Collana ideata e coordinata da Renzo Angelini Ideata e coordinata da Renzo Angelini il carciofo e il cardo il carciofo e il cardo botanica storia e arte alimentazione paesaggio coltivazione ricerca utilizzazione mondo e mercato Script € 56,00 000_Cover.indd 1 16-12-2009 11:58:49 Collana ideata e coordinata da Renzo Angelini il carciofo e il cardo botanica storia e arte alimentazione paesaggio coltivazione ricerca utilizzazione mondo e mercato 00_Carciofo_Prelimin.indd 1 14-12-2009 12:20:45 COORDINAMENTO GENERALE Renzo Angelini COORDINAMENTO SCIENTIFICO Nicola Calabrese COORDINAMENTO REDAZIONALE Ivan Ponti © Copyright 2009 Bayer CropScience S.r.l. - Milano Script è un marchio editoriale di ART S.p.A. - Bologna L’Editore è a disposizione degli aventi diritto con i quali non gli è stato possibile comunicare, nonché per eventuali involontarie omissioni o inesattezze nella citazione delle fonti dei brani e delle illustrazioni riprodotti nel seguente volume. Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di questa pubblicazione può essere riprodotta, memorizzata o trasmessa in nessun modo o forma, sia essa elettronica, elettrostatica, fotocopie, ciclostile ecc., senza il permesso scritto di Bayer CropScience S.r.l. REDAZIONE Elisa Marmiroli PROGETTO GRAFICO E COPERTINA Studio Martinetti - Milano REALIZZAZIONE EDITORIALE ART Servizi Editoriali S.p.A. Bologna www.art.bo.it Sito Internet: www.colturaecultura.it Finito di stampare in Italia nel mese di Dicembre 2009 da Petruzzi - Città di Castello (PG) 00_Carciofo_Prelimin.indd 2 14-12-2009 12:20:46 s o m m a r i o autori prefazione presentazione ringraziamenti botanica origine ed evoluzione morfologia e fisiologia coltivazione del cardo storia e arte letteratura, pittura, cultura alimentazione 2 12 18 31 32 45 aspetti nutrizionali fitoterapia e medicina composti bioattivi tradizione alimentare carciofo in cucina 46 50 60 70 74 ricette 84 paesaggio 93 carciofo in Puglia carciofo in Sicilia carciofo in Sardegna carciofo in Campania 94 110 124 136 carciofo nel Lazio 144 coltivazione ibridi commerciali impianto concimazione irrigazione e salinità parassiti animali 00_Carciofo_Prelimin.indd 3 V VII IX XI 1 159 160 168 172 190 200 roditori malattie virosi flora spontanea 214 218 232 246 gestione delle malerbe 266 ricerca 285 miglioramento genetico nuove selezioni in Toscana biotecnologie propagazione e innovazione spinoso sardo tecnica vivaistica 286 298 304 314 324 332 risanamento da virus 342 utilizzazione trasformazione industriale mondo e mercato 347 348 357 carciofo nel mondo carciofo in Spagna carciofo in Francia carciofo in Tunisia carciofo in Egitto carciofo in Marocco carciofo in Turchia carciofo negli Stati Uniti carciofo in Argentina carciofo in Perú carciofo in Cile 358 370 378 386 392 396 400 406 412 420 426 aspetti commerciali 432 per saperne di più 441 14-12-2009 12:20:46 a u t o r i Giorgio Áncora Vito Cantore Ismail Ghezal ENEA CR Casaccia Dipartimento Biotecnologie, Agroindustria e Protezione della Salute, Roma CNR - Istituto di Scienze delle Produzioni Alimentari Bari GIL - Groupement Interprofessionnel des Légumes, Tunisi (Tunisia) Andres Casas Diaz Alberto Graifenberg Sergio Argento Universidad Nacional Agraria La Molina, Lima (Perú) Dipartimento di Biologia delle Piante Agrarie Università degli Studi di Pisa Matteo Cirulli Costanza Jana Ayala Dipartimento di Biologia e Patologia vegetale Università degli Studi di Bari INIA - Instituto Nacionales de Investigaciones Agropecuarias, Intihuasi (Cile) Giancarlo Colelli Chrystelle Jouy PRIME - Dipartimento di Scienza delle Produzioni e dell’Innovazione nei Sistemi Agro-alimentari Mediterranei Università degli Studi di Foggia GEVES - Groupe d’Etude et de contrôle des Variétés et des Semences, Cavaillon (Francia) DOFATA - Dipartimento di OrtoFloroArboricoltura e Tecnologie Agroalimentari Università degli Studi di Catania Marina Barba CRA - Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura - Centro di Ricerca per la Patologia Vegetale, Roma Mohammad Abdul Bari Artichoke Research Association, Salinas (California) Cristophe Bazinet Paola Crinò BBV - Bretagne Biotechnologie Végétale, Saint Pol de Léon (Francia) ENEA CR Casaccia Dipartimento Biotecnologie, Agroindustria e Protezione della Salute, Roma Vito Vincenzo Bianco Enrico de Lillo Dipartimento di Scienze delle Produzioni Vegetali Università degli Studi di Bari Dipartimento di Biologia e Chimica Agro-forestale e Ambientale Università degli Studi di Bari Francesca Boari CNR - Istituto di Scienze delle Produzioni Alimentari Bari Gianfranco Bolognesi Texas AgriLife Research, Texas A&M System (Texas) CAAB scpa - Centro Agroalimentare di Bologna Carlo Cannella Dipartimento di Fisiopatologia Medica Sezione di Scienza dell’Alimentazione Università “Sapienza” di Roma 00_Carciofo_Prelimin.indd 5 Luigi Ledda Daniel Leskovar CNR - Istituto di Scienze delle Produzioni Alimentari Bari CNR - Istituto di Scienze delle Produzioni Alimentari Bari ITGA, Instituto Técnico y de Gestión Agrícola, Pamplona (Spagna) Dipartimento di Protezione delle Piante Università degli Studi di Sassari Duccio Caccioni Nicola Calabrese Inmaculada Lahoz Gavino Delrio Donato Di Venere Agris Sardegna - Agenzia Regionale per la Ricerca in Agricoltura - Dipartimento per la Ricerca nelle Produzioni Vegetali, Cagliari DOFATA - Dipartimento di OrtoFloroArboricoltura e Tecnologie Agroalimentari Università degli Studi di Catania Dipartimento di Scienze Agronomiche e Genetica Vegetale Agraria Università degli Studi di Sassari Ristorante La Frasca - Milano Marittima (RA) Maria Cadinu Giuseppe La Malfa Benìan Eser Faculty of Agriculture, University of Izmir (Turchia) Ignacio Macua ITGA, Instituto Técnico y de Gestión Agrícola, Pamplona (Spagna) Vitangelo Magnifico ADEX - Asociación de Exportadores, Lima (Perú) CRA - Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura Unità di Ricerca per i Sistemi Colturali degli Ambienti caldo-aridi, Bari Donato Gallitelli Giuseppe Maiani Dipartimento di Biologia e Patologia vegetale Università degli Studi di Bari INRAN - Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione, Roma Stella Maris Garcia Francesco Salvatore Marras Facultad de Ciencias Agrarias Universidad National de Rosario (Argentina) Dipartimento di Protezione delle Piante Università degli Studi di Sassari Santiago Fumagalli Galli 14-12-2009 12:20:46 Vittorio Marzi Toufik Ouselati Francesco Saccardo Accademia dei Georgofili, Sezione Sud-Est, Bari GIL - Groupement Interprofessionnel des Légumes, Tunisi (Tunisia) GEMINI - Dipartimento di Geologia e Ingegneria Meccanica, Naturalistica e Idraulica per il territorio Università degli Studi della Tuscia, Viterbo Tiziana Mascia CNR - Istituto di Virologia Vegetale, Bari Bernardo Pace Giovanni Mauromicale CNR - Istituto di Scienze delle Produzioni Alimentari Bari DAPCA - Dipartimento di Scienze Agronomiche, Agrochimiche e delle Produzioni Animali Università degli Studi di Catania Mario Augusto Pagnotta NRC - National Research Centre Medicinal and Aromatic Plants Department, Cairo (Egitto) DABAC Dipartimento di Agrobiologia e Agrochimica Università degli Studi della Tuscia, Viterbo Gabriella Sonnante Maria Grazia Melilli Mahmoud Sharaf-Eldin CNR - Istituto di Genetica Vegetale, Bari CNR - ISAFOM - Istituto per i Sistemi Agricoli e Forestali del Mediterraneo, Catania Marc Eric Pavillard Marketing Prince de Bretagne, Bretagne (Francia) Raffaela Tavazza Stefania Miccadei Roberto Piazza CRS - Istituto Regina Elena, Roma FedagroMercati - ACMO - Associazione Commercianti Mercato Ortofrutticolo Bologna ENEA CR Casaccia Dipartimento Biotecnologie, Agroindustria e Protezione della Salute, Roma Fabio Micozzi GEMINI - Dipartimento di Geologia e Ingegneria Meccanica, Naturalistica e Idraulica per il territorio Università degli Studi della Tuscia, Viterbo Domenico Pignone Francesca Monteferraio Agris Sardegna - Agenzia Regionale per la Ricerca in Agricoltura - Dipartimento per la Ricerca nelle Produzioni Vegetali, Cagliari Dipartimento di Scienze Sanitarie Applicate e Psicocomportamentali, Sezione di Scienza dell’alimentazione e nutrizione umana, Azienda di Servizi alla Persona di Pavia, Università degli Studi di Pavia CNR - Istituto di Genetica Vegetale, Bari Anna Barbara Pisanu Salvatore Antonino Raccuia Olindo Temperini GEMINI - Dipartimento di Geologia e Ingegneria Meccanica, Naturalistica e Idraulica per il territorio Università degli Studi della Tuscia, Viterbo Romano Tesi Dipartimento di Scienze delle Produzioni Vegetali, del Suolo e dell’Ambiente Agroforestale Università degli Studi di Firenze CNR - ISAFOM Istituto per i Sistemi Agricoli e Forestali del Mediterraneo, Catania Atnan Uğur Dipartimento di Scienze delle Produzioni Vegetali Università degli Studi di Bari Mohamed Razine Sebastiano Vanadia Irene Morone Fortunato Annamaria Repetto Dipartimento di Scienze delle Produzioni Vegetali Università degli Studi di Bari Agris Sardegna - Agenzia Regionale per la Ricerca in Agricoltura - Dipartimento per la Ricerca nelle Produzioni Vegetali, Cagliari Pasquale Viggiani Mariangela Rondanelli Margherita Zalum Cardon Pasquale Montemurro Martino Muntoni Agris Sardegna - Agenzia Regionale per la Ricerca in Agricoltura - Dipartimento per la Ricerca nelle Produzioni Vegetali, Cagliari Annalisa Opizzi Dipartimento di Scienze Sanitarie Applicate e Psicocomportamentali, Sezione di Scienza dell’alimentazione e nutrizione umana, Azienda di Servizi alla Persona di Pavia, Università degli Studi di Pavia 00_Carciofo_Prelimin.indd 6 Ingénieur Agronome, Rabat (Marocco) Dipartimento di Scienze Sanitarie Applicate e Psicocomportamentali, Sezione di Scienza dell’alimentazione e nutrizione umana, Azienda di Servizi alla Persona di Pavia, Università degli Studi di Pavia Faculty of Agriculture, University of Ordu (Turchia) CNR - Istituto di Scienze delle Produzioni Alimentari Bari Agronomo, specialista in flora spontanea, Bologna Esperta in storia dell’arte, Firenze Rodolfo Zaniboni Nunhems Italy, Sant’Agata Bolognese (BO) Claudia Ruta Dipartimento di Scienze delle Produzioni Vegetali Università degli Studi di Bari 14-12-2009 12:20:46 p r e f a z i o n e Il gruppo Bayer ha orientato il proprio impegno verso la ricerca di un preciso e chiaro obiettivo: lavorare per creare, attraverso l’innovazione e lo sviluppo, una condizione ottimale per una vita sociale migliore. Con il sostegno a importanti iniziative in ambito culturale, sportivo e sociale, Bayer in Italia ha saputo modellare, inoltre, i propri obiettivi di crescita sempre con il consenso delle comunità in cui si trova a operare. Impiegare le proprie risorse nella creazione di un equilibrio stabile nel tempo tra uomo e ambiente significa considerare “il rispetto” e la coerenza come massime espressioni dell’agire umano. In linea con questi principi, Bayer CropScience ha reso possibile la realizzazione della collana “Coltura & Cultura”, che ha come primo scopo quello di far conoscere i valori della produzione agroalimentare italiana, della sua storia e degli stretti legami con il territorio. La collana prevede la realizzazione dei volumi il grano, il pero, la vite e il vino, il mais, il pesco, il melo, il riso e l’ulivo e l’olio (già pubblicati), il carciofo e il cardo, il pomodoro, l’uva da tavola, la patata e la fragola e i piccoli frutti. Per ciascuna coltura saranno trattati i diversi aspetti, da quelli strettamente agronomici, quali botanica, tecnica colturale e avversità, a quelli legati al paesaggio e alle varie forme di utilizzazione artigianale e industriale, fino al mercato nazionale e mondiale. Un ampio spazio è riservato agli aspetti legati alla storia di ciascuna coltura in relazione ai bisogni dell’uomo e a tutte le sue forme di espressione artistica e culturale. Nella sezione dedicata alla ricerca si sono voluti evidenziare, in particolare, i risultati raggiunti nei settori del miglioramento genetico. Di particolare interesse e attualità è la parte riservata all’alimentazione, che sottolinea l’importanza di ciascun prodotto nella dieta e i suoi valori nutrizionali e salutistici. Questi elementi vengono completati con la presentazione di ricette che si collocano nella migliore tradizione culinaria italiana. L’auspicio di Bayer CropScience è che questa opera possa contribuire a far conoscere i valori di qualità e sicurezza quali elementi distintivi e caratterizzanti la produzione agroalimentare italiana. Renzo Angelini Bayer CropScience 00_Carciofo_Prelimin.indd 7 14-12-2009 12:20:46 p r e s e n t a z i o n e Carciofo: “il re dell’orto”. Questa definizione rappresenta, in modo sintetico ma completo, l’importanza di questa coltura nel panorama orticolo nazionale. L’Italia è storicamente e di gran lunga il maggior produttore mondiale di carciofo, con il 35% circa della superficie e della produzione totale. La coltivazione sul territorio nazionale, anche se concentrata prevalentemente in Puglia, Sicilia e Sardegna, è diffusa e radicata in molte altre regioni, come Lazio, Campania, Toscana, Emilia-Romagna, Veneto, Marche e Liguria, dove sono presenti numerosi ecotipi. Inoltre il carciofo ha dato origine a diverse sagre e manifestazioni e fa parte della tradizione gastronomica nazionale con un gran numero di ricette e piatti tipici regionali. Gli italiani sono anche i maggiori consumatori al mondo con 8 kg/pro capite per anno. Originario del bacino del Mediterraneo, il carciofo ha dimostrato nel corso del tempo di essere una coltura versatile, capace di espandersi dalle zone di origine e di adattarsi a un’ampia varietà di condizioni pedo-climatiche, dalla Bretagna, nel nord della Francia, alla Cina, dalla costa sull’oceano Pacifico alle aree pre-desertiche della California, dalle zone costiere alla Cordigliera andina in Perú. La cinaricoltura italiana è considerata un modello di riferimento per gli altri Paesi: l’importante ruolo svolto dalla ricerca negli ultimi cinquant’anni — non a caso sono stati organizzati a Bari i primi quattro convegni internazionali — e lo stretto rapporto con il mondo della produzione hanno favorito l’introduzione di numerose innovazioni nella tecnica colturale. Non solo, notevole impulso hanno avuto le conoscenze sul carciofo come pianta medicinale, sugli aspetti biochimici e sulle diverse proprietà nutrizionali che tanto interesse suscitano oggi sia alle aziende del settore sia presso il consumatore moderno. Le considerazioni accennate brevemente in precedenza sono state illustrate e approfondite in quest’opera che ho avuto l’onore di coordinare. Il volume il carciofo e il cardo, come i precedenti della collana Coltura & Cultura promossa da Bayer CropScience, è suddiviso in otto sezioni e ha lo scopo di offrire al lettore una trattazione completa e interdisciplinare, ma vivace e sintetica. I singoli argomenti sono trattati con rigorosità scientifica e con linguaggio accessibile anche al lettore semplicemente curioso di approfondire un aspetto particolare dell’opera. La chiarezza dell’esposizione si deve all’impegno degli Autori, di riconosciuta competenza ed esperienza, e all’originalità dell’articolazione dei capitoli, arricchiti da numerose illustrazioni, schemi, riquadri, tabelle e grafici, in modo da rendere agevole la comprensione degli argomenti trattati. 00_Carciofo_Prelimin.indd 9 14-12-2009 12:20:49 Sono state illustrate le tematiche relative all’origine ed evoluzione della coltura, le caratteristiche morfologiche e la fisiologia della pianta; un capitolo è stato riservato anche al cardo, spesso erroneamente tralasciato o poco considerato. Ampio spazio è stato dedicato al carciofo nella storia e nell’arte, non trascurando aneddoti e curiosità. Notevole attenzione è stata riservata agli aspetti legati all’alimentazione, con una disamina completa delle caratteristiche nutrizionali e delle proprietà fitoterapiche e medicinali; completano il capitolo le ricette e numerose curiosità sulle preparazioni gastronomiche. La descrizione del carciofo nelle cinque principali regioni italiane, delle tecniche di coltivazione, dei parassiti animali e delle malattie offrono al lettore una visione chiara e completa relativa all’aspetto tecnico-agronomico della coltura. Nel capitolo della ricerca sono riportate le tematiche più recenti e i risultati della sperimentazione condotta in vari istituti e università, in Italia e all’estero. I prodotti trasformati, gli aspetti economici, di marketing e i rapporti commerciali tra i vari Paesi sono ampiamente descritti e commentati. Completano e arricchiscono il volume una serie di capitoli sul carciofo nel mondo, che aprono una finestra sui principali Paesi produttori e forniscono, attraverso la testimonianza diretta degli Autori, una descrizione sintetica ed esaustiva di questa coltura nel contesto internazionale. Spero che questo volume sul carciofo e sul cardo, unico nel suo genere, soddisfi l’interesse e la curiosità dei lettori. Nicola Calabrese 00_Carciofo_Prelimin.indd 10 14-12-2009 12:20:49 r i n g r a z i a m e n t i Il volume è stato realizzato grazie al prezioso contributo di tutti coloro che hanno creduto in questa iniziativa editoriale, fornendo un supporto progettuale e redazionale decisivo. Si segnala il prezioso contributo di Michele Curci, Danilo Salmistraro, Vanni Bellettato, Paolo Bacchiocchi, Cesare Cangero e Roberto Balestrazzi per il materiale iconografico, che ha permesso di arricchire i vari capitoli, ed Elisabetta Fabbi per l’importante attività di supporto redazionale. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite dalla Image Bank di Bayer CropScience. Per il contributo alla realizzazione di alcuni capitoli si ringraziano infine Maria Antonietta Papanice, Giovanna Bottalico, Antonietta Campanale, Alessandra Di Franco, Crisostomo Vovlas (Virosi); Edmundo Catacora Pinazo, Edwin Pariona Meza (Carciofo in Perú). Un ringraziamento particolare va a Lucia Tomasi Tongiorgi del Dipartimento di Storia delle Arti dell’Università degli Studi di Pisa per la revisione del capitolo Letteratura, pittura, cultura. 00_Carciofo_Prelimin.indd 11 14-12-2009 12:20:49 botanica Origine ed evoluzione Domenico Pignone Gabriella Sonnante Morfologia e fisiologia Vito Vincenzo Bianco Nicola Calabrese Coltivazione del cardo Salvatore Antonino Raccuia Maria Grazia Melilli 01_Origine.indd 1 24-11-2009 14:49:02 botanica Origine ed evoluzione Genere Cynara Per comprendere l’origine del carciofo e del cardo bisogna innanzitutto conoscere le specie selvatiche affini dello stesso genere. Il genere Cynara appartiene alla famiglia delle Asteraceae o Compositae, la stessa famiglia di specie ortensi e ornamentali economicamente importanti quali la lattuga, la cicoria, il girasole, nonché le gerbere, i crisantemi e le margherite. Le specie che costituiscono il genere Cynara sono diploidi (2n = 2x = 34), suddivisibili in due gruppi, di cui il primo costituisce il complesso C. cardunculus comprendente le forme coltivate del carciofo (C. cardunculus subsp. scolymusi, oppure var. scolymus) e del cardo (C. cardunculus var. altilis) più una forma selvatica (C. cardunculus var. sylvestris), che chiameremo carciofo selvatico. In realtà, il carciofo coltivato era inizialmente considerato come una specie separata, C. scolymus, ma recenti studi lo hanno incluso nella specie C. cardunculus. Il secondo gruppo eterogeneo del genere include, secondo Wiklund, sette specie selvatiche: C. syriaca, C. auranitica (da alcuni autori ricompresa nella variabilità di C. syriaca), C. cornigera, C. algarbiensis, C. baetica, C. cyrenaica e C. humilis. Le specie di Cynara sono generalmente piante erbacee robuste, erette e perenni. Le dimensioni delle piante vanno da meno di 0,5 m fino a circa 2 m, in alcuni esemplari di C. auranitica e C. cardunculus. Le foglie hanno un colore verde di intensità varia- Vavilov e i centri di origine • Nikolaj Ivanovič Vavilov (1887-1943) fu un agronomo e genetista russo che dedicò molti dei suoi studi all’origine delle piante coltivate, all’analisi della loro diversità e delle piante selvatiche da cui derivano. Dopo una lunga serie di spedizioni dal 1916 al 1936 in Africa, Asia e America, giunse a formulare la teoria dei Centri di origine delle piante coltivate, oggi noti anche come Centri di Vavilov, ossia le aree dove alcune specie o gruppi di specie furono per la prima volta domesticati dall’uomo. Oppositore delle teorie neolamarckiane di Lysenko, appoggiato dal regime, fu accusato di difendere la “pseudoscienza borghese” della genetica classica e cadde in disgrazia, morendo in prigione Centri di origine delle piante coltivate secondo Vavilov Centro Mediterraneo Centro Messicano-Americano centrale Medio Oriente Centro centro-asiatico Centro Indiano Centro Cinese Etiopia Centro Indiano Centro Sudamericano Centro Sudamericano Centro Sudamericano 2 01_Origine.indd 2 24-11-2009 14:49:06 botanica Sezione del capolino di carciofo Spine Brattee interne Pappo Brattee esterne Peduncolo Ricettacolo diversissime (allungata, ovale, rotonda e forme di passaggio tra queste); la lunghezza può superare i 10 cm, mentre la larghezza può essere di oltre 6 cm. Il margine superiore può essere intero, inciso con varia profondità e anche introflesso; l’apice può mostrarsi appuntito, arrotondato, smussato, inerme o con presenza di spine di dimensioni diverse (che possono superare i 5 mm di lunghezza). Il colore della parte dorsale va dal verde chiaro al verde scuro, con sfumature violette, al violetto scuro uniforme; in alcuni casi le brattee sono anche lucenti. La parte ventrale è sempre più chiara di quella esterna, normalmente tendente al giallo chiaro nelle vicinanze dell’attacco sul ricettacolo, dove si nota un rigon- Singolo fiore di carciofo (flosculo) Foto R. Angelini Sezione di un capolino di carciofo in cui si nota la forma convessa del ricettacolo e l’insieme dei flosculi Capolini a differente stadio di maturazione: quello a destra mostra brattee violette interne con presenza di spine agli apici 16 02_morfologia.indd 16 24-11-2009 14:50:19 coltivazione del cardo Caratteristiche botaniche Il cardo è una specie erbacea nitrofila perenne in natura, spesso annuale quando coltivata come ortaggio. L’altezza può variare da un minimo di 40 cm, in alcuni biotipi di Cynara cardunculus var. sylvestris, a oltre 300 cm in alcune varietà di cardo domestico. La pianta è costituita da un grosso fusto rizomatoso (ceppaia) da cui si dipartono le radici laterali che, pur non numerose, sono notevolmente robuste (fino a oltre 2 cm di diametro). L’apparto radicale si può approfondire nel terreno ben oltre il metro. Le foglie sono portate su internodi molto ravvicinati in particolare nella parte basale del fusto e fanno assumere alla pianta un aspetto cespuglioso. Sono pennatosette, di dimensioni, peso e numero variabili in rapporto al genotipo, e presentano colore verde cenerino o talvolta grigiastro nella pagina superiore, verde più chiaro o grigio nella pagina inferiore per la presenza di peluria. Le lamine (o lembi) delle foglie possono risultare più o meno frastagliate a seconda del genotipo e possono o meno presentare delle spine di colore chiaro (giallo-biancastro), sempre in rapporto al genotipo di appartenenza. La spinosità delle foglie è un carattere sempre presente nel Cynara cardunculus var. sylvestris. Le foglie adulte possono raggiungere una lunghezza superiore al metro. I larghi e carnosi piccioli (coste o costolature), in cui si notano delle solcature più o meno profonde, hanno colore grigio-verdastro alla base e si presentano larghi fino a 10 cm. Il fusto (asse fiorale) è eretto, ramificato, robusto, striato in senso longitudinale e fornito di foglie alterne. L’asse principale e le sue ramificazioni (di primo, secondo e terzo ordine) presentano le infiorescenze in posizione terminale. Infiorescenze di cardo di colore bianco Infiorescenze di cardo di colore viola Foto R. Angelini 19 03_Cardo.indd 19 14-12-2009 11:46:27 coltivazione del cardo Le coste, inoltre, contengono un abbondante quantitativo di polifenoli e di flavonoidi, quali quercetina ed epicatechine, che inibiscono l’azione di diversi radicali liberi e svolgono funzione antibatterica. Questo importante ortaggio della dieta mediterranea può quindi essere considerato un alimento funzionale, in quanto esplica una serie di effetti benefici sull’uomo. Foto R. Angelini Cardo da industria L’utilizzazione del cardo come coltura da biomassa