Collana ideata
e coordinata da
Renzo Angelini
Ideata
e coordinata da
Renzo Angelini
il carciofo
e il cardo
il carciofo
e il cardo
botanica
storia e arte
alimentazione
paesaggio
coltivazione
ricerca
utilizzazione
mondo e mercato
Script
€ 56,00
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Collana ideata
e coordinata da
Renzo Angelini
il carciofo
e il cardo
botanica
storia e arte
alimentazione
paesaggio
coltivazione
ricerca
utilizzazione
mondo e mercato
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COORDINAMENTO GENERALE
Renzo Angelini
COORDINAMENTO SCIENTIFICO
Nicola Calabrese
COORDINAMENTO REDAZIONALE
Ivan Ponti
© Copyright 2009 Bayer CropScience S.r.l. - Milano
Script è un marchio editoriale di ART S.p.A. - Bologna
L’Editore è a disposizione degli aventi diritto con i quali non gli è stato
possibile comunicare, nonché per eventuali involontarie omissioni o
inesattezze nella citazione delle fonti dei brani e delle illustrazioni riprodotti
nel seguente volume.
Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di questa pubblicazione può essere
riprodotta, memorizzata o trasmessa in nessun modo o forma, sia essa
elettronica, elettrostatica, fotocopie, ciclostile ecc., senza il permesso
scritto di Bayer CropScience S.r.l.
REDAZIONE
Elisa Marmiroli
PROGETTO GRAFICO E COPERTINA
Studio Martinetti - Milano
REALIZZAZIONE EDITORIALE
ART Servizi Editoriali S.p.A.
Bologna
www.art.bo.it
Sito Internet: www.colturaecultura.it
Finito di stampare in Italia nel mese di Dicembre 2009 da Petruzzi - Città di Castello (PG)
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s o m m a r i o
autori
prefazione
presentazione
ringraziamenti
botanica
origine ed evoluzione
morfologia e fisiologia
coltivazione del cardo
storia e arte
letteratura, pittura, cultura
alimentazione
2
12
18
31
32
45
aspetti nutrizionali
fitoterapia e medicina
composti bioattivi
tradizione alimentare
carciofo in cucina
46
50
60
70
74
ricette
84
paesaggio
93
carciofo in Puglia
carciofo in Sicilia
carciofo in Sardegna
carciofo in Campania
94
110
124
136
carciofo nel Lazio
144
coltivazione
ibridi commerciali
impianto
concimazione
irrigazione e salinità
parassiti animali
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V
VII
IX
XI
1
159
160
168
172
190
200
roditori
malattie
virosi
flora spontanea
214
218
232
246
gestione delle malerbe
266
ricerca
285
miglioramento genetico
nuove selezioni in Toscana
biotecnologie
propagazione e innovazione
spinoso sardo
tecnica vivaistica
286
298
304
314
324
332
risanamento da virus
342
utilizzazione
trasformazione industriale
mondo e mercato
347
348
357
carciofo nel mondo
carciofo in Spagna
carciofo in Francia
carciofo in Tunisia
carciofo in Egitto
carciofo in Marocco
carciofo in Turchia
carciofo negli Stati Uniti
carciofo in Argentina
carciofo in Perú
carciofo in Cile
358
370
378
386
392
396
400
406
412
420
426
aspetti commerciali
432
per saperne di più
441
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a u t o r i
Giorgio Áncora
Vito Cantore
Ismail Ghezal
ENEA CR Casaccia
Dipartimento Biotecnologie, Agroindustria
e Protezione della Salute, Roma
CNR - Istituto di Scienze delle Produzioni Alimentari
Bari
GIL - Groupement Interprofessionnel des Légumes,
Tunisi (Tunisia)
Andres Casas Diaz
Alberto Graifenberg
Sergio Argento
Universidad Nacional Agraria La Molina,
Lima (Perú)
Dipartimento di Biologia delle Piante Agrarie
Università degli Studi di Pisa
Matteo Cirulli
Costanza Jana Ayala
Dipartimento di Biologia e Patologia vegetale
Università degli Studi di Bari
INIA - Instituto Nacionales de Investigaciones
Agropecuarias, Intihuasi (Cile)
Giancarlo Colelli
Chrystelle Jouy
PRIME - Dipartimento di Scienza delle Produzioni
e dell’Innovazione nei Sistemi Agro-alimentari
Mediterranei
Università degli Studi di Foggia
GEVES - Groupe d’Etude et de contrôle des
Variétés et des Semences, Cavaillon (Francia)
DOFATA - Dipartimento di OrtoFloroArboricoltura
e Tecnologie Agroalimentari
Università degli Studi di Catania
Marina Barba
CRA - Consiglio per la Ricerca
e la Sperimentazione in Agricoltura - Centro
di Ricerca per la Patologia Vegetale, Roma
Mohammad Abdul Bari
Artichoke Research Association,
Salinas (California)
Cristophe Bazinet
Paola Crinò
BBV - Bretagne Biotechnologie Végétale,
Saint Pol de Léon (Francia)
ENEA CR Casaccia
Dipartimento Biotecnologie, Agroindustria
e Protezione della Salute, Roma
Vito Vincenzo Bianco
Enrico de Lillo
Dipartimento di Scienze delle Produzioni Vegetali
Università degli Studi di Bari
Dipartimento di Biologia e Chimica Agro-forestale
e Ambientale
Università degli Studi di Bari
Francesca Boari
CNR - Istituto di Scienze delle Produzioni Alimentari
Bari
Gianfranco Bolognesi
Texas AgriLife Research, Texas A&M System (Texas)
CAAB scpa - Centro Agroalimentare di Bologna
Carlo Cannella
Dipartimento di Fisiopatologia Medica
Sezione di Scienza dell’Alimentazione
Università “Sapienza” di Roma
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Luigi Ledda
Daniel Leskovar
CNR - Istituto di Scienze delle Produzioni Alimentari
Bari
CNR - Istituto di Scienze delle Produzioni Alimentari
Bari
ITGA, Instituto Técnico y de Gestión Agrícola,
Pamplona (Spagna)
Dipartimento di Protezione delle Piante
Università degli Studi di Sassari
Duccio Caccioni
Nicola Calabrese
Inmaculada Lahoz
Gavino Delrio
Donato Di Venere
Agris Sardegna - Agenzia Regionale per la Ricerca
in Agricoltura - Dipartimento per la Ricerca
nelle Produzioni Vegetali, Cagliari
DOFATA - Dipartimento di OrtoFloroArboricoltura
e Tecnologie Agroalimentari
Università degli Studi di Catania
Dipartimento di Scienze Agronomiche e Genetica
Vegetale Agraria
Università degli Studi di Sassari
Ristorante La Frasca - Milano Marittima (RA)
Maria Cadinu
Giuseppe La Malfa
Benìan Eser
Faculty of Agriculture, University of Izmir (Turchia)
Ignacio Macua
ITGA, Instituto Técnico y de Gestión Agrícola,
Pamplona (Spagna)
Vitangelo Magnifico
ADEX - Asociación de Exportadores,
Lima (Perú)
CRA - Consiglio per la Ricerca
e la Sperimentazione in Agricoltura
Unità di Ricerca per i Sistemi Colturali
degli Ambienti caldo-aridi, Bari
Donato Gallitelli
Giuseppe Maiani
Dipartimento di Biologia e Patologia vegetale
Università degli Studi di Bari
INRAN - Istituto Nazionale di Ricerca
per gli Alimenti e la Nutrizione, Roma
Stella Maris Garcia
Francesco Salvatore Marras
Facultad de Ciencias Agrarias
Universidad National de Rosario (Argentina)
Dipartimento di Protezione delle Piante
Università degli Studi di Sassari
Santiago Fumagalli Galli
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Vittorio Marzi
Toufik Ouselati
Francesco Saccardo
Accademia dei Georgofili, Sezione Sud-Est, Bari
GIL - Groupement Interprofessionnel des Légumes,
Tunisi (Tunisia)
GEMINI - Dipartimento di Geologia e Ingegneria
Meccanica, Naturalistica e Idraulica per il territorio
Università degli Studi della Tuscia, Viterbo
Tiziana Mascia
CNR - Istituto di Virologia Vegetale, Bari
Bernardo Pace
Giovanni Mauromicale
CNR - Istituto di Scienze delle Produzioni Alimentari
Bari
DAPCA - Dipartimento di Scienze Agronomiche,
Agrochimiche e delle Produzioni Animali
Università degli Studi di Catania
Mario Augusto Pagnotta
NRC - National Research Centre
Medicinal and Aromatic Plants Department,
Cairo (Egitto)
DABAC Dipartimento di Agrobiologia e Agrochimica
Università degli Studi della Tuscia, Viterbo
Gabriella Sonnante
Maria Grazia Melilli
Mahmoud Sharaf-Eldin
CNR - Istituto di Genetica Vegetale, Bari
CNR - ISAFOM - Istituto per i Sistemi Agricoli
e Forestali del Mediterraneo, Catania
Marc Eric Pavillard
Marketing Prince de Bretagne, Bretagne (Francia)
Raffaela Tavazza
Stefania Miccadei
Roberto Piazza
CRS - Istituto Regina Elena, Roma
FedagroMercati - ACMO - Associazione Commercianti
Mercato Ortofrutticolo Bologna
ENEA CR Casaccia
Dipartimento Biotecnologie, Agroindustria
e Protezione della Salute, Roma
Fabio Micozzi
GEMINI - Dipartimento di Geologia e Ingegneria
Meccanica, Naturalistica e Idraulica per il territorio
Università degli Studi della Tuscia, Viterbo
Domenico Pignone
Francesca Monteferraio
Agris Sardegna - Agenzia Regionale per la Ricerca
in Agricoltura - Dipartimento per la Ricerca
nelle Produzioni Vegetali, Cagliari
Dipartimento di Scienze Sanitarie Applicate
e Psicocomportamentali, Sezione di Scienza
dell’alimentazione e nutrizione umana,
Azienda di Servizi alla Persona di Pavia,
Università degli Studi di Pavia
CNR - Istituto di Genetica Vegetale, Bari
Anna Barbara Pisanu
Salvatore Antonino Raccuia
Olindo Temperini
GEMINI - Dipartimento di Geologia e Ingegneria
Meccanica, Naturalistica e Idraulica per il territorio
Università degli Studi della Tuscia, Viterbo
Romano Tesi
Dipartimento di Scienze delle Produzioni Vegetali,
del Suolo e dell’Ambiente Agroforestale
Università degli Studi di Firenze
CNR - ISAFOM Istituto per i Sistemi Agricoli
e Forestali del Mediterraneo, Catania
Atnan Uğur
Dipartimento di Scienze delle Produzioni Vegetali
Università degli Studi di Bari
Mohamed Razine
Sebastiano Vanadia
Irene Morone Fortunato
Annamaria Repetto
Dipartimento di Scienze delle Produzioni Vegetali
Università degli Studi di Bari
Agris Sardegna - Agenzia Regionale per la Ricerca
in Agricoltura - Dipartimento per la Ricerca
nelle Produzioni Vegetali, Cagliari
Pasquale Viggiani
Mariangela Rondanelli
Margherita Zalum Cardon
Pasquale Montemurro
Martino Muntoni
Agris Sardegna - Agenzia Regionale per la Ricerca
in Agricoltura - Dipartimento per la Ricerca
nelle Produzioni Vegetali, Cagliari
Annalisa Opizzi
Dipartimento di Scienze Sanitarie Applicate
e Psicocomportamentali, Sezione di Scienza
dell’alimentazione e nutrizione umana,
Azienda di Servizi alla Persona di Pavia,
Università degli Studi di Pavia
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Ingénieur Agronome, Rabat (Marocco)
Dipartimento di Scienze Sanitarie Applicate
e Psicocomportamentali, Sezione di Scienza
dell’alimentazione e nutrizione umana,
Azienda di Servizi alla Persona di Pavia,
Università degli Studi di Pavia
Faculty of Agriculture, University of Ordu (Turchia)
CNR - Istituto di Scienze delle Produzioni Alimentari
Bari
Agronomo, specialista in flora spontanea,
Bologna
Esperta in storia dell’arte, Firenze
Rodolfo Zaniboni
Nunhems Italy, Sant’Agata Bolognese (BO)
Claudia Ruta
Dipartimento di Scienze delle Produzioni Vegetali
Università degli Studi di Bari
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p r e f a z i o n e
Il gruppo Bayer ha orientato il proprio impegno verso la ricerca di un preciso e chiaro obiettivo:
lavorare per creare, attraverso l’innovazione e lo sviluppo, una condizione ottimale per una vita
sociale migliore.
