7 per l’S1, 139.1±16.9 ms per S2,
145.7±18.1 ms per S3, 138.4±16.1 per S4 e 177.3±24.8 per S5. Questi valori
configuravano una curva a forma di W sul grafico di durata dei movimenti.
L’ANOVA sul movement time (MT) ha mostrato un effetto significativo del
fattore ripetuto “submovimento”. Il post-hoc confermava che S2, S3 e S4 erano
più corti di S1 e S5 (p<0.01).
Dal momento che questo pattern di durate era altamente riprodotto in tutte le
condizioni e in tutti gli esperimenti - con e senza TMS - l’analisi post-hoc per
l’effetto principale del fattore “submovimento” non sarà più discusso.
48
L’ANOVA per i dati di MT nei trials con e senza TMS ha mostrato un effetto
principale del fattore between “regione stimolata” (F3,128=7.05, p=0.0002) e
“stimolo” (F1.128=4.11, p=0.04), ma non del fattore “intensità”. L’analisi posthoc ha evidenziato che stimolare l’M1-D (ma non la PM e la SMA) con stimoli
tripli (più che singoli) allunga l’MT.
Abbiamo inoltre riscontrato una significativa interazione a tre vie “regione
stimolata” x “stimolo” x “submovimento” (F12,512=2.20, p<0.01). Il post-hoc ha
mostrato come la TMS sovrasoglia su M1-D accresce significativamente l’MT
(p<0.001) e questo aumento varia concordemente alla posizione dei
submovimenti nella sequenza motoria e al numero di stimoli erogati. In
particolare, gli stimoli singoli aumentano S1 e S2, mentre le triplette
aumentano anche S3 e S4. Inoltre, anche la stimolazione di PM fa aumentare
l’S1 (p<0.05). Al contrario, la stimolazione della SMA non sortisce effetti né
sovra- né sottosoglia (Fig. 5).
Esperimento 2 (M1-FDI vs. M1-D vs. SMA, stimoli singoli ad intensità
massimale, 190 ms dopo il go-signal) L’ANOVA per l’MT (con e senza TMS)
ha riportato un effetto principale del fattore ripetuto “submovimento”
(F4,80=36.9; p<0.001).
Abbiamo inoltre riscontrato una significativa interazione a due vie “regione
stimolata” x “submovimento” (F12,80=2.3; p<0.02). Il post-hoc ha mostrato che
la stimolazione TMS con stimoli singoli erogata al 100% dello stimolatore su
M1-D prolunga S1 e S2, mentre, quando erogata su M1-FDI prolunga S1, S2 e
S3. Invece, la stimolazione della SMA non sortiva effetti (Fig 6.).
Esperimento 3 (M1-D vs. PM vs. SMA, sottosoglia e sovrasoglia, stimoli tripli,
50 ms dopo il go-signal)
L’ANOVA ha mostrato un effetto principale marginalmente significativo del
fattore
“regione
stimolata”
(F2,238=2.8,
p=0.06),
“submovimento”
(F4,952=4.19, p<0.001) ma non del fattore “intensità” Dal post-hoc si è evinto
che la stimolazione di PM e SMA riduceva l’MT.
Abbiamo inoltre riscontrato una interazione a due vie “submovimento” x
“regione stimolata” (F2,238= 6.9, p=0.00) e “submovimento” x “intensità”
(F2,238= 2.9, p=0.02). Il post-hoc ha mostrato che la durata di S1 era più
influenzata dalla stimolazione di SMA che di PM e dalle intensità sovrasoglia,
più che sottosoglia (Fig. 7).
49
Esperimento 4 (Sham vs. SMA, sovrasoglia, singoli stimoli, 50 ms dopo il gosignal, bobina biconica)
L’ANOVA ha mostrato un effetto principale per il fattore “submovimento”
(F4,336=1.96, p<0.001) ma non per il fattore “stimolazione”. Le durate di S1.
S2, S3, S4 e S5 erano rispettivamente 204.2±29.7 ms, 150.9±13.2, 160.7±19.8
ms, 156.1±25.4 ms e 222.1±43.6. (con TMS) e 194.7±47.7 ms per S1,
150.4±27.1 ms per S2, 154.9±27.6 ms per
S3, 150.6±34.0 ms per S4,
199.1±52.1 ms per S5 senza TMS.
Esperimento 5 (no stimolazione vs. click acustico vs. stimolazione elettrica dei
muscoli del collo vs. stimolazione simultanea elettrica e acustica)
I dati hanno mostrato una tendenza all’accorciamento delle durate di MT dopo
il click acustico e la stimolazione elettrica, tendenza che si accentuava dopo
stimolazione simultanea.
L’ANOVA per l’MT ha mostrato un effetto principale del fattore
“submovimento” (F4,160=90,51, p<0.0001) ma non per il fattore “stimolazione”
(F12,160=0,46,
p<0.9334,
Fig.
9).
L’interazione
“stimolazione”
x
“submovimento” non era significativa (F8,64=0,43, p<0.8969).
Discussione
I dati ottenuti hanno mostrato con chiarezza che le modificazioni ottenute
mediante erogazione di stimoli magnetici sulla cinematica di un movimento di
puntamento - effettuato con muscoli prossimali - dipendono dal tempo di
interferenza della TMS (precoce o tardivo), regione corticale stimolata (aree
motorie primarie, PM e SMA), intensità dello stimolo (sottosoglia o
sovrasoglia) e numero di stimoli erogati (singolo o tripletta).
Una stimolazione tardiva inibisce la prestazione motoria, quella precoce la
facilita. La stimolazione dell’area motoria primaria è fondamentale per indurre
inibizione sia nella fase di start sia nell’esecuzione vera e propria, mentre un
effetto facilitatorio può essere indotto stimolando PM e SMA. Anche
l’intensità è una variabile importante ed è dose-related (nel senso che le
intensità sovrasoglia incidono in modo più efficace sulla prestazione così come
gli stimoli tripli).
50
Il movimento studiato in questo lavoro è rappresentabile graficamente a forma
di W: i soggetti, in tutte le condizioni sperimentali, acceleravano nella prima
parte della sequenza (da S1 a S2), raggiungevano un picco di velocità tra S3 e
S4 e infine deceleravano per terminare la sequenza (S5). Dal momento che il
primo submovimento era eseguito in risposta ad uno stimolo visivo, la risposta
era lenta proprio a causa della modalità d’esecuzione. In altre ricerche del
nostro gruppo abbiamo dimostrato che i soggetti normali eseguono movimenti
caratterizzati da identici parametri spaziali più velocemente con modalità a
guida interna che esterna, cioè in risposta a stimoli (Currà et al. 1997, 2000).
I soggetti normali impiegano più tempo ad eseguire S5 che non S2-S4
probabilmente perché S5 è compreso nella fase di decelerazione del
movimento. Sulla base della durata media dei submovimenti, la stimolazione
tardiva di M1 perturbava la prestazione motoria da 300 a 600 ms, a seconda del
sito e dell’intensità della stimolazione, mentre la stimolazione di PM o SMA
induceva solo effetti a brevissimo termine.
Stimolazione di M1
La TMS induce modificazioni sul Reaction Time
Per hot-spot di un muscolo si intende il sito corticale dove la TMS elicita una
risposta alla minima intensità. All’hot-spot la TMS recluta i neuroni
corticospinali che proiettano al muscolo target nel modo più accessibile.
Nel nostro lavoro una stimolazione tardiva di M1-FDI ritardava il tempo di
reazione, al contrario della stimolazione tardiva su M1-D. Il nostro task
impegnava soprattutto i muscoli prossimali, muscoli che hanno notoriamente
una soglia più alta rispetto ai muscoli distali (Chen et al. 1998) probabilmente
perché hanno una rappresentazione corticale minore e meno superficiale. Il
dato da noi riscontrato di assenza di effetto sull’RT stimolando M1-D
suggerisce che questo tipo di stimolazione non attiva né inibisce i neuroni che
controllano i muscoli prossimali. Inoltre, in questo caso, un eventuale effetto
“ritardante” della TMS sarebbe potuto essere controbilanciato dal fenomeno di
intersensory facilitation. Per intersensory facilitation si intende quel fenomeno
di accelerazione di una risposta motoria dovuta all’effetto facilitatorio di una
51
stimolazione multisensoriale (Bernstein et al. 1969, Nickerson et al. 1973;
Pascual-Leone et al. 1992b) (nel nostro caso: l’attivazione cutanea dello scalpo,
il click acustico generato dalla bobina e lo stimolo visivo di go).