per energia nasce dalla considerazione che la specie ben si adatta alle peculiari caratteristiche dell’ambiente mediterraneo, contraddistinto da apporti idrici limitati e irregolarmente distribuiti durante l’arco dell’anno. La specie infatti, grazie al suo ciclo biologico, che va dall’autunno alla primavera, periodo in cui si registrano i maggiori eventi piovosi, è in grado di intercettare tutti gli apporti idrici naturali disponibili. Inoltre l’apparato radicale funge anche da organo di accumulo di sostanze di riserva, capace di sostenere la riattivazione vegetativa dopo la quiescenza estiva. Grazie alla spiccata adattabilità del cardo all’ambiente mediterraneo è possibile ottenere buone rese in biomassa e acheni in condizioni di bassi input energetici. Tecnica colturale Sono da preferire terreni fertili, freschi e profondi, di medio impasto e senza ristagni, anche se il cardo tollera molto bene suoli poveri e pesanti a reazione sia acida sia basica. Può tollerare venti forti. La temperatura media ottimale per la crescita oscilla tra i 10 °C e i 15 °C. La semina diretta viene effettuata tra settembre e novembre in funzione dell’andamento termoudometrico, in modo tale che le Infiorescenze di cardo Principali impieghi delle differenti componenti della biomassa di cardo Biomassa Granella Olio Alimentazione umana e cosmesi Proteine Biodiesel Epigea Radici Energia Inulina Alimentazione zootecnica 23 03_Cardo.indd 23 14-12-2009 11:46:46 storia e arte Letteratura, pittura, cultura Vito Vincenzo Bianco Nicola Calabrese Margherita Zalum Cardon 04_Letteratura.indd 31 14-12-2009 11:54:28 storia e arte Letteratura, pittura, cultura Antichità Il carciofo è un ortaggio tipico dell’area mediterranea e l’Italia ne è il principale produttore mondiale. Esso è stato coltivato ampiamente nel passato, sin dagli albori delle civiltà occidentali, anche grazie alle molte virtù che gli erano attribuite, e alle sue apprezzatissime qualità organolettiche; eppure, dal punto di vista storico, esso sembra non aver riscosso un uguale successo, e per molti aspetti la documentazione su questa preziosa pianta è lacunosa e incompleta. La situazione è resa ancora più complessa a causa del fatto che, per quanto riguarda le epoche più antiche, non è facile distinguere le notizie che si riferiscono al carciofo vero e proprio da quelle che invece sono relative al cardo selvatico. L’origine del carciofo non è del tutto chiara; anche se la zona non è stata individuata con certezza, si ipotizza che la domesticazione sia stata avviata in Sicilia. In tutte le civiltà che si sono sviluppate intorno al bacino del Mediterraneo si trova comunque traccia della conoscenza e dell’uso di questa pianta. Già nel IV secolo a.C. gli Arabi la coltivavano, sotto il nome di al-karshuf o ardi-shoki. Dai nomi arabi, che significano “spina di terra” e “pianta che punge”, con allusione alla Mosaico del III secolo d.C. proveniente da El Jem (Tunisia) rappresentante, tra le altre figure, due capolini di carciofo di diversa forma. Museo del Bardo, Tunisi Particolare della figura precedente Carciofi, particolare del mosaico di Arione e Orfeo, III secolo d.C., proveniente da La Chebba (Tunisia). Museo del Bardo, Tunisi 32 04_Letteratura.indd 32 14-12-2009 11:54:32 letteratura, pittura, cultura Medioevo ed Età Moderna In epoca medievale le notizie sul carciofo si fanno molto scarse, ma certamente esso non scompare dagli orti e dai giardini, né tantomeno dalle tavole degli europei. La sua conoscenza è attestata dal fatto che esso riaffiora, insieme a un’ampia varietà di motivi decorativi fitomorfi, scolpito in alcuni capitelli che sorreggono le statue della cattedrale di Chartres (inizio XIII sec.). Intorno al Trecento, inoltre, esso era coltivato nella zona del Maghreb, a quel tempo sottoposto alla dominazione araba e musulmana. Ma il periodo di maggiore fortuna del carciofo ha inizio con l’età moderna. Da Napoli, esso è importato a Firenze nel 1466 da Filippo Strozzi; pochi anni dopo, è notato a Venezia come una curiosità. E dalla Toscana ben presto di diffonde in tutto il resto d’Europa. Già prima del 1530 esso è coltivato in Francia, come attesta l’opera di de l’Aigne, Singulier traicté contenant les propriétés des tortues, escargots, grenouilles et artichauts, stampata a Parigi. Nel 1532 aiuole di carciofi sono ricordate in Avignone, mentre nei decenni successivi la sua presenza è registrata anche in altre città della Francia. Assai rapidamente la sua coltivazione si estende dalla Linguadoca, alla Valle della Loira, all’Ile del France. Nello stesso periodo, il carciofo è introdotto in Inghilterra, probabilmente a opera degli Olandesi: si sa che esso era coltivato nel giardino di Enrico VIII a Newhall. Jacques Le Moyne (de Morgues) (1533-1588), Carciofo: Cynara scolymus, c.1568, Victoria & Albert Museum, Londra (© The Bridgeman Art Library/Archivi Alinari, Firenze) Christian Berentz (1658-1726), Ortaggi e frutta, Galleria Nazionale d’Arte Antica, Roma (© 2009. Foto Scala, Firenze, per concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali) Blas de Ledesma (1590-1614), Natura morta con asparagi, carciofi, limoni e ciliege, Museo Bowes, Barnard Castle, County Durham, UK (© The Bridgeman Art Library/Archivi Alinari, Firenze) 35 04_Letteratura.indd 35 14-12-2009 11:54:45 letteratura, pittura, cultura per più di due secoli: i Discorsi sul De materia medica di Dioscoride Pedanio, pubblicati per la prima volta in italiano nel 1544 e poi tradotti in latino dieci anni dopo. Questa seconda edizione del testo, corredata da un ricchissimo apparato iconografico di straordinaria qualità determinerà la fortuna dell’opera e imprimerà una svolta decisiva alla storia della botanica nel Cinquecento. Nella stessa linea anche il medico personale di Luigi XIII, La Framboisière, che scrive: “I carciofi scaldano il sangue e spronano in modo naturale al gioco amoroso di Venere, sono buoni per lo stomaco e fanno venire appetito, sono tanto apprezzati per la loro bontà che non si combina un sontuoso banchetto senza carciofi”. Benché la sua diffusione rispetto al passato si sia ampliata notevolmente, nel corso del Cinquecento il carciofo è ancora una pianta piuttosto rara, e considerata un bene di lusso, destinato alle tavole dei ricchi: non a caso in questo periodo esso merita gli appellativi di “principe delle verdure d’inverno” e “diavoleria mangereccia”. Le stesse modalità di coltivazione messe a punto in Italia e in Francia, cui si è accennato sopra, erano in realtà assai complesse e dispendiose; erano perciò attuate solo negli orti gravitanti attorno alle città, in rapporto di stretta dipendenza da un mercato privilegiato di acquirenti benestanti se non decisamente agiati. Nei contesti periferici e rurali il carciofo continua a essere coltivato secondo metodi più tradizionali, che però ne limitano la disponibilità a un breve periodo dell’anno. Giuseppe Arcimboldo (1530-1593) (seguace), L’allegoria della terra, collezione privata (© The Bridgeman Art Library/Archivi Alinari, Firenze) Carciofo alla corte di Francia • Anche se la documentazione storica la contraddice, la leggenda vuole che a far conoscere in Francia il carciofo sia stata la fiorentina Caterina de’ Medici, andata in sposa ad Enrico II. In ogni caso, la regina sembra essere stata particolarmente ghiotta di quest’ortaggio, al punto che a corte non poteva darsi un banchetto senza che fosse imbandita una piccola montagnola di carciofi. Evidentemente la sovrana ne apprezzava le proprietà digestive e l’azione benefica sul fegato, traendone giovamento nonostante le memorabili abbuffate: “si credeva di vederla scoppiare”, come tramanda un cronista dell’epoca. Anche il re Luigi XIV era un grande consumatore di carciofi Vincenzo Campi (1536-1591), Fruttivendola, Pinacoteca di Brera, Milano (© Archivi Alinari, Firenze, per concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali) 39 04_Letteratura.indd 39 14-12-2009 11:55:27 alimentazione Aspetti nutrizionali Carlo Cannella Fitoterapia e medicina Mariangela Rondanelli Annalisa Opizzi Francesca Monteferraio Composti bioattivi Donato Di Venere Giuseppe Maiani Stefania Miccadei Tradizione alimentare Vittorio Marzi Sebastiano Vanadia Carciofo in cucina Vito Vincenzo Bianco Bernardo Pace Ricette Gianfranco Bolognesi 05_06_AspNutrizionali.indd 45 2-12-2009 12:57:46 alimentazione Aspetti nutrizionali Il carciofo è un ortaggio dal caratteristico sapore dolce-amaro costituito dai capolini con brattee carnose prodotti da una pianta perenne della famiglia delle Asteraceae con foglie basali molto grandi. La parte edule dei capolini è costituita dalla base carnosa dell’infiorescenza (ricettacolo o “fondo”) e dalle brattee interne più tenere che l’avvolgono (comunemente dette “foglie” o “squame”). Abbastanza comune è il consumo della parte superiore del gambo. Gli antichi romani apprezzavano il carciofo per il suo gusto “raffinato” che lo distingue dagli altri ortaggi; ci sono giunte testimonianze scritte sull’uso alimentare del carciofo da Plinio (Naturalis historia) e da Columella (De re rustica), che Piero Camporesi riporta nel suo commento alla Scienza in Cucina ovvero l’arte di mangiar bene di Pellegrino Artusi. Il carciofo fornisce un basso apporto calorico, è ricco di minerali (potassio, calcio, fosforo e ferro), mentre ha scarso contenuto in vitamine; assieme agli altri prodotti ortofrutticoli freschi, occupa un ruolo importante nella dieta mediterranea e nella piramide alimentare che ben rappresenta lo stile italiano dell’alimentazione. Il carciofo è un ortaggio prodotto in pieno campo in diverse regioni italiane e ha un periodo di raccolta molto ampio; per questo motivo è presente ininterrottamente sul mercato da ottobre a maggio (otto mesi), pertanto, a differenza di tanti altri ortaggi, è un “prodotto di stagione” reperibile per un lungo periodo dell’anno. Composizione di ortaggi coltivati (per 100 g di parte edibile) Carciofo Cardo coltivato Cavolfiore Parte edibile (g) 34 70 66 Acqua (g) 91,3 94,3 90,5 Proteine (g) 2,7 0,6 3,2 Lipidi (g) 0,2 0,1 0,2 Carboidrati dispon. (g) 2,5 1,7 2,7 Amido (g) 0,5 0,2 0,3 Zuccheri solubili (g) 1,9 1,5 2,4 Fibra (g) 5,5 1,5 2,4 Energia (Kcal) 22 10 25 Sodio (mg) 133 23 8 Potassio (mg) 376 293 350 Ferro (mg) 1,0 0,2 0,8 Calcio (mg) 86 96 44 Magnesio (mg) 45 = 28 Fosforo (mg) 67 11 69 Tiamina (mg) 0,06 0,02 0,10 Riboflavina (mg) 0,10 0,04 0,10 Niacina (mg) 0,50 0,20 1,20 Vit. C (mg) 12 4 59 Vit. A (μg ret. eq.) 18 tracce 50 Piramide alimentare italiana Attività fisica Fonte: Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione, Aggiornamento 2000 46 05_06_AspNutrizionali.indd 46 2-12-2009 12:57:47 alimentazione tre limitano l’ossidazione delle lipoproteine a bassa densità. Per trarre beneficio dalle sostanze protettive contenute nel carciofo bisognerebbe consumarne 200-250 g (una porzione), dando preferenza al prodotto fresco crudo. Dopo la cottura, 100 g di prodotto fresco si riducono a 74 g. Il carciofo è ricco di fibra alimentare, utile a mantenere la funzionalità intestinale e probabilmente anche a controllare i livelli ematici di glucosio e colesterolo. La fibra contribuisce inoltre al raggiungimento del senso di sazietà, quindi aiuta a limitare il consumo di alimenti a elevata densità energetica. L’inulina è un polisaccaride (polimero del fruttosio) idrosolubile, non digerito dai nostri succhi intestinali (fibra solubile), ma metabolizzato dai bifidobatteri e quindi con proprietà prebiotiche perché utile a far proliferare alcuni microrganismi (detti probiotici), che costituiscono la flora batterica utile al nostro organismo in quanto inibiscono l’insediarsi di batteri dannosi. Altri ortaggi, nei quali l’inulina è contenuta soprattutto nelle radici, sono il topinambur e le cicorie. Alcuni oligosaccaridi contenenti fruttosio (quelli della serie del raffinosio = galattosio-glucosio-fruttosio) sono presenti nella buccia dei legumi e, similmente all’inulina, quando vengono ingeriti sono fermentati nel colon dai bifidobatteri, stimolando così non solo l’effetto benefico dei probiotici, ma anche emissioni di gas che possono arrecare disturbo nella vita di relazione. I fitosteroli sono composti di natura steroidea che inibiscono l’assorbimento intestinale del colesterolo e pertanto esercitano un effetto ipocolesterolemizzante; un’alimentazione ricca di ortaggi e che utilizza l’olio extravergine d’oliva come condimento consente di introdurre una quantità di fitosteroli pari a circa 600-800 mg/giorno. È questa una buona quantità di fitosteroli che caratterizza le abitudini alimentari mediterranee ed è salutare perché permette di modulare l’assorbimento del colesterolo, Contenuto in fibra alimentare (g/100 g di parte edibile) di prodotto bollito Ortaggio Insolubile Solubile Carciofi freschi, bolliti 3,17 4,68 Cardi bolliti 1,25 0,28 Asparagi di campo, bolliti 1,57 0,49 Cavolfiore bollito 1,68 0,71 Finocchi bolliti 1,38 0,49 Fonte: Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione, Aggiornamento 2000 48 05_06_AspNutrizionali.indd 48 2-12-2009 12:57:49 fitoterapia e medicina Storia del carciofo come alimento e come rimedio farmacologico Egitto: il carciofo veniva scolpito su altari sacrificali Principali molecole attive presenti nella pianta di carciofo Prima metà ’900: alcuni ricercatori francesi lo indicarono come farmaco per il fegato Rinascimento: alimento nobile consumato solo nelle corti e dai reali • Le foglie del carciofo contengono diverse molecole con rilevanti attività farmacologiche; le più importanti sono: Anni ’70, ’80, ’90: studi clinici controllati – derivati dell’acido caffeico – flavonoidi Il carciofo negli anni – lattoni sesquiterpenici 18°-19° secolo: veniva portato negli Stati Uniti dagli immigrati Greci e Romani: 1965: ne conoscevano le proprietà identificazione della cinarina digestive, diuretiche e utilizzo come epatoprotettore e coleretiche del carciofo come sostanza coleretica, diuretica, epatoprotettiva ed epatostimolante. Chimica delle molecole biologicamente attive presenti nel carciofo Dal punto di vista chimico le foglie del carciofo contengono diverse molecole con importanti attività farmacologiche. Di seguito sono descritte le caratteristiche delle principali sostanze attive. Derivati dell’acido caffeico. Molte delle attività farmacologiche degli estratti della foglia di carciofo sono state attribuite, almeno inizialmente, alla presenza di acidi caffeilchinici (CQS). In letteratura questi composti sono anche chiamati, più genericamente, derivati dell’acido caffeico, oppure orto-diidrofenoli; sinteticamente sono ottenuti dalla condensazione di una molecola di acido chinico con una o due molecole di acido caffeico. Storicamente le indagini chimiche su tali componenti iniziarono nel 1840, quando un certo Guitteau isolò una sostanza, conosciuta oggi con il nome di cinarina. La vera natura di questa sostanza fu scoperta da Chabrol e coll. nel 1931. Questi ricercatori riuscirono a separare, da un estratto acquoso di foglie di carciofo, una frazione che precipitava con l’aggiunta di piombo e un residuo che non precipitava. La frazione precipitata fu poi analizzata risultando di natura acida per la presenza di gruppi fenolici e con un notevole effetto coleretico nei cani, mentre la frazione che non precipitava con il piombo risultò priva di qualsiasi attività. Derivati dell’acido caffeico • Storicamente le indagini chimiche su questi componenti iniziarono nel 1840, quando venne isolata la cinarina • Oltre alla cinarina, altri acidi monocaffeilchinici sono: l’acido clorogenico, l’acido criptoclorogenico e l’acido caffeico • Farmacologicamente hanno effetti coleretici e, in parte, di riduzione del colesterolo 51 06_fitoterapia.indd 51 14-12-2009 12:04:08 alimentazione l’energia necessaria alla crescita; ha un ruolo protettivo per la pianta nei confronti delle basse temperature e della siccità. Per la sua presenza nel capolino è stata ipotizzata una funzione osmoregolatrice: essa viene accumulata nel corso dell’accrescimento del capolino e rapidamente depolimerizzata nella fase di espansione dell’infiorescenza. Il contenuto di inulina del capolino di carciofo varia in funzione del genotipo, dello stadio fisiologico e dell’epoca di raccolta; è noto infatti che esso è influenzato da fattori genetici, fisiologici e ambientali (soprattutto la temperatura). Nel confrontare quindi il contenuto di inulina delle diverse cultivar, alla luce di queste considerazioni, è necessario tenere presente criteri di omogeneità in relazione ai suddetti fattori. Ricerche effettuate su numerose cultivar hanno messo in evidenza una notevole variabilità nel contenuto di inulina della parte edule del capolino, in un intervallo compreso tra 1% e 6% del peso fresco (tra circa 7% e 40% del peso secco). Nel corso dell’accrescimento del capolino sulla pianta il contenuto di inulina aumenta notevolmente, raggiungendo, nel capolino a maturazione commerciale, valori più che doppi rispetto a quelli del capolino nei primi stadi di sviluppo. Per il Violetto di Provenza, la cui produzione va da novembre a maggio, è stato osservato un contenuto di inulina dell’8% del peso fresco (43% del peso secco) in epoca invernale e del 5,5% (35% del peso secco) in epoca primaverile. Oltre all’inulina, le proprietà nutraceutiche del carciofo sono attribuite anche alla presenza di polifenoli, in particolare esteri dell’acido caffeico e flavonoidi derivati di apigenina e luteolina, la Cosa sono e cosa fanno i prebiotici • Il termine prebiotico indica un gran numero di sostanze organiche, in particolare gli oligosaccaridi fermentescibili (FOS e inulina), che sono in grado di favorire la crescita della flora microbica intestinale, in quanto fungono da substrato nutritivo per i microrganismi endogeni • Il loro meccanismo d’azione è quello di favorire la crescita di microrganismi probiotici, quali per es. i bifidobatteri, che normalmente costituiscono la microflora intestinale, contribuendo a inibire la crescita di batteri dannosi • Ai prebiotici inulino-simili vengono attribuite proprietà salutistiche, quali l’aumento della capacità di assorbimento di ioni calcio e magnesio e la riduzione dei livelli ematici di glucosio e trigliceridi Polifenoli HO O O HO O HO OH OH Acido 5-O-caffeilchinico (ac. clorogenico) COOH O OH OH O HO OH O O OH OH HO Acido 1,3-O-dicaffeichinico (cinarina) OH OH GluO O OH O Apigenina 7-O-glucoside OH GluO O OH O Luteolina 7-O-glucoside (cinaroside) 62 07_CompostiBioattivi.indd 62 24-11-2009 15:12:46 alimentazione na tradizionale nei disturbi epatici e hanno dimostrato di svolgere un’azione benefica contro le malattie epatobiliari. Diversi studi hanno dimostrato l’efficacia e la sicurezza degli estratti di carciofo nel trattamento di disfunzioni epato-biliari e patologie digestive in animali e nell’uomo, nonché la capacità di ridurre i livelli di colesterolo nel sangue. L’azione benefica degli estratti non può essere ascritta a un solo componente, ma piuttosto all’azione sinergica di diversi componenti: acido clorogenico, acidi dicaffeilchinici, derivati della luteolina. Numerose ricerche hanno riguardato l’attività protettiva di estratti acquosi di foglie nonché di singoli componenti fenolici (acidi clorogenico e dicaffeilchinici, acido caffeico, cinaroside) su epatociti di ratto sottoposti a stress ossidativo esogeno causato da agenti chimici e conseguente perossidazione dei lipidi di membrana. L’azione coleretica di estratti di foglie e di composti fenolici in essi contenuti è stata in molti studi confrontata con quella dell’acido deidrocolico, principio attivo di farmaci ad azione coleretica Azioni protettive e curative di estratti di foglie di carciofo contro differenti patologie Azione antiossidante Inibizione della sintesi del colesterolo Azione anticolestatica Azione coleretica Azione antiemetica Riduzione della concentrazione di colesterolo intraepatica dovuta a una più efficace eliminazione della bile Inibizione della ossidazione delle LDL Riduzione della colestasi indotta dalla deformazione dei canalicoli biliari Riduzione del danno alle cellule epatiche indotto dai radicali liberi Riduzione del colesterolo Inibizione della formazione delle placche aterosclerotiche Protezione del fegato contro agenti tossici esterni Prevenzione dell’aterosclerosi Funzione antidispeptica ed epatocurativa Prevenzione di nausea di diversa origine Fonte: Kraft K., 1997 66 07_CompostiBioattivi.indd 66 24-11-2009 15:12:51 alimentazione Ricette Introduzione Diversamente da numerose altre verdure commestibili, il carciofo che viene utilizzato in cucina non è un frutto, né tanto meno un tubero o una radice, bensì un capolino che, a seconda delle varietà, può avere un diametro variabile dai 5 ai 15 cm. Dell’intero capolino se ne mangia, però, soltanto il 20%, ossia il cuore e le brattee più interne e polpose. Il gusto leggermente aspro dei carciofi è dovuto alla presenza, nelle radici e nelle foglie, di una sostanza amara chiamata cinarina, impiegata per la produzione del Cynar®, noto amaro a base di estratto di carciofo ed erbe aromatiche. La preparazione dei carciofi varia a seconda del grado di maturazione: i carciofi più giovani, dal capolino piccolo e tenero, si mangiano interi, con il gambo, senza eliminarne la barba e le brattee più esterne. I carciofi di taglia media e grossa, invece, che non vengono raccolti giovani, vanno privati delle grandi brattee esterne, le quali formano un involucro duro che potrebbe alterarne il sapore. Per evitare l’imbrunimento della base e del cuore a contatto con l’aria, i carciofi vanno strofinati con aceto o limone nel punto in cui lo stelo è stato tagliato. Per cuocerli, vanno immersi nell’acqua a cui si aggiunge limone o aceto per mantenerli chiari e appetitosi. Preparazione delle basi di carciofo • Lavare il carciofo, tagliare lo stelo e strofinarne la base per non farlo annerire • Tagliare il carciofo circa ai 2/3 nel senso della lunghezza • Con l’aiuto di un coltello da cucina, eliminare le foglie rimanenti e le parti più dure alla base del carciofo • Togliere la barba interna con l’ausilio di un cucchiaino da caffè dal bordo affilato o di un coltellino • Cuocere alcuni minuti in acqua addizionata di limone o aceto Cottura dei giovani carciofi interi • Eliminare le foglie spinose del gambo, accorciare quest’ultimo e spuntare, con un coltello affilato, le estremità delle brattee • Con le dita, eliminare le brattee più esterne • Con l’ausilio di un coltello, eliminare lo strato superficiale della parte di gambo rimanente • Cuocere 10-15 minuti in acqua addizionata di limone o aceto • Passare i carciofi sotto l’acqua fredda e, dopo che si sono raffreddati, tagliarli a metà ed eliminare la barba interna 84 10_08_Ricette.indd 84 24-11-2009 15:24:51 ricette Noci di pescatrice arrostite con ragù di animelle, carciofi e fegato d’anitra Ingredienti Pulire e lessare le animelle. Riscaldare una padella con un poco d’olio e cuocere a fuoco vivo i carciofi tagliati a julienne, aggiungere le animelle, un ciuffetto di maggiorana tritata e il parmigiano tagliato a lamelle, aggiustare di sale e pepe e mantenere al caldo. Tagliare a fettine il fegato grasso e cuocerlo in una padella di ferro ben calda senza aggiunta di grassi, asciugarlo con carta assorbente e tenerlo al caldo. Ridurre la panna della metà, togliere dal fuoco, aggiungere metà del fegato e frullare il tutto. Passare la salsa al setaccio e manenerla calda, senza farla bollire. Rosolare i filetti di pescatrice con poco olio e un ciuffetto di maggiorana e terminare la cottura in forno. Saltare velocemente i finferli con un filo d’olio e l’aglio. Sistemare al centro del piatto il ragù di animelle, adagiarvi sopra una fettina di fegato e la pescatrice scaloppata, condire con la salsa di fegato e decorare con i finferli e un poco di maggiorana tritata. • 300 g di filetto di pescatrice • 200 g di animelle di vitello • 4 carciofi • 150 g di fegato grasso d’anitra • 100 g di finferli • 1 dl di panna fresca • 20 g di parmigiano • 2 ciuffetti di maggiorana • 1 spicchio di aglio • olio extravergine di oliva • sale e pepe 91 10_08_Ricette.indd 91 24-11-2009 15:25:00 paesaggio Carciofo in Puglia Vito Vincenzo Bianco Nicola Calabrese Carciofo in Sicilia Giuseppe La Malfa Sergio Argento Carciofo in Sardegna Anna Barbara Pisanu Martino Muntoni Luigi Ledda Carciofo in Campania Vitangelo Magnifico Carciofo