Con il sostegno a importanti iniziative in ambito culturale, sportivo e sociale, Bayer in Italia ha
saputo modellare, inoltre, i propri obiettivi di crescita sempre con il consenso delle comunità
in cui si trova a operare. Impiegare le proprie risorse nella creazione di un equilibrio stabile nel
tempo tra uomo e ambiente significa considerare “il rispetto” e la coerenza come massime
espressioni dell’agire umano.
In linea con questi principi, Bayer CropScience ha reso possibile la realizzazione della collana
“Coltura & Cultura”, che ha come primo scopo quello di far conoscere i valori della produzione
agroalimentare italiana, della sua storia e degli stretti legami con il territorio.
La collana prevede la realizzazione dei volumi il grano, il pero, la vite e il vino, il mais, il pesco,
il melo, il riso e l’ulivo e l’olio (già pubblicati), il carciofo e il cardo, il pomodoro, l’uva da tavola,
la patata e la fragola e i piccoli frutti. Per ciascuna coltura saranno trattati i diversi aspetti, da
quelli strettamente agronomici, quali botanica, tecnica colturale e avversità, a quelli legati al
paesaggio e alle varie forme di utilizzazione artigianale e industriale, fino al mercato nazionale
e mondiale.
Un ampio spazio è riservato agli aspetti legati alla storia di ciascuna coltura in relazione ai bisogni dell’uomo e a tutte le sue forme di espressione artistica e culturale.
Nella sezione dedicata alla ricerca si sono voluti evidenziare, in particolare, i risultati raggiunti
nei settori del miglioramento genetico.
Di particolare interesse e attualità è la parte riservata all’alimentazione, che sottolinea l’importanza di ciascun prodotto nella dieta e i suoi valori nutrizionali e salutistici. Questi elementi
vengono completati con la presentazione di ricette che si collocano nella migliore tradizione
culinaria italiana.
L’auspicio di Bayer CropScience è che questa opera possa contribuire a far conoscere i valori
di qualità e sicurezza quali elementi distintivi e caratterizzanti la produzione agroalimentare
italiana.
Renzo Angelini
Bayer CropScience
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p r e s e n t a z i o n e
Carciofo: “il re dell’orto”. Questa definizione rappresenta, in modo sintetico ma completo, l’importanza di questa coltura nel panorama orticolo nazionale. L’Italia è storicamente e di gran lunga il maggior produttore mondiale di carciofo, con il 35% circa della superficie e della produzione
totale. La coltivazione sul territorio nazionale, anche se concentrata prevalentemente in Puglia,
Sicilia e Sardegna, è diffusa e radicata in molte altre regioni, come Lazio, Campania, Toscana,
Emilia-Romagna, Veneto, Marche e Liguria, dove sono presenti numerosi ecotipi. Inoltre il carciofo ha dato origine a diverse sagre e manifestazioni e fa parte della tradizione gastronomica
nazionale con un gran numero di ricette e piatti tipici regionali. Gli italiani sono anche i maggiori
consumatori al mondo con 8 kg/pro capite per anno.
Originario del bacino del Mediterraneo, il carciofo ha dimostrato nel corso del tempo di essere
una coltura versatile, capace di espandersi dalle zone di origine e di adattarsi a un’ampia varietà di condizioni pedo-climatiche, dalla Bretagna, nel nord della Francia, alla Cina, dalla costa
sull’oceano Pacifico alle aree pre-desertiche della California, dalle zone costiere alla Cordigliera
andina in Perú.
La cinaricoltura italiana è considerata un modello di riferimento per gli altri Paesi: l’importante
ruolo svolto dalla ricerca negli ultimi cinquant’anni — non a caso sono stati organizzati a Bari i
primi quattro convegni internazionali — e lo stretto rapporto con il mondo della produzione hanno favorito l’introduzione di numerose innovazioni nella tecnica colturale. Non solo, notevole impulso hanno avuto le conoscenze sul carciofo come pianta medicinale, sugli aspetti biochimici e
sulle diverse proprietà nutrizionali che tanto interesse suscitano oggi sia alle aziende del settore
sia presso il consumatore moderno.
Le considerazioni accennate brevemente in precedenza sono state illustrate e approfondite in
quest’opera che ho avuto l’onore di coordinare.
Il volume il carciofo e il cardo, come i precedenti della collana Coltura & Cultura promossa da
Bayer CropScience, è suddiviso in otto sezioni e ha lo scopo di offrire al lettore una trattazione
completa e interdisciplinare, ma vivace e sintetica. I singoli argomenti sono trattati con rigorosità
scientifica e con linguaggio accessibile anche al lettore semplicemente curioso di approfondire
un aspetto particolare dell’opera. La chiarezza dell’esposizione si deve all’impegno degli Autori,
di riconosciuta competenza ed esperienza, e all’originalità dell’articolazione dei capitoli, arricchiti
da numerose illustrazioni, schemi, riquadri, tabelle e grafici, in modo da rendere agevole la comprensione degli argomenti trattati.
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Sono state illustrate le tematiche relative all’origine ed evoluzione della coltura, le caratteristiche
morfologiche e la fisiologia della pianta; un capitolo è stato riservato anche al cardo, spesso
erroneamente tralasciato o poco considerato. Ampio spazio è stato dedicato al carciofo nella
storia e nell’arte, non trascurando aneddoti e curiosità. Notevole attenzione è stata riservata agli
aspetti legati all’alimentazione, con una disamina completa delle caratteristiche nutrizionali e
delle proprietà fitoterapiche e medicinali; completano il capitolo le ricette e numerose curiosità
sulle preparazioni gastronomiche.
La descrizione del carciofo nelle cinque principali regioni italiane, delle tecniche di coltivazione,
dei parassiti animali e delle malattie offrono al lettore una visione chiara e completa relativa
all’aspetto tecnico-agronomico della coltura. Nel capitolo della ricerca sono riportate le tematiche più recenti e i risultati della sperimentazione condotta in vari istituti e università, in Italia e
all’estero. I prodotti trasformati, gli aspetti economici, di marketing e i rapporti commerciali tra i
vari Paesi sono ampiamente descritti e commentati.
Completano e arricchiscono il volume una serie di capitoli sul carciofo nel mondo, che aprono
una finestra sui principali Paesi produttori e forniscono, attraverso la testimonianza diretta degli
Autori, una descrizione sintetica ed esaustiva di questa coltura nel contesto internazionale.
Spero che questo volume sul carciofo e sul cardo, unico nel suo genere, soddisfi l’interesse e la
curiosità dei lettori.
Nicola Calabrese
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r i n g r a z i a m e n t i
Il volume è stato realizzato grazie al prezioso contributo di tutti coloro che hanno creduto in
questa iniziativa editoriale, fornendo un supporto progettuale e redazionale decisivo.
Si segnala il prezioso contributo di Michele Curci, Danilo Salmistraro, Vanni Bellettato, Paolo Bacchiocchi, Cesare Cangero e Roberto Balestrazzi per il materiale iconografico, che ha
permesso di arricchire i vari capitoli, ed Elisabetta Fabbi per l’importante attività di supporto
redazionale.
I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri
casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite dalla Image Bank
di Bayer CropScience.
Per il contributo alla realizzazione di alcuni capitoli si ringraziano infine Maria Antonietta Papanice, Giovanna Bottalico, Antonietta Campanale, Alessandra Di Franco, Crisostomo Vovlas
(Virosi); Edmundo Catacora Pinazo, Edwin Pariona Meza (Carciofo in Perú). Un ringraziamento
particolare va a Lucia Tomasi Tongiorgi del Dipartimento di Storia delle Arti dell’Università degli
Studi di Pisa per la revisione del capitolo Letteratura, pittura, cultura.
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botanica
Origine ed evoluzione
Domenico Pignone
Gabriella Sonnante
Morfologia e fisiologia
Vito Vincenzo Bianco
Nicola Calabrese
Coltivazione del cardo
Salvatore Antonino Raccuia
Maria Grazia Melilli
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botanica
Origine ed evoluzione
Genere Cynara
Per comprendere l’origine del carciofo e del cardo bisogna innanzitutto conoscere le specie selvatiche affini dello stesso genere. Il
genere Cynara appartiene alla famiglia delle Asteraceae o Compositae, la stessa famiglia di specie ortensi e ornamentali economicamente importanti quali la lattuga, la cicoria, il girasole, nonché
le gerbere, i crisantemi e le margherite. Le specie che costituiscono il genere Cynara sono diploidi (2n = 2x = 34), suddivisibili in
due gruppi, di cui il primo costituisce il complesso C. cardunculus
comprendente le forme coltivate del carciofo (C. cardunculus subsp. scolymusi, oppure var. scolymus) e del cardo (C. cardunculus
var. altilis) più una forma selvatica (C. cardunculus var. sylvestris),
che chiameremo carciofo selvatico. In realtà, il carciofo coltivato
era inizialmente considerato come una specie separata, C. scolymus, ma recenti studi lo hanno incluso nella specie C. cardunculus. Il secondo gruppo eterogeneo del genere include, secondo
Wiklund, sette specie selvatiche: C. syriaca, C. auranitica (da alcuni autori ricompresa nella variabilità di C. syriaca), C. cornigera, C.
algarbiensis, C. baetica, C. cyrenaica e C. humilis.
Le specie di Cynara sono generalmente piante erbacee robuste,
erette e perenni. Le dimensioni delle piante vanno da meno di
0,5 m fino a circa 2 m, in alcuni esemplari di C. auranitica e C.
cardunculus. Le foglie hanno un colore verde di intensità varia-
Vavilov e i centri di origine
• Nikolaj Ivanovič Vavilov (1887-1943)
fu un agronomo e genetista russo che
dedicò molti dei suoi studi all’origine
delle piante coltivate, all’analisi della
loro diversità e delle piante selvatiche
da cui derivano. Dopo una lunga
serie di spedizioni dal 1916 al 1936
in Africa, Asia e America, giunse a
formulare la teoria dei Centri di origine
delle piante coltivate, oggi noti anche
come Centri di Vavilov, ossia le aree
dove alcune specie o gruppi di specie
furono per la prima volta domesticati
dall’uomo. Oppositore delle teorie
neolamarckiane di Lysenko, appoggiato
dal regime, fu accusato di difendere
la “pseudoscienza borghese” della
genetica classica e cadde in disgrazia,
morendo in prigione
Centri di origine delle piante coltivate secondo Vavilov
Centro
Mediterraneo
Centro Messicano-Americano
centrale
Medio
Oriente
Centro
centro-asiatico
Centro
Indiano
Centro
Cinese
Etiopia
Centro
Indiano
Centro
Sudamericano
Centro
Sudamericano
Centro
Sudamericano
2
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botanica
Sezione del capolino di carciofo
Spine
Brattee
interne
Pappo
Brattee
esterne
Peduncolo
Ricettacolo
diversissime (allungata, ovale, rotonda e forme di passaggio tra
queste); la lunghezza può superare i 10 cm, mentre la larghezza
può essere di oltre 6 cm. Il margine superiore può essere intero,
inciso con varia profondità e anche introflesso; l’apice può mostrarsi appuntito, arrotondato, smussato, inerme o con presenza
di spine di dimensioni diverse (che possono superare i 5 mm di
lunghezza). Il colore della parte dorsale va dal verde chiaro al verde scuro, con sfumature violette, al violetto scuro uniforme; in alcuni casi le brattee sono anche lucenti. La parte ventrale è sempre
più chiara di quella esterna, normalmente tendente al giallo chiaro
nelle vicinanze dell’attacco sul ricettacolo, dove si nota un rigon-
Singolo fiore di carciofo (flosculo)
Foto R. Angelini
Sezione di un capolino di carciofo in cui si
nota la forma convessa del ricettacolo e
l’insieme dei flosculi
Capolini a differente stadio di maturazione: quello a destra mostra brattee
violette interne con presenza di spine agli apici
16
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coltivazione del cardo
Caratteristiche botaniche
Il cardo è una specie erbacea nitrofila perenne in natura, spesso
annuale quando coltivata come ortaggio. L’altezza può variare da
un minimo di 40 cm, in alcuni biotipi di Cynara cardunculus var.
sylvestris, a oltre 300 cm in alcune varietà di cardo domestico.
