Italiano e dialetto nella lingua
degli immigrati
Lezione del 27 novembre 2014
Finora si è parlato dell’uso del dialetto da parte
degli italiani
Ma come si pongono di fronte ai dialetti gli stranieri
che arrivano nel nostro Paese?
Ovviamente non esiste una risposta valida per tutti gli
immigrati e per tutti i contesti. E si tratta di un
argomento ancora poco studiato.
Nel corso dell’Anno Accademico 2013-2014 un gruppo
di vostri colleghi ha condotto – a Reggio Calabria –
una serie di inchieste sociolinguistiche sul parlato di
immigrati di varia provenienza, e in alcuni casi è
emersa la presenza della componente dialettale.
Prima di esporre i risultati di queste inchieste
dobbiamo fare un passo indietro e introdurre il
tema dell’apprendimento di una L2
[Il punto di partenza del nostro discorso è il paragrafo 4
del capitolo 4 del libro di sociolinguistica].
Va fatta, innanzitutto, una differenza tra
- L1 (lingua materna)
- L2 (lingua seconda)
- LS (lingua straniera).
La L1 è quella che si apprende da bambini (o, per usare
la terminologia della sociolinguistica, è quella che si
apprende nella “socializzazione primaria”). A questa
prima lingua, nel corso della vita, se ne possono
aggiungere altre, che vanno ad arricchire il nostro
repertorio linguistico.
Che differenza c’è tra L2 e LS?
La L2 è una lingua diversa da quella materna che si
apprende mediante l’immersione in un contesto nel
quale tutti parlano quella lingua (l’immigrato,
arrivando in Italia, si “immerge” in un contesto in
cui tutti parlano l’italiano, diverso dalla sua lingua
materna). È dunque una lingua che si apprende
secondo modalità prevalentemente spontanee.
La LS viene invece appresa mediante un
insegnamento di tipo scolastico, dunque tramite un
processo non spontaneo ma guidato (come nel caso
delle lingue che tutti noi abbiamo studiato come
materie scolastiche).
Il fatto che la L2 sia appresa “in situazione”, al di
fuori di un percorso di tipo scolastico, porta a
questa conseguenza:
Non viene appresa la grammatica, ma si tende a
imparare quei pochi elementi che servono a farsi
capire, a comunicare concretamente.
I meccanismi dell’apprendimento di una L2 sono
dunque di tipo pragmatico, cioè legati al modo in cui
avviene concretamente la comunicazione. Per esempio:
se un immigrato sente un italiano rivolgersi a lui
dicendo “mangi”, del verbo mangiare apprenderà per
prima la forma “mangi”, e inizialmente la userà anche
nei casi in cui dovrebbe usare “mangio”, “mangiano”,
ecc.
Nell’apprendimento di una LS, invece,
Tra le prime cose si impara a coniugare i verbi secondo la
prima, seconda, terza persona ecc.
Chi apprende l’italiano come L2, per quanto riguarda il
sistema verbale apprende per prime la seconda e la
terza persona (mangi, mangia), anche se
tradizionalmente nelle parodie degli stranieri che
parlano italiano viene usato l’infinito presente (io
mangiare). In realtà le forme basiche del verbo, per
l’apprendente dell’italiano come L2, sono la seconda e
la terza persona del presente indicativo, ancor più
dell’infinito. Questo avviene perché, come si diceva,
all’immigrato capita frequentemente di sentir
pronunciare la seconda e la terza persona nei discorsi
reali.
In parlanti cinesi, nella fase basica
dell’apprendimento, si è notato che
• viene usato l’infinito per riferirsi a un’azione
abituale, che si ripete più volte (andare giovedì =
‘vado tutti i giovedì’)
• invece si usa il presente indicativo per riferirsi a
un’azione puntuale (va giovedì, cioè ‘vado questo
giovedì’)
Si è notato che questi meccanismi sono gli stessi
indipendentemente dalla lingua di partenza
dell’apprendente
Le modalità di apprendimento dell’italiano come L2
accomunano apprendenti che hanno come L1
lingue diversissime tra loro (cinese, araba, slava
ecc.).
Mentre prima negli studi sull’apprendimento della
L2 veniva data molta importanza all’influenza della
lingua di partenza (cioè, in termini tecnici,
all’“interferenza” della L1), ora si tende a pensare
che i meccanismi di apprendimento siano
sostanzialmente gli stessi indipendentemente dalla
L1 degli apprendenti.
In altre parole, un ispanofono e un arabofono
seguono le stesse tappe nell’apprendimento
dell’italiano come L2
Andiamo ora a vedere meglio quali sono queste
tappe. Per quanto riguarda il sistema verbale
abbiamo già visto che le prime forme che si
apprendono sono la seconda e la terza persona
dell’indicativo presente, e l’infinito.
Per esprimere il passato e il futuro, inizialmente, viene
accostato all’indicativo presente un elemento
lessicale (ieri, domani). Ieri mangia = ‘ho mangiato’;
domani mangia = ‘mangerò’.
La fase immediatamente successiva è quella di
sviluppare una forma di passato col participio:
Mangiato (senza l’ausiliare ho).