nel Lazio Olindo Temperini 11_CarciofoPuglia.indd 93 2-12-2009 15:05:44 paesaggio Carciofo in Puglia Introduzione Le prime informazioni certe sulla presenza del carciofo in Puglia risalgono al 1736, quando nel seminario di Otranto (LE), durante il mese di aprile furono servite pietanze a base di carciofo; inoltre nel 1751 e nel 1763 viene segnalato il consumo di carciofo in un monastero di Trani (BA) e nel seminario di Gravina (BA). Testimonianze successive riportano il consumo di carciofo dal 1763 al 1860. Nel viaggio attraverso il Regno di Napoli nel 1789 De Salis Marschlins riporta la presenza di piante di carciofo presso Canneto, in provincia di Bari. Nel 1811 Serafino Gatti annovera il carciofo tra gli ortaggi coltivati in Capitanata. Fino agli inizi del 1900 il carciofo era coltivato su piccolissimi appezzamenti o lungo i muri a secco e intorno alle abitazioni rurali o in consociazione con diverse specie di frutti. Nei primi anni del 1900, tra le province importanti per la produzione del carciofo erano annoverate anche Bari e Lecce. Dopo la seconda guerra mondiale alcuni intraprendenti coltivatori di Mola di Bari contribuirono all’espansione del carciofo nell’area brindisina e foggiana. Nel 1923, 1929, 1939, 1949, il carciofo era presente in Puglia rispettivamente su 210, 437, 869 e 958 ha. Dalla sua introduzione ad oggi la superficie destinata a carciofo è aumentata in maniera considerevole: la diffusione più ampia nei comprensori orticoli è progressivamente avvenuta a partire dagli anni ’50 ed è proseguita fino agli inizi degli anni ’90, raggiungendo il massimo assoluto nel 1991 con 19.280 ha. Negli ultimi quindici anni, pur mostrando una lieve diminuzione, la superficie si è man- Puglia in sintesi • Con 17.085 ha e 173.448 t, la Puglia è al primo posto in Italia per la superficie coltivata e per la produzione totale di capolini • La coltivazione è maggiormente diffusa nella provincia di Foggia (8600 ha; 100.800 t di capolini), seguita da Brindisi (6820 ha; 57.000 t) e Bari (1180 ha; 6878 t); mentre è limitata in provincia di Taranto (440 ha) e Lecce (140 ha) • Le cultivar più diffuse sono il Violetto di Provenza, affermatosi negli ultimi vent’anni soprattutto in provincia di Foggia, sostituendo progressivamente le popolazioni locali e assumendo il nome di Francesino, mentre il Violetto di Sicilia o Catanese è coltivato soprattutto in provincia di Brindisi e di Bari, dove viene indicato rispettivamente come Brindisino e Locale di Mola • È in corso di assegnazione la IGP per il Carciofo brindisino Carciofaia in piena produzione a Polignano a Mare, Bari 94 11_CarciofoPuglia.indd 94 2-12-2009 15:05:46 carciofo in Puglia Cultivar Le prime carciofaie da reddito furono impiantate in Puglia nell’immediato dopoguerra con materiale di propagazione proveniente dalla Sicilia della cultivar Catanese o Violetto di Sicilia. Nel tempo, questa cultivar ha assunto diverse denominazioni in relazione alla località di coltivazione. Pertanto il panorama odierno comprende numerose popolazioni che hanno a volte una diffusione territoriale limitata; spesso lo stesso tipo è denominato in modo diverso in aree differenti, generando confusione non solo per i nomi e gli eventuali sinonimi ma anche per quanto riguarda gli aspetti tecnici e commerciali. È quanto accade ancora oggi, soprattutto nella provincia di Brindisi e in misura minore in quella di Bari, in cui l’originario Catanese viene indicato come: Locale di Brindisi, Brindisino, Locale di Ostuni, Locale di Mola, Molese, Violetto di Mola, Baresano, Violetto di San Ferdinando, Violetto di Brindisi, Nostrano di Brindisi, Violetto del Salento, Nostrano di Orta Nova, ecc. Le cultivar maggiormente presenti in Puglia sono in definitiva: Violetto di Provenza, introdotto nel secondo dopoguerra nel Salento, si è diffuso invece con molto successo negli ultimi vent’anni nella provincia di Foggia, sostituendo progressivamente le popolazioni locali e assumendo comunemente il nome di Francesino. Questa cultivar è molto produttiva e con la tecnica della forzatura gli agricoltori riescono ad anticipare la produzione dei capolini già in settembre, con notevoli benefici economici vista la scarsa presenza in quel periodo di produzioni provenienti da altre regioni. Il Violetto di Provenza risulta, rispetto al Catanese, più precoce e più produttivo; i capolini presentano una colorazione violetta più intensa, maggior peso specifico, forma conica durante la produzione autunnale e tendente all’ovoidale in primavera. Brindisino e Locale di Mola sono maggiormente coltivati rispettivamente in provincia di Brindisi e di Bari e hanno la prerogativa di produrre, oltre a un buon numero di capolini per il mercato fresco Violetto di Provenza • Pianta con elevata attitudine pollonifera, foglie inermi, steli di altezza media di 70 cm • Capolino di forma ovoidale, mediamente compatto o compatto, dimensioni medie • Brattee esterne di colore violetto con sfumature verdi, raramente con piccola spina apicale • Epoca di produzione: ottobre-maggio, ciclo produttivo lungo (in coltura forzata e con trattamenti di GA3, la raccolta può iniziare in settembre) • Produttività: 18-20 capolini per pianta, di cui 8-10 per il mercato fresco, i rimanenti per l’industria Violetto di Provenza Carciofaia di Violetto di Provenza in ottimo stato 99 11_CarciofoPuglia.indd 99 2-12-2009 15:05:58 paesaggio Carciofo in Sicilia Introduzione Nella coltivazione del carciofo le scelte e gli interventi riguardanti i cicli colturali e/o le cultivar, oltre a interagire in maniera significativa, restano vincolati alla natura e alle caratteristiche dei materiali di propagazione nonché all’epoca in cui questi presentano requisiti di idoneità all’impiego, e cioè per l’impianto di nuove carciofaie. I vincoli sono particolarmente manifesti in Sicilia per la notevole intensità con la quale si esprimono i fattori più caratterizzanti del clima mediterraneo – in particolare l’aridità e le elevate temperature della stagione estiva – che più direttamente interferiscono sulla modulazione del ciclo biologico e di quelli colturali. Le implicazioni agronomiche di tali vincoli risultano notevoli, anche in relazione al particolare profilo biologico della pianta, espressione di un percorso evolutivo che ha avuto luogo nell’ambiente mediterraneo dove si rinvengono ancora, come nel caso della Sicilia, le forme ancestrali dalle quali ha preso origine la coltura. La trattazione dei cicli colturali e delle cultivar rende pertanto necessari brevi richiami sui principali aspetti dell’origine e della diffusione della coltura nell’isola, per i riferimenti che questi hanno avuto e continuano ad avere ai fini della configurazione degli interventi tecnici in grado di dare riscontro alle esigenze della pianta. Sicilia in sintesi • La Sicilia occupa la seconda posizione in Italia per la coltivazione e la produzione di carciofo con 14.270 ha e 159.064 t • Le province di Caltanissetta, con 5800 ha e 66.000 t, e di Agrigento, con 3710 ha e 39.000 t, sono ai primi posti; seguono Catania, Palermo, Siracusa e Ragusa. La coltura si concentra nella Piana di Catania (comuni di Ramacca, Castel di Judica e di Lentini), nei territori di Niscemi e di Gela (CL), nell’area di Menfi (AG), nella Piana di Buonfornello (PA), nel Vittoriese (RG) e nella Piana di Siracusa • Le cultivar che dominano nettamente la scena sono rispettivamente, nella Sicilia orientale, il Violetto di Sicilia (ora sostituito in larga parte dal Violetto di Provenza) e, nella Sicilia occidentale, il Violetto spinoso di Palermo. Se si escludono i pochi ettari destinati ad altri tipi introdotti o a quelli locali, i due Violetti monopolizzano le aree destinate alla cinaricoltura precoce Cenni storici e diffusione La specie più direttamente implicata nell’origine del carciofo (e del cardo) è Cynara cardunculus, la quale è articolata in due sottospecie: cardunculus e flavescens. Quest’ultima sarebbe unica progenitrice delle due colture con le quali condivide alcuni tratti Capolino di varietà primaverile con colorazione intensa delle brattee Piante da “seme” pronte per la raccolta dei capolini 110 12_Sicilia.indd 110 2-12-2009 15:21:44 paesaggio Cultivar Se si esclude l’utilizzazione di C. cardunculus allo stato spontaneo o nell’ambito di infrequenti coltivazioni, la diversità genetica utilizzata in Sicilia per finalità produttive è riconducibile ad almeno quattro fattispecie. La prima è rappresentata da piccoli gruppi di piante coltivate negli orti familiari, soprattutto nelle aree lontane da quelle della cinaricoltura intensiva, utilizzate in riscontro a particolari esigenze o tradizioni. La configurazione prevalente è quella tipica delle piante provenienti da “seme” estremamente disformi, con capolini di diversa forma e colore, con ciclo colturale e produttivo che interessa soprattutto il periodo dalla primavera sino all’autunno. Dopo il primo ciclo da “seme” le piante sono propagate in situ per via vegetativa e mantenute in coltura per più anni. Sotto il profilo morfobiologico le piante e i capolini presentano caratteristiche intermedie tra le forme coltivate e quelle spontanee. Relativamente a queste ultime è da ricordare almeno in Sicilia l’antica pratica di raccolta in situ dei piccoli capolini spinescenti, i quali nella tarda primavera vengono offerti su alcuni mercati locali previa bollitura. Le brattee sono piluccate, cioè staccate singolarmente dal capolino e raschiate tra i denti. La seconda fattispecie anch’essa poco frequente è rappresentata da tipi utilizzati per produzioni da destinare soprattutto ai mercati locali. Le coltivazioni si rinvengono nelle province meno interessate alla cinaricoltura intensiva. I tipi più conosciuti sono domestica di Castelvetrano, verde spinoso di Palermo, Messina, a calice. Il Capolini da germoglio primaverile anticipato Capolino di varietà primaverile dopo la maturazione commerciale Coltivazione di piante propagate per “seme” 118 12_Sicilia.indd 118 2-12-2009 15:21:52 paesaggio Carciofo in Sardegna Introduzione La coltivazione del carciofo in Sardegna ha una tradizione antica, anche se la prima testimonianza scritta, il trattato Agricoltura di Sardegna, pubblicato dal nobile sassarese don Andrea Manca, risale al 1780. La coltura assume una certa rilevanza economica già nella prima metà dell’800, come attesta lo studioso Vittorio Angius nel suo Dizionario geografico che, descrivendo l’economia serramannese, cita il carciofo come “fonte di lucro per i coloni degli orti”. La coltivazione specializzata dell’ecotipo locale Spinoso iniziò negli anni ’20, principalmente nelle zone costiere della provincia di Sassari e di Cagliari, in prossimità delle città capoluogo e dei porti, che garantivano più facili collegamenti e commerci oltremare. Nel 1929 una rilevazione del catasto agrario attesta che la coltura era diffusa su 1231 ettari, un decimo della superficie coltivata in Italia. Tradizionalmente la coltura veniva condotta seguendo il ciclo naturale della pianta; una svolta importante fu l’individuazione, nelle campagne di Bosa, di un ecotipo Spinoso che consentiva di ottenere produzioni anticipate in autunno risvegliando in estate la carciofaia con l’intervento dell’irrigazione. Questo ecotipo, in un primo tempo diffuso nel Sassarese e commercializzato anche nel mercato di Genova, fu introdotto nel Campidano di Cagliari negli anni 1942-43. Successivamente gli agricoltori, attraverso la selezione massale indirizzata ad anticipare e incrementare la produzione, hanno migliorato questo ecotipo originario da cui è derivato l’attuale Spinoso sardo. Oltre all’ecotipo Spinoso era diffuso in Sardegna il Masedu caratterizzato dall’assenza di spine, come attesta il nome che in lingua sarda significa mansueto e inerme. Questa varietà, più pre- Sardegna in sintesi • Con 12.952 ha e 106.860 t, la Sardegna è al terzo posto in Italia per la superficie coltivata e per la produzione totale di capolini • Dopo la recente costituzione delle nuove province, quella di Oristano occupa il primo posto, con 4771 ha e 39.000 t. Seguono Cagliari (3165 ha, 26.000 t) e Sassari, (2627 ha, 23.000 t). Superfici minori si registrano nelle province di Ogliastra, Nuoro, Medio campidano, Olbia-Tempio • La cultivar maggiormente diffusa è Spinoso Sardo. Altra varietà è Masedu. Nei primi anni ’80 è stata introdotta Terom dalla Toscana e agli inizi degli anni ’90 Tema 2000. Dal 2001, soprattutto nel comune di Samassi, è stato introdotto il clone C3, selezione più precoce del Romanesco ottenuta per micropropagazione Gallura Ha 100 Sassari Ha 2680 Nuoro Ha 40 Oristano Ha 1300 Medio Campidano Ha 1900 Sulcis Ha 1015 Spinoso sardo Terom Ogliastra Ha 40 Cagliari Ha 1964 Violetto Romanesco di Provenza C3 Tema 2000 Principali aree di coltivazione del carciofo in Sardegna, varietà diffuse ed entità delle superfici destinate a coltivazione specializzata (Fonte: Agenzia Laore, stagione 2006-2007) Carciofaia di Spinoso sardo in piena produzione 124 13_Sardegna.indd 124 24-11-2009 15:32:11 paesaggio Foto P. Viggiani Pecore al pascolo in una carciofaia a fine ciclo Cagliari, e successivamente in quasi tutti gli areali di coltivazione dove ha trovato ampia diffusione. Dal 2001, soprattutto nel comune di Samassi, è stato introdotto il C3, selezione più precoce del Romanesco ottenuto per micropropagazione. Capolino principale di Masedu Cultivar principali Spinoso sardo. Ha portamento assurgente, elevata attitudine pollonifera e taglia media, compresa fra 80 e 140 cm. Le foglie mostrano una caratteristica eterofillia, per la presenza di foglie a lamina intera, soprattutto nei primi stadi vegetativi. Nelle fasi fenologiche più avanzate, le foglie di dimensioni medie sono lobate o frequentemente pennatosette, spinescenti e dalla colorazione verde intenso. Il capolino è conico, mediamente compatto, di diametro variabile fra 10 e 13 cm e peso medio di 130-200 grammi. Il peduncolo è lungo e di spessore medio. Le brattee esterne sono di colore verde con sfumature violette, hanno forma allungata e apice appuntito terminante con una grossa spina gialla. Le brattee interne sono di colore giallo paglierino e mostrano frequentemente sfumature violette. È una cultivar molto sensibile al freddo e mediamente al marciume dei capolini. Manifesta il problema dell’atrofia, soprattutto laddove venga attuata la tecnica della forzatura e in presenza di alte temperature durante il periodo di differenziazione del capolino. Il ciclo produttivo è lungo, con inizio raccolta generalmente da metà ottobre (precocissimi) a novembre-dicembre (precoci) per concludersi a gennaio-febbraio (tardivi) con una produzione media per pianta, in condizioni ottimali, di 6-8 capolini. Verso marzo-aprile si pratica la raccolta del carciofino. È un’ottima cultivar sia per il consumo a crudo dei capolini e dei peduncoli di primo e secondo ordine, sia per il consumo in cucina, per il gusto marcato e inconfondibile. Ha scarsa attitudine Forzatura • Tale tecnica prevede la ripresa dell’attività vegetativa già a partire dalla fine di giugno-inizio luglio, attraverso un’abbondante irrigazione in grado di riportare alla capacità idrica di campo lo strato di terreno interessato dalle radici. Le esigenze di mercato, che premiano commercialmente produzioni sempre più anticipate, hanno stimolato la generalizzata adozione di questa tecnica nella coltivazione delle varietà rifiorenti. L’elevata incidenza dei capolini atrofici rappresenta un severo limite all’adozione di epoche di impianto o di risveglio troppo anticipate. All’irrigazione è abbinata la concimazione che, nelle primissime fasi di vegetazione, si avvantaggia dei fertilizzanti distribuiti nel pre-impianto o pre-risveglio (colture poliennali) 126 13_Sardegna.indd 126 24-11-2009 15:32:15 paesaggio Carciofo in Campania Introduzione In Campania la coltivazione del carciofo ha origini antiche tanto da farla risalire all’epoca romana, anche se le prime informazioni risalgono al XV secolo. Esse fanno riferimento ai Carciofi di Schito, cioè a quelli prodotti nella zona nota come Orti di Schito, posta alla periferia nord di Castellammare di Stabia e non lontano da Pompei (prov. di Napoli), formata dai depositi di lava e lapilli emessi con l’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. che coprì l’antico lido, il porto e le storiche saline. L’eccezionale valore di questi orti li farà definire “il miglior dono fatto dal Vesuvio con l’eruzione” che seppellì Stabia e Pompei. L’importanza di questo ortaggio crebbe anche grazie alla grande considerazione che acquisì presso la corte napoletana, tanto che si fa risalire a Carlo di Borbone, re di Napoli dal 1734 al 1739, la definizione del carciofo come “re dell’orto”. Campania in sintesi • È al quarto posto con una superficie di 2019 ha e una produzione di 34.663 t • Con quasi 2000 ha la Piana del Sele (SA) è leader regionale. Qui viene coltivato l’ecotipo Tondo di Paestum, che altro non è che il Carciofo di Castellammare, rinominato Carciofo di Paestum • Le lievi differenze morfologiche e dell’epoca di produzione tra il Carciofo di Castellammare, il Campagnano, il Romanesco e il Tondo di Paestum fanno entrare questi ecotipi in un unico gruppo detto dei carciofi Romaneschi, al quale fa riferimento il Disciplinare di Produzione del Carciofo di Paestum IGP Carciofo di Castellammare o di Paestum La coltivazione del carciofo nell’area di Castellammare di Stabia iniziò a specializzarsi a partire dal 1920, quando le piante abbandonarono le aree marginali del giardino o dell’orto per essere coltivate su superfici sempre più ampie, su filari e con sesti d’impianto regolari così come sono giunti fino a noi. Fu così che il Carciofo di Schito divenne sinonimo di Carciofo di Castellammare che, per le sue indubbie qualità, colonizzò altre importanti aree orticole campane come quelle dell’Agro Sarnese-Nocerino, dei Monti Lattari e della Piana del Sele, seguendo le vicende legate alla bonifica di queste aree. Nel 1929, stando ai dati riportati dal Catasto Italiano, in Campania, la superficie • Limitata diffusione ha il carciofo Bianco di Pertosa, inserito fra i Presidi di Slow Food, coltivato su pochissimi ettari in provincia di Salerno. Altro prodotto di nicchia è la varietà Capuanella, coltivata su ridotte superfici in provincia di Caserta e nel comune di Capua, da cui prende il nome Tempio di Nettuno nell’area archeologica di Paestum 136 14_Campania.indd 136 24-11-2009 15:33:57 carciofo in Campania investita a carciofo era di 818 ha e rappresentava il 6,5% del totale nazionale che era pari a 12.600 ha. All’epoca la Sicilia era leader indiscussa con quasi il 40% della superficie nazionale, seguita da Lazio, Toscana e Sardegna. Con l’espansione della coltivazione del carciofo nella Piana del Sele, a partire dagli anni Cinquanta del secolo scorso e dalle aree vicine ai famosi templi, si raggiunse la massima superficie di 3200 ha e una produzione totale di circa 35.000 t alla fine anni Settanta, per stabilizzarsi intorno ai 2500 ha degli anni Novanta, giunti fino ai nostri giorni a rappresentare quasi il 5% della superficie e l’8% della produzione nazionale. Con quasi 2000 ha la Piana del Sele, in provincia di Salerno, e in particolare la zona di produzione di Capaccio-Paestum, è assurta al ruolo di leader regionale. Qui viene coltivato l’ecotipo denominato Tondo di Paestum, il quale altro non è che il Carciofo di Castellammare (ex C. di Schito), che in seguito sarà rinominato Carciofo di Paestum e con questo appellativo viene coltivato prevalentemente anche nei Comuni di Agropoli, Battipaglia, Eboli, Bellizzi, Pontecagnano Faiano e Serre. Carciofo della tipologia Romanesco coltivato in Campania Tipologia Pur essendo in condizioni di ambiente meridionale, la coltivazione del carciofo in Campania è rappresentata esclusivamente da varietà, o meglio da ecotipi, a produzione tardiva o primaverile; cioè da piante che hanno bisogno del colpo di freddo per differenziare l’apice caulinare da vegetativo a riproduttivo ed emettere, quindi, il capolino principale e, a seguire, quelli secondari. Il tentativo di introdurre i tipi di carciofo precoci, detti anche rifiorenti, coltivati in Puglia, Sicilia e Sardegna, non ha mai avuto esito felice per i violenti danni da freddo che subiscono le piante in produzione durante i mesi invernali. Quindi, la classica tipologia di carciofo campano fa riferimento a quella denominata Romanesco, caratterizzata da piante a taglia grande, con grandi foglie basali a formare la rosetta, che può raggiungere il mezzo metro di altezza e quasi un metro con il capolino principale sostenuto da un robusto peduncolo o stelo. Il peso dei capolini principali (comunemente chiamati mamme o mammolelle o mammarelle) varia da 300 a 450 g, mentre i capolini secondari (figli) pesano 150-250 g. I capolini principali hanno forma sferica o leggermente sub-sferica (diametro e altezza intorno a 11 cm) e brattee serrate, mentre i secondari sono tendenzialmente più lunghi con brattee più lasse. I capolini principali presentano il classico foro formato dalle brattee più esterne. Queste sono inermi con apice arrotondato, largamente inciso, di colore verde con sfumature viola e acquisiscono una colorazione rossastra quando vengono coperte con la tipica coppetta di terracotta (pignatta o pignattello) per impedire l’accumulo dell’acqua nel capolino. Le brattee interne han- Carciofo di Castellammare con coppetta di terracotta Capolino del carciofo di Paestum 137 14_Campania.indd 137 24-11-2009 15:33:58 paesaggio Carciofo nel Lazio Introduzione La coltivazione del carciofo nel Lazio riveste un ruolo importante non solo sotto l’aspetto economico ma anche socio-culturale; infatti, secondo il botanico Montellucci, è da attribuire agli Etruschi l’opera di addomesticamento di questa specie a partire dalle popolazioni selvatiche di Cynara cardunculus var. sylvestris (cardo selvatico). Le estese popolazioni selvatiche di questa specie, nella zona collinare tra Civitavecchia e Tolfa fino alle vicinanze di Cerveteri e Tarquinia, e le raffigurazioni di foglie di carciofo in alcune tombe della necropoli etrusca di Tarquinia, confermerebbero queste affermazioni. Anche se questo ortaggio è stato coltivato fin dall’antichità e ha una lunga tradizione nella cucina laziale, le superfici investite a carciofo Romanesco sono rimaste per secoli a livello di semplici orti familiari. I capolini di carciofo Romanesco coltivato nel Lazio sono confluiti sul mercato di Roma soltanto dopo la Prima guerra mondiale, e in particolare quelli prodotti nei dintorni di Ladispoli, Cerveteri e Campagnano. Le cultivar affermate furono il Castellammare, per la sua precocità, e il Campagnano che, pur maturando tardivamente, presentava caratteristiche organolettiche eccellenti. Con l’avvento della riforma agraria la coltivazione del carciofo divenne intensiva, tanto che nel 1950 nel comune di Ladispoli ebbe luogo la prima edizione della Sagra del Carciofo Romanesco. L’eco del successo di questa manifestazione, che si ripete ogni anno all’inizio della primavera, varcò i confini del Lazio e per gli agricoltori si aprirono le porte dei mercati nazionali. A tale manifestazione ne seguirono di analoghe negli altri comuni produttori di Lazio in sintesi • Con 1043 ha e 20.650 t, il Lazio occupa il quinto posto nella graduatoria nazionale. La coltivazione è diffusa prevalemente in provincia di Viterbo (comuni di Montalto di Castro, Canino, Tarquinia), Roma (Civitavecchia, Santa Marinella, Campagnano, Cerveteri, Ladispoli, Fiumicino), Latina (Sezze, Priverno, Sermoneta) • È coltivata quasi esclusivamente la tipologia denominata carciofo Romanesco. I cloni più rappresentativi sono tradizionalmente il Castellammare e il Campagnano. Negli ultimi anni si è largamente diffusa la coltivazione di cloni precoci della tipologia Romanesco (cloni C3 e C4) ottenuti per micropropagazione. Limitata diffusione si riscontra per la cultivar Grato 1, incrocio derivato da libera impollinazione tra Castellammare e Terom • Nel 2002 è stata istituita la IGP Carciofo Romanesco del Lazio Scultura di carciofi effettuata dai cinaricoltori in occasione della Sagra del Carciofo Romanesco di Ladispoli Cardo selvatico in località Sasso, sita nel comune di Cerveteri (Roma) 144 15_CarciofoLazio.indd 144 2-12-2009 16:13:13 paesaggio La produzione del carciofo rifiorente si estende per un periodo che va da