Una spiegazione al fatto che l’RT sia alterato mediante stimolazione di un’area
attivante muscoli distali potrebbe essere che l’intensità più elevata da noi usata
per attivare M1-FDI elicitava un twitch muscolare più intenso. Tuttavia il
nostro task impiegava prevalentemente muscoli i prossimali della spalla e,
soprattutto, la TMS generava un twitch molto più forte quando era erogata su
M1-D. Per questa ragione abbiamo potuto concludere che i circuiti inibitori che
agiscono sui neuroni output attivati nel nostro compito motorio fossero più
accessibili stimolando l’area motoria primaria dell’FDI. L’attivazione di
circuiti corticali da parte della TMS dipende dalla distribuzione dell’eccitabilità
entro i circuiti e dalla distribuzione spaziale degli elementi corticali eccitabili
sotto la bobina. Quindi, l’effetto della TMS varia in base a due fattori: l’area di
rappresentazione corticale sottostante e la distanza dei neuroni attivati dalla
bobina.
Dal momento che M1-FDI ha una rappresentazione più superficiale e M1-D
giace nel solco, l’efficacia della prima potrebbe esser causata proprio da questo
fattore anatomico. Maggiore è l’eccitabilità dei neuroni corticali, più facile
diventa stimolarli a distanza. Pertanto la distribuzione spaziale di eccitabilità
dei neuroni di output coinvolti in un compito può anche favorire la regione
corticale del muscolo FDI, dove possono raggrupparsi gli elementi neurali a
più bassa soglia. In alternativa, il sito sullo scalpo per M1-FDI potrebbe essere
più efficace perché la bobina è posizionata più vicino alle fibre cortico-corticali
en passage dalle regioni di rappresentazione dei muscoli prossimali attivati
durante l’RT.
Infine non possiamo comunque escludere l’ipotesi che l’effetto più importante
di M1-FDI sia dovuto alla forte contrazione dei muscoli della mano che
potrebbe aver distratto i soggetti dall’esecuzione del compito.
Nel nostro studio la stimolazione sottosoglia non ha accorciato l’RT, a
differenza di lavori precedenti (Pascual-Leone et al. 1992). Nei compiti che
coinvolgono i muscoli della mano la stimolazione sottosoglia induce un
aumento precoce dell’eccitabilità premovimento; qui la cosa non si è verificata
perché i muscoli coinvolti erano, appunto, prossimali.
52
A differenza della stimolazione tardiva, la tripletta somministrata
precocemente su M1-D riduce significativamente l’RT, a dimostrare che la
facilitazione della prestazione motoria può essere facilmente indotta sul sito
dello scalpo corrispondente all’area motoria per il deltoide.
Giacchè la TMS (precoce o tardiva) induce effetti opposti sull’RT, la
spiegazione più immediata è che sia più semplice facilitare la corteccia con la
TMS piuttosto che inibirla, ma soprattutto, che la variabile più importante per
una stimolazione efficacemente perturbante è il tempo di stimolazione.
Un altro fattore che influenza l’accelerazione motoria è la già citata
intersensory facilitation (Terao et al. 1997). A bilanciare il potenziale ritardo
indotto dalla stimolazione tardiva, l’intersensory facilitation può aver
accelerato il movimento dopo la stimolazione precoce. Per comprendere sino a
che punto essa abbia potuto interferire col nostro compito, abbiamo studiato la
cinematica di movimento in quattro condizioni di stimolazione. I trials in cui vi
era stimolazione acustica ed elettrica tendevano ad accorciare il RT e l’MT
rispetto ai trials senza stimolazione. La stimolazione simultanea facilitava
maggiormente il movimento - rispetto alla singola - senza tuttavia mai
diventare significativa. Questo significa che nel nostro lavoro l’intersensory
facilitation non può essere una spiegazione esaustiva dei dati ottenuti.
La TMS induce modificazioni sul Movement Time
Erogando la TMS tardivamente (a ridosso della risposta motoria) su M1-D e
M1-FDI, l’MT si allunga. I nostri dati replicano i risultati di lavori precedenti
in cui i movimenti sequenziali sono alterati dalla TMS (Berardelli et al. 1994;
Gerloff et al. 1997), e li ampliano, dal momento che abbiamo verificato che il
sito di stimolazione e l’intensità sono due variabili fondamentali per alterare
l’MT.
Sebbene la stimolazione ad alta intensità di M1-FDI abbia un forte effetto
ritardante sull’MT, il pattern di tutti e cinque i submovimenti non viene mai
alterato e la classica forma a W resta identica in tutte le condizioni (Fig 5, 6, 7).
La stimolazione di M1 avveniva di fatto nella fase finale di programmazione
motoria, ossia quando la pianificazione era terminata e stava per essere
rilasciato il programma motorio finale. Da questo possiamo concludere che
53
nelle fasi immediatamente antecedenti al movimento (30-50 ms) l’area motoria
primaria riveste un ruolo prettamente esecutivo.
Dai dati si evince inoltre come la TMS abbia un effetto sull’MT e non
sull’RT, sia che sia somministrata sull’area del deltoide, sia sull’area dell’FDI.
Questo può voler dire che essa stimola più facilmente i circuiti sottesi all’MT.
E’ probabile anche che l’area dell’FDI sia il sito anatomico migliore per
indurre una risposta inibitoria corticale e che l’effetto ottenuto su M1-D fosse
dovuto alla diffusione al sito M1-FDI. Questo spiegherebbe perché la
stimolazione di M1-D perturba l’MT (sensibile a stimolazioni più grossolane)
ma non l’RT (che richiede invece una stimolazione ben congegnata).
Infatti, al crescere dell’intensità della stimolazione, cresce l’area dalla
quale un determinato circuito nervoso può essere attivato.
A differenza della stimolazione sovrasoglia tardiva, quella sottosoglia
non ha dato effetti sull’MT. Questo dato contrasta con dati di letteratura
secondo cui l’intensità minima di TMS per generare un errore durante un
compito complesso da eseguire con le dita è inferiore alla soglia motoria per
l’FDI. Contrasta anche con i dati su pazienti parkinsoniani in cui la prestazione
motoria trae giovamento con la rTMS sottosoglia (Pascual-Leone et al. 1994).
Questo si spiega forse a causa dei muscoli implicati nei movimenti (prossimali
contro distali), delle diverse intensità e frequenze usate e delle variabili
considerate per valutare l’interferenza sul movimento (MT contro numero di
errori).
Oltre ad accorciare l’RT, le triplette sovrasoglia precoci su M1-D accorciano
anche l'MT. Questo dato rafforza la nozione che il tempo di stimolazione sia il
fattore determinante per indurre effetti facilitatori o inibitori: la TMS tardiva
ritarda la risposta e l’esecuzione motoria, mentre la TMS precoce la velocizza.
Poiché questo paradigma di stimolazione è risultato efficace anche quando
erogato sulle aree motorie non primarie (PM e SMA), riteniamo che la TMS
abbia aumentato la velocità di movimento stimolando almeno in parte M1
direttamente ed in parte M1 indirettamente attraverso PM e la SMA.
54
Stimolazione di PM e SMA
Effetti sul Reaction Time
Stimolando la PM e la SMA i tempi di reazione rimanevano invariati. Una
spiegazione semplice a questo fenomeno potrebbe essere che l’effetto inibitorio
o facilitatorio della TMS su queste aree fosse troppo debole per modificare
l’RT. Appare più verosimile tuttavia l’eventualità che, al tempo di stimolazione
(tardivo) queste due aree non siano più coinvolte nel movimento. Questa
ipotesi trova conferma dal fatto che la TMS somministrata sulle aree
premotorie, prima dell’effettuazione motoria, accorcia l’RT.
Effetti sul Movement Time
La stimolazione tardiva di PM (tripletta sovrasoglia) ritardava meno l’MT
rispetto alla stimolazione di M1. Nonostante ci siano ampi riscontri
sperimentali sul ruolo di PM nel controllo temporale dei movimenti sequenziali
(Mushiake et al. 1991; Halsband et al. 1993; Sadato et al. 1996), i nostri
risultati non forniscono una prova completa del ruolo della PM nell’esecuzione
motoria nelle fasi tardive del processo di messa in atto di un programma
motorio.
L’area premotoria più attiva è sempre la PM destra, anche quando il
movimento è effettuato con la mano omolaterale (Sadato et al. 1996), e noi
abbiamo invece stimolato la PM sinistra. Inoltre la TMS non ha mai alterato la
forma a W della sequenza motoria. Riteniamo pertanto che la stimolazione
sovrasoglia dell’area premotoria abbia prolungato il primo submovimento per
il coinvolgimento dell’area del braccio in M1, o per via cortico-corticale
(stimolazione ortodromica indiretta dell’area 4 laterale) o per diffusione del
campo magnetico (la sommazione dei tre stimoli magnetici era infatti
inevitabile).