La pianta è costituita da un grosso fusto rizomatoso (ceppaia)
da cui si dipartono le radici laterali che, pur non numerose, sono
notevolmente robuste (fino a oltre 2 cm di diametro). L’apparto
radicale si può approfondire nel terreno ben oltre il metro.
Le foglie sono portate su internodi molto ravvicinati in particolare nella parte basale del fusto e fanno assumere alla pianta un
aspetto cespuglioso. Sono pennatosette, di dimensioni, peso e
numero variabili in rapporto al genotipo, e presentano colore verde cenerino o talvolta grigiastro nella pagina superiore, verde più
chiaro o grigio nella pagina inferiore per la presenza di peluria. Le
lamine (o lembi) delle foglie possono risultare più o meno frastagliate a seconda del genotipo e possono o meno presentare delle
spine di colore chiaro (giallo-biancastro), sempre in rapporto al
genotipo di appartenenza. La spinosità delle foglie è un carattere
sempre presente nel Cynara cardunculus var. sylvestris. Le foglie
adulte possono raggiungere una lunghezza superiore al metro. I
larghi e carnosi piccioli (coste o costolature), in cui si notano delle
solcature più o meno profonde, hanno colore grigio-verdastro alla
base e si presentano larghi fino a 10 cm.
Il fusto (asse fiorale) è eretto, ramificato, robusto, striato in senso
longitudinale e fornito di foglie alterne. L’asse principale e le sue
ramificazioni (di primo, secondo e terzo ordine) presentano le infiorescenze in posizione terminale.
Infiorescenze di cardo di colore bianco
Infiorescenze di cardo di colore viola
Foto R. Angelini
19
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coltivazione del cardo
Le coste, inoltre, contengono un abbondante quantitativo di polifenoli e di flavonoidi, quali quercetina ed epicatechine, che inibiscono l’azione di diversi radicali liberi e svolgono funzione antibatterica. Questo importante ortaggio della dieta mediterranea
può quindi essere considerato un alimento funzionale, in quanto
esplica una serie di effetti benefici sull’uomo.
Foto R. Angelini
Cardo da industria
L’utilizzazione del cardo come coltura da biomassa per energia
nasce dalla considerazione che la specie ben si adatta alle peculiari caratteristiche dell’ambiente mediterraneo, contraddistinto
da apporti idrici limitati e irregolarmente distribuiti durante l’arco
dell’anno. La specie infatti, grazie al suo ciclo biologico, che va
dall’autunno alla primavera, periodo in cui si registrano i maggiori
eventi piovosi, è in grado di intercettare tutti gli apporti idrici naturali
disponibili. Inoltre l’apparato radicale funge anche da organo di accumulo di sostanze di riserva, capace di sostenere la riattivazione
vegetativa dopo la quiescenza estiva. Grazie alla spiccata adattabilità del cardo all’ambiente mediterraneo è possibile ottenere buone
rese in biomassa e acheni in condizioni di bassi input energetici.
Tecnica colturale
Sono da preferire terreni fertili, freschi e profondi, di medio impasto
e senza ristagni, anche se il cardo tollera molto bene suoli poveri
e pesanti a reazione sia acida sia basica. Può tollerare venti forti.
La temperatura media ottimale per la crescita oscilla tra i 10 °C e
i 15 °C.
La semina diretta viene effettuata tra settembre e novembre in
funzione dell’andamento termoudometrico, in modo tale che le
Infiorescenze di cardo
Principali impieghi delle differenti componenti della biomassa di cardo
Biomassa
Granella
Olio
Alimentazione
umana e cosmesi
Proteine
Biodiesel
Epigea
Radici
Energia
Inulina
Alimentazione
zootecnica
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storia e arte
Letteratura, pittura,
cultura
Vito Vincenzo Bianco
Nicola Calabrese
Margherita Zalum Cardon
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storia e arte
Letteratura, pittura, cultura
Antichità
Il carciofo è un ortaggio tipico dell’area mediterranea e l’Italia ne
è il principale produttore mondiale. Esso è stato coltivato ampiamente nel passato, sin dagli albori delle civiltà occidentali, anche
grazie alle molte virtù che gli erano attribuite, e alle sue apprezzatissime qualità organolettiche; eppure, dal punto di vista storico,
esso sembra non aver riscosso un uguale successo, e per molti
aspetti la documentazione su questa preziosa pianta è lacunosa
e incompleta. La situazione è resa ancora più complessa a causa
del fatto che, per quanto riguarda le epoche più antiche, non è
facile distinguere le notizie che si riferiscono al carciofo vero e
proprio da quelle che invece sono relative al cardo selvatico.
L’origine del carciofo non è del tutto chiara; anche se la zona non
è stata individuata con certezza, si ipotizza che la domesticazione
sia stata avviata in Sicilia.
In tutte le civiltà che si sono sviluppate intorno al bacino del Mediterraneo si trova comunque traccia della conoscenza e dell’uso
di questa pianta. Già nel IV secolo a.C. gli Arabi la coltivavano,
sotto il nome di al-karshuf o ardi-shoki. Dai nomi arabi, che significano “spina di terra” e “pianta che punge”, con allusione alla
Mosaico del III secolo d.C. proveniente da
El Jem (Tunisia) rappresentante, tra le altre
figure, due capolini di carciofo di diversa
forma. Museo del Bardo, Tunisi
Particolare della figura precedente
Carciofi, particolare del mosaico di Arione e Orfeo, III secolo d.C.,
proveniente da La Chebba (Tunisia). Museo del Bardo, Tunisi
32
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letteratura, pittura, cultura
Medioevo ed Età Moderna
In epoca medievale le notizie sul carciofo si fanno molto scarse,
ma certamente esso non scompare dagli orti e dai giardini, né
tantomeno dalle tavole degli europei. La sua conoscenza è attestata dal fatto che esso riaffiora, insieme a un’ampia varietà di
motivi decorativi fitomorfi, scolpito in alcuni capitelli che sorreggono le statue della cattedrale di Chartres (inizio XIII sec.). Intorno
al Trecento, inoltre, esso era coltivato nella zona del Maghreb, a
quel tempo sottoposto alla dominazione araba e musulmana.
Ma il periodo di maggiore fortuna del carciofo ha inizio con l’età
moderna. Da Napoli, esso è importato a Firenze nel 1466 da Filippo
Strozzi; pochi anni dopo, è notato a Venezia come una curiosità. E
dalla Toscana ben presto di diffonde in tutto il resto d’Europa.
Già prima del 1530 esso è coltivato in Francia, come attesta
l’opera di de l’Aigne, Singulier traicté contenant les propriétés des
tortues, escargots, grenouilles et artichauts, stampata a Parigi.
Nel 1532 aiuole di carciofi sono ricordate in Avignone, mentre nei
decenni successivi la sua presenza è registrata anche in altre città
della Francia. Assai rapidamente la sua coltivazione si estende
dalla Linguadoca, alla Valle della Loira, all’Ile del France. Nello
stesso periodo, il carciofo è introdotto in Inghilterra, probabilmente a opera degli Olandesi: si sa che esso era coltivato nel giardino
di Enrico VIII a Newhall.
Jacques Le Moyne (de Morgues) (1533-1588),
Carciofo: Cynara scolymus, c.1568, Victoria
& Albert Museum, Londra (© The Bridgeman
Art Library/Archivi Alinari, Firenze)
Christian Berentz (1658-1726), Ortaggi e frutta,
Galleria Nazionale d’Arte Antica, Roma (©
2009. Foto Scala, Firenze, per concessione
del Ministero per i Beni e le Attività Culturali)
Blas de Ledesma (1590-1614), Natura morta con asparagi, carciofi, limoni
e ciliege, Museo Bowes, Barnard Castle, County Durham, UK
(© The Bridgeman Art Library/Archivi Alinari, Firenze)
35
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letteratura, pittura, cultura
per più di due secoli: i Discorsi sul De materia medica di Dioscoride Pedanio, pubblicati per la prima volta in italiano nel 1544 e
poi tradotti in latino dieci anni dopo. Questa seconda edizione
del testo, corredata da un ricchissimo apparato iconografico di
straordinaria qualità determinerà la fortuna dell’opera e imprimerà
una svolta decisiva alla storia della botanica nel Cinquecento.
Nella stessa linea anche il medico personale di Luigi XIII, La
Framboisière, che scrive: “I carciofi scaldano il sangue e spronano in modo naturale al gioco amoroso di Venere, sono buoni
per lo stomaco e fanno venire appetito, sono tanto apprezzati per
la loro bontà che non si combina un sontuoso banchetto senza
carciofi”.
Benché la sua diffusione rispetto al passato si sia ampliata notevolmente, nel corso del Cinquecento il carciofo è ancora una
pianta piuttosto rara, e considerata un bene di lusso, destinato
alle tavole dei ricchi: non a caso in questo periodo esso merita
gli appellativi di “principe delle verdure d’inverno” e “diavoleria
mangereccia”. Le stesse modalità di coltivazione messe a punto
in Italia e in Francia, cui si è accennato sopra, erano in realtà assai complesse e dispendiose; erano perciò attuate solo negli orti
gravitanti attorno alle città, in rapporto di stretta dipendenza da un
mercato privilegiato di acquirenti benestanti se non decisamente
agiati. Nei contesti periferici e rurali il carciofo continua a essere
coltivato secondo metodi più tradizionali, che però ne limitano la
disponibilità a un breve periodo dell’anno.
Giuseppe Arcimboldo (1530-1593) (seguace),
L’allegoria della terra, collezione privata
(© The Bridgeman Art Library/Archivi Alinari,
Firenze)
Carciofo alla corte di Francia
• Anche se la documentazione storica
la contraddice, la leggenda vuole che
a far conoscere in Francia il carciofo
sia stata la fiorentina Caterina de’
Medici, andata in sposa ad Enrico II.
In ogni caso, la regina sembra essere
stata particolarmente ghiotta di
quest’ortaggio, al punto che a corte non
poteva darsi un banchetto senza che
fosse imbandita una piccola montagnola
di carciofi. Evidentemente la sovrana
ne apprezzava le proprietà digestive e
l’azione benefica sul fegato, traendone
giovamento nonostante le memorabili
abbuffate: “si credeva di vederla
scoppiare”, come tramanda un cronista
dell’epoca. Anche il re Luigi XIV era un
grande consumatore di carciofi
Vincenzo Campi (1536-1591), Fruttivendola, Pinacoteca di Brera, Milano
(© Archivi Alinari, Firenze, per concessione del Ministero per i Beni e le
Attività Culturali)
39
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alimentazione
Aspetti nutrizionali
Carlo Cannella
Fitoterapia e medicina
Mariangela Rondanelli
Annalisa Opizzi
Francesca Monteferraio
Composti bioattivi
Donato Di Venere
Giuseppe Maiani
Stefania Miccadei
Tradizione alimentare
Vittorio Marzi
Sebastiano Vanadia
Carciofo in cucina
Vito Vincenzo Bianco
Bernardo Pace
Ricette
Gianfranco Bolognesi
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alimentazione
Aspetti nutrizionali
Il carciofo è un ortaggio dal caratteristico sapore dolce-amaro
costituito dai capolini con brattee carnose prodotti da una pianta
perenne della famiglia delle Asteraceae con foglie basali molto
grandi. La parte edule dei capolini è costituita dalla base carnosa
dell’infiorescenza (ricettacolo o “fondo”) e dalle brattee interne
più tenere che l’avvolgono (comunemente dette “foglie” o “squame”). Abbastanza comune è il consumo della parte superiore del
gambo.