ottobre ad aprile, mentre quella del carciofo Romanesco è limitata al periodo febbraio-aprile. Pertanto, la presenza sul mercato del carciofo autunnale in anticipo, e per così lungo tempo, induce un minor interesse da parte del consumatore nei punti di forza (stagionalità e precocità) delle produzioni del carciofo Romanesco coltivato nel Lazio. La diffusione del carciofo Romanesco in altre regioni con condizioni climatiche più favorevoli per esaltare la precocità della cultivar C3 ha accentuato la crisi del carciofo coltivato nel Lazio. Va infine sottolineato che recentemente è iniziata la concorrenza anche dai Paesi esteri quali Spagna, Francia, Egitto e Tunisia, che quindi contribuiscono all’acuirsi della crisi della cinaricoltura laziale. Tale situazione si ripercuote negativamente sul prezzo del carciofo Romanesco e di conseguenza sulla possibilità di espansione di questa coltura nella regione. Dalle considerazioni sin qui esposte risulta evidente che la coltivazione del carciofo Romanesco nelle regioni centrali italiane sarà sempre più destinata a ricoprire un ruolo marginale a livello nazionale. Per innescare un’inversione di tendenza occorrerebbe quindi agire su alcuni aspetti della filiera: a) incrementare le rese unitarie e ridurre i costi di produzione; b) ampliare il calendario di commercializzazione e migliorare la qualità dei capolini; c) attuare nuove strategie di mercato in termini di promozione e commercializzazione del prodotto. Per quanto riguarda il punto a), occorre sottolineare che per conseguire maggiori rese unitarie associate a un minor costo di produzione non si può prescindere dall’impiego di materiale di propagazione qualificato per l’ottenimento di carciofaie omogenee sia sotto il profilo dello sviluppo delle piante sia sotto quello della Confezionamento del Carciofo Romanesco nel Lazio effettuato da cinaricoltori non ricadenti nella zona IGP: capolini privi di foglie e con gambo lungo 10 cm Capolini provvisti di foglie e disposti in cassette alla rinfusa 156 15_CarciofoLazio.indd 156 2-12-2009 16:13:52 coltivazione Ibridi commerciali Foto N. Calabrese Introduzione Attualmente il carciofo è coltivato in tutti i Paesi del Mediterraneo, in California, in alcuni Paesi del Sudamerica, come pure in Cina; ma tradizionalmente l’Italia, la Spagna e la Francia sono sempre state i maggiori produttori e consumatori di carciofi. La moltiplicazione è effettuata solitamente per via vegetativa ed è basata sulla propagazione di cloni selezionati, con discreti risultati produttivi e scarsa omogeneità della produzione. Inoltre, numerosi sono gli svantaggi della moltiplicazione vegetativa: – bassa flessibilità nella data di trapianto; – eterogeneità del materiale utilizzato; – alta percentuale di piante non attecchite; – costi elevati di manodopera; – diffusione delle malattie trasmesse dalla pianta madre. La propagazione per “seme” del carciofo costituisce invece una valida alternativa, contribuendo alla razionalizzazione della tecnica colturale, al miglioramento dello stato fitosanitario delle piante e all’incremento delle produzioni unitarie. I vantaggi ottenuti dall’impiego del “seme”, possono favorire l’espansione della coltura sia negli areali in cui sono evidenti i problemi di natura agronomica e patologica sia in quelli di nuova introduzione. La moltiplicazione per “seme” del carciofo può essere attuata attraverso l’uso di: – cultivar impollinate liberamente (OP, Open Pollinated). Sono popolazioni da seme solitamente selezionate e mantenute at- Opal F1 Madrigal F1 160 16_20_ibridi.indd 160 30-11-2009 11:05:14 coltivazione Concimazione Concimazione, epoca di somministrazione, dosi, produzione, qualità dei capolini La pianta di carciofo presenta ritmi di accrescimento intensi nell’arco del ciclo colturale, eccezione fatta per una più o meno breve stasi vegetativa durante il periodo gennaio-febbraio. Nelle aree dove le temperature invernali diurne non scendono al di sotto della soglia termica cardinale del carciofo, che è 8-9°C, i ritmi di accrescimento sono, invece, pressoché costanti, registrando punte di particolare intensità nei mesi autunnali (varietà autunnali) e tra febbraio e aprile (varietà primaverili). Per poter sostenere questi ritmi di accrescimento e raggiungere un buon livello produttivo, sia sotto l’aspetto quantitativo sia qualitativo, è necessaria, pertanto, un’idonea concimazione, opportunamente integrata dall’irrigazione. Un’insufficiente disponibilità di elementi nutritivi può causare, infatti, una riduzione dell’accrescimento e una produzione di capolini piccoli, con brattee divergenti e stelo fiorale corto ed esile. Un corretto programma di concimazione deve, ovviamente, assecondare i ritmi di asportazione degli elementi nutritivi della coltura e tenere conto delle caratteristiche del terreno, della sua dotazione in elementi fertilizzanti e sostanza organica, nonché delle condizioni meteoriche. Inoltre, è necessario tenere presente la precessione colturale e l’eventuale interramento dei residui colturali. Conoscere il fabbisogno nutritivo della coltura • Per conoscere il fabbisogno nutritivo o eventuali carenze della coltura in un determinato momento, indicazioni utili possono essere dedotte dall’esame del lembo fogliare escludendo la nervatura centrale. In linea di massima una carciofaia di Violetto di Sicilia o Violetto di Provenza, nel corso di un ciclo annuale, asporta da 250 a 300 kg/ha di N, da 40 a 50 kg/ha di P2O5, da 350 a 400 kg/ha di K2O e 140-160 kg/ha di Ca, 50 kg/ha di S e 25-30 kg/ha di Mg. Queste significative asportazioni sono, ovviamente, sostenute da un apparato radicale robusto e sviluppato, in grado di esplorare con efficacia la massa di terreno a disposizione Concimazione organica L’impiego di concimi organici, quando sono disponibili, è sempre consigliabile, in dosi variabili a seconda della natura del terreno e Andamento del peso secco della biomassa epigea nelle cultivar Violetto di Provenza e Romanesco coltivate in Sicilia Biomassa secca (g/pianta) 1400 1200 1000 800 600 400 200 Bella colorazione violacea delle brattee esterne dei capolini in Violetto di Sicilia, conseguenza di una concimazione ben equilibrata 0 Ott Nov Violetto di Provenza Dic Gen Romanesco Feb Mar Apr 172 18_16_Concimazione.indd 172 30-11-2009 11:31:04 coltivazione Dotazioni ottimali si aggirano su 0,8-1,2 ppm, con i valori maggiori nei terreni argillosi e ricchi di humus. Il boro nelle piante svolge il ruolo importante di attivatore e disattivatore degli ormoni della crescita. Stimola anche il trasporto degli zuccheri. Nella sostanza secca delle piante è presente con valori da 15 a 100 ppm. Boro • Nella carenza di questo elemento si osserva una pianta compatta, con stelo raccorciato e con foglie molto increspate. I capolini presentano gli apici delle brattee aperti e di colore verdastro e risultano più piccoli e anche teratologici Molibdeno (Mo). È presente nel terreno in forma libera e assorbibile dalle piante come MoO4-- e nelle analisi del terreno viene riferito come molibdeno disponibile; giuste dotazioni si aggirano tra 0,2 e 0,4 ppm. Il molibdeno è componente sia degli enzimi, che trasformano i nitrati nelle cellule (in particolare la nitratoriduttasi ), quindi alla base della formazione degli amminoacidi, sia di quelli che favoriscono nelle leguminose l’azotofissazione. Nella sostanza secca delle piante è presente da 0,2 a 10 ppm. I sintomi di carenza compaiono sulle foglie più vecchie che risultano ispessite con macchie gialle ai margini. Talvolta si ha anche malformazioni delle foglie che assumono un aspetto ovoidale a cucchiaio. Manganese (Mn). È presente in generale nei terreni in quantità notevolmente superiori al fabbisogno delle piante; può, comunque, non essere disponibile per l’assorbimento nella forma libera e assorbibile dalle piante come Mn2+ a causa del pH troppo elevato del terreno o per l’eccessiva presenza di calcio, elemento antagonista per l’assorbimento. Dotazioni normali si situano tra Carenza di boro. Da notare in particolar modo il raccorciamento dello stelo della pianta e il colore verdastro degli apici delle brattee del capolino Molibdeno • La carenza si manifesta attraverso un ridotto sviluppo delle piante caratterizzate da un colore verde pallido e con stelo molto assurgente rispetto al vigore delle piante che appaiono filate, con internodi più allungati, come se fossero allevate in carenza di luce. Il capolino principale appare nettamente dominante rispetto ai secondari Carenza di mobildeno. Da notare soprattutto l’eccessiva assurgenza dello stelo 184 18_16_Concimazione.indd 184 30-11-2009 11:31:28 coltivazione con le precipitazioni di fine estate, ottenendo una considerevole riduzione del fabbisogno idrico e irriguo; in questo caso la stagione irrigua inizia in settembre-ottobre. Il volume stagionale di irrigazione o fabbisogno irriguo varia in relazione al fabbisogno idrico e all’andamento pluviometrico e può essere calcolato per mezzo del bilancio idrico. Pertanto, nella stessa località e con le medesime condizioni colturali può variare sensibilmente in relazione alle precipitazioni totali e alla loro distribuzione durante il ciclo colturale. Generalmente sono necessari volumi stagionali di irrigazione compresi tra 2000 e 4000 m3/ha. Foto N. Calabrese Metodi irrigui Per il carciofo è molto diffuso il metodo irriguo per aspersione a bassa intensità di pioggia con impianti mobili o stanziali. Questi ultimi trovano utilità anche per l’irrigazione climatizzante (antigelo e per ridurre la temperatura e il deficit di pressione di vapore dell’aria responsabili dell’atrofia dei capolini). Per quest’ultimo scopo trova utile applicazione anche il metodo irriguo localizzato a bassa pressione a spruzzo. Tuttavia negli ultimi anni si è sempre più diffuso il metodo irriguo localizzato a goccia con ali disperdenti adagiate sul terreno lungo i filari, disponendo i gocciolatori a distanze variabili in funzione della tessitura dei terreni. Per evitare ostacoli alla meccanizzazione delle operazioni colturali si ricorre spesso alla sospensione, al di sopra della coltura, delle ali gocciolanti che vengono sostenute da apposite intelaiature, Piantina in fase di attecchimento con irrigazione a goccia Particolare dell’impianto di irrigazione a goccia Panoramica di una carciofaia irrigata con il metodo della irrigazione localizzata 194 19_17_Irrigazione.indd 194 30-11-2009 11:48:38 coltivazione Parassiti animali Foto R. Angelini Introduzione Il carciofo è attaccato in Italia da un centinaio di specie di parassiti animali appartenenti a Nematodi, Gasteropodi, Insetti e Roditori. Sulla coltura è però presente un notevole complesso di nemici naturali che contribuiscono a limitare i danni dei fitofagi. L’importanza dei singoli fitofagi dipende dall’area di coltivazione del carciofo e dalle tecniche colturali adottate. L’anticipazione degli impianti, con messa a dimora degli ovoli a fine giugno e raccolta dei capolini a partire da fine ottobre, espone infatti la carciofaia agli attacchi più intensi di alcuni fitofagi (afidi, nottue) rispetto alle colture tradizionali con raccolta più tardiva. Gli insetti più dannosi, che richiedono abitualmente interventi fitoiatrici, sono gli afidi e alcuni lepidotteri come la nottua del carciofo e la depressaria dei capolini, ma sulle colture anticipate possono risultare importanti gli attacchi di Nottuidi polifagi. In alcune aree carcioficole possono essere riscontrati danni da fitofagi secondari (lepidotteri, coleotteri e ditteri) e da parte di molluschi Gasteropodi e arvicole. Afidi e formiche su capolino di carciofo Foto R. Angelini Foto R. Angelini Capolino attaccato da Gortyna xanthenes Foto R. Angelini Larva e danno di depressaria Adulto di punteruolo su stelo di carciofo 200 20_23a_Parassiti.indd 200 30-11-2009 11:55:07 parassiti animali sale longitudinale e di una conchiglia interna a forma di scudo ovale allungato. La maturità sessuale viene raggiunta in circa 20 mesi; le uova sono deposte nel terreno e schiudono dopo 30-40 giorni. La limaccia è attiva di notte e nelle giornate nuvolose con alta umidità relativa, mentre di giorno si rintana sotto le pietre o altri rifugi. Si nutre con avidità delle foglie e dei capolini, su cui determina perforazioni ampie e profonde. Anche un’altra limaccia molto simile, di colore nero, Milax nigricans, può essere dannosa per il carciofo in alcune regioni italiane. Difesa da insetti e molluschi La protezione integrata del carciofo si basa su mezzi colturali, su alcuni interventi meccanici e su trattamenti insetticidi. Le rotazioni e lo spianto annuale della coltura riducono le popolazioni di fitofagi legati all’apparato radicale (per es. nematodi, larve di Pentodon punctatus, Cleonis pigra, Gortyna xanthenes, Cossus cossus). La distruzione dei capolini attaccati dalla depressaria durante la fase di raccolta manuale e l’eliminazione della parte epigea delle piante a ciclo pluriennale prima che le larve della nottua del carciofo raggiungano la base del rachide possono dare un notevole contributo al controllo di questi due parassiti “chiave”. Il rischio di danno da parassiti animali, che dipende dalla forzatura delle piante e dall’epoca di produzione, rende tuttavia generalmente necessario il ricorso alla lotta chimica. I principali parassiti si riscontrano soprattutto in autunno ed è in questo periodo che vanno effettuati gli interventi insetticidi e molluschicidi, tenendo conto della scalarità della raccolta e orientandosi su prodotti specifici e a breve intervallo di sicurezza. L’impiego di mezzi di rilevamento degli adulti può dare un aiuto decisivo per stabilire la necessità e il periodo di intervento contro i lepidotteri dannosi. Adulto della limaccia Milax gagates Danni su un capolino causati da Milax gagates Erosioni sulle brattee di un capolino causate da giovani chiocciole 213 20_23a_Parassiti.indd 213 30-11-2009 11:56:18 coltivazione Roditori Introduzione Le caratteristiche organolettiche del carciofo rendono la pianta molto gradita ai roditori. Le innovazioni colturali adottate negli ultimi anni in carciofaia, pur migliorando alcune fasi produttive, hanno purtroppo favorito l’azione dannosa delle arvicole. Nel primo anno di impianto i danni causati dalle arvicole sono in genere molto contenuti, non prevalenti rispetto ad altre cause e abbastanza localizzati in aree limitate e sparse del campo. Già nel secondo anno di produzione, il danno da arvicole tende a essere quello prevalente (esperienze di campo, nel Foggiano, hanno evidenziato una mortalità delle piante coltivate inferiore all’1% nel primo anno di produzione, fino anche al 6-7% nel secondo anno di produzione). Le arvicole rodono le radici del carciofo e, più frequentemente, scavano una galleria nel mezzo del fusto, a cominciare dal terreno e per tutta la sua lunghezza raggiungendo, spesso, la base del capolino. In seguito a questa attività, la pianta subisce un rapido disseccamento. Tipicamente, il disseccamento interessa più piante di carciofo vicine lungo la fila. Raramente si possono osservare sintomi di erosione direttamente sul capolino. Arvicola del Savi • Le caratteristiche morfologiche distintive della specie sono: corpo lungo poco meno di 10 cm a cui si aggiungono circa 3 cm di coda; peso, al massimo, di 20 g; muso arrotondato; occhi piccoli; orecchie ridotte e poco visibili in quanto nascoste dal pelo delle guance; mantello di colorazione grigiastra tendente al rossiccio, più scuro nella parte dorsale posteriore; zampe relativamente corte; coda provvista di peli corti e sottili Arvicola del Savi (Microtus savi) Questo roditore è incluso nel gruppo dei topi campagnoli definiti a coda corta. Tale specie è distribuita su tutto il territorio italiano, dal mare fino a quote montane, con l’eccezione della Sardegna. Questa arvicola è adattata alla vita sotto terra e compie rapidi e brevi spostamenti sul terreno soprattutto quando è protetta dalla vegetazione (erbe infestanti e piante di carciofo), dall’oscurità e da altre coperture; è incapace di arrampicarsi sugli alberi o compiere salti L’individuo appare tanto tozzo e massiccio a riposo quanto allungato e snello durante corsa e vari spostamenti Apertura utilizzata dall’arvicola 214 21_23b_Roditori.indd 214 30-11-2009 12:03:01 coltivazione Malattie Introduzione Le malattie crittogamiche del carciofo sono state oggetto di un’ampia ed esauriente relazione di Antonio Ciccarone in occasione del 1° Congresso Internazionale di Studi sul Carciofo, a Bari, nel 1967. Nonostante da allora siano trascorsi ben oltre quarant’anni si può senz’altro affermare che nel frattempo la ricerca in questo settore non ha fatto registrare sostanziali progressi, se non per quanto riguarda la lotta contro alcune delle principali fitopatie della composita. Pertanto, qui viene oggi proposta una disamina delle malattie economicamente più rilevanti con particolare riferimento agli aspetti epidemiologici salienti e alle possibili strategie di lotta. Malattie del carciofo • Il carciofo costituisce una delle produzioni orticole di maggiore rilievo per l’Italia meridionale. L’esame della situazione fitopatologica mette in evidenza che alcuni problemi sono tuttora irrisolti anche perché sono pochi i fungicidi registrati su tale coltura. Le malattie del carciofo più pericolose sono quelle causate da patogeni del terreno, in particolare i marciumi del colletto e la verticilliosi, a causa, soprattutto, della propagazione, essenzialmente di tipo agamico (ovoli e carducci), di questa composita Oidio o mal bianco o nebbia (Leveillula taurica f.sp. cynarae – forma conidica Ovulariopsis cynarae) Il fungo responsabile di questa patologia è comunissimo in tutti i Paesi carcioficoli del bacino del Mediterraneo ove può causare danni ingenti. In Italia la malattia appare particolarmente grave nelle colture primaticce, che sono oggigiorno le più diffuse per l’alto reddito ricavabile dalla raccolta precoce dei capolini. Le prime infezioni si manifestano di norma verso la prima decade di settembre, raggiungendo la massima intensità nel mese di ottobre e nella prima decade di novembre. Col sopraggiungere Foto I. Ponti Sezione di un cleistotecio di L. taurica f.sp. cynarae Esito di un grave attacco di mal bianco Foto I. Ponti 50M Conidio di Ovulariopsis cynarae 218 22_21_Malattie.indd 218 14-12-2009 12:52:25 coltivazione Marciume dei capolini (Botrytis cinerea) Il marciume dei capolini era concordemente ritenuto, sia in Italia sia in diversi altri Paesi carcioficoli, di scarsa importanza in pieno campo ma assai temibile dopo il raccolto. In quest’ultimo decennio, però, esso è andato estendendosi nelle carciofaie in forma sempre più grave fino ad assumere oggigiorno proporzioni allarmanti. I sintomi della malattia consistono in marciume e imbrunimento dei capolini che, in seguito, si ricoprono di una muffa grigiobrunastra. Non v’è dubbio che l’insorgenza degli attacchi botritici sia correlata col verificarsi di lesioni sui capolini per le cause più disparate, quali attacchi di Bremia lactucae, insetti, molluschi; a nostro avviso, però, la causa principale di tali lesioni è rappresentata dagli improvvisi abbassamenti termici. In conseguenza di questi sbalzi, infatti, sulle brattee si formano areole necrotiche, localizzate di solito intorno alla base della spina, e spesso lacerazioni dell’epidermide cui segue talvolta il distacco della stessa. Attraverso dette lesioni il patogeno si instaura con facilità nei tessuti del capolino provocandone il marciume in tempi anche relativamente brevi, in concomitanza di periodi con umidità elevata e specialmente con temperatura mite. Un altro fattore, non meno importante, che ha contribuito a far aumentare l’incidenza del marciume dei capolini in pieno campo è rappresentato dalla mutata tecnica colturale del carciofo. Capolino di carciofo con evidenti fruttificazioni di Botrytis cinerea Marciume dei capolini • L’esposizione dei capolini alle gelate del periodo autunno-vernino provoca aree necrotiche e lacerazioni dell’epidermide sulle brattee, favorendo la penetrazione del patogeno nei tessuti del capolino che, in tempi relativamente brevi, marcisce. Attacchi anche lievi in pieno campo possono trasformarsi in ingenti perdite di prodotto quando, alla raccolta, i capolini vengono posti nelle cassette per essere spediti verso le località di smercio Pianta di carciofo i cui capolini mostrano sintomi di marciume da Botrytis cinerea 222 22_21_Malattie.indd 222 14-12-2009 12:52:31 coltivazione Virosi Introduzione In una recente rassegna curata da Martelli e Gallitelli, sono state elencate 24 specie virali isolate da carciofo, appartenenti a dieci generi e una alla famiglia Rhabdoviridae. Gran parte di esse è stata rinvenuta in Europa o in Paesi che si affacciano sul bacino del Mediterraneo, mentre una minoranza di reperti ha riguardato il Brasile (Artichoke latent virus, Tobacco streak virus, Tobacco rattle virus), gli USA (California) (Artichoke curly dwarf virus, Artichoke latent S virus, Tomato infectious chlorosis virus, Tomato spotted wilt virus), l’Argentina e l’Australia (Tomato spotted wilt virus). Solo in alcuni casi si tratta di virus che infettano in modo specifico il carciofo, mentre la maggioranza è patogena di un numero più o meno elevato di altre specie, coltivate e spontanee. Caratteristica comune a più agenti infettivi è, invece, la frequente asintomaticità delle infezioni o, nei casi in cui è visibile una risposta sintomatologica, questa è spesso condizionata dalla presenza di più virus nella medesima pianta, da fattori ambientali, dalle tecniche colturali e dalla varietà di carciofo. In questa sede sono fornite indicazioni sugli aspetti eco-epidemiologici delle principali virosi che infettano il carciofo e sulle possibilità di intervento. Caratteristiche dei fitovirus • I fitovirus o virus delle piante sono entità infettive la cui forma matura consiste di particelle di forma sferica o più o meno allungata e flessuosa, costituite da acido nucleico racchiuso e protetto da un involucro proteico. L’acido nucleico costituisce il genoma e la parte infettiva del virus e può essere DNA o RNA, a singolo o doppio filamento. La gran parte dei fitovirus possiede un genoma costituito da RNA a singolo filamento: una molecola fortemente soggetta a mutazioni, il che giustifica la grande variabilità esistente tra questo gruppo di patogeni delle piante. L’involucro proteico o capside virale racchiude e protegge l’acido nucleico dall’attacco di enzimi ed è fondamentale sia per il movimento del virus all’interno della pianta, sia per la sua trasmissibilità da un ospite all’altro Artichoke latent virus (ArLV) Tra i virus che infettano in modo specifico il carciofo, ArLV è di gran lunga il più diffuso in tutte le aree di coltivazione della • Per svolgere il proprio ciclo vitale, i fitovirus hanno bisogno di una cellula ospite viva e, pertanto, sono da considerarsi patogeni obbligati. Tuttavia, le particelle virali sono sufficientemente stabili per restare a lungo infettive in varie matrici, anche morte, come i residui vegetali o il terreno Foto N. Calabrese Carciofaia in ottimo stato fitosanitario 232 23_22_Virosi.indd 232 30-11-2009 12:13:21 coltivazione positivi con altre specie virali dello stesso genere con le quali AMCV è imparentato. Difesa da Artichoke mottled crinckle virus (AMCV) Tomato spotted wilt virus (TSWV) TSWV è una specie del genere Tospovirus, famiglia Bunyaviridae ed è tra i virus di più recente segnalazione su carciofo. È un virus ubiquitario e polifago, tanto che la gamma di ospiti suscettibili comprende un migliaio di specie in diverse famiglie botaniche e include colture di rilevante importanza economica come peperone, lattuga, pomodoro, melanzana, patata, tabacco, cicoria, endivia e carciofo. TSWV è trasmesso in modo persistente propagativo dal tripide Frankliniella occidentalis che, comunque, non è il suo unico vettore. Il virus è acquisito solo dalle neanidi di prima e seconda età ma non dagli adulti, che possono solo trasmettere il virus acquisito in precedenza dalle neanidi e successivamente moltiplicatosi nell’insetto. Gli adulti non possono acquisire nuovo virus, anche se si alimentano su piante infette, per una particolare conformazione del canale alimentare. In questo caso, il virus è semplicemente ingerito ma non sembrerebbe rilevante ai fini della trasmissione, anche se è