Ci sono varie ragioni che spiegano perché la stimolazione tardiva della
SMA non produca effetti sull’MT. La collocazione anatomica della SMA
(situata nella scissura mediana) ne rende difficoltosa la stimolazione e ha
probabilmente impedito la stimolazione efficace della SMA posteriore
controlaterale. Per evitare questo limite abbiamo usato uno stimolatore con
55
bobina biconica senza tuttavia ottenere effetti sull’MT. Abbiamo quindi
confermato i dati di Cunnington (1996) in cui non si erano ottenute
modificazioni nell’esecuzione di una sequenza motoria in soggetti sani. La
nostra procedura era comunque differente (per tipo di bobina e di movimento:
biconico contro circolare, movimento a guida esterna contro movimento a
guida interna). A dispetto di tali differenze l’MT aumentava quando la TMS
veniva
erogata precocemente nel corso
del movimento
in pazienti
parkinsoniani, mentre rimaneva immodificata nei soggetti normali. Infine, il
compito da noi utilizzato era probabilmente troppo semplice e troppo ben noto
per coinvolgere attivamente la SMA. Alcuni lavori recenti mostrano
un’alterazione del movimento con stimolazione di SMA e PM ma i movimenti
studiati sono più complessi e i soggetti sono pazienti con varie patologie
neurologiche (Schluter et al. 1998; Boylan et al. 2001).
Somministrando invece la TMS sovrasoglia tardivamente (su PM e
SMA) l’MT risultava ridotto. Questo sta a dimostrare, ancora una volta, che è
più semplice indurre una facilitazione più che una inibizione e che il tempo di
somministrazione degli stimoli è una variabile cruciale. I neuroni di
rappresentazione corticospinale del braccio in PM e SMA sono in numero
simile o addirittura superiore a quelli di M1, proiettano direttamente al midollo
spinale e fanno sì che queste due aree influenzino in maniera rilevante la
generazione e l’esecuzione motoria (Martino e Strick, 1987; Dum e Strick,
1991). Nel nostro caso, stimolando la PM e la SMA, il movimento potrebbe
essersi velocizzato anche per via indiretta, facilitando i neuroni di M1 tramite
le vie cortico-corticali (Geyer et al. 2000; Cerri et al. 2003).
Possiamo concludere che le variabili di tempo, sede anatomica, intensità e
numero degli stimoli sono parametri fondamentali per indurre variazioni nella
cinematica di un movimento sequenziale.
Una stimolazione precoce facilita la risposta motoria, verosimilmente attivando
le aree premotorie e la motoria primaria. Al contrario, la stimolazione tardiva la
inibisce.
La sede anatomica più sensibile per indurre inibizione con la TMS è l’area
dell’FDI, invece la facilitazione intracorticale non ha un’organizzazione
topografica chiara. Il dato principale ricavato è che, sia per indurre un effetto
56
facilitatorio, sia per indurre un effetto inibitorio, la variabile principale è
senz’altro il tempo di stimolazione.
57
Esperimento
Tempo di
stimolazione
1
190 ms
Area
corticale
stimolata
M1-D, PM,
SMA
Intensità di Numero
stimolazione
di
stimoli
90% MTh
Singolo
125% MTh
Tipo di
bobina
A otto
150 ms
M1-D, PM,
SMA
90% MTh
125% MTh
Tripletta
2
190 ms
M1-FDI,
M1-D, SMA
170% 200%
MTh
Singolo
A otto
3
50 ms
M1-D, PM,
SMA
90% MTh
125% MTh
Tripletta
A otto
4
50 ms
SMA
125% MTh
Singolo
Biconica
5
50 ms
Singolo
A otto *
Massimo
No stimolo,
click
output *
acustico *, 1.5-2 rispetto
alla soglia
stimolazione
elettrica **, sensoriale **
stimolazione
simultanea
elettrica e
acustica
Tabella. Variabili TMS usate negli esperimenti
58
Fig. 1 I target visivi mostrati in posizione di partenza (A) e al GO-signal. Le frecce indicano il
percorso da eseguire.
59
Fig. 2 Tempi di reazione. Esperimento 1. Le barre verticali indicano un intervallo di
confidenza del 95%.
60
Fig. 3 Tempi di reazione. Esperimento 2.
Fig. 4 Tempo di reazione. Esperimento 3.
61
Fig. 5 Tempo di movimento. Esperimento 1.
62
Fig. 6 Tempo di movimento. Esperimento 2.
Fig. 7 Tempo di movimento. Esperimento 3.
63
Fig. 8 Tempo di reazione. Esperimento 5.
Fig. 9 Tempo di movimento. Esperimento 5
64
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STUDIO
DEI
MOVIMENTI
INDIVIDUALI
E
NON
INDIVIDUALI DELLE DITA IN PAZIENTI AFFETTI DA
DISTONIA DELL’ARTO SUPERIORE
I pazienti affetti da distonia segmentale o generalizzata dell’arto superiore
effettuano i movimenti - semplici e complessi – e che coinvolgono il gomito o
articolazioni prossimali, con velocità ridotta (bradicinesia), attivazione
prolungata e concomitante dei muscoli agonisti e antagonisti (co-contrazione) e
diffusione dell’attività EMG in muscoli remoti non implicati nel movimento
(overflow) (Van der Kamp et al. 1989; Agostino et al. 1992; Inzelberg et al.
1995; Currà et al. 2000).
La
distonia
compito-specifica
affligge
preferenzialmente
quegli
individui che svolgono movimenti ripetitivi complessi (distonia professionale).
Questi pazienti hanno difficoltà nell’eseguire movimenti che richiedono
rapidità, selettività ed indipendenza (Poore et al. 1887; Tolosa et al. 1997).
Musicisti, dattilografi ed analoghe categorie professionali sono gli individui più
soggetti a contrarre questa malattia. Registrazioni con elettrodi di superficie in
pazienti con crampo dello scrivano hanno mostrato che, durante movimenti
isolati delle dita, l’attività EMG si estende anche a gruppi muscolari non
implicati direttamente nel movimento. Questa anomalia è stata interpretata
come una mancanza di selettività durante i movimenti individuali delle dita
(Cohen et al. 1998).
Tali osservazioni cliniche e neurofisiologiche fanno sorgere il quesito
se i pazienti con distonia della mano abbiano una compromissione
nell’esecuzione di movimenti delle dita.
Il controllo corticale delle dita è un ambito di ricerca scientifica molto
attivo; Schieber (1990) ha recentemente proposto un modello per il controllo
dei movimenti individuali delle dita secondo cui un maggior numero di neuroni
della corteccia motoria primaria è necessario per la generazione di movimenti
indipendenti delle dita. Questo modello inoltre presuppone che tale set di
neuroni includa un subset responsabile dell’esecuzione di movimenti più
rudimentali (apertura e chiusura della mano).
68
Le prove sperimentali raccolte con studi sui potenziali motori (Feve et
al. 1994; Deuschl et al. 1995; Van der Kamp 1995), sul flusso cerebrale
(Ceballos-Baumann et al. 1995; Playford et al. 1998; Ibanez et al. 1999) e sul
periodo silente indotto da TMS, (Currà et al. 2000) depongono a favore di
un’ipoattivazione della corteccia motoria nella distonia. Seguendo il modello di
Schieber (1990), queste osservazioni avvalorano l’ipotesi che i pazienti
distonici presentino una predominante compromissione dell’esecuzione dei
movimenti individuali delle dita.
In questo gruppo di esperimenti abbiamo studiato i movimenti delle dita
nei pazienti distonici. Proponendoci di comprendere se la distonia affligge in
misura maggiore i movimenti individuali rispetto a quelli non individuali,
abbiamo confrontato i parametri cinematici dei movimenti di opposizione
pollice-indice durante attivazioni individuali e non individuali delle dita.
Materiale e metodo
Hanno preso parte allo studio nove soggetti normali (8 uomini e una donna; età
media ± deviazione standard 51.7 ± 13.7) e nove pazienti con distonia (8
uomini e una donna; 52.4 ± 14.9 anni). Tutti i soggetti erano destrimani e il
protocollo è stato approvato dal Comitato Etico Locale. Sei pazienti
presentavano una distonia della mano, uno aveva distonia della mano e del
braccio, uno aveva distonia del braccio e della mandibola, l’ultimo, distonia del
braccio e del collo. I pazienti sono stati testati con la Dystonia Movement Scale
of the Fahn-Marsden Evaluation Scale (FMESD)(Weiner et al. 1989) (Tabella
1). Nessun soggetto era impossibilitato per altre ragioni cliniche a muovere
normalmente le dita.
Apparato
Per registrare i movimenti nello spazio tridimensionale abbiamo utilizzato
l’ELITE motion system. Il sistema consiste di due telecamere a infrarossi
(100Hz frequenza di campionamento) che rilevano il movimento di marker
passivi nello spazio, e di un sistema TV che ne digitalizza e ricostruisce le
coordinate del movimento. L’elaborazione matematica delle coordinate spaziali
69
del marker in movimento fornisce informazioni sulla traiettoria, lo spostamento
e la velocità, mostrandole in forma grafica in coordinate 3D.
Paradigma Sperimentale
I soggetti sedevano comodamente su una sedia di fronte a due telecamere e
avevano un marker fissato sull’ultima falange del dito indice.