Gli antichi romani apprezzavano il carciofo per il suo gusto “raffinato” che lo distingue dagli altri ortaggi; ci sono giunte testimonianze scritte sull’uso alimentare del carciofo da Plinio (Naturalis
historia) e da Columella (De re rustica), che Piero Camporesi riporta nel suo commento alla Scienza in Cucina ovvero l’arte di
mangiar bene di Pellegrino Artusi.
Il carciofo fornisce un basso apporto calorico, è ricco di minerali
(potassio, calcio, fosforo e ferro), mentre ha scarso contenuto in
vitamine; assieme agli altri prodotti ortofrutticoli freschi, occupa
un ruolo importante nella dieta mediterranea e nella piramide alimentare che ben rappresenta lo stile italiano dell’alimentazione. Il
carciofo è un ortaggio prodotto in pieno campo in diverse regioni
italiane e ha un periodo di raccolta molto ampio; per questo motivo è presente ininterrottamente sul mercato da ottobre a maggio
(otto mesi), pertanto, a differenza di tanti altri ortaggi, è un “prodotto di stagione” reperibile per un lungo periodo dell’anno.
Composizione di ortaggi coltivati
(per 100 g di parte edibile)
Carciofo
Cardo
coltivato
Cavolfiore
Parte
edibile (g)
34
70
66
Acqua (g)
91,3
94,3
90,5
Proteine (g)
2,7
0,6
3,2
Lipidi (g)
0,2
0,1
0,2
Carboidrati
dispon. (g)
2,5
1,7
2,7
Amido (g)
0,5
0,2
0,3
Zuccheri
solubili (g)
1,9
1,5
2,4
Fibra (g)
5,5
1,5
2,4
Energia
(Kcal)
22
10
25
Sodio (mg)
133
23
8
Potassio
(mg)
376
293
350
Ferro (mg)
1,0
0,2
0,8
Calcio (mg)
86
96
44
Magnesio
(mg)
45
=
28
Fosforo
(mg)
67
11
69
Tiamina
(mg)
0,06
0,02
0,10
Riboflavina
(mg)
0,10
0,04
0,10
Niacina
(mg)
0,50
0,20
1,20
Vit. C (mg)
12
4
59
Vit. A (μg
ret. eq.)
18
tracce
50
Piramide alimentare italiana
Attività fisica
Fonte: Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti
e la Nutrizione, Aggiornamento 2000
46
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alimentazione
tre limitano l’ossidazione delle lipoproteine a bassa densità. Per
trarre beneficio dalle sostanze protettive contenute nel carciofo
bisognerebbe consumarne 200-250 g (una porzione), dando preferenza al prodotto fresco crudo. Dopo la cottura, 100 g di prodotto fresco si riducono a 74 g.
Il carciofo è ricco di fibra alimentare, utile a mantenere la funzionalità intestinale e probabilmente anche a controllare i livelli ematici
di glucosio e colesterolo. La fibra contribuisce inoltre al raggiungimento del senso di sazietà, quindi aiuta a limitare il consumo di
alimenti a elevata densità energetica. L’inulina è un polisaccaride
(polimero del fruttosio) idrosolubile, non digerito dai nostri succhi intestinali (fibra solubile), ma metabolizzato dai bifidobatteri
e quindi con proprietà prebiotiche perché utile a far proliferare
alcuni microrganismi (detti probiotici), che costituiscono la flora
batterica utile al nostro organismo in quanto inibiscono l’insediarsi di batteri dannosi. Altri ortaggi, nei quali l’inulina è contenuta
soprattutto nelle radici, sono il topinambur e le cicorie. Alcuni oligosaccaridi contenenti fruttosio (quelli della serie del raffinosio =
galattosio-glucosio-fruttosio) sono presenti nella buccia dei legumi e, similmente all’inulina, quando vengono ingeriti sono fermentati nel colon dai bifidobatteri, stimolando così non solo l’effetto
benefico dei probiotici, ma anche emissioni di gas che possono
arrecare disturbo nella vita di relazione.
I fitosteroli sono composti di natura steroidea che inibiscono
l’assorbimento intestinale del colesterolo e pertanto esercitano
un effetto ipocolesterolemizzante; un’alimentazione ricca di ortaggi e che utilizza l’olio extravergine d’oliva come condimento consente di introdurre una quantità di fitosteroli pari a circa
600-800 mg/giorno. È questa una buona quantità di fitosteroli
che caratterizza le abitudini alimentari mediterranee ed è salutare perché permette di modulare l’assorbimento del colesterolo,
Contenuto in fibra alimentare
(g/100 g di parte edibile)
di prodotto bollito
Ortaggio
Insolubile
Solubile
Carciofi freschi, bolliti
3,17
4,68
Cardi bolliti
1,25
0,28
Asparagi di campo,
bolliti
1,57
0,49
Cavolfiore bollito
1,68
0,71
Finocchi bolliti
1,38
0,49
Fonte: Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti
e la Nutrizione, Aggiornamento 2000
48
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fitoterapia e medicina
Storia del carciofo come alimento
e come rimedio farmacologico
Egitto: il carciofo
veniva scolpito
su altari sacrificali
Principali molecole attive
presenti nella pianta di carciofo
Prima metà ’900:
alcuni ricercatori francesi lo indicarono
come farmaco per il fegato
Rinascimento:
alimento nobile
consumato solo
nelle corti e dai reali
• Le foglie del carciofo contengono
diverse molecole con rilevanti attività
farmacologiche; le più importanti sono:
Anni ’70, ’80, ’90:
studi clinici controllati
– derivati dell’acido caffeico
– flavonoidi
Il carciofo negli anni
– lattoni sesquiterpenici
18°-19° secolo:
veniva portato negli Stati Uniti
dagli immigrati
Greci e Romani:
1965:
ne conoscevano le proprietà
identificazione della cinarina
digestive, diuretiche
e utilizzo come epatoprotettore
e coleretiche
del carciofo come sostanza coleretica, diuretica, epatoprotettiva
ed epatostimolante.
Chimica delle molecole biologicamente attive presenti
nel carciofo
Dal punto di vista chimico le foglie del carciofo contengono diverse molecole con importanti attività farmacologiche. Di seguito
sono descritte le caratteristiche delle principali sostanze attive.
Derivati dell’acido caffeico. Molte delle attività farmacologiche
degli estratti della foglia di carciofo sono state attribuite, almeno
inizialmente, alla presenza di acidi caffeilchinici (CQS). In letteratura questi composti sono anche chiamati, più genericamente,
derivati dell’acido caffeico, oppure orto-diidrofenoli; sinteticamente sono ottenuti dalla condensazione di una molecola di acido chinico con una o due molecole di acido caffeico.
Storicamente le indagini chimiche su tali componenti iniziarono
nel 1840, quando un certo Guitteau isolò una sostanza, conosciuta oggi con il nome di cinarina.
La vera natura di questa sostanza fu scoperta da Chabrol e coll.
nel 1931. Questi ricercatori riuscirono a separare, da un estratto
acquoso di foglie di carciofo, una frazione che precipitava con
l’aggiunta di piombo e un residuo che non precipitava.
La frazione precipitata fu poi analizzata risultando di natura acida
per la presenza di gruppi fenolici e con un notevole effetto coleretico nei cani, mentre la frazione che non precipitava con il piombo
risultò priva di qualsiasi attività.
Derivati dell’acido caffeico
• Storicamente le indagini chimiche
su questi componenti iniziarono nel
1840, quando venne isolata la cinarina
• Oltre alla cinarina, altri acidi
monocaffeilchinici sono: l’acido
clorogenico, l’acido criptoclorogenico
e l’acido caffeico
• Farmacologicamente hanno effetti
coleretici e, in parte, di riduzione
del colesterolo
51
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14-12-2009 12:04:08
alimentazione
l’energia necessaria alla crescita; ha un ruolo protettivo per la pianta nei confronti delle basse temperature e della siccità. Per la sua
presenza nel capolino è stata ipotizzata una funzione osmoregolatrice: essa viene accumulata nel corso dell’accrescimento del
capolino e rapidamente depolimerizzata nella fase di espansione
dell’infiorescenza.
Il contenuto di inulina del capolino di carciofo varia in funzione
del genotipo, dello stadio fisiologico e dell’epoca di raccolta; è noto infatti che esso è influenzato da fattori genetici, fisiologici e
ambientali (soprattutto la temperatura). Nel confrontare quindi il
contenuto di inulina delle diverse cultivar, alla luce di queste considerazioni, è necessario tenere presente criteri di omogeneità in
relazione ai suddetti fattori.
Ricerche effettuate su numerose cultivar hanno messo in evidenza una notevole variabilità nel contenuto di inulina della parte edule del capolino, in un intervallo compreso tra 1% e 6% del peso
fresco (tra circa 7% e 40% del peso secco). Nel corso dell’accrescimento del capolino sulla pianta il contenuto di inulina aumenta notevolmente, raggiungendo, nel capolino a maturazione
commerciale, valori più che doppi rispetto a quelli del capolino
nei primi stadi di sviluppo. Per il Violetto di Provenza, la cui produzione va da novembre a maggio, è stato osservato un contenuto
di inulina dell’8% del peso fresco (43% del peso secco) in epoca
invernale e del 5,5% (35% del peso secco) in epoca primaverile. Oltre all’inulina, le proprietà nutraceutiche del carciofo sono
attribuite anche alla presenza di polifenoli, in particolare esteri
dell’acido caffeico e flavonoidi derivati di apigenina e luteolina, la
Cosa sono e cosa fanno
i prebiotici
• Il termine prebiotico indica un gran
numero di sostanze organiche,
in particolare gli oligosaccaridi
fermentescibili (FOS e inulina), che sono
in grado di favorire la crescita
della flora microbica intestinale,
in quanto fungono da substrato nutritivo
per i microrganismi endogeni
• Il loro meccanismo d’azione è quello
di favorire la crescita di microrganismi
probiotici, quali per es. i bifidobatteri,
che normalmente costituiscono
la microflora intestinale, contribuendo
a inibire la crescita di batteri dannosi
• Ai prebiotici inulino-simili vengono
attribuite proprietà salutistiche, quali
l’aumento della capacità di assorbimento
di ioni calcio e magnesio e la riduzione
dei livelli ematici di glucosio e trigliceridi
Polifenoli
HO
O
O
HO
O
HO
OH
OH
Acido 5-O-caffeilchinico
(ac. clorogenico)
COOH
O
OH
OH
O
HO
OH
O
O
OH
OH
HO
Acido 1,3-O-dicaffeichinico
(cinarina)
OH
OH
GluO
O
OH O
Apigenina 7-O-glucoside
OH
GluO
O
OH O
Luteolina 7-O-glucoside (cinaroside)
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alimentazione
na tradizionale nei disturbi epatici e hanno dimostrato di svolgere
un’azione benefica contro le malattie epatobiliari.
Diversi studi hanno dimostrato l’efficacia e la sicurezza degli
estratti di carciofo nel trattamento di disfunzioni epato-biliari e
patologie digestive in animali e nell’uomo, nonché la capacità di
ridurre i livelli di colesterolo nel sangue. L’azione benefica degli
estratti non può essere ascritta a un solo componente, ma piuttosto all’azione sinergica di diversi componenti: acido clorogenico,
acidi dicaffeilchinici, derivati della luteolina.