stata paventata la possibilità che le particelle virali presenti nelle deiezioni degli insetti possano stabilire nuove infezioni, penetrando nell’ospite attraverso ferite o aperture naturali. Gli individui adulti possono continuare a trasmettere il virus per tutta la durata della loro vita; in media 35-40 giorni. Non sono riportati casi di trasmissione transovarica alle successive generazioni di individui viruliferi, ma la loro permanenza in campo, anche dopo l’espianto della coltura, espone al rischio di infezioni anche le colture successive. Numerosi sono stati gli isolamenti italiani, a partire dal 1992. Come in altre essenze, anche nel carciofo il fenotipo della • Per la lotta, si può solo ricorrere a lunghe rotazioni perché la persistenza dell’inoculo nel terreno rende poco utile il ricorso a germoplasma sano di cui, tuttavia, è consigliabile l’impiego per il nuovo impianto al termine della rotazione Eco-epidemiologia di TSWV • Nelle condizioni dell’Italia meridionale, il virus è trasmesso da Frankliniella occidentalis nel periodo primaverileestivo e da Thrips tabaci in quello autunno-invernale. Le uova deposte nelle foglie e nelle brattee schiudono in 2-14 giorni, in dipendenza della temperatura, e le neanidi di prima età iniziano immediatamente l’alimentazione sulla stessa pianta, dalla quale, se infetta, possono già acquisire il virus. Anche le neanidi di seconda età possono acquisire il virus che continua a replicarsi e può essere trasmesso per tutta la vita dall’adulto dell’insetto Evidenti malformazioni fogliari e ridotto accrescimento di una pianta infetta da TSWV Necrosi delle nervature osservabile in una foglia di carciofo infetta da TSWV. La necrosi delle nervature provoca arresto della distensione del lembo fogliare con conseguente curvatura dell’asse fogliare 236 23_22_Virosi.indd 236 30-11-2009 12:13:28 coltivazione Interazioni virus-pianta A seguito dei progressi nella comprensione di come sono disposti ed espressi i geni della maggior parte dei virus che infettano le piante, l’interesse dei ricercatori si è ora spostato sugli aspetti dell’interazione fra virus e ospite, con particolare riferimento ai meccanismi attraverso i quali si sviluppano sintomi e malattia. Gran parte di tali studi è condotta su piante modello come Arabidopsis thaliana, una crucifera dotata di un genoma di piccole dimensioni e completamente noto. Sono diffusamente utilizzate anche varie specie di Nicotiana, tra cui il tabacco, che sono piante infettate da un gran numero di virus, molto diversi. Su tali piante-modello è anche possibile effettuare trasformazioni genetiche così da poter studiare, nel dettaglio, la funzione di singoli geni del patogeno, avendoli isolati dal contesto della pianta infetta nella quale, a vari livelli, agiscono anche tutti gli altri geni virali. A tale proposito va però specificato che il comportamento del singolo gene può variare se messo in condizione di esprimersi da solo rispetto al più ampio e armonico contesto di un complesso processo infettivo. Si va infatti chiarendo che soprattutto i fattori definiti “di patogenicità”, coinvolti, cioè, nella induzione della malattia, assolvono a più di una funzione, e che tali funzioni possono essere rivelate solo in presenza del virus in replicazione attiva nella pianta ospite e non già attraverso un gene singolarmente espresso. Un’alternativa alla transgenesi è quella basata sull’uso di vettori virali, cioè virus il cui corredo genetico è stato modificato per portare all’interno della cellula ospite geni di un altro virus in modo da poterne studiare la funzione. Questo tipo di approccio, definito “transiente” presenta il vantaggio, rispetto a quello transgenico, di essere più flessibile perché uno stesso vettore virale può essere usato per veicolare geni differenti ma, comunque, non risolve il problema della Trasformazione genetica • Per trasformazione genetica o transgenesi si intende l’integrazione stabile di una sequenza di DNA nel genoma di una pianta. Da questa operazione si ottengono piante note come transgeniche o OGM. In agricoltura, la transgenesi è generalmente proposta per conferire vantaggi alle piante come un incremento della produttività o del livello di resistenza ai patogeni, ma può anche essere un valido sistema di studio genico oggi utilizzato da molti laboratori di ricerca Piantine di carciofo Brindisino risanato esitate dall’attività di premoltiplicazione e pronte per la distribuzione ai vivaisti 240 23_22_Virosi.indd 240 30-11-2009 12:13:34 virosi mancanza di un contesto di infezione. Anche se il vettore virale genera un processo infettivo, spesso asintomatico, esso è però diverso da quello del virus da cui è stato prelevato il gene che si vuole studiare attraverso l’espressione transiente. Altre indagini sono invece condotte direttamente sulle piante di interesse agrario nella prospettiva che da tali studi possano anche derivare informazioni utili per combattere la malattia. Queste piante, di cui non è noto, o è noto solo in parte, il genoma, rendono più complicati gli approcci sperimentali ma spesso portano, per puro caso, alla scoperta di aspetti di un certo interesse, soprattutto applicativo. Nel caso del carciofo, è stata appunto casuale la scoperta che piante infette da due virus differenti come Artichoke latent virus (ArLV) e Artichoke Italian latent virus (AILV), sottoposte a risanamento mediante coltura in vitro di apici meristematici, risultassero risanate da ArLV ma non da AILV. Per risanare le piante anche da AILV si è dovuto fare ricorso a un doppio trattamento consistente nella coltura di apici meristematici preceduta o seguita da un trattamento di termoterapia, cioè di esposizione delle piante ad alta temperatura. La coltura in vitro di apici meristematici è stata proposta come tecnica utile al risanamento del carciofo ma, se buoni risultati Espressione “transiente” • A differenza dell’espressione genica costitutiva realizzata con la transgenesi, quella transiente è un tipo di espressione che non produce una pianta transgenica, ma che consente di effettuare studi sulla funzione di specifici geni trasportati momentaneamente da un vettore all’interno della pianta. Per queste finalità, sono spesso usati vettori virali per la loro capacità di invadere sistemicamente l’ospite e consentire la valutazione del gene in tessuti diversi della pianta Protocollo per il risanamento da infezioni virali di varietà rifiorenti di carciofo mediante coltura di apici meristematici e termoterapia in vivo e in vitro Pianta infetta Termoterapia in vitro Prelievo dell’apice meristematico Termoterapia in vivo Acclimatazione dei carducci a 30 °C (30 giorni) Problema della perdita di precocità • Si è visto che la coltura di apice Insediamento (30 giorni) Moltiplicazione (30 giorni) Esposizione dei carducci a 38 °C (150 giorni) Esposizione degli espianti della prima subcoltura a 38 °C (15 giorni) Prelievo dell’apice meristematico Prelievo dell’apice meristematico Moltiplicazione mediante tre subcolture (90 giorni) Insediamento (30 giorni) Moltiplicazione mediante tre subcolture (90 giorni) Radicazione (45 giorni) meristematico, ancorché non sempre efficiente nel risanare il carciofo dalle infezioni virali, produce, come effetto collaterale, la perdita delle caratteristiche di precocità delle cultivar rifiorenti. Questo effetto indesiderato sembra essere il risultato dell’eccessivo numero di subcolture in terreni agarizzati ricchi di ormoni a cui sono sottoposti gli espianti per incrementarne il numero. Il problema sembra risolvibile se si contiene in due o tre il numero di subcolture Insediamento (30 giorni) Radicazione (45 giorni) Acclimatazione (30-40 giorni) Tempo totale necessario circa 358 giorni Acclimatazione (30-40 giorni) Tempo totale necessario circa 280 giorni 241 23_22_Virosi.indd 241 30-11-2009 12:13:35 coltivazione Flora spontanea Foto M. Curci Introduzione La particolare epoca di impianto della carciofaia, nel pieno della stagione estiva, rende questa coltura diversa dalle altre ortive da pieno campo, anche dal punto di vista della diffusione delle erbe infestanti. Generalmente le lavorazioni di preparazione del letto di semina consentono di rinettare il terreno all’atto dell’impianto, così come il diserbo di pre-trapianto, nel caso si utilizzino carducci, o di pre-emergenza, nel caso si utilizzino ovoli. In assenza di diserbo la prima tipologia di infestazione che apparirà nella coltura comprende le specie annuali che nascono, grazie soprattutto all’irrigazione, durante la stagione estiva. A questo tipo di flora seguirà quella della stagione autunno-invernale che invaderà la carciofaia all’inizio della produzione e che verrà sostituita dalle specie che nasceranno durante la primavera e l’estate nell’anno successivo all’impianto. Intanto anche le specie poliennali e quelle perenni avranno l’opportunità di insediarsi nella carciofaia, specialmente nelle zone del Centro-Nord nelle quali la durata della coltura si protrae più a lungo di quella delle altre zone d’Italia. In definitiva nel corso della vita della carciofaia si possono prevedere le tre seguenti tipologie di flora selvatica: a) flora estiva dell’anno di impianto e di quelli successivi; b) flora autunno-primaverile dell’anno di impianto e successivi; c) flora annuale o poliennale che si sviluppa prevalentemente negli anni successivi a quello di impianto, durante tutte le stagioni. Carciofaia infestata da senape selvatica nel Brindisino Foto R. Angelini Tappeto di acetosella gialla in una carciofaia del Brindisino Carciofaia fortemente infestata 246 24_18_Flora.indd 246 14-12-2009 13:19:52 flora spontanea Avena selvatica (Avena sterilis). Le avene sono conosciute sin dall’antichità; il nome pare derivi dal sanscrito avasa e sottolinea l’uso come foraggio che ne facevano i popoli antichi. Queste piante sono state accostate spesso, da poeti e scrittori, alle vicissitudini umane, come nel Colloquio sentimentale del poeta Paul Verlaine, che così recita: “Nel vecchio parco gelido e deserto sono appena passate due forme… Andavano così tra l’avena selvatica, e le loro parole le udì solo la notte”, e gli fa eco il nostro D’Annunzio, nell’Alcyone (La spica). “... Ma la vena selvaggia, ma il ciano cilestro, ma il papavero ardente, con lei cadranno, ahi, vani su le secce...”. Diffusione di avena selvatica nelle principali regioni produttrici di carciofo Foto R. Angelini Diffusione assente o sporadica discreta presenza elevata presenza Becco di gru (Erodium spp.). Il frutto è composto da un’appendice appuntita, come il becco di una gru o di un airone (dal greco erodium = airone), formata dall’insieme di molti “becchi” allungati e sottili che portano alla base un seme. A maturità l’appendice del frutto si sfilaccia, i becchi si staccano, indipendenti, attorcigliandosi a cavaturacciolo, cadono sul terreno e, in base alle variazioni di umidità dell’aria, si allungano (srotolandosi) e si accorciano (riarrotolandosi), in un movimento lento ma progressivo, mediante il quale si conficcano nel terreno e trasportano così i semi alla profondità adatta per la loro germinazione. Le specie più diffuse sono b. d. g. comune (E. cicutarium) e b. d. g. malvaceo (E. malacoides). Diffusione di becco di gru nelle principali regioni produttrici di carciofo Diffusione assente o sporadica discreta presenza elevata presenza Becco di gru comune Becco di gru malvaceo 251 24_18_Flora.indd 251 14-12-2009 13:20:01 gestione delle malerbe Diserbo Al pari di tutte le altre colture agrarie, anche per quella del carciofo è sempre stata molto sentita dagli orticoltori l’esigenza di attuare il diserbo, cioè l’eliminazione o almeno il contenimento delle malerbe, al fine di diminuirne il più possibile gli effetti dannosi. Solo difendendo opportunamente la coltura, infatti, diviene possibile salvaguardarne il potenziale produttivo sotto l’aspetto sia quantitativo sia qualitativo e, nel caso della coltura poliennale, ottenere una durata della carciofaia che sia più economicamente conveniente. Le problematiche di diserbo richiedono soluzioni che non sono sempre facili da attuare, specialmente per i cinaricoltori delle aree irrigue meridionali che praticano la coltivazione forzata; in tal caso, infatti, data la lunghezza del ciclo colturale, che può arrivare fino a 270-300 giorni, è conseguentemente più esteso il periodo di tempo durante il quale la coltura può risultare suscettibile alla competizione delle malerbe che iniziano appunto a emergere già nel periodo estivo. Gestione delle malerbe nell’antichità • Troviamo nella Bibbia la necessità di difendere le coltivazioni dalle malerbe; nel Vecchio Testamento (Genesi, 3, 18), infatti, si legge che Dio disse ad Adamo: “… Maledetta sia la terra per causa tua. Spine e cardi ti produrrà”, mentre nel Nuovo Testamento (Matteo, 13, 17) è scritto: “Parte del seme (di grano) cadde tra le spine, le spine crebbero e lo soffocarono” e in una parabola: “Il Regno dei cieli si può paragonare a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo. Ma mentre tutti dormivano venne il suo nemico, seminò zizzania in mezzo al grano e se ne andò” (Matteo 13, 24-25). Anche nel mondo latino, nelle Georgiche, Virgilio riporta che “… inutile domina il loglio (zizzania) e la sterile avena”; “… alta si sporge la felce nemica dell’aratro”, e ancora come “… ogni anno bisogna per tre-quattro volte sarchiare il terreno”, in altre parole togliere le malerbe nate nella coltura. Columella, nel De re rustica, afferma: “... ma a me sembra l’indicazione di un’agricoltura povera il permettere alle erbacce di crescere fra le colture, poiché i raccolti diminuiscono fortemente...” Metodi di diserbo Nei confronti delle erbe infestanti che inerbiscono le coltivazioni di carciofo sono attualmente praticabili metodologie di diserbo di tipo sia indiretto sia diretto, la cui gestione può avvenire anche in maniera integrata. Metodi indiretti. I metodi di diserbo indiretti, definiti anche preventivi, sono tutti quelli che tendono in generale a prevenire le infestazioni di malerbe, in modo che sia evitato l’arrivo nei campi di semi di nuove infestanti o comunque di altri organi di riproduzione di tipo vegetativo (bulbi, rizomi, stoloni ecc.) delle stesse e/o non avvenga la proliferazione delle specie di malerbe già presenti, specialmente se di tipo perenne. In altri termini, i metodi preven- Principali componenti che influenzano l’ottimizzazione del diserbo Erbicidi Mezzi di distribuzione Tecnica colturale Normative comunitarie e nazionali Caratteristiche del terreno Rotazione Flora infestante 269 25_19_malerbe.indd 269 2-12-2009 16:37:46 ricerca Miglioramento genetico Francesco Saccardo Nuove selezioni in Toscana Romano Tesi Biotecnologie Raffaela Tavazza, Paola Crinò, Giorgio Àncora, Mario Augusto Pagnotta Propagazione e innovazione Irene Morone Fortunato, Claudia Ruta Spinoso sardo Maria Cadinu, Anna Maria Repetto Tecnica vivaistica Fabio Micozzi, Bernardo Pace, Nicola Calabrese Risanamento da virus Marina Barba 26_29_MiglioramentoGenetico.indd 285 14-12-2009 13:28:27 ricerca Miglioramento genetico Introduzione Il carciofo (Cynara cardunculus var. scolymus) è una delle più importanti colture ortive prodotte sul territorio nazionale, con 50.120 ha coltivati e una produzione lorda vendibile che supera i 500 milioni di euro. Negli ultimi anni, il settore cinaricolo presenta tuttavia alcune problematiche legate principalmente: – alla comparsa sul mercato di prodotti provenienti dall’estero, in particolare dalla Francia e dall’Egitto; – alla mancanza di varietà iscritte al Registro Nazionale MiPAAF; – alla difficoltosa gestione agronomica della coltura a causa della variabilità del germoplasma tradizionale, costituito in genere da popolazioni eterogenee; – all’assenza di un’attività vivaistica innovativa; – all’elevato costo di manodopera richiesta per le cure colturali e la raccolta. Inoltre, il calo dei prezzi, dovuto al fatto che l’offerta per ogni tipologia è per lo più limitata a un arco di tempo piuttosto breve, la ridotta diversificazione varietale esistente e la commercializzazione di un prodotto non qualificato rappresentano ulteriori problemi della coltura. Nuove prospettive possono essere fornite dal miglioramento genetico mediante la costituzione di nuove cultivar che meglio rispondano alle esigenze di produzione (uniformità, attitudine alla raccolta meccanica) e di mercato (precocità) e mediante l’utilizzo di sistemi razionali di gestione dei tradizionali materiali di propagazione e l’impiego di nuove tecniche vivaistiche. La resistenza a stress abiotici e biotici (in particolare a Verticillium dahliae) dovrebbe consentire la coltivazione del carciofo anche in aree sottoposte a stress diversi. Principali caratteri del carciofo • Apparato radicale fittonante con rizoma (organo di riserva) • Fiori ermafroditi violacei in infiorescenza (capolino) • Brattee larghe inermi o spinescenti • Gineceo con ovario infero monoloculare, lungo stilo e stigma bifido • Androceo con cinque stami liberi e antere saldate tra loro • Polline bianco avorio riunito in piccole masse compatte • Impollinazione entomofila e proterandria del fiore • Fioritura scalare e centripeta nel capolino • Parte edule costituita dal capolino • Frutti (acheni) duri, globosi con abbondante pappo per la disseminazione Coltivazione per la produzione di “seme” Foto R. Angelini 286 26_29_MiglioramentoGenetico.indd 286 14-12-2009 13:28:29 miglioramento genetico Risorse genetiche L’Italia presenta il più ricco pool genico coltivato di carciofo per lo più rappresentato da un elevato numero di ecotipi o cloni, propagati vegetativamente e il cui nome richiama generalmente le zone di origine. Tuttavia, la biodiversità presente a livello locale è tuttora poco conosciuta, tanto da determinare confusione sia nella terminologia sia nella classificazione del germoplasma disponibile. Esiste, infatti, un ampio numero di popolazioni che prendono il nome dalla rispettiva zona di coltivazione, pur non essendo sempre geneticamente differenziate tra loro. Per esempio, è il caso del carciofo Cupello (capolino di colore violaceo, grande e carnoso) che, pur prendendo il nome dalla località di coltivazione, sin dalla fine degli anni ’50, è genotipicamente rappresentato dalla popolazione Campagnano che, assieme a quella denominata Castellammare, concorre alla produzione della tipologia Romanesco. Anche per il Pian di Rocca, il genotipo coltivato è rappresentato dal clone Terom e non da uno specifico ecotipo locale. Il germoplasma di carciofo può essere oggi raggruppato e classificato secondo differenti criteri, fondamentalmente basati sulle caratteristiche morfologiche del capolino quali la forma, il colore delle brattee, la presenza o assenza di spine, o sull’epoca di produzione, autunnale e primaverile. In base alle caratteristiche del capolino, le risorse genetiche coltivate sono state suddivise nelle seguenti tipologie principali: – Spinosi, caratterizzati da lunghe spine sulle brattee e sulle foglie; – Violetti, con capolini viola di medie dimensioni e produzione autunnale; – Romaneschi, con capolini più o meno globosi e produzione primaverile; Fiore di carciofo Capolini di carciofo (in alto) e di cardo coltivato (in basso) Diverso colore di infiorescenze di carciofo 287 26_29_MiglioramentoGenetico.indd 287 14-12-2009 13:28:31 miglioramento genetico nali. Recentemente, attraverso programmi mirati di miglioramento genetico, sono stati ottenuti ibridi F1 italiani derivati dall’incrocio di linee inbred fertili e cloni maschiosterili utilizzati come piante portaseme. Le autofecondazioni ripetute in carciofo determinano però fenomeni di depressione da inbreeding con conseguenze negative sul vigore della pianta, sulla superficie fogliare, sull’altezza dello stelo, su numero e dimensione dei capolini commerciali, sulla qualità e quantità del polline e sul numero di semi vitali. Talvolta la depressione da inbreeding compare già alla seconda autofecondazione mentre, in altri casi, alla III-IV autofecondazione, gli effetti possono essere talmente severi da dover rinunciare alla produzione di linee inbred. In contrasto con i fenomeni di inbreeding, gli incroci tra cloni di carciofo determinano elevata eterosi, espressa chiaramente in biomassa e produzione. È stato notato un impressionante vigore ibrido nelle combinazioni di incrocio tra carciofo e cardo. La strategia seguita per l’ottenimento di ibridi F1 presenta le seguenti fasi: 1) realizzazione di variabilità genetica ottenuta mediante clonazione, autofecondazione, incrocio intra/interspecifico e mutagenesi; Coltivazione di carciofo in serra Capolini di ibridi F1 commerciali (in basso) e in via di sviluppo (in alto) Sami Sami Madrigal Madrigal Concerto Opal 293 26_29_MiglioramentoGenetico.indd 293 14-12-2009 13:28:49 biotecnologie nata per caratteristiche fisiologiche e produttive di pregio, con un processo di propagazione vegetativa simile a quello della talea. Contrariamente alle tecniche tradizionali di propagazione, che si effettuano in serra o in campo, la micropropagazione viene condotta in condizioni strettamente asettiche e con l’impiego di camere di crescita caratterizzate da parametri di luce e temperatura controllati. Terreno di coltura • Per la coltura in vitro si utilizzano substrati agarizzati composti da una miscela di sali minerali comprendenti macro- e microelementi, una fonte di carbonio (generalmente saccarosio o glucosio) e una serie di composti organici addizionali quali vitamine, ormoni ecc. Principali fasi della micropropagazione A partire dalla coltura in vitro di un meristema, o di un apice vegetativo, è possibile ottenere un germoglio che, in opportune condizioni di coltura, viene indotto a proliferare sviluppando le gemme ascellari presenti alla base di ogni foglia. I germogli proliferati, dopo diversi cicli di moltiplicazione, possono essere successivamente indotti a formare le radici mediante trasferimento su un terreno di coltura idoneo, originando una piantina completa. Il passaggio della pianta dalla coltura in vitro alla serra è partico- • Ogni fase del processo (coltura del meristema, sviluppo, moltiplicazione e radicazione dei germogli) richiede specifici terreni di coltura. La coltura del meristema richiede generalmente un terreno povero con basse dosi ormonali, mentre le fasi di moltiplicazione e di radicazione richiedono substrati più ricchi con concentrazioni più elevate di ormoni Principali fasi della micropropagazione 3) 4) 2) 5) 6) Vantaggi della micropropagazione • Ottenimento di copie identiche della pianta madre (clonazione) • Superamento di difficoltà nella moltiplicazione vegetativa di alcune specie 7) • Rapidità di ottenimento di un gran numero di piante • Necessità di quantità ridotte di materiale 1) di partenza 9) • Assenza di condizionamento ambientale • Sanità dei materiali ottenuti 8) 1) Meristema prima della sterilizzazione. 2) Meristema in coltura. 3) Germoglio. 4) Trasferimento e moltiplicazione in vitro. 5) Allevamento in camere di crescita. 6) Germoglio con gemme ascellari. 7) Fase di radicazione. 