I compiti erano due: opposizione individuale delle dita (tapping indice contro
pollice) e opposizione non individuale del pollice contro le altre quattro dita. Il
braccio era tenuto flesso all’altezza del gomito (~90 gradi) e addotto alla spalla
(~20 gradi), con l’avambraccio in posizione intermedia tra pronazione o
supinazione ed il polso in posizione neutra. Durante l’opposizione individuale,
il dito indice (D2) era esteso e le altre tre dita (D3, D4 e D5) erano flesse;
durante il tapping non individuale D2, D3, D4 e D5 erano estese e mosse
simultaneamente. Il movimento doveva essere il più ampio e il più veloce
possibile e il pollice (D1) doveva essere immobile e addotto in modo
massimale.
In un sottogruppo di pazienti e controlli (5 casi) abbiamo applicato un
altro paradigma in cui pollice, medio, anulare e mignolo erano flessi mentre
l’indice era posto al centro di un scatola di alluminio (doppio end-stop). Il
soggetto doveva eseguire il tapping con l’indice all’interno delle due pareti
della scatola. A differenza del primo paradigma sia la flessione sia l’estensione
finivano contro un fermo (end-stop). Prima della registrazione i soggetti
effettuavano un training di circa 5 secondi, poi si procedeva alla registrazione
dei trial (della stessa durata).
Analisi delle variabili cinematiche
Abbiamo calcolato il numero di opposizioni effettuate durante ognuno de tre
blocchi di 5 secondi, abbiamo misurato la durata e l’ampiezza di entrambe le
fasi del movimento (flessione ed estensione). Elaborando i dati abbiamo
stabilito l’inizio e la fine di ogni fase usando come soglia una velocità
arbitraria del dito di 50mm/s (Currà et al. 1997). Abbiamo inoltre valutato il
deterioramento della prestazione motoria confrontando l’ampiezza e velocità
delle prime tre e delle ultime tre opposizioni della sequenza di ciascun blocco.
70
Analisi statistica
Tutti i dati sono stati espressi come media ± 1 deviazione standard. E’ stata
effettuata un’ANOVA a più vie con fattori di differenza “gruppo” (normali e
pazienti) e “compito” (opposizione individuale e non individuale) e con fattori
di ripetizione “fase” (flessione ed estensione) e blocco (1, 2 e 3).
Per valutare il deteriorarsi del compito motorio abbiamo condotto un’ANOVA
separata con fattori di differenza “gruppo” e “compito” fattori di ripetizione
“fase” e “posizione” (opposizioni precoci e tardive).
Nell’esperimento con doppio end-stop abbiamo applicato un’ANOVA
con i fattori “gruppo” “fase” e “trial”. L’analisi post-hoc è stata effettuata con
il Tukey’s Honest Significant Test. La significatività è stata fissata a p<0.01.
Risultati
Tutti i pazienti hanno eseguito correttamente il compito. L’esecuzione motoria
non ha indotto sintomi distonici nei pazienti con distonia della mano (pazienti
da 1 a 6), né ha peggiorato la postura iniziale nei pazienti 7 e 8. La distonia del
braccio è invece leggermente peggiorata nel paziente 9.
L’analisi preliminare dei dati non ha evidenziato effetti per il fattore “blocco”
ad indicare che, in entrambi i gruppi e in entrambi i compiti, il numero di
opposizioni, la durata, l’ampiezza e le pause rimanevano invariate.
Numero delle opposizioni
In entrambe le condizioni sperimentali, i pazienti effettuavano un numero
minore di opposizioni rispetto ai sani (opposizioni individuali: pazienti
=12.5±5.1 sani =20.1±3.4; opposizione non individuale: pazienti =13.5±5 sani
=19.0±3.8; F[1,104] per fattore “gruppo” = 59.01 p<0.00001). L’analisi
intragruppo ha mostrato che il numero di opposizioni compiute nei due compiti
era simile.
71
Ampiezza e durata delle fasi di flessione ed estensione
Nei due compiti, pazienti e controlli presentavano simile ampiezza
d’estensione e flessione (F[1,104] per fattore gruppo = 1.87 p=0.79). I pazienti
erano sempre più lenti (F[1,104] per fattore gruppo = 32.6 p<0.00001) e, in
entrambi i gruppi, le estensioni erano più lunghe delle flessioni (F[1,104] per
fattore fase = 89.1 p<0.00001). L’estensione era poi sproporzionatamente più
lunga nel compito di opposizione individuale (interazione compito
x fase
F[1,104]= 9.5 p<0.003) e questo fenomeno era dovuto ai pazienti (interazione
gruppo x compito x fase F[1,104]= 6.1 p<0.01) (Tabella 2). La bradicinesia
dell’estensione, durante l’opposizione individuale, era simile in due pazienti
con distonia del braccio e della mano (durata media della flessione, 120 ms;
durata media dell’estensione, 182 ms; pazienti 7 e 9 nella tabella 1) come negli
altri pazienti (flessione, 141±71 ms; estensione 222 ±91 ms).
Durata delle pause
I pazienti effettuavano pause più lunghe dei soggetti normali (F[1,104]= per
fattore gruppo = 35.5 p<0.00001) e in ambo i gruppi queste erano più lunghe
prima dell’estensione (F[1,104]= per fattore fase = 55.7 p<0.00001).
Nell’opposizione individuale le pause prima dell’estensione erano più lunghe
rispetto a quelle prima della flessione (interazione compito x fase, F[1,104]= 8.3
p<0.006 e questo fenomeno era dovuto principalmente ai pazienti (interazione
gruppo x compito x fase, F[1,104]= 10.22 p<0.002) (Tabella 2).
Deterioramento della prestazione motoria durante l’esecuzione del
compito
I pazienti erano complessivamente più lenti dei controlli (F[1,32] per fattore
gruppo = 12.9 p<0.00001) e l’estensione era più lunga della flessione (F[1,32]
per fattore fase = 24.4 p<0.00001). L’esecuzione del compito non peggiorava
durante il corso del blocco. Non vi erano cambiamenti nell’ampiezza del
movimento.
72
Opposizioni, durate e pause nel doppio end-stop
Il numero di opposizioni dei pazienti era inferiore rispetto a quello dei sani
(pazienti 11.7 ± 5.0; controlli 16.71 ± 3.7; F[1,28] per fattore gruppo = 8.9
p<0.005) e si muovevano più lentamente (F[1,28] per fattore gruppo = 13.3
p<0.001). In entrambi i gruppi la flessione e l’estensione avevano uguale
durata (F[1,28] per fattore fase = 0.52 p<0.82) (Fig.1) e la pausa antecedente
all’estensione era più breve (F[1,28] per fattore fase = 19.5 p<0.0002) senza
differenza tra gruppi.
Discussione
Il dato più evidente di questi esperimenti è che, nei pazienti con distonia, le
opposizioni individuali delle dita sono più compromesse di quelle non
individuali. I pazienti sono lenti, fanno pause più lunghe, ma non sono
ipometrici né la loro prestazione peggiora con il progredire dell’esecuzione.
Per spiegare i meccanismi della predominante compromissione dei
movimenti individuali abbiamo fatto riferimento ai modelli fisiologici del ruolo
della corteccia motoria nella pianificazione dei movimenti delle dita.
Il modello di Schieber (1990) presuppone che la corteccia motoria sia
più attiva durante i movimenti individuali che durante quelli non individuali.
Tale dato è confermato da ricerche sui primati (Muir et al. 1983), sull’uomo
sano (Datta et al. 1999) e su pazienti con lesioni circoscritte alla corteccia
motoria o al tratto corticospinale in cui vi è una compromissione selettiva dei
movimenti fini delle dita (Lang et al. 2003). La predominante bradicinesia
osservata nei pazienti distonici durante i movimenti individuali delle dita si
inserisce pertanto molto bene nel contesto dell’ipoattivazione delle aree
corticali motorie dimostrata da una serie di studi neurofisiologici in tali
pazienti. I potenziali motori evento-correlati registrati dallo scalpo prima
dell’inizio di un movimento volontario, ad esempio, sono meno ampi nei
pazienti con distonia primaria, secondaria e focale (Feve et al. 1994; Deuschl et
al 1995; Van der Kamp 1995 Ikeda et al. 1992). Gli studi di stimolazione
magnetica transcranica (TMS) hanno dimostrato un accorciamento del periodo
silente svelando una minore eccitabilità degli interneuroni inibitori nella
73
corteccia motoria primaria in pazienti con varie forme di distonia (Currà et al.
2000; Niehaus et al. 2001; Gilio et al. 2003). Ricerche effettuate con la
tomografia ad emissione di positroni hanno mostrato che durante l’esecuzione
di movimenti di tapping e di scrittura in pazienti con distonia focale e
generalizzata, l’attivazione dell’area motoria primaria è ridotta (CeballosBaumann et al. 1995 e 1997; Playford et al. 1998; Ibanez et al. 1999).
