Ospedali sotto pressione: mancano posti letto, pronto soccorso

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Ospedali sotto pressione: mancano posti letto, pronto soccorso sovraffollati. E i pazienti
restano parcheggiati in barella, come è successo per tre notti a un uomo di 89 anni, al
Policlinico Umberto I. A peggiorare la situazione l’ondata del caldo, che su Roma vede
28mila persone a rischio. E su un altro fronte, le liste di attesa, la situazione peggiora,
secondo quanto emerge da una indagine di Tribunale del malato: in alcuni casi le attese
sono raddoppiate rispetto a settembre. E intanto il Comune prevede una vaccinazione per
il dipendenti contro la nuova influenza.
di MAURO EVANGELISTI
Ieri mattina alla centrale operativa del 118 sono arrivati, uno dopo l’altro, quattro fax: mittenti il
Policlinico Casilino, il Policlinico Tor Vergata, il San Giovanni, il Vannini. Dicevano: siamo in
sofferenza, abbiamo i pronto soccorso pieni di pazienti, inviate le vostre ambulanze in altre
strutture. Il giorno prima era andata peggio, anche il Policlinico Umberto I aveva fatto sapere di
essere in difficoltà. I pronto soccorso ad un passo del tilt sono il segnale di altro: ci sono molti
pazienti nelle barelle, anche per alcuni giorni; non ci sono posti letto disponibili, tanto che la
Regione ha dovuto correre a fare una convenzione con il Policlinico Militare Celio (15 letti, una
goccia nell’Oceano). Gli ospedali romani sono a rischio collasso, con un’aggravante: l’ondata di
caldo di questi giorni rischia di peggiorare la situazione. Ieri hanno fatto sapere dalla Regione: «Per
la campagna 2009 il Dipartimento epidemiologico della Asl Roma E ha identificato ad elevato
rischio per gli effetti delle alte temperature 28.848 persone a Roma». Aggiunge Giuseppe
Scaramuzza, di Cittadinanzattiva-Tribunale del Malato: «C’è un’altra emergenza, quella del
Servizio di psichiatria. Un paziente ha dovuto attendere anche 48 ore in pronto soccorso per essere
ricoverato. Le gravi inadempienze della Regione nel provvedere al mantenimento degli organici nei
servizi psichiatrici, ospedalieri e territoriali, necessari a garantire i livelli essenziali di assistenza,
generano rischi e sofferenze per la popolazione. E per la prima volta in tanti anni non riusciamo più
a dialogare con l’assessore regionale alla Sanità: Esterino Montino non ci ascolta».
La coperta corta, sempre più corta a causa dei tagli richiesti dal piano di rientro, ha messo alle corde
la sanità laziale. La settimana scorsa un uomo morì su una barella del San Giovanni, dove era stato
parcheggiato insieme ad altri venti pazienti per mancanza di posti. La situazione ora in
quell’ospedale è migliorata, ma ce ne sono altri in difficoltà, come il Policlinico Umberto I. Eppure,
a marzo, quando l’emergenza barelle esplose, il presidente della Regione, Piero Marrazzo,
s’impegnò in prima persona. Cosa sta succedendo? Fra le cause del nuovo collasso, la riduzione dei
posti letto a causa delle ferie estive (eppure la Regione aveva invitato la Asl a non ridurli per quello
che riguarda le aree mediche, con una circolare del 25 giugno). Ma c’è anche altro. Massimo
Magnanti, segretario del Sindacato professionisti emergenza sanitaria: «La situazione è pesante, in
alcuni casi drammatica. Questa è la prima estate senza l’ospedale San Giacomo. E ci sono i lavori in
corso al pronto soccorso dell’ospedale Pertini, i pazienti sono ridistribuiti fra altre strutture come
Umberto I, Casilino, Tor Vergata. Che si trovano in grande sofferenza. E c’è, più in generale,
l’effetto dei tagli dei posti letto resi necessari dal pianto di rientro. Alcuni dati: dai 4 posti per mille
abitanti del 2008, si è passati ai 3,5 posti letto per mille abitanti nel 2009. I calcoli poi vengono fatti
su una base teorica di 5.300.000 abitanti del Lazio, ma questa cifra è stata ritoccata, sono almeno
5.600.000. Per cui oggi potremmo ipotizzare che siamo già scesi a quota 3,3 posti letto per mille
abitanti. Obiettivo che doveva essere raggiunto per il 2011». Ultimo nodo: i posti letto presenti sulla
carta negli ospedali romani a volte non esistono nella realtà, la Regione sta svolgendo delle
verifiche in tutte le strutture. Intanto, però, ci sono malati di ottantanove anni, come raccontiamo nel
pezzo sotto, parcheggiati per tre notti su una barella. Si difende Esterino Montino, vicepresidente
della Regione: «Stiamo pagando l’effetto del grande caldo. A questo si aggiunge l’intervento che
stiamo facendo sul Pertini, non poteva essere rinviato altrimenti la situazione sarebbe peggiorata il
prossimo inverno. In inverno la domanda è molto più alta. Abbiamo affrontato il problema, con
alcune misure organizzative come il reperimento di posti letto di lunga degenza o di medicina,
compresi quelli del Celio».