8) Adattamento alle condizioni in vivo. 9) Sviluppo di pianta in campo 305 28_30_Biotecnologie.indd 305 30-11-2009 13:17:52 propagazione e innovazione ospite. I funghi AM sono abbondantemente distribuiti nell’ecosistema naturale e agrario e producono micorrize in quasi tutti i campi coltivati. L’alta reattività mostrata dal carciofo lo prefigura come modello per l’applicazione di queste biotecnologie in agricoltura. Produzione di micorriza e mantenimento delle piante stock • Il fungo micorrizico del genere Glomus Micropropagazione di tipologie precoci di carciofo Catanese, Brindisino, Locale di Mola La prima attività vivaistica per il carciofo nasce negli anni Ottanta. In quegli anni la micropropagazione veniva sempre più applicata alla propagazione su larga scala delle piante di interesse agrario. Esempio di interazione fra strutture di ricerca (ENEA) e territorio (Cerveteri, Ladispoli) è l’utilizzo di piantine micropropagate delle tipologie di carciofo tardivo, tutt’oggi una realtà che ha consentito la moltiplicazione e la distribuzione agli agricoltori di cloni di diverse cultivar come il C3. Tale tecnologia ha trovato un’ampia applicazione sulle cultivar tardive; complesse si sono rivelate le problematiche relative alla micropropagazione di tipologie precoci di carciofo, sia in relazione alle fasi di radicazione e ambientamento, sia per le difficoltà riscontrate nella coltivazione in pien’aria. produce clamidospore che si trovano nel suolo o nelle radici, isolate o riunite in sporocarpi. La biotrofia obbligata determina la necessità di avere piante in vaso sulle cui radici possa vivere in simbiosi il fungo. Circa 20 spore, prelevate con l’aiuto di uno stereomicroscopio da un terreno infetto, vengono poste intorno alle radici di una piantina ospite sterile (fragola, cipolla, trifoglio) su un substrato sterile (sabbia di fiume). Dopo 3 o 4 mesi si ottiene una produzione di migliaia di spore, con cui continuare le colture stock Schema della micropropagazione e della micorrizazione di tipologie precoci di carciofo mediterraneo. M-: apparato radicale non micorrizato; M+: apparato radicale micorrizato Vitro Serra Micorrizazione Numero subcolture: 4-5 Moltiplicazione Radicazione M– Dimensioni apice: 5-6 mm M+ Stabilizzazione Ambientamento Confronto apparato radicale dopo due mesi 315 29_27b_Micropropagazione.indd 315 30-11-2009 13:25:48 ricerca Tecnica vivaistica Introduzione La propagazione del carciofo è ancora attuata per via agamica, per mezzo di carducci, ovoli, parti di rizoma o ceppaia, spesso autoprodotti dagli stessi agricoltori, che utilizzano per l’impianto materiale prelevato direttamente da carciofaie coltivate per la produzione dei capolini senza fare ricorso a tecniche particolari. Il materiale utilizzato per la moltiplicazione è caratterizzato da notevole variabilità in ordine a età, stadio fisiologico, forma, dimensione, posizione sulla pianta madre, numero di gemme presenti ecc. Ciò ha portato nel tempo alla comparsa di gravi problemi di carattere agronomico e patologico con ricadute negative per i produttori, anche di tipo economico. È infatti evidente un lento e progressivo peggioramento delle potenzialità produttive delle carciofaie e delle caratteristiche qualitative dei capolini; i produttori lamentano che la coltura non risponde all’impiego dei più moderni mezzi tecnici di coltivazione con adeguati incrementi produttivi. Questa situazione risulta più accentuata nelle realtà produttive orientate verso produzioni precoci, che sono quelle maggiormente diffuse su tutto il territorio nazionale. Solitamente si attribuisce la ridotta produttività della coltura al fenomeno della stanchezza del terreno, ma questa, pur verosimile, non considera altri aspetti di fondamentale importanza, quali la mancata applicazione di metodi di selezione del materiale genetico, il risanamento del materiale stesso e la necessaria razionalizzazione della tecnica di propagazione. Attività vivaistica del carciofo • Nonostante la notevole importanza economica del carciofo, per questa specie manca una consolidata attività vivaistica in grado di fornire piantine sane e di buona qualità da impiegare per l’impianto, che possa garantire rispondenza alla normativa vigente, uniformità del materiale di propagazione, conformità alle caratteristiche varietali e, in definitiva, assicurare produttività e sanità delle coltivazioni Carciofaia nel Foggiano Foto R. Angelini 332 31_25_TecnicaVivaistica.indd 332 2-12-2009 16:48:26 ricerca Piante madri risanate Coltivazione di piante madri risanate. Le piante sono state poste in vasi di plastica da 50 l impiegando come substrato una miscela di torba bruna e di torba bionda nel rapporto 2/3 e 1/3; questa combinazione ha fornito i migliori risultati in termini di velocità di crescita e peso dell’apparato radicale. L’apporto idrico e nutrizionale è stato assicurato da fertirrigazione con distribuzione per singolo vaso con spaghetto. Capitozzatura della pianta madre Capitozzatura delle piante madri. La capitozzatura si effettua quando le piante madri presentano le seguenti caratteristiche morfologiche: diametro del fusto al colletto ≥ 35 mm; 13-15 foglie ben sviluppate con lamina fogliare superiore a 30 cm di lunghezza e buon apparato radicale. Tale intervento, effettuato in modo da salvaguardare l’integrità del rizoma, stimola la pianta all’emissione di un elevato numero di germogli (carducci). Pianta madre capitozzata Emissione di germogli (carducci) Pianta con numerosi carducci pronti per il prelievo 336 31_25_TecnicaVivaistica.indd 336 2-12-2009 16:48:38 utilizzazione Trasformazione industriale Giancarlo Colelli Nicola Calabrese 33_ProdottiTrasformati.indd 347 30-11-2009 15:11:41 utilizzazione Trasformazione industriale Introduzione L’industria di trasformazione utilizza prevalentemente i capolini più piccoli, raccolti a mano, senza l’ausilio del coltello, di solito in aprile e maggio, quando i prezzi sono più bassi. La trasformazione avviene con l’impiego di processi fisici, chimici e biotecnologici. Nei prodotti tradizionali i processi fisici sono prevalentemente basati sulla variazione di temperatura (trattamenti termici, surgelazione), mentre quelli chimici utilizzano acidi organici per abbassare il pH del liquido di governo, o il sale per abbassare l’attività dell’acqua. I processi biotecnologici consistono nella produzione di acido lattico attraverso la fermentazione, spontanea o controllata, condotta da batteri. I prodotti trasformati sono prevalentemente destinati al consumo diretto o al catering. In alcuni casi invece costituiscono un semilavorato da destinare a successive preparazioni. In genere i trasformati sono prodotti stabilizzati termicamente in diversi liquidi di governo (olio di oliva o di semi, salamoia, in qualche caso aceto) e sono di solito caratterizzati da vita commerciale molto lunga (anche superiore all’anno) e da livelli qualitativi dipendenti dal tipo di lavorazione, dalla ricetta utilizzata e dalla sua formulazione. Il trattamento termico stabilizzante incide spesso pesantemente sugli aspetti nutrizionali ed organolettici del prodotto trasformato, con il risultato finale che questo, seppur in varia misura, differisce notevolmente dal prodotto di partenza. Con la surgelazione si ottengono prodotti dalle caratteristiche organolettiche simili a quelli freschi e con elevato contenuto in servizio; sono però caratterizzati da vita commerciale più breve rispetto al prodotto appertizzato, e, soprattutto, necessitano della catena del freddo durante la distribuzione e la commercializzazione in grado di rispettare i livelli termici ottimali (<–18 °C) di conservazione. Carciofi trasformati • La trasformazione dei prodotti ortofrutticoli ha avuto in passato, come obiettivo principale, quello di estenderne la conservabilità per lungo tempo e consentirne l’uso anche in periodi di assenza del prodotto fresco. Attualmente, diverse sono le esigenze del consumatore moderno in termini di qualità, servizio, valore nutrizionale, facilità di preparazione e comodità d’uso. Tutto ciò ha maggiore valenza per il carciofo, la cui produzione nazionale copre un ampio periodo, da ottobre a maggio, e la preparazione per l’impiego culinario è spesso lunga e laboriosa. Numerosi sono infatti i prodotti trasformati del carciofo: le tradizionali conserve in olio o in salamoia (preparate in molteplici ricette), le preparazioni per il catering, i surgelati, i prodotti pronti all’uso, freschi o cotti Foto R. Angelini Capolini di ottima qualità pronti per la trasformazione 348 33_ProdottiTrasformati.indd 348 30-11-2009 15:11:42 trasformazione industriale Foto R. Angelini Carciofi sottolio • I carciofi sottolio (generalmente di girasole o di oliva) sono di solito commercializzati in vasi di vetro con coperchio a chiusura ermetica, contenenti ciascuno, a parità di capacità, un numero di cuori che varia a seconda della dimensione dei capolini, i quali sono indicati come TPS (piccolissimi), TP (piccoli), TM (medi), T (normali) e TSN (super normale). Recentemente sono stati introdotti sul mercato cuori preparati alla brace, grigliati, alla giudìa e conditi con diverse spezie ed erbe aromatiche Carciofi sottolio pallettizzate e stoccate. Questo prodotto possiede una completa edibilità, brattee esterne di colore giallo, prive di striature verdi. Se si desidera un prodotto sottolio dotato di elevate caratteristiche organolettiche, occorre impiegare carciofi allo stato fresco. Alle operazioni di lavaggio e cernita segue la scottatura, chiamata comunemente blanching, effettuata in acqua bollente per 10-20 minuti, in base alla grandezza del capolino. Successivamente si procede alla tornitura dei capolini e al riempimento dei contenitori che, nel caso di vendita al dettaglio, sono vasi di vetro di diverse dimensioni. L’olio viene aggiunto al prodotto a temperatura di circa 90 °C. Alla sigillatura sottovuoto segue la pastorizzazione. Il prodotto viene successivamente confezionato in cartoni, stoccato o immesso direttamente alla vendita. Scottatura • L’operazione di scottatura (blanching) è un trattamento termico indispensabile per stabilizzare i prodotti trasformati, anche surgelati. L’utilizzo delle basse temperature, infatti, non è sufficiente a conservare definitivamente tali alimenti in quanto il freddo rallenta i processi enzimatici ma non li arresta totalmente. Spesso l’operazione di blanching viene effettuata immergendo il prodotto in acqua bollente per il tempo necessario all’inattivazione enzimatica, di solito alcuni minuti. Nel carciofo si adopera acqua acidulata con acido citrico a una concentrazione compresa tra 0,7 e 1,5%. Tali condizioni favoriscono un colore delle brattee più attraente, ma possono modificare le caratteristiche organolettiche del prodotto, che risulta leggermente acido. La scottatura può essere effettuata anche utilizzando direttamente il vapore surriscaldato Carciofo surgelato La produzione di cuori surgelati inizia con la fase di tornitura seguita dall’immediata immersione in acqua acidulata con lo 0,5-1% di acido citrico o ascorbico, la cui presenza è necessaria per evitare fenomeni di imbrunimento sulle superfici di taglio. Da questo momento in poi la lavorazione generalmente si divide in linee parallele, alimentate con calibri diversi. I cuori sono prelevati dalla vasca di raccolta attraverso un elevatore a tazze forate e inviati alla scottatrice. Il prodotto viene immerso in acqua bollente per un tempo prestabilito grazie a un trasportatore a coclea; dopo la scottatura il prodotto viene sgrondato e preraffreddato. I cuori di carciofo di pezzature medie e grandi sono poi tagliati a metà o in spicchi; a tal fine, sulla linea, sono inserite apposite taglierine. Inoltre sono prodotti anche i fondi (ricettacoli) che vengono usati specialmente in Francia per la preparazione di piatti tipici. Al termine del raffreddamento, un elevatore porta i carciofi su di un banco di cernita per l’eliminazione del prodotto non idoneo, e quindi alla surgelazione. Questa viene effettuata preferibilmente in impianti continui con circolazione di 351 33_ProdottiTrasformati.indd 351 30-11-2009 15:11:49 utilizzazione Cuori dopo la scottatura Cuori di carciofo pronti per la surgelazione aria a –40 °C dal basso verso l’alto. In questo modo si ottiene una pseudo-fluidizzazione del carico che sfrutta tutta la superficie del prodotto per lo scambio termico e che, con la continua agitazione del prodotto, evita che i cuori congelino ammassandosi tra loro. La durata della surgelazione varia con la dimensione del prodotto e con il tipo di impianto; in genere è compresa tra 15 e 20 minuti. Dallo scarico del surgelatore il prodotto viene inviato alle confezionatrici e poi stoccato in cartoni in cella frigorifera a −30 °C. Di recente sono state poste in commercio altre tipologie di surgelati, come i carciofi in pastella pronti da friggere, le crêpe, i cannelloni ripieni con fettine e pezzetti di carciofo, i ravioli e carciofi saltati in padella, per le quali si utilizza la nuova tecnologia stir-fry, in cui anche il liquido usato per la cottura contiene piccoli pezzi di cuori. Alimentazione delle linee di lavorazione Prodotti innovativi Le recenti tendenze dell’industria di trasformazione sono rivolte alla soddisfazione delle esigenze dei consumatori verso prodotti caratterizzati da aspetti nutrizionali e organolettici il più possibile simili al prodotto fresco, e al contempo caratterizzati da praticità d’uso e di risparmio di tempo per la preparazione/cottura, tipiche del prodotto trasformato. I prodotti pronti all’uso, denominati anche IV e V gamma, rispondono in maniera esaustiva a tali esigenze. Con il termine IV gamma si intendono i prodotti ortofrutticoli freschi, lavati, tagliati, confezionati e pronti all’uso, mentre la V gamma prevede anche trattamenti termici; per entrambi la conservazione avviene a 2-4 °C, con la catena del freddo. Il periodo di conservazione della IV gamma è di solito di 4-7 giorni, mentre la V gamma può essere conservata anche per alcuni mesi. Questi prodotti, pur presentando notevoli vantaggi rispetto ai trasformati tradizionali, implicano una maggiore complessità del ciclo produttivo e la disponibilità di impianti di alto livello tecnologico. Cuori di carciofi preparati a macchina Cuori preparati a mano immersi in soluzione antiossidante 352 33_ProdottiTrasformati.indd 352 30-11-2009 15:11:52 mondo e mercato Carciofo nel mondo Vito Vincenzo Bianco, Nicola Calabrese Carciofo in Spagna Ignacio Macua, Inmaculada Lahoz Carciofo in Francia Cristophe Bazinet, Marc Eric Pavillard, Chrystelle Jouy Carciofo in Tunisia Toufik Ouselati, Ismail Ghezal Carciofo in Egitto Mahmoud Sharaf-Eldin Carciofo in Marocco Mohamed Razine Carciofo in Turchia Benìan Eser, Atnan Uğur Carciofo negli Stati Uniti Daniel Leskovar, Mohammad Abdul Bari Carciofo in Argentina Stella Maris Garcia Carciofo in Perú Santiago Fumagalli Galli, Andres Casas Diaz Carciofo in Cile Costanza Jana Ayala Aspetti commerciali Roberto Piazza, Duccio Caccioni 34_35_Diffusione.indd 357 30-11-2009 15:28:48 carciofo nel mondo Produzione di carciofo nel mondo Produzione (.000 t) 1980 1985 1990 1995 2000 2005 2007 Italia 598 418 487 517 515 470 474 Spagna 288 269 428 251 285 189 215 Argentina 59 77 72 75 85 88 90 Egitto 29 41 74 40 35 70 74 Perú 1 1 0,9 1,9 4 68 72 Cina - - - 14 16 55 65 Francia 103 55 97 63 64 50 55 Marocco 33 18 17 35 41 53 52 USA 43 61 51 37 40 38 41 Algeria 14 3 6 7 40 37 37 Cile 18 15 21 17 24 32 34 Grecia 44 32 34 25 26 35 25 Tunisia 13 11 12 22 17 12 19 Mondo 1254 1017 1323 1146 1330 1323 1317 Capolini di Violetto di Provenza in cassette di cartone si registra un incremento notevole delle superfici, che sono decuplicate negli ultimi cinque anni, raggiungendo 4200 ha nel 2007. Per la produzione totale, dopo Italia e Spagna, seguono nell’ordine Argentina, Egitto, Perú e Cina. La Francia, a causa della bassa produzione unitaria (5,3 t/ha in media), è relegata al settimo posto. Carciofaia in Spagna 359 34_35_Diffusione.indd 359 30-11-2009 15:28:49 mondo e mercato Completano la graduatoria dei primi dieci Paesi produttori Marocco, USA e Algeria. Per quanto riguarda il calendario del periodo di raccolta, è opportuno premettere che la tecnica colturale e le caratteristiche varietali influenzano notevolmente il calendario di raccolta in tutti gli areali di coltivazione. In genere, nei Paesi che si affacciano sul bacino del Mediterraneo, la produzione dei capolini comincia in autunno, prosegue durante l’inverno con modalità che dipendono dalle condizioni climatiche, in alcune zone può anche interrompersi, raggiunge il culmine in primavera e termina di solito a fine maggio. Differisce notevolmente il calendario di produzione delle regioni della Francia del Nord; in queste zone, infatti, le condizioni climatiche particolari consentono la raccolta dei capolini durante la stagione estiva; pertanto la Francia può produrre carciofi tutto l’anno. Situazione simile si osserva in California (USA), dove le favorevoli condizioni climatiche delle diverse aree di coltivazione e le differenti tecniche colturali permettono l’offerta di capolini sul mercato interno durante l’intero anno. Nei Paesi del Sudamerica, l’epoca di produzione va da metà aprile a inizio dicembre e corrisponde al periodo autunnale-primaverile. In Perú, invece, la produzione si ottiene durante tutto l’anno, perché le due grandi aree di coltivazione, la zona costiera e la sierra andina, coprono nel loro insieme tutti i mesi. Questa situa- Carciofi Blanca de Tudela al mercato di Madrid Calendario del periodo di raccolta in vari Paesi Nazione Gen Feb Mar Apr Mag Giu Lug Ago Set Ott Nov Dic Italia Spagna Francia Nord Francia Sud Grecia Egitto Tunisia Algeria USA Cina Turchia Argentina Cile Perú costa Perú sierra 360 34_35_Diffusione.indd 360 30-11-2009 15:28:51 carciofo nel mondo Tonnellate Evoluzione della produzione totale del carciofo in Italia 800.000 700.000 600.000 500.000 400.000 300.000 200.000 100.000 0 Italia Superficie: 49.952 ha (Superficie: 49.952 Produzione totale: 517.999ha t Produzione totale: 517.999 t) 1960 1970 1980 1990 2000 2008 Anni damento ricalca quello osservato per la superficie, pur tenendo conto della notevole influenza sulla produzione delle condizioni climatiche verificatesi nelle singole annate. La produzione unitaria del carciofo in Italia è aumentata fino alla metà degli anni ’70, e leggermente diminuita nei vent’anni successivi. La tendenza alla riduzione della produzione areica si è consolidata nell’ultimo decennio, nonostante siano migliorati notevolmente la tecnica colturale (soprattutto per quanto riguarda la fertilizzazione e l’irrigazione) e il controllo dei parassiti. Attualmente le regioni in cui il carciofo è maggiormente diffuso sono la Puglia con 17.085 ha e 173.448 t di capolini, la Sicilia (14.270 ha e 159.064 t) e la Sardegna (12.952 ha e 106.860 t), che insieme rappresentano il 90% della superficie totale coltivata e l’85% della produzione nazionale. Presenze significative della coltivazione del carciofo si registrano anche in Campania (2019 ha e 34.663 t) e Lazio (1043 ha e 20.650 t). Puglia Superficie: 17.085 ha Produzione totale: 173.448 t Sicilia Superficie: 14.720 ha Produzione totale: 159.064 t Evoluzione della produzione del carciofo in Italia Sardegna Superficie: 12.952 ha Produzione totale: 106.859 t 1,4 1,2 t/ha 1,0 Campania Superficie: 2019 ha Produzione totale: 34.663 t 0,8 6,0 4,0 Lazio Superficie: 1043 ha Produzione totale: 20.650 t 2,0 0,0 1960 1970 1980 1990 2000 2008 Anni 365 34_35_Diffusione.indd 365 30-11-2009 15:28:57 mondo e mercato Carciofo in Spagna Introduzione L’introduzione del carciofo in Spagna è probabilmente dovuta agli Arabi. Testimonianze riportano che nell’XI secolo erano coltivate piante di carciofo (chiamato al-kharchaf, da cui il termine spagnolo alcachofas) provenienti dal Nordafrica, più piccole di quelle attuali, di cui si utilizzavano sia i capolini sia lo stelo fiorale tenero. Nella seconda metà del XII secolo, Ibn al-Awwan riporta che gli orticoltori andalusi avevano selezionato e migliorato la tipologia delle piante, incrementando la dimensione, l’omogeneità fenotipica e il numero di capolini prodotti. Attualmente la coltivazione del carciofo occupa una superficie di circa 16.000 ha, con una produzione di oltre 200.000 t. Più dell’85% dei capolini raccolti è destinato alla trasformazione industriale, mentre la quota restante è esportata allo stato fresco (13.910 t nel 2008) o commercializzata sul mercato nazionale. Nel 1990 la superficie coltivata superava i 30.000 ha; successivamente è diminuita e in particolare un calo notevole è stato osservato a partire dal 2005. Questo, però, non ha provocato una riduzione altrettanto significativa della produzione, che negli ultimi quattro anni si è mantenuta abbastanza costante, attorno alle 200.000 t. La produzione unitaria è in media di circa 12 t/ha, con valori più elevati nelle regioni di Murcia e Alicante, dove la produzione media supera le 20 t/ha grazie all’ampia durata del periodo di raccolta. La zona di produzione si concentra prevalentemente lungo la costa del Mediterraneo: fra tutte spicca la regione di Murcia, con 6500 ha, seguita dalla Comunità Valenciana (3860 ha), dall’Andalusia (2484 ha) e dalla Catalogna (1492 ha). Esiste infine un altro nucleo di importanza significativa, quello situato nella valle dell’Ebro, formato da Navarra e La Rioja (circa 1200 ha). L’impor- Spagna in sintesi • Il carciofo occupa una superficie di circa 16.000 ha, con una produzione di oltre 200.000 t • Più dell’85% dei capolini raccolti è destinato alla trasformazione industriale, mentre la quota restante è esportata allo stato fresco o commercializzata sul mercato nazionale • Le aree di produzione sono concentrate lungo la costa del Mediterraneo: la regione di Murcia con 6500 ha è al primo posto, seguita da: Comunità Valenciana (3860 ha), Andalusia (2484 ha), Catalogna (1492 ha) e Valle dell’Ebro, Navarra e La Rioja (circa 1200 ha) • La produzione si basa sostanzialmente sulla cultivar Blanca de Tudela o popolazioni da essa derivanti: Monqueline nella zona di Valencia o Aranjuez nella zona di Madrid, entrambe in progressivo abbandono. Modesta è la presenza di cultivar di provenienza francese, Macau e Calico Verde, con capolini di colore verde, e Violetto di Provenza, Tema e Calico Rosso, con brattee di colore violetto. Recentemente sono state introdotte su piccole superfici cultivar propagate per “seme”: Imperial Star, Lorca e A-106 Evoluzione delle superficie coltivata • Due denominazioni di origine: ettari DO Alcachofa de Benicarló (Comunità Valenciana), per la commercializzazione allo stato fresco, e IGP Blanca de Tudela, per la commercializzazione allo stato fresco e trasformato 19.500 19.000 18.500 18.000 17.500 17.000 16.500 16.000 15.500 15.000 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 Fonte: MAPA, 2008 370 35_36_CarciofoSpagna.indd 370 14-12-2009 13:34:25 carciofo in Spagna tonnellate Evoluzione della produzione totale 350.000 300.000 250.000 200.000 150.000 100.000 50.000 0 2002 Paesi Asturie Cantabria BaschiNavarra La Rioja 6,9% Catalogna Castiglia 3,4% 0,1% e Leon 0,1% Aragona Madrid 0,7% Comunità Estremadura Castiglia Valenciana La Mancia 1,1% 23,6% Baleari 0,4% Murcia Andalusia 39,7% 15,2% Galizia 2003 2004 2005 2006 2007 2008 Canarie Ceuta Fonte: MAPA, 2008 Melilla Superficie coltivata a carciofo suddivisa per regioni (Fonte: MAPA, 2008) tanza di quest’area è data non tanto dalla quantità della produzione, quanto dal fatto che in questa zona, nelle vicinanze della città di Tudela in particolare, si produce il materiale di moltiplicazione destinato a rifornire tutte le aree cinaricole nazionali. Negli ultimi anni le esportazioni del carciofo conservato (in salamoia o sottolio) sono in diminuzione, mentre le importazioni sono aumentate in modo significativo, principalmente dal Perú (21% del totale delle esportazioni di questo Paese). La maggior parte dei carciofi conservati importati in Spagna viene rilavorata e successivamente esportata. Lo stesso avviene con il carciofo congelato, per il quale si registra l’aumento delle importazioni, mentre le esportazioni sono stabili e sono dirette soprattutto negli Stati Uniti e, in misura minore, in Italia, Francia, Germania. Per il prodotto fresco si registra, invece, uno scarso livello di importazioni (240 t nel 2008), soprattutto dalla Francia, sostanzialmente quando manca la produzione interna (da luglio a settembre), e un livello costante di esportazioni per tutto il resto dell’anno. Evoluzione dell’esportazione di carciofo trasformato 120.000 tonnellate 100.000 80.000 60.000 40.000 20.000 0 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 Conservato Carciofaia della cultivar Blanca de Tudela in piena produzione Congelato 371 35_36_CarciofoSpagna.indd 371 14-12-2009 13:34:25 mondo e mercato Carciofo in Francia Introduzione Il carciofo sarebbe stato introdotto in Francia da Caterina de’ Medici, ma più probabilmente questo avvenne in occasione delle Guerre d’Italia. Gli emigranti francesi contribuirono in seguito alla sua introduzione in Argentina nel XVIII secolo (varietà Frances), poi in Louisiana nella metà del XIX secolo (varietà Créole). Situata al 3° posto in Europa e al 7° posto nel mondo, la produzione di carciofo in Francia ammonta oggi a circa 55.000 t, ed è suddivisa prevalentemente tra il dipartimento della Bretagna (82%) a nord-ovest, sulle coste dell’oceano Atlantico, e quello del Languedoc-Roussillon (14%), a sud-ovest, sul Mediterraneo. Dopo una riduzione considerevole negli anni ’90, la coltivazione del carciofo tende a consolidarsi. Questo fenomeno