Oltretutto i nostri risultati non sono in opposizione alle recenti evidenze di
iperattività della corteccia motora primaria indotta da movimenti distonici
compito-specifici (Pujol et al. 2000; Odergren et al. 1998) poiché solamente
uno dei nove pazienti peggiorava clinicamente durante il compito. Sulla base
del modello di Schieber (1990) possiamo concludere che, poiché l’attivazione
corticale nei distonici è anormale durante il movimento, tali pazienti hanno
difficoltà maggiori nell’eseguire movimenti individuali piuttosto che non
individuali.
Nei soggetti studiati la caratteristica cinematica più spiccata era la fase
di estensione, che si presentava sproporzionatamente più lunga nei pazienti.
Questo dato coincide con le evidenze neurofisiologiche che mostrano come
l’attivazione degli estensori implichi un coinvolgimento corticale maggiore
rispetto ai flessori (Yue et al. 2000; Palmer et al. 1992) e con la maggiore
difficoltà – osservata ad esempio in pazienti parkinsoniani -
nell’effettuare
contrazioni isometriche in estensione piuttosto che in flessione (Corcos et al.
1996). Riteniamo pertanto che l’alterazione osservata nei nostri pazienti
durante i compiti individuali e nell’estensione, sia riconducibile all’ipoattività
della corteccia motoria.
Il meccanismo che traduce la ridotta attivazione corticale in una
maggiore difficoltà per i pazienti distonici nell’estendere piuttosto che nel
flettere, non è ancora ben chiaro. I distonici hanno ridotti meccanismi di
inibizione corticale (Berardelli et al. 1998), fenomeno che rende meno selettivi
i loro movimenti e che induce co-contrazione. Riteniamo che la co-contrazione
– sovrapposizione prototipica di burst di muscoli agonisti e antagonisti – abbia
inciso più sulla fase di estensione che di flessione, esacerbando la bradicinesia
durante i movimenti individuali. L’esperimento con il doppio end-stop
supporta questa ipotesi. Quando il movimento studiato finisce contro la doppia
parete della scatola di alluminio, sia la fase di estensione che di flessione
74
avevano una durata simile. Quando, senza il supporto di alluminio, solo la fase
di flessione finiva contro il fermo rappresentato dal pollice, la durata
dell’estensione era maggiore della flessione in entrambi i compiti e in entrambi
i gruppi di soggetti. Questo pattern cinematico probabilmente dipende dal
modo in cui l’end-stop modula l’attività EMG durante i movimenti rapidi. Gli
studi EMG hanno mostrato che i movimenti rapidi che non finiscono contro un
end-stop sono più lenti di quelli bloccati meccanicamente poiché, in questa
condizione, il pattern trifasico degli antagonisti diminuisce in maniera marcata
mentre l’attività agonista aumenta (Water set al. 1981; Marsden et al. 1983;
Pantaleo et al. 1988). Inoltre, durante i movimenti ripetitivi veloci – come
l’opposizione delle dita da noi studiata – l’analisi del pattern trifasico EMG
mostra una tipica attivazione alternante bifasica di agonisti e antagonisti dovuta
alla mancanza del secondo burst dell’agonista (Benecke et al. 1996; Freund et
al. 1986). E’ interessante notare che lo stesso burst che agisce come
antagonista per interrompere il sub-movimento già iniziato verosimilmente
agisce come agonista per imprimere la forza d’impulso per il sub-movimento
successivo nella direzione opposta. Quindi, quando la flessione è fermata
meccanicamente, i muscoli antagonisti sono effettivamente attivati in minor
misura di quanto non siano i flessori durante la fase di estensione. Questo rende
la flessione meno suscettibile di co-contrazione (rispetto all’estensione) e
comporta l’allungamento della fase di estensione.
Nei distonici abbiamo riscontrato anche un allungamento della pausa
prima dell’estensione nei movimenti individuali delle dita. Entrambi i
fenomeni sono
fisiologicamente collegati giacché entrambi dipendono
dall’attivazione dei muscoli estensori. Durante la flessione, infatti, i muscoli
estensori agiscono come antagonisti per frenare il movimento, sono meno
attivati a causa della presenza dell’end-stop e quindi richiedono una pausa più
lunga per raccogliere l’attività EMG agonista necessaria per iniziare
l’estensione (Agostino et al. 2003). Anche questa idea è supportata dai risultati
dell’esperimento di doppio end-stop. In questa condizione i pazienti, non solo
riducono la durata dell’estensione ma accorciano pure le pause precedenti
all’estensione (da 90 a 40 ms). Il fatto che la durata delle pause sia strettamente
correlata
al
pattern
EMG
durante
le
opposizioni
è
confermato
dall’osservazione che, durante l’esecuzione con doppio end-stop, in tutti e due i
75
gruppi la pausa precedente alla flessione si allunga rispetto alla condizione di
singolo end-stop. Infatti, l’end-stop dopo l’estensione ritarda l’attivazione del
muscolo flessore necessaria per produrre la forza impulsiva per la flessione
successiva (Agostino et al. 2003).
La bradicinesia riscontrata nei pazienti distonici ricorda quella già osservata nei
pazienti parkinsoniani in una precedente ricerca che studiava lo stesso compito
motorio (Agostino et al. 2003). Tuttavia vi sono delle significative differenze
neurofisiologiche.
A differenza dei parkinsoniani, i distonici non mostrano ipometria, né
tantomeno la loro prestazione peggiora con il progredire del compito. I
parkinsoniani erano inoltre particolarmente lenti durante la flessione (la fase
del movimento normalmente più veloce) mentre i distonici sono più lenti
durante l’estensione (la fase più soggetta a co-contrazione). Quindi, sebbene la
bradicinesia sia un’anomalia comune ai disordini del movimento derivanti da
alterazioni dei gangli della base, il meccanismo fisiologico che la sottende è
diversificato nelle diverse patologie.
76
N°
Paziente
Età
Durata
della
malattia
(anni)
Tipo
di
distonia
Livello
compromissio
ne del braccio
(0-16)
Grado disabilità
(0-4)
Scrittura
Trattamento
Mangiare
1
33
2
Mano
2
1
0
Nessuno
2
77
9
Mano
2
2
0
Tossina
botulinica
3
36
2
Mano
1
1
0
Nessuno
4
54
6
Mano
2
2
0
5
61
6
Mano
2
1
0
6
60
7
Mano
2
3
0
7
72
9
Mano,
braccio
6
3
2
Tossina
botulinica
Tossina
botulinica
Tossina
botulinica
Tossina
botulinica
8
41
12
Mano,
mandibola
6
3
1
Tossina
botulinica
9
39
15
Mano,
braccio,
collo
8
2
2
Tabella 1. Caratteristiche cliniche dei pazienti
77
Tossina
botulinica,
benzodiaz.
Ampiezza
Durata
Pausa
Parametri
Non
individuale
Controlli
Flessione
Estensione
Flessione
Estensione
Flessione
Estensione
62.0±10.9
62.9±11.5
93.0±21.1
129.1±21.5
6.9±5.9
29.2±20.9
Pazienti
62.3±14.0
64.0±13.5
140.2±62.7
164.5±40.8
66.2±66.4
72.5±75.8
Controlli
61.8±13.6
62.6±13.7
99.1±26.7
140.9±27.7
8.8±10.0
29.2±22.6
Pazienti
63.6±16.9
62.2±16.9
136.1±65.0
213.3±85.0
50.3±53.6
94.7±67.8
Individuale
Tabella 2. Valori cinematici durante le opposizioni individuali e non
individuali
78
Fig. 1 I pazienti erano complessivamente più lenti dei normali, ma le durate di estensione e
flessione erano simili in ambo i gruppi. I pazienti avevano inoltre pause più lunghe ed
entrambi i gruppi si fermavano più a lungo prima della flessione.
(I valori sono espressi in medie più deviazione standard di 0.5)
79
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83
STUDIO DELL’APPRENDIMENTO MOTORIO MEDIANTE
ADDESTRAMENTO
BREVE
E
PROLUNGATO
IN
PAZIENTI AFFETTI DA MALATTIA DI PARKINSON
Ogni giorno gli esseri umani eseguono correttamente e senza alcuno sforzo
apparente un’ampia varietà di movimenti complessi che coinvolgono gli arti
superiori. Una caratteristica distintiva di questi atti motori è quella di consistere
in una sequenza di movimenti singoli mirati, eseguiti senza soluzione di
continuità, in modo relativamente veloce ed accurato dal punto di vista dello
spazio e dello tempo. Trovandosi invece nella condizione di eseguire un
movimento sequenziale ex novo la qualità dell’esecuzione inizialmente è poco
brillante ma, con l’addestramento, migliora sensibilmente.
Il miglioramento della prestazione motoria con l’addestramento –
concetto fondamentale dell’apprendimento motorio – solitamente segue un
percorso temporale in cui il guadagno maggiore in termini di apprendimento
avviene nella prima fase (Colcos et al. 1993; Proctor et al. 1995). Tale
miglioramento può essere il risultato di periodi di allenamento anche
relativamente lunghi (da settimane ad anni) (Gottlieb et al. 1988):
l’addestramento, infatti, introduce cambiamenti plastici nella corteccia motoria
primaria (Karni et al. 1995; 1998) ed attiva specifici circuiti cerebrali. Brevi
periodi di addestramento attivano la corteccia cerebellare, mentre periodi
protratti riducono l’attività cerebellare ed incrementano l’attivazione nei gangli
della base e nei lobi frontali.