Ecco un esempio tratto da un conversazione che ha
per protagonista un parlante cinese:
“lavato pentola, guarda come specchio”.
Naturalmente il participio non viene accordato al
nome.
In uno stadio successivo si sviluppano
• L’imperfetto (mangiavo)
• L’ausiliare (ho mangiato)
A volte ci si ferma qui. I modi e i tempi più complessi si
sviluppano solo se si riesce a raggiungere una
competenza della L2 vicina a quella del parlante nativo.
Non sempre, infatti, l’“INTERLINGUA” di un
apprendente (cioè la lingua di transizione tra la sua
lingua di partenza – quella materna – e la lingua
d’arrivo – la L2) continua a progredire; a volte si ferma
al livello più rudimentale. Nel momento in cui smette di
progredire, si parla di fossilizzazione e di interlingua
fossilizzata.
Così come per l’apprendimento delle forme
verbali, anche per quello dei nomi ci sono tappe
tendenzialmente fisse.
Nelle prime fasi dell’apprendimento la semantica
prevale sulla morfologia: le categorie morfologiche
(nome, aggettivo , verbo ecc.) risultano confuse tra
di loro:
“fa due lavorare” (anziché fa due lavori). Qui si nota,
una confusione tra nome e verbo.
Va considerato che in italiano il nome è molto
complesso, in quanto esistono sia il genere sia il
numero.
A differenza di quanto accade in altre
lingue:
• l’inglese, per esempio, marca morfologicamente solo il
numero. Il genere esiste ma non viene segnalato con
indicatori morfologici (insomma non ci sono, come in
italiano, apposite desinenze per il femminile rispetto al
maschile).
• Il cinese non marca né il genere né il numero: è, infatti,
una lingua “isolante”. Ogni elemento grammaticale è
sempre uguale a sé stesso. Il bambino madrelingua
cinese avverte nella parola italiana cambiamenti
mostruosi per lui: per questo, nell’apprendimento
dell’italiano, ha normalmente un periodo di silenzio
lunghissimo.
Comunque, riguardo al problema di accordare i
nomi secondo genere e numero,
• Anche in questo caso la sequenza delle fasi
d’apprendimento è la stessa indipendentemente
dalla L1 dell’apprendente: si apprende prima il
numero, e poi il genere. Inoltre si impara prima a
usare la -i del plurale maschile che la -e del plurale
femminile.
• Bisogna inoltre imparare ad accordare un nome con
articoli, aggettivi e participi. In questo caso si
apprende prima l’accordo dell’articolo, poi quello
dell’aggettivo e infine quello del participio.
Vediamo qualche esempio
Dicevamo che le prime categorie che si imparano ad
accordare sono il nome e l’articolo:
una casa. Dunque c’è una prima fase in cui
l’apprendente dirà una casa bello, in quanto è in
grado di accordare il nome con l’articolo ma non
con l’aggettivo.
In una seconda fase dirà frasi come una bella mela
maturo, in quanto sarà in grado di accordare nome,
articolo e aggettivo ma non il participio. Solo in una
fase successiva accorderà anche il participio.
Un accordo che crea particolari difficoltà è quello
dei nomi che al singolare escono in -e (tigre)
Mentre, infatti, quasi tutti nomi in -o sono maschili e
quasi tutti i nomi in -a sono femminili, quelli in e
possono essere sia maschili, sia femminili:
il cane, la trave, l’acme (femminile) ecc.
Dopo aver visto, per sommi capi, come avviene
l’apprendimento dell’italiano come L2
• viene da chiedersi in quale misura, nelle aree
geografiche in cui il dialetto è vitale, la L2 appresa dagli
immigrati possa essere rappresentata dal dialetto.
Ciò è stato evidenziato, per esempio, nel caso della
comunità tunisina di Mazara del Vallo, in Sicilia [vedi il
libro di sociolinguistica, pp. 97-98]. Trattandosi di un
centro abitato in cui il dialetto siciliano è molto usato
(perfino nelle situazioni formali), per gli immigrati la L2
è rappresentata da “un codice misto siciliano / italiano”.
Dalle nostre inchieste è emerso che anche a
Reggio Calabria nella L2 degli immigrati ci sono
fenomeni di mescolanza tra italiano e dialetto
Possiamo citare il caso di una parlante che non si
limita a inserire dialettismi o regionalismi nel
proprio parlato (cosa che accade spesso nelle
registrazioni), ma attua un vero e proprio code
mixing tra italiano e dialetto. Sappiamo che l’uso
del code mixing presuppone una buona conoscenza
sia dell’italiano sia del dialetto. La presenza del code
switching e del code mixing nel parlato degli
immigrati è un fenomeno particolarmente
interessante.
È, infatti, un altro volto dell’uso del dialetto oggi
in Italia
L’italiano mescolato al dialetto (e a elementi delle
lingue straniere) che abbiamo trovato nelle
inchieste sul parlato degli immigrati a Reggio
Calabria rappresenta un esempio di quelle nuove
varietà linguistiche, legate all’àmbito delle comunità
immigrate, che stanno emergendo nel panorama
sociolinguistico dell’Italia di oggi.