Numerose ricerche hanno riguardato l’attività protettiva di estratti
acquosi di foglie nonché di singoli componenti fenolici (acidi clorogenico e dicaffeilchinici, acido caffeico, cinaroside) su epatociti
di ratto sottoposti a stress ossidativo esogeno causato da agenti
chimici e conseguente perossidazione dei lipidi di membrana.
L’azione coleretica di estratti di foglie e di composti fenolici in essi
contenuti è stata in molti studi confrontata con quella dell’acido deidrocolico, principio attivo di farmaci ad azione coleretica
Azioni protettive e curative di estratti di foglie di carciofo contro differenti patologie
Azione
antiossidante
Inibizione
della sintesi
del colesterolo
Azione
anticolestatica
Azione
coleretica
Azione
antiemetica
Riduzione della concentrazione
di colesterolo intraepatica
dovuta a una più efficace
eliminazione della bile
Inibizione della ossidazione
delle LDL
Riduzione della colestasi
indotta dalla deformazione
dei canalicoli biliari
Riduzione del danno
alle cellule epatiche
indotto dai radicali liberi
Riduzione del colesterolo
Inibizione della formazione
delle placche aterosclerotiche
Protezione del fegato
contro agenti tossici esterni
Prevenzione
dell’aterosclerosi
Funzione antidispeptica
ed epatocurativa
Prevenzione di nausea
di diversa origine
Fonte: Kraft K., 1997
66
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alimentazione
Ricette
Introduzione
Diversamente da numerose altre verdure commestibili, il carciofo
che viene utilizzato in cucina non è un frutto, né tanto meno un
tubero o una radice, bensì un capolino che, a seconda delle varietà, può avere un diametro variabile dai 5 ai 15 cm. Dell’intero
capolino se ne mangia, però, soltanto il 20%, ossia il cuore e
le brattee più interne e polpose. Il gusto leggermente aspro dei
carciofi è dovuto alla presenza, nelle radici e nelle foglie, di una
sostanza amara chiamata cinarina, impiegata per la produzione
del Cynar®, noto amaro a base di estratto di carciofo ed erbe aromatiche. La preparazione dei carciofi varia a seconda del grado
di maturazione: i carciofi più giovani, dal capolino piccolo e tenero, si mangiano interi, con il gambo, senza eliminarne la barba
e le brattee più esterne. I carciofi di taglia media e grossa, invece, che non vengono raccolti giovani, vanno privati delle grandi
brattee esterne, le quali formano un involucro duro che potrebbe
alterarne il sapore. Per evitare l’imbrunimento della base e del
cuore a contatto con l’aria, i carciofi vanno strofinati con aceto
o limone nel punto in cui lo stelo è stato tagliato. Per cuocerli,
vanno immersi nell’acqua a cui si aggiunge limone o aceto per
mantenerli chiari e appetitosi.
Preparazione delle basi
di carciofo
• Lavare il carciofo, tagliare lo stelo
e strofinarne la base per non farlo
annerire
• Tagliare il carciofo circa ai 2/3
nel senso della lunghezza
• Con l’aiuto di un coltello da cucina,
eliminare le foglie rimanenti e le parti
più dure alla base del carciofo
• Togliere la barba interna con l’ausilio
di un cucchiaino da caffè dal bordo
affilato o di un coltellino
• Cuocere alcuni minuti in acqua
addizionata di limone o aceto
Cottura dei giovani carciofi interi
• Eliminare le foglie spinose del gambo,
accorciare quest’ultimo e spuntare,
con un coltello affilato, le estremità
delle brattee
• Con le dita, eliminare le brattee
più esterne
• Con l’ausilio di un coltello, eliminare
lo strato superficiale della parte
di gambo rimanente
• Cuocere 10-15 minuti in acqua
addizionata di limone o aceto
• Passare i carciofi sotto l’acqua fredda
e, dopo che si sono raffreddati, tagliarli
a metà ed eliminare la barba interna
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ricette
Noci di pescatrice arrostite con ragù di animelle,
carciofi e fegato d’anitra
Ingredienti
Pulire e lessare le animelle. Riscaldare una padella con un poco
d’olio e cuocere a fuoco vivo i carciofi tagliati a julienne, aggiungere le animelle, un ciuffetto di maggiorana tritata e il parmigiano tagliato a lamelle, aggiustare di sale e pepe e mantenere
al caldo. Tagliare a fettine il fegato grasso e cuocerlo in una
padella di ferro ben calda senza aggiunta di grassi, asciugarlo con
carta assorbente e tenerlo al caldo. Ridurre la panna della metà,
togliere dal fuoco, aggiungere metà del fegato e frullare il tutto.
Passare la salsa al setaccio e manenerla calda, senza farla bollire.
Rosolare i filetti di pescatrice con poco olio e un ciuffetto di
maggiorana e terminare la cottura in forno. Saltare velocemente
i finferli con un filo d’olio e l’aglio. Sistemare al centro del piatto
il ragù di animelle, adagiarvi sopra una fettina di fegato e la pescatrice scaloppata, condire con la salsa di fegato e decorare
con i finferli e un poco di maggiorana tritata.
• 300 g di filetto di pescatrice
• 200 g di animelle di vitello
• 4 carciofi
• 150 g di fegato grasso d’anitra
• 100 g di finferli
• 1 dl di panna fresca
• 20 g di parmigiano
• 2 ciuffetti di maggiorana
• 1 spicchio di aglio
• olio extravergine di oliva
• sale e pepe
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paesaggio
Carciofo in Puglia
Vito Vincenzo Bianco
Nicola Calabrese
Carciofo in Sicilia
Giuseppe La Malfa
Sergio Argento
Carciofo in Sardegna
Anna Barbara Pisanu
Martino Muntoni
Luigi Ledda
Carciofo in Campania
Vitangelo Magnifico
Carciofo nel Lazio
Olindo Temperini
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paesaggio
Carciofo in Puglia
Introduzione
Le prime informazioni certe sulla presenza del carciofo in Puglia
risalgono al 1736, quando nel seminario di Otranto (LE), durante
il mese di aprile furono servite pietanze a base di carciofo; inoltre nel 1751 e nel 1763 viene segnalato il consumo di carciofo in
un monastero di Trani (BA) e nel seminario di Gravina (BA). Testimonianze successive riportano il consumo di carciofo dal 1763
al 1860. Nel viaggio attraverso il Regno di Napoli nel 1789 De
Salis Marschlins riporta la presenza di piante di carciofo presso
Canneto, in provincia di Bari. Nel 1811 Serafino Gatti annovera
il carciofo tra gli ortaggi coltivati in Capitanata. Fino agli inizi del
1900 il carciofo era coltivato su piccolissimi appezzamenti o lungo i muri a secco e intorno alle abitazioni rurali o in consociazione
con diverse specie di frutti. Nei primi anni del 1900, tra le province
importanti per la produzione del carciofo erano annoverate anche
Bari e Lecce. Dopo la seconda guerra mondiale alcuni intraprendenti coltivatori di Mola di Bari contribuirono all’espansione del
carciofo nell’area brindisina e foggiana. Nel 1923, 1929, 1939,
1949, il carciofo era presente in Puglia rispettivamente su 210,
437, 869 e 958 ha.
Dalla sua introduzione ad oggi la superficie destinata a carciofo è
aumentata in maniera considerevole: la diffusione più ampia nei
comprensori orticoli è progressivamente avvenuta a partire dagli
anni ’50 ed è proseguita fino agli inizi degli anni ’90, raggiungendo
il massimo assoluto nel 1991 con 19.280 ha. Negli ultimi quindici
anni, pur mostrando una lieve diminuzione, la superficie si è man-
Puglia in sintesi
• Con 17.085 ha e 173.448 t, la Puglia è
al primo posto in Italia per la superficie
coltivata e per la produzione totale
di capolini
• La coltivazione è maggiormente diffusa
nella provincia di Foggia (8600 ha;
100.800 t di capolini), seguita da Brindisi
(6820 ha; 57.000 t) e Bari (1180 ha;
6878 t); mentre è limitata in provincia
di Taranto (440 ha) e Lecce (140 ha)
• Le cultivar più diffuse sono il Violetto
di Provenza, affermatosi negli ultimi
vent’anni soprattutto in provincia di
Foggia, sostituendo progressivamente
le popolazioni locali e assumendo il
nome di Francesino, mentre il Violetto di
Sicilia o Catanese è coltivato soprattutto
in provincia di Brindisi e di Bari, dove
viene indicato rispettivamente come
Brindisino e Locale di Mola
• È in corso di assegnazione la IGP
per il Carciofo brindisino
Carciofaia in piena produzione a Polignano
a Mare, Bari
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carciofo in Puglia
Cultivar
Le prime carciofaie da reddito furono impiantate in Puglia nell’immediato dopoguerra con materiale di propagazione proveniente
dalla Sicilia della cultivar Catanese o Violetto di Sicilia. Nel tempo,
questa cultivar ha assunto diverse denominazioni in relazione alla
località di coltivazione. Pertanto il panorama odierno comprende
numerose popolazioni che hanno a volte una diffusione territoriale limitata; spesso lo stesso tipo è denominato in modo diverso in aree differenti, generando confusione non solo per i nomi
e gli eventuali sinonimi ma anche per quanto riguarda gli aspetti
tecnici e commerciali. È quanto accade ancora oggi, soprattutto
nella provincia di Brindisi e in misura minore in quella di Bari, in
cui l’originario Catanese viene indicato come: Locale di Brindisi,
Brindisino, Locale di Ostuni, Locale di Mola, Molese, Violetto di
Mola, Baresano, Violetto di San Ferdinando, Violetto di Brindisi,
Nostrano di Brindisi, Violetto del Salento, Nostrano di Orta Nova,
ecc. Le cultivar maggiormente presenti in Puglia sono in definitiva:
Violetto di Provenza, introdotto nel secondo dopoguerra nel Salento, si è diffuso invece con molto successo negli ultimi vent’anni
nella provincia di Foggia, sostituendo progressivamente le popolazioni locali e assumendo comunemente il nome di Francesino.
Questa cultivar è molto produttiva e con la tecnica della forzatura
gli agricoltori riescono ad anticipare la produzione dei capolini già
in settembre, con notevoli benefici economici vista la scarsa presenza in quel periodo di produzioni provenienti da altre regioni. Il
Violetto di Provenza risulta, rispetto al Catanese, più precoce e
più produttivo; i capolini presentano una colorazione violetta più
intensa, maggior peso specifico, forma conica durante la produzione autunnale e tendente all’ovoidale in primavera.
Brindisino e Locale di Mola sono maggiormente coltivati rispettivamente in provincia di Brindisi e di Bari e hanno la prerogativa di
produrre, oltre a un buon numero di capolini per il mercato fresco
Violetto di Provenza
• Pianta con elevata attitudine
pollonifera, foglie inermi, steli
di altezza media di 70 cm
• Capolino di forma ovoidale, mediamente
compatto o compatto, dimensioni medie
• Brattee esterne di colore violetto con
sfumature verdi, raramente con piccola
spina apicale
• Epoca di produzione: ottobre-maggio,
ciclo produttivo lungo (in coltura forzata
e con trattamenti di GA3, la raccolta può
iniziare in settembre)
• Produttività: 18-20 capolini per pianta,
di cui 8-10 per il mercato fresco,
i rimanenti per l’industria
Violetto di Provenza
Carciofaia di Violetto di Provenza in ottimo stato
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paesaggio
Carciofo in Sicilia
Introduzione
Nella coltivazione del carciofo le scelte e gli interventi riguardanti
i cicli colturali e/o le cultivar, oltre a interagire in maniera significativa, restano vincolati alla natura e alle caratteristiche dei materiali
di propagazione nonché all’epoca in cui questi presentano requisiti di idoneità all’impiego, e cioè per l’impianto di nuove carciofaie. I vincoli sono particolarmente manifesti in Sicilia per la notevole
intensità con la quale si esprimono i fattori più caratterizzanti del
clima mediterraneo – in particolare l’aridità e le elevate temperature della stagione estiva – che più direttamente interferiscono sulla
modulazione del ciclo biologico e di quelli colturali.