Nei pazienti affetti da malattia di Parkinson, le anomalie funzionali e
strutturali dei gangli della base causano difficoltà nell’esecuzione di movimenti
sequenziali (Berardelli et al. 2001). Per studiare l’apprendimento, in questa
categoria di pazienti, sono stati utilizzati svariati compiti motori: tapping delle
dita (Nutt et al. 2000), inseguimento (Frith et al. 1986; Hufschmidt e al. 1995;
Soliveri et al. 1997) o tracciamento di una mira (Agostino et al. 1996; Swinnen
et al. 2000; Laforce et al. 2001), movimenti rapidi verso una mira fissa
(Smiley-Oyen et al. 2002) e compiti bimanuali (Fattapposta et al. 2000; 2002).
84
I risultati hanno mostrato che i pazienti affetti da Parkinson (da lievi a
moderati) mostrano un apprendimento normale (Agostino et al. 1996; Swinnen
et al. 2000; Laforce et al. 2001) o lievemente alterato (Sarazin et al. 2002;
Smiley-Oven et al. 2002). La maggior parte di questi studi hanno concentrato
l’attenzione sull’addestramento a breve termine: la sessione più lunga durava
infatti solo tre giorni.
Lo studio degli effetti di un allenamento prolungato è stato poco
approfondito nei pazienti parkinsoniani e, di conseguenza, non sono ben chiari
gli eventuali benefici che questa categoria di pazienti potrebbe trarne.
L’obiettivo di questo lavoro è di comprendere se, e in qual misura, un
addestramento prolungato possa migliorare la prestazione motoria in pazienti
con malattia di Parkinson di grado da lieve a moderato. Per far questo abbiamo
sottoposto un gruppo di pazienti e un gruppo di soggetti normali ad un
allenamento di due settimane con l’obiettivo di far eseguire loro un movimento
sequenziale nel modo migliore e più veloce possibile. Abbiamo quindi valutato
la prestazione motoria dopo un periodo di allenamento di un giorno, una
settimana, due settimane e abbiamo comparato le variazioni cinematiche
indotte dall’addestramento a breve termine (un giorno) con quelli indotti
dall’addestramento a lungo termine (una settimana, due settimane).
Materiale e metodo
Nove pazienti in terapia (età media ± 1SD 64.4 ± 6.3; 7 uomini e 2 donne) e 7
soggetti di controllo (età media 62.1 ± 6.6; 5 uomini e 2 donne) hanno dato il
loro consenso informato allo studio. Utilizzando la parte motoria della scala
UPDRS abbiamo valutato le condizioni cliniche dei pazienti durante il loro
usuale regime terapeutico (Tabella 1). Nessun paziente mostrava sintomi
depressivi e coloro che li mostravano (punteggio superiore a 10 nel Beck
Depression Inventory) sono stati scartati. Nessun paziente mostrava segni di
demenza (MMSE), fluttuazioni motorie o discinesie. Tutti i partecipanti
ignoravano il compito e lo hanno esercitato solamente durante le sessioni
sperimentali previste.
85
Apparato
Il movimento nello spazio era registrato mediante il sistema ELITE. Tale
sistema comprende due telecamere ad infrarossi (100Hz frequenza di
campionamento) che registrano il movimento di un marker passivo posizionato
sulla falange distale dell’indice destro. Ad esse è connesso un processore che
digitalizza l’immagine e ricostruisce gli assi x, y, e z del movimento del
marker. I parametri cinematici ottenuti vengono quindi mostrati in forma
grafica.
Compito motorio
Abbiamo
studiato
l’apprendimento
di una sequenza motoria di sei
submovimenti eseguiti a guida interna (per decisione del soggetto), e presentati
visivamente su uno schermo posto nello spazio.
Il soggetto sedeva comodamente di fronte a uno schermo; per ogni
sessione la sedia era sistemata in modo che l’indice lo raggiungesse da vicino
senza toccarlo. La posizione rimaneva inalterata durante tutto lo studio. Il
soggetto eseguiva un percorso verticale a zig-zag tracciando la posizione di sei
target (20 mm di lato) che apparivano sullo schermo (Fig. 1 A). Durante il
compito il braccio era tenuto leggermente piegato all’altezza del gomito, il
polso in posizione neutra e le altre dita flesse. I soggetti dovevano muoversi il
più velocemente possibile eseguendo cinque movimenti e fermandosi
all’interno del target il minimo possibile. Abbiamo inoltre studiato la
ritenzione dell’apprendimento, valutando la prestazione motoria a distanza di 1
e 72 ore dalla fine della sessione di allenamento.
Paradigma Sperimentale
Nella figura 1 (pannelli B e C) è rappresentato il paradigma sperimentale. Lo
studio comprendeva un periodo di due settimane di addestramento durante il
quale il soggetto eseguiva 1000 sequenze motorie distribuite in 5 sessioni
giornaliere a settimana (dal lunedì al venerdì). Ogni sessione consisteva di 10
86
blocchi di allenamento (TB in Fig. 1 riquadri B e C) ognuna delle quali era
costituita da 10 sequenze motorie. I soggetti avevano 20 secondi di pausa tra i
movimenti successivi e circa un minuto fra i blocchi di movimento. Era
consentito di fermarsi non appena accusavano stanchezza. Le istruzioni erano
più volte ripetute durante le sedute.
La prestazione motoria di base era valutata il lunedì prima di iniziare
l’allenamento (T0 in Fig. 1 riquadri B e C). Al fine di valutare l’addestramento
a breve termine al primo lunedì sì è paragonata la prestazione motoria a T0 a
quella registrata entro la prima sessione di allenamento (1°, 5° e 10° blocco) e
5 minuti dopo la fine della sessione di allenamento (T1 in Fig. 1 riquadri B e
C). L’effetto dell’addestramento a lungo termine è stato testato paragonando la
prestazione del primo e del secondo venerdì con quella del primo lunedì.
Abbiamo scelto di studiare l’effetto dell’addestramento 5 minuti dopo il
termine dell’allenamento poiché questo periodo minimizzava il ruolo di fattori
aspecifici come il livello di sforzo o di riscaldamento muscolare che possono
esser presenti nel corso dell’allenamento (Platz et al. 1998).
Per studiare la ritenzione a un’ora abbiamo paragonato la prestazione motoria
registrata un’ora dopo il termine della prima sessione allenamento (T2 in Fig. 1
riquadri B e C) con quella registrata a T1. Per studiare gli effetti
dell’addestramento a breve termine sulla ritenzione a un’ora abbiamo
comparato i dati ottenuti il primo lunedì. Per valutare gli effetti
dell’addestramento a lungo termine sulla ritenzione a un’ora abbiamo ripetuto
la stessa analisi usando i dati raccolti il primo e il secondo venerdì.
Per studiare la ritenzione a 72 ore abbiamo confrontato la prestazione motoria
eseguita dopo 72 ore di allenamento (T3 in Fig. 1 riquadri B e C) con quella a
T1.
Dato il disegno sperimentale la ritenzione a 72 ore era valutabile solo dopo una
settimana di addestramento; era quindi ripetuto dopo due settimane.
Analisi delle variabili cinematiche
Dalle misurazioni off-line abbiamo ricavato la posizione ed il profilo di
velocità di ogni movimento. Abbiamo assunto la soglia di inizio del
movimento ad una velocità di 50 mm/s. La durata totale del movimento era
87
data dalla somma di ogni singolo submovimento della sequenza. Sono state
inoltre misurate le pause tra un movimento e l’altro, l’accuratezza spaziale,
ossia se il movimento era stoppato con precisione al centro del target
(movimento accurato) o fuori (movimento inaccurato). Il movimento era
considerato accurato quando il punto in cui il soggetto si fermava era distante
dal centro non più di 10 mm. Abbiamo quindi calcolato un indice di
accuratezza dividendo il numero totale degli errori di accuratezza in un blocco
per il numero dei movimenti misurati in quel blocco. Il range andava da 0 a 5 e
naturalmente un’accuratezza peggiore era indice di una prestazione più
scadente.
Analisi statistica
I dati sono stati espressi come media e deviazione standard e sottoposti ad
analisi della varianza a due vie con il fattore between “gruppo” (normali e
parkinsoniani) e con fattore di ripetizione “addestramento”. Per testare se la
variabilità del movimento cambiava con l’addestramento abbiamo calcolato il
coefficiente di variazione (CV) della durata totale dei movimenti e la durata
complessiva delle pause per ogni soggetto e blocco di movimenti. Il CV non
poteva essere valutato per l’indice di accuratezza poiché tale indice era
calcolato come valore singolo per blocco. Il CV è il rapporto fra la deviazione
standard e la media e tiene conto delle modificazioni della variabilità in
funzione delle modificazioni della media.