di MAURO EVANGELISTI
Le liste di attesa si allungano, in alcuni casi raddoppiano. Chi sperava in un miglioramento,
in un progressivo recupero, resta deluso. La ricerca è stata realizzata dal Tribunale per i
diritti del Malato-Cittadinanzattiva e verifica i tempi minimi e massimi di attesa, in ogni Asl,
per una serie di esami diagnostici o visite specialistiche. Con un’avvertenza: i volontari del
Tribunale del malato hanno utilizzato come punto di riferimento le risposte ricevute al
Recup, la centrale di prenotazione unica telefonica, un servizio sulla carta all’avanguardia,
ma con una falla: alcune strutture, come Fatebenefratelli e Gemelli, non sono comprese
nel Recup; altre, come il Policlinico Umberto I, secondo forniscono una disponibilità ridotta
dei posti. In sintesi: il Recup, che sulla carta dovrebbe dire al cittadino dove può andare a
fare un esame nel minor tempo possibile, non ha il quadro completo della situazione. E
infatti replica Esterino Montino, vicepresidente della Regione con delega alla sanità:
«Questa indagine è parziale, dal Recup passano appena il 25 per cento delle prenotazioni.
Non è un quadro esaustivo». Ma allora a cosa serve il Recup se ha un ruolo così
marginale? Montino: «Noi vogliamo implementarlo, mettere dentro il sistema non solo tutte
le strutture pubbliche, ma anche quelle accreditate». Ma a tutt’oggi, un cittadino che vuole
chiamare un numero unico per avere una risposta, non ha che una alternativa, il Recup.
Attacca Giuseppe Scaramuzza (Cittadinanzattiva-Tribunale per i diritti del malato): «La
farraginosità del Recup è grave, lo stiamo denunciando da tempo. Così come è grave
l’allungamento delle attese. Segnalazioni su questo problema sono fra le più frequenti ai
nostri centralini. Ricordiamoci che per le visite specialistiche, secondo la normativa,
l’attesa non dovrebbe mai superare i 30 giorni, per gli esami diagnostici i 60: bene, basta
guardare la tabella che abbiamo realizzato per verificare come questi limiti non siano quasi
mai rispettati».
Nel dettaglio, partendo da un caso importante: la visita cardiologica. Bene, a giugno,
all’Asl Roma H si va da un’attesa minima di 45 giorni ad una massima addirittura di 143
giorni. Un peggioramento rispetto a settembre 2008, quando la forbice era compresa fra
30 e 55. Anche nelle altre Asl, quasi tutti i dati peggiorano. Altri due esempi. Asl Roma D:
a settembre l’attesa era compresa da un minimo di 20 giorni a un massimo di 44, a giugno
la forbice è fra i 50 e i 105 giorni. All’Asl Roma C si passa da 19-24, a 40-75. Risonanza
magnetica della colonna: alla Roma B l’attesa, secondo le verifiche di Cittadinanzattiva, è
minimo di otto mesi: da 249 a 270 giorni (in autunno era compresa fra 99 e 129 giorni).