tiene conto da una parte dell’accresciuta diversificazione dell’offerta di acquisto degli ortaggi, che comprende ora anche i prodotti pronti al consumo, e dall’altra delle modifiche sociali e culturali dei consumatori e delle loro abitudini alimentari. Storicamente la Bretagna rimane la principale zona di produzione (80-85%), anche se è passata progressivamente dalle 93.147 t del 1968, alle 74.855 t del 1978, fino a circa 40.000 t del 2008. La coltivazione si estende nella zona costiera da Brest a SaintMalo e per circa 10 km verso l’interno, dove le piante di carciofo trovano le condizioni favorevoli per la crescita: clima oceanico con scarse variazioni termiche o idriche, terreni fertili e ricchi di limo e inverni poco rigidi. La coltivazione è essenzialmente concentrata in questa regione in due dipartimenti, Finistère e Côtes d’Armor, che riuniscono 1298 produttori (7218 ha) suddivisi rispettivamente tra le associazioni SICA Saint Pol de Léon e L’Union des Coopératives de Paimpol et de Tréguier. Più precisamente, l’82% della produzione bretone della cultivar Castel, il 62% del Petit Violet de Provence e il 57% del Camus sono realizzati nelle aziende del Finistère. Introdotta nel 1966 nel Roussillon (sud-ovest, zone costiere del Mediterraneo), la cultivar Blanc Hyérois (comprendente Francia in sintesi • Con una produzione di circa 55.000 t di capolini, la Francia si colloca al 3° posto in Europa e al 7° posto nel mondo. La superficie coltivata è di poco superiore ai 10.000 ha. La coltivazione è diffusa prevalentemente tra il dipartimento della Bretagna (82%) e quello del Languedoc-Roussillon (14%) • Le cultivar attualmente più diffuse sono: – Camus de Bretagne, coltivata in Bretagna, nei dipartimenti del Finistère e Côtes-d’Armor, rappresenta il 75% della produzione – Castel, derivata dal Camus per autofecondazione, copre il 30% della produzione bretone – Petit Violet de Provence. L’epoca di produzione è autunnale e primaverile nell’ambiente del Mediterraneo (Roussillon, Provenza, Alpi-Costa Azzurra), ed estiva in Bretagna – Blanc Hyérois. L’epoca di produzione è esclusivamente primaverile (marzo-giugno) in zona mediterranea (Roussillon); rappresenta il 60% della produzione del bacino mediterraneo Evoluzione della produzione francese di carciofo (tonnellate) 1989 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 96.958 63.605 61.249 71.735 49.846 59.612 50.149 53.034 50.662 Bretagna 75.588 48.506 45.226 58.066 37.005 46.535 40.687 40.207 41.473 Languedoc-Roussillon 12.303 11.553 12.576 10.426 9711 9830 7173 10.373 6833 Provenza-Alpi-Costa Azzurra 4552 1691 1720 1702 1692 1764 1251 1113 1121 Francia di cui Fonte: Agreste 378 36_37_CarciofoFrancia.indd 378 30-11-2009 15:53:57 carciofo in Francia Foto BBV, C. Bazinet Nord-Pas de Calais Gros Vert de Laon Picardie Gros Vert de Laon Bretagne Camus de Bretagne Castel Petit Violet de Provence Bouches-du-Rhône Petit Violet de Provence Roussillon Blanc Hyérois (Popvert, Calico) Varietà di carciofo coltivate nelle principali zone di produzione anche Popvert e Calico) rappresenta il 70% della produzione, che si estende intorno a Perpignan tra 250 aziende su circa 660 ha di terreni fertili e irrigui (noti come “regatiu”). Il Violet de Provence rappresenta il 25% della produzione della zona mediterranea. Quanto alla cultivar Gros Vert de Laon, è oggi principalmente coltivata da una decina di produttori su circa 4 ettari, nelle terre fresche e umifere del Marais Audomarois (Saint-Omer). Raccolta meccanizzata Cultivar Le cultivar presenti attualmente in Francia sono riprodotte agamicamente; le più diffuse sono: – Camus de Bretagne (Macau - 1825): varietà a produzione tardiva (maggio-novembre), pianta poco ramificata, con capolini verdi, tondeggianti e di grosse dimensioni (300-800 g). Coltivata essenzialmente in Bretagna, nei dipartimenti del Finistère e Côtes-d’Armor, rappresenta il 75% della produzione francese. I capolini sono consumati cotti, di solito bolliti in acqua. – Castel (creazione Inra 1995): cultivar derivata dal Camus per autofecondazione, molto adatta alle condizioni pedo-climatiche bretoni e di dimensione maggiore (500-800 g). Copre il 30% della produzione bretone. – Petit Violet de Provence (VP45 creazione Inra 1968): varietà precoce, pianta ramificata, produce capolini medio-piccoli (150-300 g), di forma conico-cilindrica con brattee di colore violetto. L’epoca di produzione dipende dalle zone di coltivazione: autunnale (settembre-dicembre) e primaverile (marzo-maggio) nell’ambiente del Mediterraneo (Roussillon, Provenza-Alpi-Costa Azzurra), ed estiva in Bretagna. I capolini sono consumati Filiera ortiva bretone • Al primo posto in Francia, la filiera ortiva bretone riunisce 2500 agricoltori che producono e distribuiscono sotto il marchio collettivo di Prince de Bretagne più di 25 specie di ortaggi per il mercato fresco, confezionati in contenitori diversi. Coordinata da un organismo regionale, il Cerafel, questa filiera si è impegnata dal 2001 in una procedura certificata Agri-Confiance “Qualità-Ambiente” 379 36_37_CarciofoFrancia.indd 379 30-11-2009 15:53:58 mondo e mercato Carciofo in Tunisia Introduzione In Tunisia la coltura del carciofo risale almeno al III secolo d.C., attestata da quattro mosaici presenti in diversi musei. Il primo si trova a Chebba (Tunisia centro-orientale) e, all’interno del mosaico di Arione e Orfeo, mostra due capolini allungati con brattee che divergono in maniera molto ampia, poco o affatto spinose. Il secondo, risalente alla metà del III secolo d.C. e proveniente da El Jem (Tunisia centrale), è esposto nel Museo del Bardo a Tunisi e rappresenta, in uno dei 40 riquadri, due capolini di carciofo. Il terzo si trova nella cornice del museo di El Jem e mostra due capolini: uno con brattee ben serrate e l’altro con brattee divergenti. Il quarto, che si trova al museo di Sousse (Tunisia nord-orientale), raffigura invece un cardo. Per la superficie coltivata, il carciofo occupa il settimo posto tra gli ortaggi coltivati in Tunisia, dopo pomodoro, patata, peperoncino, cipolla, cocomero e melone. La media delle superfici impiegate durante gli ultimi tre decenni è di circa 2000 ha, con una produzione media di 14.000 t di prodotto fresco. La coltura del carciofo è principalmente localizzata nella bassa valle del Medjerda (Governatorati di Béja, Manouba, Ariana e Bizerte), dove si registra più del 95% delle superfici coltivate. In particolare la delegazione di Jedaida (Governatorato di Manouba), con i suoi 600 ha, è la zona di maggiore concentrazione del carciofo. È importante sottolineare che la concentrazione in questa zona (la più vecchia area irrigua pubblica del paese) è una conseguenza dell’adattamento di questa coltura al tipo di terreno e alla qualità dell’acqua con elevata salinità che caratterizzano questa regione. Il resto della superficie (5%) è ripartito tra i Governatorati di Jendouba, Nabeul, Sousse, Zaghouan e Kairouan. Tunisia in sintesi • Il carciofo occupa una superficie di circa 2200 ha, con una produzione di poco superiore a 19.000 t • La coltivazione è principalmente localizzata nella bassa valle del Medjerda (Governatorati di Béja, Manouba, Ariana e Bizerte), che raggruppa più del 95% della superficie coltivata. La delegazione di Jedaida (Governatorato di Manouba), con i suoi 600 ha, è la zona in cui è maggiormente concentrata la coltura; le altre aree sono ripartite tra i governatorati di Jendouba, Nabeul, Sousse, Zaghouan e Kairouan • La cultivar più diffusa è Violet d’Hyères che occupa il 65% della superficie; l’epoca di raccolta comincia in novembre e prosegue fino al mese di maggio. La produzione media è di 4-6 capolini/pianta per il consumo fresco e di 2-4 capolini che possono essere utilizzati per la trasformazione. Altra cultivar, diffusa su circa il 30% della superficie coltivata, è Blanc Oranais. È molto precoce, la raccolta comincia all’inizio di ottobre e produce 6-8 capolini/pianta, che vengono esclusivamente impiegati per il consumo fresco. Altre cultivar presenti su limitate superfici sono: Violet d’Alger, Violet de Bari e Annabi; tra le popolazioni locali si cita la Belde Cultivar Le principali cultivar in Tunisia sono Violet d’Hyères (65% delle superfici) e Blanc Oranais (30%); altre cultivar presenti: Violet d’Alger, Violet de Bari e Annabi. Tra le popolazioni locali si cita la Belde. Violet d’Hyères. Originaria della regione di Hyères, in Francia, è considerata come semiprecoce. Cultivar vigorosa, a rapido accrescimento, che comincia a produrre capolini verso la metà di novembre in caso di impianto nel mese di agosto. La produzione prosegue fino al mese di maggio. Il capolino è allungato, conico, 386 37_38a_Tunisia.indd 386 14-12-2009 14:37:33 carciofo in Tunisia con brattee ben serrate e colorate uniformemente di violetto. Con la raccolta del capolino principale, si elimina la dominanza apicale e si favorisce l’emissione dei capolini secondari che vengono raccolti successivamente. La produzione media è di 4-6 capolini/pianta per il consumo fresco e di 2-4 capolini che possono essere utilizzati per la trasformazione industriale. Bizerete Ariana Manouba Nabeul Jendouba Béjà Zaghouan Sousse Kairouan Blanc Oranais. Blanc si riferisce al colore verde pallido delle brattee, mentre Oranais è dovuto alla regione d’origine di Oran, in Algeria. È molto precoce e comincia a produrre dall’inizio di ottobre. Le piante sono di medio vigore e la produzione dei capolini principali e secondari avviene quasi contemporaneamente, per cui il periodo di raccolta è abbastanza breve. Infatti il ciclo di produzione è concentrato in due epoche distinte: la autunnale, che si ottiene dall’asse principale e da quelli laterali della pianta; la primaverile, che si ottiene principalmente a partire dai carducci emessi successivamente. Produce 6-8 capolini/pianta che vengono esclusivamente impiegati per il consumo fresco. T U N I S I A Tecniche colturali La coltura occupa il terreno dal mese di luglio fino alla fine di maggio. Le cultivar di tipo bianco sono gestite come coltura annuale, mentre quelle di tipo violetto sono biennali o anche triennali. La moltiplicazione viene eseguita per circa il 90% con porzioni di rizoma provvisto di almeno 3-4 gemme, in cui spesso è presente il residuo del fusto che ha prodotto il capolino. Segue l’impiego degli ovoli (8%) e solo il 2% degli agricoltori usa i carducci, appena asportati dalla pianta o radicati in vivaio. A lg e r ia L i b i a Zone d’estensione Zone tradizionali Zone di produzione del carciofo in Tunisia 25000 Tonnellate 20000 15000 10000 5000 0 1973 1975 1977 1979 1981 1983 1985 1987 1989 1991 1993 1995 1997 1999 2001 2003 2005 2007 Anni Superficia (ha) Produzione totale (t) 10 9 8 7 6 5 4 3 2 1 0 t/ha Evoluzione della superficie, della produzione totale e areica (1971-2007) Produzione areica (t/ha) 387 37_38a_Tunisia.indd 387 14-12-2009 14:37:33 mondo e mercato Carciofo in Egitto Introduzione Il carciofo in Egitto è stato probabilmente introdotto dall’Etiopia. Antichi documenti riportano che il re egiziano Tolomeo Evergete, nel III secolo a.C. faceva mangiare carciofi ai suoi soldati, poiché credeva che infondessero forza e ardimento. Tra le raffigurazioni presenti su una tomba del XIV secolo a.C., proveniente da Tebe ed esposta al British Museum a Londra, si osserva una persona che tiene un carciofo nella mano destra. Il carciofo è raffigurato sulle decorazioni di ciotole e scodelle risalenti all’antico Egitto. Gli scavi archeologici effettuati nell’aerea del Mons Claudianus, antica colonia penale romana del II secolo d.C. a circa 500 km dal Cairo, hanno riportato alla luce brattee e “semi” verosimilmente appartenuti al carciofo selvatico. Attualmente l’Egitto occupa l’ottava posizione nel mondo per la superficie coltivata, pari a 3600 ha, e il quarto posto per quanto riguarda la produzione totale con 74.000 t. Negli ultimi vent’anni la superficie è rimasta pressoché costante con valori compresi tra 3 e 4000 ha, mentre la produzione totale è notevolmente aumentata, infatti nel 1995-2000-2005 era rispettivamente di 35-40 e 70.000 t. In Egitto si riscontrano alcune zone con le condizioni pedoclimatiche ideali per ottenere elevate produzioni e capolini di ottima qualità. La coltivazione è prevalentemente concentrata nei dintorni delle città costiere e in aree limitate di alcuni governatorati: AlSharqia, Ismailia, Al-Giza, Al-Minya, Al-Behaira. Quest’ultimo, che si trova nel nord dell’Egitto, sulle rive del Mediterraneo e a ovest della città di Alessandria e del suo trafficatissimo porto, è quello in cui la coltivazione del carciofo è più diffusa; gran parte della produzione di capolini ottenuta nel governatorato di Al-Behaira è Egitto in sintesi • L’Egitto si colloca all’ottavo posto nel mondo per la superficie coltivata, con 3600 ha e al quarto per la produzione totale con 74.000 t. Negli ultimi vent’anni la superficie è rimasta invariata rispetto ai valori attuali, mentre la produzione totale è notevolmente aumentata; infatti nel decennio 1995-2005 la produzione è passata da 35.000 a 70.000 t • La cultivar più diffusa è la Balady, molto apprezzata sul mercato interno, con produzione precoce e capolini di colore verde. Per l’esportazione si utilizzano i capolini della cultivar locale denominata Violetto, di provenienza francese, simile al Violetto di Provenza. Le esportazioni in Italia di prodotto fresco si sono decuplicate dal 2000 a oggi • Negli ultimi vent’anni sono state introdotte con successo alcune cultivar propagate per “seme”: Imperial Star, Green Globe, Emerald e Green Globe Improved, caratterizzate da capolini compatti, di grandi dimensioni, di colore verde, tendenti al grigiastro, con brattee senza spine e lucide Foto N. Calabrese Carciofaia in piena produzione 392 38_38b_CarciofoEgitto.indd 392 30-11-2009 16:10:14 carciofo in Egitto destinata all’esportazione per il mercato fresco, prevalentemente sui mercati europei Cultivar La cultivar storicamente più diffusa è la Balady, di origine locale, molto apprezzata sul mercato interno, con produzione precoce a partire da novembre; i capolini sono di colore verde e le brattee tendono ad aprirsi precocemente. Per l’esportazione si utilizzano capolini di colore violetto provenienti da una cultivar locale denominata Violetto, di provenienza francese e simile al Violetto di Provenza. Negli ultimi vent’anni sono state introdotte alcune cultivar propagate per “seme”: Imperial Star, Green Globe, Emerald e Green Globe Improved, caratterizzate da capolini compatti, di grandi dimensioni, di colore verde, tendenti a volte al grigiastro, con brattee senza spine e lucide. La cultivar Large Green, è contraddistinta da capolini di grosse dimensioni, di colore verde con numerose sfumature di violetto. Ricerche condotte in Egitto hanno evidenziato che i capolini delle cultivar propagate per “seme” hanno peso fresco, diametro e parte edibile maggiori rispetto a quelli della cultivar locale Balady e che, se raccolti quando sono ancora compatti, possono essere consumati anche crudi, perché il contenuto di fibra delle parte basale delle brattee è basso. Per la trasformazione industriale, produzione di cuori di carciofo o di fondi conservati prevalentemente in salamoia, si utilizzano indifferentemente tutte le cultivar. Negli ultimi anni si è andata affermando la coltivazione per la produzione di foglie di carciofo, da impiegare nell’industria farmaceutica. La richiesta di foglie è in progressivo e costante aumento negli ultimi anni. Per questo tipo di produzione sono utilizzate le cultivar propagate per “seme”. L ib a n o Isr a el e Al-Sharquia Al-Behaira Ismailia Al-Giza Al-Minya EGI T T O S u d a n Cultivar Large Green Cultivar Imperial Star 393 38_38b_CarciofoEgitto.indd 393 30-11-2009 16:10:15 mondo e mercato Carciofo in Marocco Introduzione La coltivazione del carciofo in Marocco occupa una superficie di circa 3500 ha con una produzione totale di 52.000 t. Le regioni in cui è maggiormente praticata sono quelle della bassa Moulouya, Saïs, Haouz e Gharb. In quest’ultima si concentra l’80% della produzione nazionale, con 2650 ha e con una produzione complessiva di 42.000 t. La produzione unitaria è compresa in media tra 15 e 18 t/ha, con valori massimi di 30 t/ha. Nella regione di Gharb i terreni sono prevalentemente argillosi, il clima è del tipo subumido-umido, con temperature che variano tra i 2 e i 45 °C. Marocco in sintesi • Il carciofo è coltivato in Marocco su 3500 ha con una produzione totale di 52.000 t; nella regione di Gharb si concentra l’80% della produzione nazionale; altre regioni interessate alla coltivazione sono quelle di Saïs, Haouz e la bassa Moulouya. La produzione unitaria è compresa in media tra 15 e 18 t/ha, con valori massimi di 30 t/ha • Le cultivar più diffuse sono quelle Cultivar Le cultivar che presentano capolini con brattee di colore verde chiaro (Blanc Hétérosis, Blanca de Tudela, Imperial Star) sono le più comuni, mentre quelle con capolini di colore violetto, quali Violet d’Alger e Salanquet, hanno diffusione più limitata. Di solito in ogni carciofaia sono coltivate assieme due o più cultivar; gli impianti monovarietali sono limitati ai piccoli appezzamenti. con capolini di colore verde chiaro, Blanc Hétérosis, Blanca de Tudela, Imperial Star; quelle con capolini di colore violetto, quali Violet d’Alger e Salanquet, hanno diffusione più limitata. L’impianto si effettua generalmente in luglio-agosto; il materiale di propagazione è costituito dal rizoma, intero o suddiviso in pezzi. Imperial Star è l’unica cultivar propagata per “seme”. La densità varia da 8000 a 12.000 piante/ha Principali zone di coltivazione del carciofo in Marocco Sp a g n a Mar Mediterraneo Tangeri Tétouan Kenitra Oujda RABAT Fès Casablanca Meknès OCEANO AT L A N T I C O Marrakech Agadir Canarie (Spagna) Alg e ria M a u rita n ia M a li Cultivar Imperial Star 396 39_38c_CarciofoMarocco.indd 396 30-11-2009 16:12:14 carciofo in Marocco Imperial Star è l’unica propagata per “seme”, mentre tutte le altre cultivar sono propagate vegetativamente. Questa tecnica di moltiplicazione ha favorito nel tempo l’aggravarsi di problemi agronomici e patologici quali l’eterogeneità delle piante e la diffusione di parassiti, in particolare dei virus. Tecnica colturale La lavorazione del terreno comprende l’aratura, 2-3 fresature e infine un’assolcatura per la sistemazione delle aiuole. L’impianto si effettua generalmente in luglio-agosto, a volte anche in settembre. Il materiale di propagazione utilizzato è costituito dal rizoma, intero o suddiviso in pezzi, prelevato all’inizio dell’estate da piante di un anno durante la fase di riposo. Alcuni agricoltori preferiscono capitozzare le piante a un’altezza di 20 cm dal terreno, prima che siano completamente secche e utilizzare questo materiale per l’impianto. La densità varia da 8000 a 12.000 piante/ha. Alcuni agricoltori arrivano fino a 15.000 piante/ha, disponendole in file binate e utilizzando l’impianto di irrigazione a goccia posto tra le file all’interno della bina. Nelle zone dove spira il vento caldo chiamato chergui, che causa numerose fallanze al trapianto, si dispongono le aiuole in modo ortogonale alla direzione del vento stesso e le piantine vengono piantate sul fianco dell’aiuola per ottenere maggiore riparo. L’attecchimento delle piante varia dal 40 al 90%. Le erbe infestanti costituiscono a volte un problema, soprattutto su terreni pesanti come nella zona di Gharb. Il controllo delle malerbe è effettuato di solito con interventi manuali; solo occasionalmente si utilizza il diserbo per il controllo delle Graminacee. Violet d’Alger in piena produzione 397 39_38c_CarciofoMarocco.indd 397 30-11-2009 16:12:15 mondo e mercato Carciofo in Turchia Introduzione Per il carciofo, in turco Enginar, è stato registrato, negli ultimi anni, un aumento notevole della superficie e della produzione totale. Infatti, dal 1990 a oggi, la superficie e la produzione sono triplicate. Nella zona meridionale del Paese si trovano tutt’oggi delle specie selvatiche. Alcuni documenti dimostrano che questo ortaggio era noto già nel XVII secolo e costituiva un piatto prelibato della cucina di palazzo degli imperatori ottomani. Le popolazioni che vivono nelle regioni costiere occidentali, e in particolare quelle provenienti dalle isole egee, conoscono benissimo questo ortaggio. Oltre ai capolini, in alcune regioni si utilizzano anche i gambi. L’olio d’oliva è un ingrediente importante nella preparazione di pietanze a base di carciofo. Il carciofo è diventato un ortaggio apprezzato per i suoi effetti salutari, tanto che negli ultimi 10 anni la sua richiesta è aumentata. Inoltre, i medici consigliano ad alcuni pazienti di inserire questo ortaggio nella loro dieta. La regione egea, localizzata nella parte occidentale del Paese, e quella del Mar di Marmara, che si trova nella parte nord-ovest della Turchia, sono le zone più note per la produzione. Zone di coltivazione, superficie e produzione del carciofo in Turchia Città Area (ha) Produzione (t) 1 Bursa 1000 13.000 2 Yalova 0,25 300 3 Samsun 0,002 25 4 Izmir 997 12.000 5 Antalya 211 2400 6 Adana 105 1800 2313,25 29.525 Totale Principali zone di coltivazione del carciofo in Turchia Gr ec ia Bul ga ri a Mar Nero Ge o r g i a Istanbul Samsun Izmit Bursa Armenia ANKARA Balıkesir T U RCHI A Manisa I r a n Kayseri Izmir Konya Diyarbakır Kahramanmaraş Adana Antalya Gaziantep Ş anlıurfa Mersin Mar Mediterraneo Ir a q Cipro S ir ia 400 40_39_Turchia.indd 400 30-11-2009 16:15:16 carciofo in Turchia Il clima e le cultivar in queste regioni sono diversi. Le condizioni climatiche, in particolare le condizioni di umidità, della regione del Mar di Marmara sono adatte alla coltivazione del carciofo. La possibilità di gelate nei mesi invernali non consente l’utilizzo di cultivar precoci. Nella regione egea, durante i mesi invernali, il rischio di gelo è minore rispetto alla regione del Mar di Marmara e le cultivar precoci si coltivano con maggior sicurezza. Tra le nuove zone di produzione, quelle in prossimità delle città di Antalya e Adana presentano un clima più caldo della regione egea e per questo motivo è probabile che tali zone abbiano grandi possibilità in futuro per la produzione di carciofo precoce. La città di Bursa è la più grande zona di produzione della regione del Mar di Marmara; a questa si aggiunge la città di Izmir, con la stessa quantità di produzione, tanto che il 90% della produzione totale proviene da queste città. Con l’aumento della domanda la coltivazione si è estesa in nuove promettenti aree come le città di Adana e Antalya a sud e la città di Samsun a nord, vicino al Mar Nero. Turchia in sintesi • Il carciofo è attualmente coltivato in Turchia su 2700 ha con una produzione totale di 32.000 t. Dal 1990 a oggi, superficie e produzione sono triplicate • La regione egea, nella parte occidentale con la città di Izmir, e quella del Mar di Marmara, che si trova a nord-ovest con la città di Bursa, sono le zone dove è maggiormente diffusa la coltivazione. In queste aree si concentra il 90% della produzione totale. Tra le nuove zone di produzione, quelle in prossimità delle città di Antalya e Adana a sud, e di Samsun a nord, vicino al Mar Nero, che hanno un clima più caldo, si prestano alla produzione di carciofo precoce Tecnica colturale e raccolta Il ciclo produttivo della carciofaia generalmente dura 7-8 anni; le cultivar più diffuse sono Sakiz e Bayrampasa, anche se negli ultimi 5-6 anni sono state introdotte cultivar ibride propagate per “seme” e idonee alla coltura annuale. Come materiale di propagazione si usano parti di ceppaia suddivise in modo da avere almeno due gemme ognuna; il reperimento di questo materiale è difficoltoso e generalmente proviene da campi alla fine del ciclo pluriennale di produzione o è prelevato durante la fase di riposo estivo delle piante in carciofaie in produzione. Tale materiale prima della messa a dimora viene trattato con agrofarmaci contro agenti patogeni del terreno. • Le cultivar più diffuse sono Sakiz e Bayrampasa, moltiplicate vegetativamente; negli ultimi 5-6 anni sono state introdotte cultivar ibride propagate per “seme”, quali Concerto, Opal, Menuet, Prelude, Emerald, Mundi, Maydo ed Etna, idonee alla coltura annuale Foto N. Calabrese 3000 35000 2500 30000 2000 1500 1000 500 25000 20000 15000 10000 Produzione totale (t) Superficie (ha) Superficie e produzione totale di carciofo in Turchia 5000 0 0 1961 1965 1970 1975 1980 1985 1990 1995 2000 2004 2007 Anni Superficie Produzione totale Carciofaia prima dell’entrata in produzione 401 40_39_Turchia.indd 401 30-11-2009 16:15:17 mondo e mercato Carciofo negli Stati Uniti Introduzione Il carciofo fu introdotto negli Stati Uniti nel 1700 da immigrati francesi in Louisiana. Thomas Jefferson, terzo presidente americano, coltivava carciofi nella sua azienda di Monticello, in Virginia centrale, nel 1767. La diffusione del carciofo rimase molto limitata fino all’inizio del ’900, quando immigrati italiani coltivarono alcuni ettari di terreno a carciofo in California, nella zona di Half Moon Bay. Il consumo di carciofo nella dieta americana, pari a 0,3 kg pro capite, è rimasto costante negli ultimi vent’anni, ma è di secondaria importanza se paragonato a quello di altri ortaggi. Nel 2007 il carciofo è stato coltivato su 3200 ha, con una produzione totale di 41.000 t. La coltivazione avviene quasi esclusivamente in California; le principali zone di produzione sono la costa centrale (contee di Monterey, Santa Cruz e San Mateo) e quella meridionale (contee di Santa Barbara, Ventura, Orange e San Diego), il deserto di Coachella Valley (contee di Riverside e Imperial) e la Valle Centrale. Carciofo e Marilyn Monroe • In California la coltivazione del carciofo ha una lunga tradizione, tanto che dal 1947 si tiene ogni anno, nella città di Castroville, una manifestazione dedicata a questo ortaggio. Nella prima edizione un’allora sconosciuta Marilyn Monroe fu incoronata al concorso di bellezza come Regina del carciofo, primo passo di una carriera che la rese celebre in tutto il mondo Principali zone di coltivazione del carciofo negli Stati Uniti ALASKA Isole HAWAII C A WA MT L OR ID I WY NV F San Mateo UT O CA AZ R Santa Cruz MN NE CO KS OK NM TX NH MA NY RI MI CT IA PA DE IL IN OH MD WV VA MO KY NC TN AR SC MS AL GA LA WI SD N Monterey VT ME ND I FL A Santa Barbara Ventura Riverside Orange San Diego Imperial 406 41_40a_CarciofoStatiUniti.indd 406 30-11-2009 16:27:29 carciofo negli Stati Uniti Superfici ridotte sono coltivate con successo per i mercati locali in altri Stati, come Arizona, Virginia, New York, Oregon e Texas. Negli ultimi vent’anni il carciofo è stato coltivato nella valle del Rio Grande, nel Texas meridionale, situata al confine tra Stati Uniti e Messico. A causa delle temperature più elevate la produzione era limitata a quella regione. Oggi, grazie agli studi effettuati in Texas, il carciofo si è diffuso in nuove zone di produzione più idonee per le condizioni climatiche come la regione di Winter Garden, nel Sud-Ovest (contee di Uvalde e Atascosa) e nell’area circostante la Hill Country. In altri Stati, estensioni minori sono coltivate nella Yuma County, in Arizona, e nella Willamette Valley, nell’Oregon. Nella parte settentrionale dello Stato di New York, già negli anni Venti sono stati effettuati studi per proteggere i carciofi dal freddo. In Virginia le principali aree di coltivazione sono quella centrale e settentrionale di Piedmont e la zona montuosa, dove l’elevata altitudine mitiga le temperature estive e consente un buon accrescimento della pianta e un’interessante produzione di capolini. Nella maggior parte degli Stati nordorientali e occidentali il carciofo è coltivato in aziende la cui produzione comprende anche altri ortaggi. Carciofo negli Stati Uniti • La coltivazione a scopo commerciale del carciofo negli USA risale ai primi del ’900, quando immigrati italiani piantarono le prime carciofaie in California, che ancora oggi detiene largamente il primato della coltivazione con più del 95% della superficie e della produzione totale • Superfici ridotte sono coltivate in altri Stati come Arizona, Virginia, New York, Oregon e Texas • Nel 2007 il carciofo è stato coltivato su 3200 ha, con una produzione totale di 41.000 t. Nel 2007-2008 il valore totale della produzione lorda vendibile della California ha superato i 50 milioni di dollari Tecnica colturale Sulla costa centrale della California, da cui proviene più del 75% della produzione americana, si verificano le condizioni ideali per la produzione (temperature di 11 °C di notte e 22 °C di giorno). Tali condizioni si registrano durante tutto l’anno, quindi le piante, in presenza di acqua, non vanno mai in riposo. Tuttavia il periodo di massima produzione è compreso tra marzo e aprile. La dicioccatura viene effettuata dalla metà di maggio fino alla metà di giugno così da favorire l’emissione di nuovi germogli per ottenere la produzione estiva e autunnale. In altre zone della California i carciofi sono coltivati come coltura annuale; in questo caso per l’impianto si utilizzano piantine propagate per “seme” allevate in serra e poi trapiantate in pieno campo, in modo da programmare la produzione secondo le richieste del mercato. L’impianto avviene da novembre a giugno e la raccolta da aprile a ottobre. Questo periodo coincide con quello di scarsa produzione della coltura poliennale. Nell’area di produzione del deserto, i carciofi sono piantati da agosto a ottobre e le raccolte si effettuano da dicembre a marzo. In genere, in California, la coltivazione è attuata con tecniche convenzionali, anche se dal 2001, nelle principali aree di produzione, oltre 350 ha sono stati destinati a coltivazione biologica. In Texas il carciofo si coltiva come pianta annuale. Le piante, moltiplicate per “seme”, sono allevate nelle serre del sud e poi sono trapiantate in campo da fine settembre a novembre. Anche qui, come in California, il periodo di massima produzione è tra marzo e aprile. Sono in corso studi mirati alla produzione autunno-invernale, con trapianto ad agosto e raccolta dalla fine di no- • Le cultivar più diffuse sono: Imperial Star, Desert Globe, Emerald, Big Heart e Green Globe Improved. Le epoche di raccolta dei capolini coprono tutto l’anno in funzione delle tecniche colturali e delle diverse zone di produzione Applicazioni di gibberelline per anticipare la produzione 407 41_40a_CarciofoStatiUniti.indd 407 30-11-2009 16:27:29 mondo e mercato Carciofo in Argentina Introduzione In Argentina assume il nome di alcaucil, parola che deriverebbe dall’arabo harscioh o al-karshuf e che significa “spina di terra” o “pianta che punge”. La migrazione italiana avvenuta in seguito alla prima guerra mondiale ha introdotto in Argentina le prime varietà di carciofo, insieme alle pratiche agronomiche e alle modalità di consumo originarie, che sono state poi adattate alle condizioni locali. Per molti anni l’area coltivata a carciofo in Argentina è stata stimata intorno ai 4000 ha, ma a partire dal 1980 il calo di redditività ne ha determinato una drastica riduzione, pari circa al 50%: la coltura poliennale immobilizza infatti la superficie occupata per diversi anni, a differenza di altre specie orticole, che prevedono la possibilità di effettuare 2 o 3 avvicendamenti annuali. In Argentina non esistono dati statistici ufficiali relativi alla produzione, a parte quelli rilevati dal censimento del 2002 sulla superficie coltivata. Da questi risultava che la superficie totale era di 782 ettari distribuiti in tutto il Paese e concentrati nelle principali province di produzione: Buenos Aires (55,46%), San Juan (22,84%), Santa Fe (11,19%) e Mendoza (8,76%). Stando ad alcune stime, nel 2007 a La Plata (Buenos Aires) si contavano 700 ha impiantati, a San Juan e Mendoza (che formano la regione di Cuyo) 400, a Rosario 200 e a Mar del Plata circa 100 ha. Attualmente la superficie coltivata a carciofo in Argentina si aggira intorno ai 2000 ha, con produzione unitaria media di 12 t/ha. Nella zona di La Plata (provincia di Buenos Aires) si concentra il nucleo produttivo più importante, con il 64% della superficie totale del Paese; seguono la Cintura Orticola di Rosario (provincia di Santa Fe) con il 14% e, con un valore analogo, la zona di Cuyo, che comprende le province di San Juan e Mendoza. A San Juan, il 65% della produzione viene destinato all’industria conserviera della provincia di Mendoza. Esistono inoltre piccoli nuclei produttivi di superficie ridotta nelle Cinture Orticole delle grandi città (Mar del Plata, Córdoba, Tucumán ecc.). Le zone di La Plata e Rosario presentano un clima temperato, non soggetto a gelate fra i mesi di ottobre e aprile e un livello di precipitazioni pari a circa 1000 mm all’anno. I terreni contengono un livello di sostanza organica oscillante fra il 2% e il 5% e un alto contenuto di argilla. La zona di Cuyo (San Juan e Mendoza), al contrario, è caratterizzata da terreni sabbiosi con alte percentuali di sostanza organica e da un clima secco con precipitazioni che sfiorano i 100 mm all’anno. Argentina in sintesi • Nel 2007, il carciofo è stato coltivato in Argentinas su 4600 ha con una produzione totale di 90.000 t (rispettivamente quinto e terzo posto nella graduatoria mondiale) • Nella zona di La Plata si concentra il 64% della superficie coltivata a carciofi del Paese; seguono la Cintura Orticola di Rosario con il 14% e, con un valore analogo, la zona di Cuyo, che comprende le province di San Juan e Mendoza. A San Juan il 65% della produzione viene destinato all’industria conserviera della provincia di Mendoza. Piccoli nuclei produttivi sono presenti in prossimità delle grandi città, Mar del Plata, Córdoba, Tucumán • Le cultivar più diffuse sono: Romanesco, detto anche Francés (francese), Francés precoz (francese precoce) o Ñato francés, Ñato, tipo tardivo, noto anche come Ñato criollo o Violeta nella Cintura Orticola di Rosario, Blanco o Blanco de San Juan e Precoz italiano. Nuove varietà in corso di introduzione sono Oro verde, Esmeralda, Gauchito, Gurí ed Estrella del Sur Varietà Romanesco, conosciuta anche con i nomi di Francés, Francés precoz o Ñato francés. È la varietà più diffusa in termini di superficie 412 42_41a_Argentina.indd 412 14-12-2009 14:41:23 carciofo in Argentina Nell’area di influenza della Cintura Orticola di Rosario il carciofo occupa il quarto posto all’interno delle colture orticole, preceduto da pomodoro, lattuga e sedano; esso costituisce una fonte di reddito nei momenti in cui non si effettuano altre colture orticole di grande interesse. La produzione è destinata a rifornire il mercato locale e altre aree di consumo, fra cui Córdoba, Santa Fe e Buenos Aires. La produzione argentina è sostanzialmente destinata al mercato del fresco, con valori di consumo pro capite annuo pari a 2,6 kg. La lavorazione industriale avviene principalmente nella provincia di San Juan. La produzione dei capolini è commercializzata esclusivamente sul mercato interno; la possibilità di aprirsi al mercato internazionale, grazie all’offerta di un prodotto di qualità e fuori stagione, è penalizzata dal tasso di cambio, che ha più volte impedito l’accesso a mercati esteri con prezzi competitivi rispetto ad altri Paesi concorrenti. Pa r a g u a y San Juan Rosario (provincia di Santa Fe) Brasile La Plata U r u g u a y Mendoza (provincia C ile di Buenos Aires) ARGEN T I N A Varietà Romanesco. Detto anche Francés (francese), Francés precoz (francese precoce) o Ñato francés. Caratterizzato da capolini semisferici verdi con striature violacee e brattee prive di spine. La produzione comincia a fine giugno e si protrae fino alla fine di agosto, epoca in cui il freddo blocca la produzione; l’utilizzo di gibberelline permette di anticipare la raccolta al mese di maggio. La resa è di 6-7 capolini/pianta con peso medio di 200-250 g per capolino. È la varietà principale coltivata nella zona di La Plata e nella Cintura Orticola di Rosario. Principali zone di produzione del carciofo in Argentina Ñato. Tipo tardivo, noto anche come Ñato criollo o Violeta nella Cintura Orticola di Rosario. Caratterizzato da capolini tendenzialmente globosi, solidi e compatti. Presenta brattee esterne mucronate e violacee. L’infiorescenza pesa fra i 200 e i 300 g, con una resa di 7 capolini/pianta. La produzione avviene in primavera e fra metà settembre e novembre, periodo in cui le alte temperature provocano l’apertura delle brattee compromettendone il valore commerciale. Negli anni Ottanta era la varietà più coltivata a livello nazionale, ma per la sua epoca di produzione molto tardiva è stato soppiantato dal tipo Romanesco, di produzione più precoce. Blanco o Blanco de San Juan. Tipo precoce. Pianta di dimensioni ridotte, dalle foglie verdi, inermi, con presenza di eterofillia. Si distingue per i capolini ovali, compatti, di colore verde chiaro, e di piccole dimensioni (140-160 g). La produzione avviene in due periodi, entrambi seguiti da una fase di interruzione per via dei freddi intensi: da inizio marzo a fine maggio (autunno) e da inizio luglio a metà settembre (inverno). Probabilmente si tratta della cultivar spagnola Blanca de Tudela con la quale presenta numerose ana- Varietà Ñato, detta anche Ñato criollo o Violeta, di ottima qualità, ma di produzione tardiva 413 42_41a_Argentina.indd 413 14-12-2009 14:41:24 mondo e mercato Carciofo in Perú Introduzione Il carciofo è stato introdotto in Perú sin dall’epoca della conquista spagnola, ma fino agli anni Novanta la superficie coltivata è rimasta limitata a 300-400 ha, situati nella Cordigliera centrale. Era presente solo una cultivar, denominata Criolla, di probabile origine italiana, simile allo Spinoso sardo, moltiplicata vegetativamente; la produzione era destinata principalmente al consumo fresco. L’area di coltivazione era concentrata quasi esclusivamente nella zona nota come Concepción, situata presso la valle del fiume Mantaro, nella regione di Junín e, limitatamente, nei pressi di Lima. A partire dalla fine degli anni Novanta e con l’inizio del terzo millennio, è stata avviata l’introduzione di cultivar propagate per “seme” in areali differenti, allo scopo di valutare sia l’adattabilità alle diverse condizioni pedoclimatiche, sia l’idoneità alla trasformazione industriale. La loro coltivazione a fini commerciali è iniziata nel 2001-2002 e, negli anni successivi, le cultivar propagate per “seme” si sono diffuse progressivamente in diverse valli della costa e della Cordigliera andina, dal livello del mare fino a 2500 metri di altitudine. Attualmente si stima che il carciofo sia coltivato su 7000 ha; i dati statistici della FAO riportano per il 2007 la superficie totale di 4200 ha, che pongono il Perú tra i primi cinque produttori mondiali. La coltivazione è praticata prevalentemente sulla costa, con il 70% circa della produzione, nelle regioni di Lima, La Libertad, Ancash e Ica, mentre sulla Cordigliera oltre alla regione di Junín si segnalano quelle di Huanuco, Ayacucho e Arequipa. La produzione delle nuove aree è destinata quasi esclusivamente alla trasformazione industriale, per la preparazione di cuori, quarti e fondi di carciofo, conservati principalmente in salamoia ed esportati negli USA e in Europa. Perú in sintesi • Con 4200 ha e 72.000 t si pone al 7° e 5° posto rispettivamente per superficie coltivata e produzione. Il notevole incremento delle superfici dell’ultimo decennio è dovuto principalmente all’introduzione di cultivar propagate per “seme” in nuovi areali di coltivazione situati lungo la costa del Pacifico • La coltivazione è praticata soprattutto sulla costa, con il 70% circa della produzione, nelle regioni di Lima, La Libertad, Ancash e Ica, mentre sulla Cordigliera, oltre alla regione di Junín, quelle di Huanuco, Ayacucho e Arequipa • La cultivar tradizionalmente presente è Criolla, di probabile origine italiana e simile allo Spinoso sardo. Tra le nuove cultivar propagate per “seme”, Imperial Star è la più diffusa, seguita da Lorca e da A106. Sono in fase di valutazione cultivar ibride (Madrigal e Symphony) • Attualmente rappresenta uno dei principali competitori sui mercati internazionali per il prodotto conservato perché abbina una buona qualità a prezzi di vendita molto concorrenziali 4% 3% Principali zone di produzione del carciofo in Perú 4% 10% 16% 63% Superficie 7000 ha (anno 2008) Costa 4900 ha (70%) Sierra 2100 ha (30%) Stati Uniti Spagna Costa Francia Paesi Bassi Sierra Germania Altri Zone potenziali Destinazioni principali del carciofo trasformato (2008) Calamanca Las Libertad Ancash Huanuca Pasco Junín Lima Hinca Cusco Aracucha Ayaurmas Ica Arequina 420 43_41b_Peru.indd 420 30-11-2009 17:03:50 carciofo in Perú Cultivar La cultivar tradizionalmente presente in Perú è la Criolla, pianta di altezza media con foglie e capolini muniti di grosse spine, colore delle brattee viola con sfumature verdi; la propagazione è effettuata tramite carducci. Le carciofaie sono allevate per 2-3 anni. Tuttavia, in seguito all’introduzione delle nuove cultivar propagate per “seme”, quella attualmente più diffusa è la Imperial Star, introdotta dalla California, seguita da Lorca e da A 106, di origine spagnola. Il ciclo di coltivazione è annuale; sono tutte caratterizzate da buon vigore ed elevata produttività, i capolini sono tendenzialmente globosi, di colore verde con leggere sfumature viola alla base delle brattee esterne. Sono in fase di valutazione alcune cultivar ibride, tra cui Madrigal e Symphony che, in prove sperimentali effettuate in Italia e Spagna, hanno mostrato ottima produttività con capolini di ottima qualità particolarmente richiesti dall’industria di trasformazione. Esigenze ambientali Il carciofo predilige climi temperati con notti fresche (intorno agli 11-13 °C) e temperature diurne di circa 22-24 °C. Nella zona costiera il trapianto ha inizio in febbraio e si conclude a maggio; la raccolta avviene tra giugno e dicembre. Nelle aree di coltivazione della Cordigliera, il ciclo inizia normalmente alla fine dell’inverno, dopo l’epoca delle gelate, intorno al mese di agosto, mentre la raccolta si effettua tra dicembre e giugno. L’alternanza dell’epoca di raccolta nelle due differenti zone di coltivazione garantisce la produzione di capolini continua per tutto l’anno, anche se la maggior parte è concentrata in primavera, perché l’area di coltivazione più ampia è quella costiera. Capolini della cultivar Criolla Tecnica colturale Le tecniche di coltivazione sono influenzate notevolmente dalle diverse condizioni pedoclimatiche dei due areali di produzione e dalle cultivar utilizzate. Nella zona costiera il ciclo colturale inizia con il trapianto di piantine con 3-4 foglie vere provenienti da “seme” e allevate in vivaio per 20-25 giorni. La distanza a cui sono poste le piante è di 1,6-2 m tra le file e di 0,5-0,70 m sulla fila; la densità varia tra le 10.000-12.000 piante/ha. I capolini sono Capolino della cultivar Lorca Calendario di produzione del carciofo in Perú Mesi di semina e raccolta del carciofo Paese Gen Feb Mar Apr Mag Giu Lug Ago Set Ott Nov Dic Perú Costa Perú Cordigliera Impianto Raccolta 421 43_41b_Peru.indd 421 30-11-2009 17:03:50 mondo e mercato Carciofo in Cile Introduzione In Cile non esistono testimonianze certe su come questa specie sia giunta nel Paese; tuttavia, si pensa che l’ondata migratoria dall’Italia generata dalla Prima guerra mondiale abbia determinato la sua introduzione in Argentina. Dalle zone di produzione argentine di San Juan e Mendoza esso sarebbe arrivato in Cile, principalmente nelle aree settentrionale e centrale. Da allora ha iniziato a essere coltivato per il mercato interno per il consumo allo stato fresco, arrivando a coprire una superficie totale di circa 2500 ha. Questo valore si è mantenuto stabile fino alla metà degli anni Novanta, quando la superficie coltivata è raddoppiata in seguito all’aumento della produzione per la lavorazione industriale. Attualmente la superficie coltivata è di circa 5000 ha, con una concentrazione della produzione nelle regioni centrali del paese. Trattandosi di un prodotto che entra nel mercato in periodi di scarsa offerta di altri ortaggi, il carciofo possiede un alto valore economico nonostante il basso livello di consumo pro capite (1 kg all’anno per ogni abitante). Nel linguaggio popolare è molto diffusa l’espressione “pegarse el alcachofazo” (letteralmente, “prendersi una carciofata”), che significa accorgersi, rendersi improvvisamente conto di qualcosa. Un altro modo di dire comune è “tener corazón de alcachofa” (“avere un cuore da carciofo”), utilizzato in due accezioni: la prima, derivata dalla celebre Ode al carciofo del Nobel cileno Pablo Neruda, designa coloro che dietro la corazza di un brutto carattere celano un cuore nobile. La seconda deriverebbe dal modo popolare di consumare questo prodotto, vale a dire mangiandolo con le mani e privandolo progressivamente delle foglie fino ad arrivare al cuore. Cile in sintesi • Con 4300 ha, il Cile occupa il sesto posto per la superficie coltivata e l’undicesimo per la produzione totale, con 34.000 t • Le aree di produzione si concentrano nella zona centrale del Paese; le regioni di Coquimbo e Valparaíso coprono il 94% della produzione nazionale. La coltivazione è comunque diffusa in tutto il Paese ed è presente perfino in molti orti familiari • La produzione è concentrata su due tipi di cultivar: quella argentina e quella cilena. Queste, anche se selezionate per il mercato da molti decenni, presentano ancora notevole polimorfismo. La cultivar o tipo argentino, che deve il nome alla forte somiglianza con il Blanco temprano coltivato in Argentina e anche con la cultivar Blanca de Tudela di probabile origine spagnola, è destinata al consumo fresco, quando sul mercato scarseggiano altre varietà, o, prevalentemente, alla lavorazione industriale 426 44_41c_CarciofoCile.indd 426 30-11-2009 17:09:21 carciofo in Cile Aree di coltivazione In Cile l’orticoltura si sviluppa, con una grande varietà di specie, nell’arco di tutto il territorio (latitudine 18° S-56° S), lungo 4000 chilometri e suddiviso in 15 regioni. All’orticoltura è destinato un totale di 93.616 ettari, equivalente al 4% del sistema produttivo nazionale. Nella zona centrale (regioni di Coquimbo, Valparaíso e Metropolitana di Santiago), caratterizzata da un clima mediterraneo, si concentra l’84% della produzione orticola nazionale. Fra gli ortaggi il carciofo occupa il quarto posto quanto a superficie coltivata, subito dopo mais, pomodoro e cipolla; la sua produzione si concentra anch’essa nelle regioni centrali del Paese, fra Coquimbo e Valparaíso, che coprono il 94% della produzione nazionale. Ciononostante, la coltivazione è diffusa in tutto il Paese, ed è presente perfino in molti orti familiari della zona più australe del territorio. La zona centrale del Cile è caratterizzata da condizioni agroecologiche definite da una forte influenza del mare. Più in particolare, nella regione di Coquimbo la temperatura media si mantiene per tutto l’anno fra i 7° e i 12° C, con elevata umidità relativa (fra l’80 e l’85%), il che garantisce la possibilità di produrre capolini di buona qualità in periodi relativamente precoci. Arica-Parinacota Tarapacá Antofagasta Atacama Coquimbo Valparaíso Region Metropolitana Libertador General Bernardo O’Higgins Maule Biobio Araucania Los Rios Los Lagos Cultivar In Cile la produzione è storicamente concentrata su due tipi di cultivar: quella argentina e quella cilena. Queste, anche se selezionate per il mercato da molti decenni, presentano ancora forte variabilità genetica. Negli ultimi vent’anni si è aggiunta la cultivar francese. Le tipologie in questione si distinguono per le seguenti caratteristiche. Aisén del General Carlos Ibañez del Campo Magallanes y Antártica Chilena Superficie coltivata a carciofo distribuita nelle quindici regioni del Cile 30.000 Cartina politica del Cile, diviso in quindici regioni. La produzione del carciofo è diffusa prevalentemente nelle regioni centrali di Coquimbo e Valparaíso. In queste aree si concentra il 94% della produzione nazionale Superficie (ha) 25.000 20.000 15.000 10.000 5000 0 cá ta a bo so na ns le io ia os en es os ta pa agas acam uim araí olita iggi Mau io-B ucan Lag Ays llan s Ri naco a r B ra os ga Lo ari Ta ntof At Coq Valp trop O’H A L Ma a e A yP L M ica r A Regioni del Cile Superficie a ortaggi Superficie a carciofi 427 44_41c_CarciofoCile.indd 427 30-11-2009 17:09:24 Collana ideata e coordinata da Renzo Angelini Ideata e coordinata da Renzo Angelini il carciofo e il cardo il carciofo e il cardo botanica storia e arte alimentazione paesaggio coltivazione ricerca utilizzazione mondo e mercato Script € 56,00 000_Cover.indd 1 16-12-2009 11:58:49