Risultati
Prestazione motoria di base
L’ANOVA non ha mostrato nessun effetto principale del fattore gruppo sulla
durata del movimento (F1,14 = 0.4, p = 0.5), sulla durata della pausa (F1,14 =
0.1, p = 0.7), o sull’indice di inaccuratezza (F1,14 = 1.0, p = 0.3).
88
Modificazioni delle variabili cinematiche dopo addestramento a breve
termine
Durante i blocchi test, in entrambi i gruppi, la durata totale di movimento e le
pause erano simili mentre l’indice d’inaccuratezza era maggiore nei pazienti
rispetto ai sani (F1,14 per il fattore gruppo = 5.1; p=0.05; Fig. 2). Non appena
completato l’addestramento del primo giorno (da T0 a T1) in entrambi i gruppi
tutte e tre le variabili mostravano un decremento simile (fattore addestramento,
durata totale del movimento: F4,56 = 7.6, p = 0.0001; durata totale delle pause
F4,56 = 14.7, p = 0.0001; indice di in accuratezza F4,56 =2.6, p = 0.05).
In tutti e due i gruppi il corso temporale del CV per la durata complessiva del
movimento era sovrapponibile a quello per il valore della durata del
movimento stesso (F4,56 fattore addestramento = 4.4; p=0.003).
Nei pazienti il CV diminuiva da 0.085 ± 0.05 al T0 fino 0.070 ± 0.02 a T1 il
primo lunedì.
Nei controlli il CV diminuiva da 0.088 ± 0.04 at T0 to 0.055 ± 0.01 a T1 il
primo lunedì.
Il valore di CV, per la durata complessiva delle pause, rimaneva invariato dopo
l’ addestramento a breve termine in ambo i gruppi. (pazienti 0.46 ± 0.2 al T0,
0.37 ± 0.19 a T1 il primo lunedì; controlli 0.31 ± 0.1 a T0, 0.30 ± 0.13 a T1 il
primo lunedì).
Modificazioni delle variabili cinematiche dopo addestramento prolungato
Durante i blocchi test, in entrambi i gruppi, la durata totale di movimento e le
pause erano simili mentre l’indice d’inaccuratezza era maggiore nei pazienti
rispetto ai sani (F1,14 = 3.9; p = 0.06; Fig. 3).
Dopo le due settimane di addestramento il paragone effettuato tra i dati raccolti
a T1 il primo lunedì e quelli raccolti a T1 il primo e d il secondo venerdì
mostrano che, in ambo i gruppi, la durata totale delle pause e del movimento
diminuiscono (durata totale del movimento: F2,28 = 6.0, p=0.007; durata totale
delle pause: F2,28= 3.5, p = 0.05), mentre l’indice di inaccuratezza resta
invariato. La durata del movimento diminuisce in modo più incisivo nei sani,
89
rispetto ai parkinsoniani (interazione gruppo x addestramento F2,28 = 3.3, p =
0.05).
Le differenze tra i gruppi nella durata del movimento diventano significative
solo dopo un periodo di addestramento di due settimane (al secondo venerdì
p=0.01). Anche la differenza tra i gruppi nella durata delle pause raggiungeva
quasi la significatività (interazione gruppo x addestramento F2,28 = 3.0, p =
0.06).
Effetti dell’addestramento sulla ritenzione ad un’ora
L’ANOVA sui dati a T1 e T2 registrati il primo lunedì ed il primo e il secondo
venerdì mostrano un effetto significativo del fattore addestramento sulla durata
totale del movimento (F2,28=5.3, p=0.01) e sulla durata totale della pausa
(F2,28=3.5, p=0.04) ed un effetto del fattore gruppo sull’indice d’inaccuratezza
che raggiungeva quasi la significatività (F1,14 = 4.3, p = 0.06).
Inoltre l’interazione gruppo-addestramento era quasi significativa per la durata
totale del movimento (F2,28=3.3, p = 0.054) e della pausa (F2,28=2.6, p=
0.09). Questi dati mostrano che i pazienti erano molto meno accurati dei
controlli,
che miglioravano
in misura minore ma che mantenevano
l’apprendimento per un’ora come i normali (Tabella 2).
Effetti dell’addestramento sulla ritenzione a 72 ore
L’ANOVA a T1 e T3 dopo la prima e la seconda settimana ha mostrato un
effetto del fattore addestramento sulla durata del movimento quasi significativo
(F1,12=3.8, p= 0.07), mentre era significativo per le pause (F2,28=8.0,
p=0.01). L’effetto del fattore gruppo non raggiungeva di poco la significatività
sull’indice di inaccuratezza (F1,12=3.2, p=0.09).
Questi dati mostrano che i pazienti erano più inaccurati dei controlli, che
tuttavia miglioravano nella durata totale di movimento e pausa e che
mantenevano l’apprendimento sino a 72 ore in modo normale (Tabella 2).
90
Discussione
I nostri dati hanno dimostrato che l’addestramento migliora la prestazione
motoria dei pazienti affetti da malattia di Parkinson di grado da lieve a
moderato. Dopo essersi allenati per un solo giorno, i pazienti raggiungevano
livelli di prestazione simili ai controlli, ma dopo un allenamento di due
settimane mostravano un beneficio minore rispetto ai sani.
Il fatto che essi diventino più accurati dopo l’addestramento breve per
rimanere poi stabili dopo un addestramento prolungato, suggerisce che il
miglioramento indotto dall’addestramento non dipende dallo speed-accuracy
trade off, cioè l’aumento di velocità a scapito dell’accuratezza (Proctor et al.
1995; Fitts et al. 1954) ma da un vero effetto di apprendimento. In altre parole,
i pazienti avrebbero acquisito una nuova strategia d’esecuzione del compito
che li rende più veloci nell’esecuzione senza essere inaccurati.
Per comprendere i nostri dati, è necessario analizzare alcune
caratteristiche relative alla prestazione motoria per se. Sebbene i pazienti PD
siano tipicamente bradicinetici (Smyley-Oyen et al. 2002; Currà et al. 1997;
Benecke et al. 1987; 1987a; Agostino et al. 1992), sino alla metà del nostro
studio essi mostravano una velocità di movimento analoga a quella dei
controlli.
Questo si spiega innanzitutto perché i nostri pazienti erano sottoposti a
terapia, e il trattamento dopaminergico velocizza l’esecuzione della sequenza
motoria (Benecke et al. 1987).
In secondo luogo, a differenza di studi precedenti in cui i soggetti
dovevano muoversi il più velocemente possibile (Currà et al. 1997; Benecke et
al. 1987; 1987a; Agostino et al. 1992), abbiamo chiesto ai soggetti di muoversi
il più velocemente e accuratamente possibile mirando verso target piccoli.
Questi accorgimenti hanno contenuto il rischio che i pazienti fossero
bradicinetici a T0.
Nonostante
nei
pazienti
bradicinetici
sia
difficile
distinguere
correttamente tra la lentezza del movimento legata alla malattia e il deficit di
apprendimento motorio (come l’annoso problema dell’uovo e la gallina), i
nostri dati suggeriscono che essi velocizzano i movimenti in misura inferiore ai
controlli perché beneficiano meno dell’addestramento prolungato. Non è
91
tuttavia ancora chiaro perché l’addestramento prolungato non favorisca in
modo consistente l’apprendimento. Una prima ipotesi potrebbe essere che,
eseguire movimenti in modo più veloce, avrebbe fatto emergere la bradicinesia
poiché i pazienti non sarebbero stati più in grado di incrementare in modo
congruo la velocità del movimento. Tuttavia questa ipotesi non pare fondata in
quanto 1) sebbene bradicinetici, i nostri pazienti, dopo due settimane di
allenamento, si muovevano comunque più rapidamente rispetto all’inizio 2) il
fatto che i parkinsoniani non abbiano un’incapacità intrinseca di aumentare la
velocità del movimento è anche supportato dal fatto che, quando compiono
movimenti ampi o contro un carico (Berardelli et al. 1986) o guidati da stimoli
esterni (Georgiou et al. 1993), la velocità d’esecuzione aumenta fino a
normalizzarsi.
La fatica e la perdita di motivazione sono fattori che potrebbero influenzare
l’apprendimento motorio (Proctor et al. 1995), e purtroppo sono caratteristiche
tipiche della malattia di Parkinson (in alcuni stadi) e spesso correlate a sintomi
depressivi (Karlsen et al. 1999; Friedman et al. 2001; Lou et al. 2001;
Czernecki et al. 2002). Per evitare che tali fattori influenzassero la prestazione
dei nostri soggetti abbiamo selezionato pazienti non depressi, non dementi e li
abbiamo testati in regime terapeutico dopaminergico (i cui benefici sull’umore
e sul movimento sono ben noti) (Czernecki et al. 2002).