Le implicazioni agronomiche di tali vincoli risultano notevoli, anche
in relazione al particolare profilo biologico della pianta, espressione di un percorso evolutivo che ha avuto luogo nell’ambiente mediterraneo dove si rinvengono ancora, come nel caso della Sicilia,
le forme ancestrali dalle quali ha preso origine la coltura.
La trattazione dei cicli colturali e delle cultivar rende pertanto necessari brevi richiami sui principali aspetti dell’origine e della diffusione della coltura nell’isola, per i riferimenti che questi hanno
avuto e continuano ad avere ai fini della configurazione degli interventi tecnici in grado di dare riscontro alle esigenze della pianta.
Sicilia in sintesi
• La Sicilia occupa la seconda posizione in
Italia per la coltivazione e la produzione
di carciofo con 14.270 ha e 159.064 t
• Le province di Caltanissetta, con 5800 ha
e 66.000 t, e di Agrigento, con 3710 ha
e 39.000 t, sono ai primi posti; seguono
Catania, Palermo, Siracusa e Ragusa.
La coltura si concentra nella Piana di
Catania (comuni di Ramacca, Castel
di Judica e di Lentini), nei territori di
Niscemi e di Gela (CL), nell’area di Menfi
(AG), nella Piana di Buonfornello (PA), nel
Vittoriese (RG) e nella Piana di Siracusa
• Le cultivar che dominano nettamente
la scena sono rispettivamente, nella
Sicilia orientale, il Violetto di Sicilia (ora
sostituito in larga parte dal Violetto di
Provenza) e, nella Sicilia occidentale,
il Violetto spinoso di Palermo. Se si
escludono i pochi ettari destinati ad
altri tipi introdotti o a quelli locali, i due
Violetti monopolizzano le aree destinate
alla cinaricoltura precoce
Cenni storici e diffusione
La specie più direttamente implicata nell’origine del carciofo (e
del cardo) è Cynara cardunculus, la quale è articolata in due sottospecie: cardunculus e flavescens. Quest’ultima sarebbe unica
progenitrice delle due colture con le quali condivide alcuni tratti
Capolino di varietà primaverile con
colorazione intensa delle brattee
Piante da “seme” pronte per la raccolta dei capolini
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paesaggio
Cultivar
Se si esclude l’utilizzazione di C. cardunculus allo stato spontaneo o nell’ambito di infrequenti coltivazioni, la diversità genetica
utilizzata in Sicilia per finalità produttive è riconducibile ad almeno
quattro fattispecie.
La prima è rappresentata da piccoli gruppi di piante coltivate
negli orti familiari, soprattutto nelle aree lontane da quelle della
cinaricoltura intensiva, utilizzate in riscontro a particolari esigenze o tradizioni. La configurazione prevalente è quella tipica delle
piante provenienti da “seme” estremamente disformi, con capolini di diversa forma e colore, con ciclo colturale e produttivo che
interessa soprattutto il periodo dalla primavera sino all’autunno.
Dopo il primo ciclo da “seme” le piante sono propagate in situ per
via vegetativa e mantenute in coltura per più anni. Sotto il profilo
morfobiologico le piante e i capolini presentano caratteristiche intermedie tra le forme coltivate e quelle spontanee. Relativamente
a queste ultime è da ricordare almeno in Sicilia l’antica pratica di
raccolta in situ dei piccoli capolini spinescenti, i quali nella tarda
primavera vengono offerti su alcuni mercati locali previa bollitura.
Le brattee sono piluccate, cioè staccate singolarmente dal capolino e raschiate tra i denti.
La seconda fattispecie anch’essa poco frequente è rappresentata
da tipi utilizzati per produzioni da destinare soprattutto ai mercati
locali. Le coltivazioni si rinvengono nelle province meno interessate alla cinaricoltura intensiva. I tipi più conosciuti sono domestica
di Castelvetrano, verde spinoso di Palermo, Messina, a calice. Il
Capolini da germoglio primaverile anticipato
Capolino di varietà primaverile dopo la
maturazione commerciale
Coltivazione di piante propagate per “seme”
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paesaggio
Carciofo in Sardegna
Introduzione
La coltivazione del carciofo in Sardegna ha una tradizione antica,
anche se la prima testimonianza scritta, il trattato Agricoltura di
Sardegna, pubblicato dal nobile sassarese don Andrea Manca,
risale al 1780. La coltura assume una certa rilevanza economica
già nella prima metà dell’800, come attesta lo studioso Vittorio
Angius nel suo Dizionario geografico che, descrivendo l’economia
serramannese, cita il carciofo come “fonte di lucro per i coloni degli orti”. La coltivazione specializzata dell’ecotipo locale Spinoso
iniziò negli anni ’20, principalmente nelle zone costiere della provincia di Sassari e di Cagliari, in prossimità delle città capoluogo
e dei porti, che garantivano più facili collegamenti e commerci
oltremare. Nel 1929 una rilevazione del catasto agrario attesta
che la coltura era diffusa su 1231 ettari, un decimo della superficie coltivata in Italia. Tradizionalmente la coltura veniva condotta
seguendo il ciclo naturale della pianta; una svolta importante fu
l’individuazione, nelle campagne di Bosa, di un ecotipo Spinoso che consentiva di ottenere produzioni anticipate in autunno
risvegliando in estate la carciofaia con l’intervento dell’irrigazione. Questo ecotipo, in un primo tempo diffuso nel Sassarese e
commercializzato anche nel mercato di Genova, fu introdotto nel
Campidano di Cagliari negli anni 1942-43. Successivamente gli
agricoltori, attraverso la selezione massale indirizzata ad anticipare e incrementare la produzione, hanno migliorato questo ecotipo
originario da cui è derivato l’attuale Spinoso sardo.
Oltre all’ecotipo Spinoso era diffuso in Sardegna il Masedu caratterizzato dall’assenza di spine, come attesta il nome che in
lingua sarda significa mansueto e inerme. Questa varietà, più pre-
Sardegna in sintesi
• Con 12.952 ha e 106.860 t, la Sardegna
è al terzo posto in Italia per la superficie
coltivata e per la produzione totale
di capolini
• Dopo la recente costituzione delle nuove
province, quella di Oristano occupa
il primo posto, con 4771 ha e 39.000 t.
Seguono Cagliari (3165 ha, 26.000 t)
e Sassari, (2627 ha, 23.000 t). Superfici
minori si registrano nelle province di
Ogliastra, Nuoro, Medio campidano,
Olbia-Tempio
• La cultivar maggiormente diffusa è
Spinoso Sardo. Altra varietà è Masedu.
Nei primi anni ’80 è stata introdotta
Terom dalla Toscana e agli inizi
degli anni ’90 Tema 2000. Dal 2001,
soprattutto nel comune di Samassi, è
stato introdotto il clone C3, selezione
più precoce del Romanesco ottenuta per
micropropagazione
Gallura
Ha 100
Sassari
Ha 2680
Nuoro
Ha 40
Oristano
Ha 1300
Medio
Campidano
Ha 1900
Sulcis
Ha 1015
Spinoso
sardo
Terom
Ogliastra
Ha 40
Cagliari
Ha 1964
Violetto
Romanesco
di Provenza C3
Tema
2000
Principali aree di coltivazione del carciofo
in Sardegna, varietà diffuse ed entità
delle superfici destinate a coltivazione
specializzata (Fonte: Agenzia Laore,
stagione 2006-2007)
Carciofaia di Spinoso sardo in piena produzione
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paesaggio
Foto P. Viggiani
Pecore al pascolo in una carciofaia a fine ciclo
Cagliari, e successivamente in quasi tutti gli areali di coltivazione
dove ha trovato ampia diffusione.
Dal 2001, soprattutto nel comune di Samassi, è stato introdotto
il C3, selezione più precoce del Romanesco ottenuto per micropropagazione.
Capolino principale di Masedu
Cultivar principali
Spinoso sardo. Ha portamento assurgente, elevata attitudine
pollonifera e taglia media, compresa fra 80 e 140 cm. Le foglie
mostrano una caratteristica eterofillia, per la presenza di foglie a
lamina intera, soprattutto nei primi stadi vegetativi. Nelle fasi fenologiche più avanzate, le foglie di dimensioni medie sono lobate
o frequentemente pennatosette, spinescenti e dalla colorazione
verde intenso. Il capolino è conico, mediamente compatto, di diametro variabile fra 10 e 13 cm e peso medio di 130-200 grammi. Il
peduncolo è lungo e di spessore medio. Le brattee esterne sono
di colore verde con sfumature violette, hanno forma allungata e
apice appuntito terminante con una grossa spina gialla. Le brattee interne sono di colore giallo paglierino e mostrano frequentemente sfumature violette. È una cultivar molto sensibile al freddo
e mediamente al marciume dei capolini. Manifesta il problema
dell’atrofia, soprattutto laddove venga attuata la tecnica della
forzatura e in presenza di alte temperature durante il periodo di
differenziazione del capolino. Il ciclo produttivo è lungo, con inizio
raccolta generalmente da metà ottobre (precocissimi) a novembre-dicembre (precoci) per concludersi a gennaio-febbraio (tardivi) con una produzione media per pianta, in condizioni ottimali, di
6-8 capolini. Verso marzo-aprile si pratica la raccolta del carciofino. È un’ottima cultivar sia per il consumo a crudo dei capolini
e dei peduncoli di primo e secondo ordine, sia per il consumo in
cucina, per il gusto marcato e inconfondibile. Ha scarsa attitudine
Forzatura
• Tale tecnica prevede la ripresa
dell’attività vegetativa già a partire
dalla fine di giugno-inizio luglio,
attraverso un’abbondante irrigazione
in grado di riportare alla capacità idrica
di campo lo strato di terreno interessato
dalle radici. Le esigenze di mercato, che
premiano commercialmente produzioni
sempre più anticipate, hanno stimolato
la generalizzata adozione di questa
tecnica nella coltivazione delle varietà
rifiorenti. L’elevata incidenza dei capolini
atrofici rappresenta un severo limite
all’adozione di epoche di impianto o di
risveglio troppo anticipate. All’irrigazione
è abbinata la concimazione che,
nelle primissime fasi di vegetazione,
si avvantaggia dei fertilizzanti distribuiti
nel pre-impianto o pre-risveglio (colture
poliennali)
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paesaggio
Carciofo in Campania
Introduzione
In Campania la coltivazione del carciofo ha origini antiche tanto
da farla risalire all’epoca romana, anche se le prime informazioni
risalgono al XV secolo. Esse fanno riferimento ai Carciofi di Schito, cioè a quelli prodotti nella zona nota come Orti di Schito, posta alla periferia nord di Castellammare di Stabia e non lontano
da Pompei (prov. di Napoli), formata dai depositi di lava e lapilli
emessi con l’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. che coprì l’antico
lido, il porto e le storiche saline. L’eccezionale valore di questi orti
li farà definire “il miglior dono fatto dal Vesuvio con l’eruzione” che
seppellì Stabia e Pompei. L’importanza di questo ortaggio crebbe anche grazie alla grande considerazione che acquisì presso
la corte napoletana, tanto che si fa risalire a Carlo di Borbone, re
di Napoli dal 1734 al 1739, la definizione del carciofo come “re
dell’orto”.