Alla Roma D si va dai 135 ai 154 giorni (a settembre la forbice era fra 100 e 114). Altri
esempi. L’ecografia all’addome completo: se chiami il Recup, se vuoi aspettare meno di
un mese devi andare a Rieti (dove l’attesa è compresa fra i 26 e i 65 giorni). A Roma
anche l’attesa minima è comunque sopra i 70 giorni (in autunno il minimo era di 50). Alla
Roma G l’attesa può arrivare a 260 giorni (il valore massimo in autunno era meno della
metà, 124), mentre in tutte le altre Asl romane l’attesa minima si aggira attorno ai tre mesi,
la massima va dai cinque ai sette mesi. Un’eternità. Discorso analogo per l’ecografia
all'addome inferiore: attesa massima compresa fra i cinque e gli otto mesi (il record
negativo è della Roma G, in autunno i valori oscillavano fra i 70 e i 142 giorni di attesa, a
giugno si è passati a 82-252). Va meglio per l’ecocolordoppler - vasi sovraortici, dove
all’AslRoma A c’è stato un dato positivo.
di GIOVANNI MANFRONI
Gli occhi azzurri di Amedeo sono persi nel vuoto. Per tre giorni ha vissuto su una barella del pronto
soccorso del Policlinico Umberto I “parcheggiato” in una stanza con altri due anziani nelle stesse
condizioni. Lui ha 89 anni e questa volta un blocco renale potrebbe risultargli fatale. «Ha rischiato
di morire solo, buttato su una barella senza nessuno che gli stringeva la mano o gli faceva una
carezza», dice con gli occhi lucidi la figlia Gianna, la più grande di tre fratelli che da sabato hanno
cominciato questo calvario. «Ieri notte finalmente gli hanno dato un letto – attacca l’altra sorella
Patrizia – dopo che abbiamo passato le giornate su un muretto senza riuscire a vederlo. Gli sono
venute le piaghe da decubito perché le infermiere mentre era in barella non l’hanno mai spostato per
paura di farlo cadere».
Il pronto soccorso è al collasso. Lunedì 62 persone affollavano l’area medica con medici e
infermieri costretti a lottare con i parenti inferociti nella sala d’attesa. Dentro, l’inferno. Oltre 30
pazienti sistemati in un unico stanzone con barelle ovunque e difficoltà di movimento per gli stessi
medici. Gente che si lamentava, dottori che urlavano ad infermieri che entravano nelle stanze
accompagnando i parenti mentre c’era una visita in corso. Immediatamente rimandati fuori dopo per
aver visto per qualche attimo il proprio caro immobile su una barella. Amedeo stava così. E’
rimasto per giorni attaccato a un macchinario che gli controllava il battito cardiaco, «i pochi minuti
che sono riuscito ad entrare è arrivato oltre 200 per la felicità di stringermi la mano», ricorda
commosso l’altro figlio Roberto. In tre giorni, prima che gli dessero un letto in reparto, sono riusciti
ad incontrarlo appena tre volte e per pochissimi minuti. Magari sfuggendo ai controlli. Gianna,
Patrizia e Roberto non chiedevano la luna: «Volevamo vedere nostro padre in un letto dignitoso.
Stare accanto a lui, parlargli, abbracciarlo. Per giorni non ce l’hanno concesso».
«E’ una situazione folle che rischia di esplodere in ogni momento», conferma Giuliano Bertazzoni,
Responsabile di Medicina d’Urgenza e Coordinatore dell’Area Medica Dea del Policlinico Umberto
I, per descrivere lo stato in cui versa il pronto soccorso dell’ospedale romano. Non usa giri di
parole: «In questo momento il pronto soccorso è come se fosse un collo di bottiglia. La gente entra
e non esce più». Storie come quella di Amedeo sono all’ordine del giorno: «Quando hai 62 persone
al pronto soccorso medico, più altre 14 al chirurgico può succedere di tutto – prosegue – ormai
viviamo alla giornata con la preoccupazione che la situazione possa sfuggirci di mano. I medici e
gli infermieri lavorano sotto pressione e sotto stress perché i familiari li assalgono e i pazienti
giustamente si lamentano ma la colpa non è la loro. Non sono messi in condizione di lavorare. Nel
periodo estivo gli ospedali tendono a ridurre i posti letto tra la fine di giugno e i primi di settembre
perché il personale va in ferie. Andrebbe ridotto questo periodo dato che gli accessi al pronto
soccorso diminuiscono solo nella parte centrale di agosto. Servirebbero più medici visto che molti
sono stati trasferiti. Il mio è un lavoro bellissimo – dice – il pronto soccorso ti permette di salvare
vite umane ma quando ti ritrovi a combattere con questi problemi diventa davvero tutto troppo
difficile».
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