Un altro fattore decisivo nell’apprendimento motorio è il feedback di
informazioni durante e dopo la prestazione motoria: esso è propriocettivo e
visivo (intrinseco), ed estrinseco, ossia relativo alla conoscenza di ciò che si sta
eseguendo durante il movimento. Sebbene l’apprendimento motorio possa aver
luogo in modo implicito (Proctor et al. 1995) esso è favorito dalla conoscenza
dei risultati conseguiti (apprendimento esplicito) ricevuti in forma verbale o
non verbale durante i movimenti successivi. Dal momento che le prove
sperimentali concordano sul fatto che i parkinsoniani fanno particolare
affidamento sulla conoscenza dei risultati per migliorare la loro prestazione
motoria durante l’addestramento (Guadagnoli et al. 2002), le differenze nella
prestazione tra pazienti e controlli potrebbero esser dovute, almeno in parte,
alla mancata conoscenza di risultati durante l’allenamento. Tuttavia, se i nostri
pazienti fossero stati vincolati a queste conoscenze, essi non avrebbero
92
migliorato la loro prestazione come i soggetti normali dopo il primo giorno e la
prima settimana di addestramento.
L’apprendimento motorio consente il passaggio da strategie controllate
a strategie automatiche al fine di eseguire azioni con un carico attentivo sempre
minore (Soliveri et al. 1992). Marsden e Obeso (1994) hanno proposto un
modello secondo cui i gangli della base – ed in particolare i circuiti motori –
giocano un ruolo fondamentale nell’esecuzione delle sequenze motorie. Uno
studio effettuato con la tomografia ad emissione di positroni durante una
prestazione motoria che ha raggiunto un livello asintotico (dopo cinque giorni
di addestramento) (Penhune and Doyon 2002) ha mostrato l’attivazione di
gangli della base e della corteccia frontale. Dal primo al quinto giorno di
addestramento
l’attivazione
cerebellare
precoce
diminuiva
e
veniva
gradualmente sostituita dall’attivazione dei gangli della base. Riteniamo
pertanto che sia la disfunzione dei gangli della base a non consentire ai nostri
pazienti di beneficiare dell’allenamento a lungo termine.
Accanto al miglioramento nella prestazione e alla ritenzione della
sequenza nel tempo, un comportamento motorio appreso diviene sempre meno
variabile man mano che l’addestramento prosegue (Corcos et al. 1993). In
questo lavoro, sia nei sani sia nei pazienti, la durata totale delle pause e del
movimento si accorciava con l’addestramento, ma la variabilità diminuiva solo
per la durata del movimento. Dopo addestramento a breve termine la durata
totale delle pause era inaspettatamente – ma non significativamente – più breve
nei pazienti rispetto ai controlli. Ciò potrebbe essere in rapporto col fatto che i
normali tendono a focalizzarsi più sull’accuratezza, inizialmente, e poi sulla
velocità, spiegando così il significativo miglioramento nella durata totale dopo
l’addestramento prolungata. D’altra parte i nostri dati mostrano che
l’addestramento migliora più la capacità di muovere il braccio verso un target
che l’abilità di passare da un movimento all’altro. La dissociazione tra il corso
temporale delle modificazioni della variabilità per il tempo di movimento e di
pausa è un’ulteriore prova del fatto che queste variabili cinematiche siano
sottese da diversi processi cerebrali (Benecke et al. 1986).
L’analisi dei dati ha mostrato un effetto principale del fattore gruppo
sull’indice di inaccuratezza. Ciò sta ad indicare che i pazienti erano di poco più
93
inaccurati dei controlli e, cosa più importante, che l’addestramento non è
importante nel determinare questo dato. La lieve differenza tra i gruppi
nell’inaccuratezza del movimento è coerente con l’osservazione che i pazienti
parkinsoniani sono meno precisi quando mirano verso target piccoli (Sanes et
al. 1985).
Un altro dato distintivo di questo lavoro è che i pazienti ritenevano
normalmente benefici indotti dall’allenamento. La ritenzione infatti riflette il
mantenimento del miglioramento cinematico dopo il termine dell’allenamento.
Studi precedenti hanno
mostrato
che
i soggetti normali ritengono
l’apprendimento di un compito sequenziale da 4 settimane (Penhune et al.
2002) sino a 12 e 16 mesi (Karni et al. 1998; Hikosaka et al. 2002). Nei nostri
esperimenti – a differenza degli studi precedenti – abbiamo ritestato i soggetti a
brevi intervalli: 1 e 72 ore dopo la fine del allenamento. Le caratteristiche del
movimento potrebbero essere codificate in una rappresentazione motoria
immagazzinata nel network neurale delle aree motorie corticali (area motoria,
premotoria e corteccia parietale) (Penhune et al. 2002). Pazienti parkinsoniani
sottoposti a fMRI durante il movimento mostrano un’iperattività di queste aree:
questi circuiti sarebbero attivati in modo abnorme, forse per compensare
l’ipofunzionalità dei gangli della base (e dunque la bradicinesia) (Sabatini et al.
2000).
Per concludere è possibile affermare che, sottoporre ad un pazienti con
malattia di Parkinson di grado intermedio ed in regime terapeutico usuale a
periodi prolungati di addestramento motorio non fornisce loro benefici
significativi sulla bradicinesia. Costoro si avvantaggiano in modo normale di
un addestramento breve raggiungendo un livello asintotico di prestazione dopo
la prima settimana di allenamento. Al contrario, i sani continuano a migliorare
anche dopo due settimane. Il compito motorio da noi considerato non è
assimilabile ai compiti usati in riabilitazione (come il camminare o il girarsi).
Ad ogni modo, alla luce dei dati ottenuti, il nostro studio aiuta a progettare
nuove strategie di riabilitazione per tamponare la bradicinesia (Swinnen et al.
2002; Platz et al. 1998): la durata dell’allenamento potrebbe essere ottimizzata
insegnando più compiti per periodi più brevi invece di pochi compiti per
periodi più lunghi. Tale strategia potrebbe incoraggiare l’attivazione di
94
meccanismi attenzionali efficaci rilevanti nella riabilitazione del paziente
parkinsoniano (Iansek et al. 1999).
95
Num.
Sesso Età Anni
Paziente
di UPDRS-
malattia
III
Terapia
1
M
63
8
17
Levodopa-carbidopa-pergolide
2
M
60
6
8
Levodopa-carbidopabromocriptine-selegiline
3
F
66
2
11
Levodopa-benserazide-pergolide
4
M
58
12
16
Pramipexole-pergolide-levodopacarbidopa
5
M
55
6
20
Levodopa-benserazide-ropinirolecabergoline
6
M
71
12
14
Levodopa-carbidopa-pramipexolebiperiden
7
M
65
6
20
Levodopa-carbidopa-ropinirole
cabergoline-biperiden
8
M
67
8
14
Levodopa-carbidopa-methillevodopa-entacapone-cabergolinepramipexole
9
F
75
8
18
Levodopa-benserazide- ropinirole
Tabella 1. Caratteristiche cliniche dei pazienti affetti da Malattia di Parkinson.
Variabili
DTM
DTP
I-Index
Gruppi
T2
T3
1° Lun
1° Ven
2° Ven
2° Lun
3° Lun
N
2709.7±351.4
2622.3±382.4
2310.4±358.3
2590.2±241.5
2384.0±246.6
P
2747.1±750.5
2699.0±634.9
2703.6±639.2
2719.9±725.5
2497.1±394.3
N
786.6±638.1
605.6±374.1
464.6±371.0
689.2±515.1
532.5±365.9
P
398.1±176.7
495.6±385.4
394.7±276.2
499.1±256.8
408.4±344.2
N
1.4±0.6
1.0±0.4
1.1±0.6
1.3±0.6
1.2±0.5
P
2.4±0.8
1.8±1.0
1.1±0.6
1.3±0.6
1.2±0.5
Tabella 2. Apprendimento dopo una e 72 ore dalla fine della addestramento
96
Fig. 1 Disegno sperimentale. A: I sei target così come erano mostrati sullo schermo. B:
Disegno generale dello studio. C: Procedura sperimentale lungo le due settimane. T0 è la
performance di base. TB indica i 10 blocchi training. T1 indica il blocco d’apprendimento
effettuato 5 minuti dopo l’allenamento. T2 e T3 indicano i blocchi di ritenzione (1 e 72 ore
dopo l’allenamento). Le frecce su B indicano che i movimenti per quei blocchi di allenamento
venivano registrati per testare la pratica a breve termine solo il primo giorno.
97
Fig. 2 Decorso temporale delle variabili cinematiche dopo la pratica a breve termine. T0, B1,
B5 e B10 rappresentano i blocchi di allenamento, T1 il blocco d’apprendimento registrato 5
minuti dopo l’allenamento.
98
Fig. 3 Decorso temporale delle variabili cinematiche dopo la pratica prolungata : T1 1°
Lun è il blocco di apprendimento registrato dopo 5 minuti di allentamento il primo lunedì;
T1 1° Ven e T1 2° Ven sono i blocchi di di apprendimento registrati dopo 5 minuti di
allenamento il primo e il secondo venerdì.
99
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