Campania in sintesi
• È al quarto posto con una superficie di
2019 ha e una produzione di 34.663 t
• Con quasi 2000 ha la Piana del Sele (SA)
è leader regionale. Qui viene coltivato
l’ecotipo Tondo di Paestum, che altro
non è che il Carciofo di Castellammare,
rinominato Carciofo di Paestum
• Le lievi differenze morfologiche e
dell’epoca di produzione tra il Carciofo
di Castellammare, il Campagnano,
il Romanesco e il Tondo di Paestum
fanno entrare questi ecotipi in un unico
gruppo detto dei carciofi Romaneschi,
al quale fa riferimento il Disciplinare di
Produzione del Carciofo di Paestum IGP
Carciofo di Castellammare o di Paestum
La coltivazione del carciofo nell’area di Castellammare di Stabia iniziò a specializzarsi a partire dal 1920, quando le piante
abbandonarono le aree marginali del giardino o dell’orto per
essere coltivate su superfici sempre più ampie, su filari e con
sesti d’impianto regolari così come sono giunti fino a noi. Fu
così che il Carciofo di Schito divenne sinonimo di Carciofo di
Castellammare che, per le sue indubbie qualità, colonizzò altre
importanti aree orticole campane come quelle dell’Agro Sarnese-Nocerino, dei Monti Lattari e della Piana del Sele, seguendo
le vicende legate alla bonifica di queste aree. Nel 1929, stando
ai dati riportati dal Catasto Italiano, in Campania, la superficie
• Limitata diffusione ha il carciofo Bianco
di Pertosa, inserito fra i Presidi di Slow
Food, coltivato su pochissimi ettari in
provincia di Salerno. Altro prodotto
di nicchia è la varietà Capuanella,
coltivata su ridotte superfici in
provincia di Caserta e nel comune di
Capua, da cui prende il nome
Tempio di Nettuno nell’area archeologica
di Paestum
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carciofo in Campania
investita a carciofo era di 818 ha e rappresentava il 6,5% del
totale nazionale che era pari a 12.600 ha. All’epoca la Sicilia era
leader indiscussa con quasi il 40% della superficie nazionale,
seguita da Lazio, Toscana e Sardegna. Con l’espansione della
coltivazione del carciofo nella Piana del Sele, a partire dagli anni
Cinquanta del secolo scorso e dalle aree vicine ai famosi templi,
si raggiunse la massima superficie di 3200 ha e una produzione
totale di circa 35.000 t alla fine anni Settanta, per stabilizzarsi
intorno ai 2500 ha degli anni Novanta, giunti fino ai nostri giorni
a rappresentare quasi il 5% della superficie e l’8% della produzione nazionale.
Con quasi 2000 ha la Piana del Sele, in provincia di Salerno,
e in particolare la zona di produzione di Capaccio-Paestum, è
assurta al ruolo di leader regionale. Qui viene coltivato l’ecotipo denominato Tondo di Paestum, il quale altro non è che il
Carciofo di Castellammare (ex C. di Schito), che in seguito sarà
rinominato Carciofo di Paestum e con questo appellativo viene
coltivato prevalentemente anche nei Comuni di Agropoli, Battipaglia, Eboli, Bellizzi, Pontecagnano Faiano e Serre.
Carciofo della tipologia Romanesco
coltivato in Campania
Tipologia
Pur essendo in condizioni di ambiente meridionale, la coltivazione del carciofo in Campania è rappresentata esclusivamente da
varietà, o meglio da ecotipi, a produzione tardiva o primaverile;
cioè da piante che hanno bisogno del colpo di freddo per differenziare l’apice caulinare da vegetativo a riproduttivo ed emettere, quindi, il capolino principale e, a seguire, quelli secondari. Il
tentativo di introdurre i tipi di carciofo precoci, detti anche rifiorenti, coltivati in Puglia, Sicilia e Sardegna, non ha mai avuto esito felice per i violenti danni da freddo che subiscono le piante in
produzione durante i mesi invernali. Quindi, la classica tipologia
di carciofo campano fa riferimento a quella denominata Romanesco, caratterizzata da piante a taglia grande, con grandi foglie
basali a formare la rosetta, che può raggiungere il mezzo metro
di altezza e quasi un metro con il capolino principale sostenuto
da un robusto peduncolo o stelo. Il peso dei capolini principali
(comunemente chiamati mamme o mammolelle o mammarelle)
varia da 300 a 450 g, mentre i capolini secondari (figli) pesano
150-250 g.
I capolini principali hanno forma sferica o leggermente sub-sferica (diametro e altezza intorno a 11 cm) e brattee serrate, mentre
i secondari sono tendenzialmente più lunghi con brattee più lasse. I capolini principali presentano il classico foro formato dalle
brattee più esterne. Queste sono inermi con apice arrotondato,
largamente inciso, di colore verde con sfumature viola e acquisiscono una colorazione rossastra quando vengono coperte con
la tipica coppetta di terracotta (pignatta o pignattello) per impedire l’accumulo dell’acqua nel capolino. Le brattee interne han-
Carciofo di Castellammare con coppetta
di terracotta
Capolino del carciofo di Paestum
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paesaggio
Carciofo nel Lazio
Introduzione
La coltivazione del carciofo nel Lazio riveste un ruolo importante non solo sotto l’aspetto economico ma anche socio-culturale;
infatti, secondo il botanico Montellucci, è da attribuire agli Etruschi l’opera di addomesticamento di questa specie a partire dalle
popolazioni selvatiche di Cynara cardunculus var. sylvestris (cardo selvatico). Le estese popolazioni selvatiche di questa specie,
nella zona collinare tra Civitavecchia e Tolfa fino alle vicinanze di
Cerveteri e Tarquinia, e le raffigurazioni di foglie di carciofo in alcune tombe della necropoli etrusca di Tarquinia, confermerebbero
queste affermazioni.
Anche se questo ortaggio è stato coltivato fin dall’antichità e ha
una lunga tradizione nella cucina laziale, le superfici investite a
carciofo Romanesco sono rimaste per secoli a livello di semplici
orti familiari. I capolini di carciofo Romanesco coltivato nel Lazio
sono confluiti sul mercato di Roma soltanto dopo la Prima guerra
mondiale, e in particolare quelli prodotti nei dintorni di Ladispoli,
Cerveteri e Campagnano. Le cultivar affermate furono il Castellammare, per la sua precocità, e il Campagnano che, pur maturando tardivamente, presentava caratteristiche organolettiche
eccellenti.
Con l’avvento della riforma agraria la coltivazione del carciofo divenne intensiva, tanto che nel 1950 nel comune di Ladispoli ebbe luogo la prima edizione della Sagra del Carciofo Romanesco.
L’eco del successo di questa manifestazione, che si ripete ogni
anno all’inizio della primavera, varcò i confini del Lazio e per gli
agricoltori si aprirono le porte dei mercati nazionali. A tale manifestazione ne seguirono di analoghe negli altri comuni produttori di
Lazio in sintesi
• Con 1043 ha e 20.650 t, il Lazio occupa
il quinto posto nella graduatoria
nazionale. La coltivazione è diffusa
prevalemente in provincia di Viterbo
(comuni di Montalto di Castro, Canino,
Tarquinia), Roma (Civitavecchia, Santa
Marinella, Campagnano, Cerveteri,
Ladispoli, Fiumicino), Latina (Sezze,
Priverno, Sermoneta)
• È coltivata quasi esclusivamente
la tipologia denominata carciofo
Romanesco. I cloni più rappresentativi
sono tradizionalmente il Castellammare
e il Campagnano. Negli ultimi anni si è
largamente diffusa la coltivazione di cloni
precoci della tipologia Romanesco (cloni
C3 e C4) ottenuti per micropropagazione.
Limitata diffusione si riscontra per la
cultivar Grato 1, incrocio derivato da
libera impollinazione tra Castellammare
e Terom
• Nel 2002 è stata istituita la IGP Carciofo
Romanesco del Lazio
Scultura di carciofi effettuata dai
cinaricoltori in occasione della Sagra del
Carciofo Romanesco di Ladispoli
Cardo selvatico in località Sasso, sita nel comune di Cerveteri (Roma)
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paesaggio
La produzione del carciofo rifiorente si estende per un periodo
che va da ottobre ad aprile, mentre quella del carciofo Romanesco è limitata al periodo febbraio-aprile. Pertanto, la presenza
sul mercato del carciofo autunnale in anticipo, e per così lungo
tempo, induce un minor interesse da parte del consumatore nei
punti di forza (stagionalità e precocità) delle produzioni del carciofo Romanesco coltivato nel Lazio. La diffusione del carciofo Romanesco in altre regioni con condizioni climatiche più favorevoli
per esaltare la precocità della cultivar C3 ha accentuato la crisi
del carciofo coltivato nel Lazio. Va infine sottolineato che recentemente è iniziata la concorrenza anche dai Paesi esteri quali Spagna, Francia, Egitto e Tunisia, che quindi contribuiscono all’acuirsi
della crisi della cinaricoltura laziale. Tale situazione si ripercuote
negativamente sul prezzo del carciofo Romanesco e di conseguenza sulla possibilità di espansione di questa coltura nella regione. Dalle considerazioni sin qui esposte risulta evidente che la
coltivazione del carciofo Romanesco nelle regioni centrali italiane
sarà sempre più destinata a ricoprire un ruolo marginale a livello
nazionale. Per innescare un’inversione di tendenza occorrerebbe
quindi agire su alcuni aspetti della filiera: a) incrementare le rese
unitarie e ridurre i costi di produzione; b) ampliare il calendario di
commercializzazione e migliorare la qualità dei capolini; c) attuare
nuove strategie di mercato in termini di promozione e commercializzazione del prodotto.
Per quanto riguarda il punto a), occorre sottolineare che per conseguire maggiori rese unitarie associate a un minor costo di produzione non si può prescindere dall’impiego di materiale di propagazione qualificato per l’ottenimento di carciofaie omogenee
sia sotto il profilo dello sviluppo delle piante sia sotto quello della
Confezionamento del Carciofo Romanesco
nel Lazio effettuato da cinaricoltori non
ricadenti nella zona IGP: capolini privi
di foglie e con gambo lungo 10 cm
Capolini provvisti di foglie e disposti
in cassette alla rinfusa
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coltivazione
Ibridi commerciali
Foto N. Calabrese
Introduzione
Attualmente il carciofo è coltivato in tutti i Paesi del Mediterraneo,
in California, in alcuni Paesi del Sudamerica, come pure in Cina;
ma tradizionalmente l’Italia, la Spagna e la Francia sono sempre
state i maggiori produttori e consumatori di carciofi.
La moltiplicazione è effettuata solitamente per via vegetativa ed è
basata sulla propagazione di cloni selezionati, con discreti risultati
produttivi e scarsa omogeneità della produzione. Inoltre, numerosi sono gli svantaggi della moltiplicazione vegetativa:
– bassa flessibilità nella data di trapianto;
– eterogeneità del materiale utilizzato;
– alta percentuale di piante non attecchite;
– costi elevati di manodopera;
– diffusione delle malattie trasmesse dalla pianta madre.
La propagazione per “seme” del carciofo costituisce invece una
valida alternativa, contribuendo alla razionalizzazione della tecnica colturale, al miglioramento dello stato fitosanitario delle piante
e all’incremento delle produzioni unitarie.
I vantaggi ottenuti dall’impiego del “seme”, possono favorire l’espansione della coltura sia negli areali in cui sono evidenti i problemi di
natura agronomica e patologica sia in quelli di nuova introduzione.
La moltiplicazione per “seme” del carciofo può essere attuata attraverso l’uso di:
– cultivar impollinate liberamente (OP, Open Pollinated). Sono
popolazioni da seme solitamente selezionate e mantenute at-
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Madrigal F1
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coltivazione
Concimazione
Concimazione, epoca di somministrazione, dosi, produzione,
qualità dei capolini
La pianta di carciofo presenta ritmi di accrescimento intensi
nell’arco del ciclo colturale, eccezione fatta per una più o meno
breve stasi vegetativa durante il periodo gennaio-febbraio. Nelle
aree dove le temperature invernali diurne non scendono al di
sotto della soglia termica cardinale del carciofo, che è 8-9°C, i
ritmi di accrescimento sono, invece, pressoché costanti, registrando punte di particolare intensità nei mesi autunnali (varietà
autunnali) e tra febbraio e aprile (varietà primaverili). Per poter
sostenere questi ritmi di accrescimento e raggiungere un buon
livello produttivo, sia sotto l’aspetto quantitativo sia qualitativo,
è necessaria, pertanto, un’idonea concimazione, opportunamente integrata dall’irrigazione. Un’insufficiente disponibilità di
elementi nutritivi può causare, infatti, una riduzione dell’accrescimento e una produzione di capolini piccoli, con brattee divergenti e stelo fiorale corto ed esile.
Un corretto programma di concimazione deve, ovviamente, assecondare i ritmi di asportazione degli elementi nutritivi della coltura
e tenere conto delle caratteristiche del terreno, della sua dotazione in elementi fertilizzanti e sostanza organica, nonché delle condizioni meteoriche. Inoltre, è necessario tenere presente la precessione colturale e l’eventuale interramento dei residui colturali.
Conoscere il fabbisogno
nutritivo della coltura
• Per conoscere il fabbisogno nutritivo
o eventuali carenze della coltura in un
determinato momento, indicazioni utili
possono essere dedotte dall’esame del
lembo fogliare escludendo la nervatura
centrale. In linea di massima una
carciofaia di Violetto di Sicilia o Violetto
di Provenza, nel corso di un ciclo
annuale, asporta da 250 a 300 kg/ha
di N, da 40 a 50 kg/ha di P2O5, da 350
a 400 kg/ha di K2O e 140-160 kg/ha
di Ca, 50 kg/ha di S e 25-30 kg/ha
di Mg. Queste significative asportazioni
sono, ovviamente, sostenute da un
apparato radicale robusto e sviluppato,
in grado di esplorare con efficacia
la massa di terreno a disposizione
Concimazione organica
L’impiego di concimi organici, quando sono disponibili, è sempre
consigliabile, in dosi variabili a seconda della natura del terreno e
Andamento del peso secco della biomassa epigea nelle
cultivar Violetto di Provenza e Romanesco coltivate in Sicilia
Biomassa secca (g/pianta)
1400
1200
1000
800
600
400
200
Bella colorazione violacea delle brattee
esterne dei capolini in Violetto di Sicilia,
conseguenza di una concimazione ben
equilibrata
0
Ott
Nov
Violetto di Provenza
Dic
Gen
Romanesco
Feb
Mar
Apr
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coltivazione
Dotazioni ottimali si aggirano su 0,8-1,2 ppm, con i valori maggiori nei terreni argillosi e ricchi di humus. Il boro nelle piante
svolge il ruolo importante di attivatore e disattivatore degli ormoni della crescita. Stimola anche il trasporto degli zuccheri.
Nella sostanza secca delle piante è presente con valori da 15
a 100 ppm.
Boro
• Nella carenza di questo elemento
si osserva una pianta compatta,
con stelo raccorciato e con foglie
molto increspate. I capolini presentano
gli apici delle brattee aperti e di colore
verdastro e risultano più piccoli
e anche teratologici
Molibdeno (Mo). È presente nel terreno in forma libera e assorbibile dalle piante come MoO4-- e nelle analisi del terreno viene
riferito come molibdeno disponibile; giuste dotazioni si aggirano
tra 0,2 e 0,4 ppm. Il molibdeno è componente sia degli enzimi,
che trasformano i nitrati nelle cellule (in particolare la nitratoriduttasi ), quindi alla base della formazione degli amminoacidi,
sia di quelli che favoriscono nelle leguminose l’azotofissazione.
Nella sostanza secca delle piante è presente da 0,2 a 10 ppm. I
sintomi di carenza compaiono sulle foglie più vecchie che risultano ispessite con macchie gialle ai margini. Talvolta si ha anche
malformazioni delle foglie che assumono un aspetto ovoidale a
cucchiaio.
Manganese (Mn). È presente in generale nei terreni in quantità
notevolmente superiori al fabbisogno delle piante; può, comunque, non essere disponibile per l’assorbimento nella forma libera
e assorbibile dalle piante come Mn2+ a causa del pH troppo elevato del terreno o per l’eccessiva presenza di calcio, elemento
antagonista per l’assorbimento. Dotazioni normali si situano tra
Carenza di boro. Da notare in particolar
modo il raccorciamento dello stelo
della pianta e il colore verdastro
degli apici delle brattee del capolino
Molibdeno
• La carenza si manifesta attraverso
un ridotto sviluppo delle piante
caratterizzate da un colore verde pallido
e con stelo molto assurgente rispetto
al vigore delle piante che appaiono
filate, con internodi più allungati, come
se fossero allevate in carenza di luce.
Il capolino principale appare nettamente
dominante rispetto ai secondari
Carenza di mobildeno. Da notare soprattutto l’eccessiva assurgenza
dello stelo
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coltivazione
con le precipitazioni di fine estate, ottenendo una considerevole
riduzione del fabbisogno idrico e irriguo; in questo caso la stagione irrigua inizia in settembre-ottobre.
Il volume stagionale di irrigazione o fabbisogno irriguo varia in
relazione al fabbisogno idrico e all’andamento pluviometrico e
può essere calcolato per mezzo del bilancio idrico. Pertanto,
nella stessa località e con le medesime condizioni colturali può
variare sensibilmente in relazione alle precipitazioni totali e alla
loro distribuzione durante il ciclo colturale. Generalmente sono
necessari volumi stagionali di irrigazione compresi tra 2000 e
4000 m3/ha.
Foto N. Calabrese
Metodi irrigui
Per il carciofo è molto diffuso il metodo irriguo per aspersione a
bassa intensità di pioggia con impianti mobili o stanziali. Questi
ultimi trovano utilità anche per l’irrigazione climatizzante (antigelo e per ridurre la temperatura e il deficit di pressione di vapore
dell’aria responsabili dell’atrofia dei capolini). Per quest’ultimo
scopo trova utile applicazione anche il metodo irriguo localizzato
a bassa pressione a spruzzo.
Tuttavia negli ultimi anni si è sempre più diffuso il metodo irriguo
localizzato a goccia con ali disperdenti adagiate sul terreno lungo
i filari, disponendo i gocciolatori a distanze variabili in funzione
della tessitura dei terreni.
Per evitare ostacoli alla meccanizzazione delle operazioni colturali
si ricorre spesso alla sospensione, al di sopra della coltura, delle ali gocciolanti che vengono sostenute da apposite intelaiature,
Piantina in fase di attecchimento
con irrigazione a goccia
Particolare dell’impianto di irrigazione
a goccia
Panoramica di una carciofaia irrigata
con il metodo della irrigazione localizzata
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coltivazione
Parassiti animali
Foto R. Angelini
Introduzione
Il carciofo è attaccato in Italia da un centinaio di specie di parassiti
animali appartenenti a Nematodi, Gasteropodi, Insetti e Roditori.
Sulla coltura è però presente un notevole complesso di nemici
naturali che contribuiscono a limitare i danni dei fitofagi. L’importanza dei singoli fitofagi dipende dall’area di coltivazione del
carciofo e dalle tecniche colturali adottate. L’anticipazione degli
impianti, con messa a dimora degli ovoli a fine giugno e raccolta
dei capolini a partire da fine ottobre, espone infatti la carciofaia
agli attacchi più intensi di alcuni fitofagi (afidi, nottue) rispetto alle
colture tradizionali con raccolta più tardiva.
Gli insetti più dannosi, che richiedono abitualmente interventi
fitoiatrici, sono gli afidi e alcuni lepidotteri come la nottua del
carciofo e la depressaria dei capolini, ma sulle colture anticipate possono risultare importanti gli attacchi di Nottuidi polifagi.
In alcune aree carcioficole possono essere riscontrati danni da
fitofagi secondari (lepidotteri, coleotteri e ditteri) e da parte di
molluschi Gasteropodi e arvicole.
Afidi e formiche su capolino di carciofo
Foto R. Angelini
Foto R. Angelini
Capolino attaccato da Gortyna xanthenes
Foto R. Angelini
Larva e danno di depressaria
Adulto di punteruolo su stelo di carciofo
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parassiti animali
sale longitudinale e di una conchiglia interna a forma di scudo
ovale allungato. La maturità sessuale viene raggiunta in circa
20 mesi; le uova sono deposte nel terreno e schiudono dopo
30-40 giorni. La limaccia è attiva di notte e nelle giornate nuvolose con alta umidità relativa, mentre di giorno si rintana sotto le
pietre o altri rifugi. Si nutre con avidità delle foglie e dei capolini,
su cui determina perforazioni ampie e profonde. Anche un’altra
limaccia molto simile, di colore nero, Milax nigricans, può essere
dannosa per il carciofo in alcune regioni italiane.
Difesa da insetti e molluschi
La protezione integrata del carciofo si basa su mezzi colturali,
su alcuni interventi meccanici e su trattamenti insetticidi. Le rotazioni e lo spianto annuale della coltura riducono le popolazioni
di fitofagi legati all’apparato radicale (per es. nematodi, larve di
Pentodon punctatus, Cleonis pigra, Gortyna xanthenes, Cossus
cossus). La distruzione dei capolini attaccati dalla depressaria
durante la fase di raccolta manuale e l’eliminazione della parte
epigea delle piante a ciclo pluriennale prima che le larve della
nottua del carciofo raggiungano la base del rachide possono
dare un notevole contributo al controllo di questi due parassiti
“chiave”. Il rischio di danno da parassiti animali, che dipende dalla forzatura delle piante e dall’epoca di produzione, rende tuttavia
generalmente necessario il ricorso alla lotta chimica. I principali
parassiti si riscontrano soprattutto in autunno ed è in questo periodo che vanno effettuati gli interventi insetticidi e molluschicidi, tenendo conto della scalarità della raccolta e orientandosi su
prodotti specifici e a breve intervallo di sicurezza. L’impiego di
mezzi di rilevamento degli adulti può dare un aiuto decisivo per
stabilire la necessità e il periodo di intervento contro i lepidotteri
dannosi.
Adulto della limaccia Milax gagates
Danni su un capolino causati da Milax
gagates
Erosioni sulle brattee di un capolino causate da giovani chiocciole
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coltivazione
Roditori
Introduzione
Le caratteristiche organolettiche del carciofo rendono la pianta
molto gradita ai roditori. Le innovazioni colturali adottate negli
ultimi anni in carciofaia, pur migliorando alcune fasi produttive,
hanno purtroppo favorito l’azione dannosa delle arvicole.
Nel primo anno di impianto i danni causati dalle arvicole sono
in genere molto contenuti, non prevalenti rispetto ad altre cause e abbastanza localizzati in aree limitate e sparse del campo.
Già nel secondo anno di produzione, il danno da arvicole tende
a essere quello prevalente (esperienze di campo, nel Foggiano,
hanno evidenziato una mortalità delle piante coltivate inferiore
all’1% nel primo anno di produzione, fino anche al 6-7% nel
secondo anno di produzione). Le arvicole rodono le radici del
carciofo e, più frequentemente, scavano una galleria nel mezzo
del fusto, a cominciare dal terreno e per tutta la sua lunghezza
raggiungendo, spesso, la base del capolino. In seguito a questa
attività, la pianta subisce un rapido disseccamento. Tipicamente,
il disseccamento interessa più piante di carciofo vicine lungo la
fila. Raramente si possono osservare sintomi di erosione direttamente sul capolino.
Arvicola del Savi
• Le caratteristiche morfologiche distintive
della specie sono: corpo lungo poco
meno di 10 cm a cui si aggiungono
circa 3 cm di coda; peso, al massimo,
di 20 g; muso arrotondato; occhi piccoli;
orecchie ridotte e poco visibili in quanto
nascoste dal pelo delle guance; mantello
di colorazione grigiastra tendente
al rossiccio, più scuro nella parte dorsale
posteriore; zampe relativamente corte;
coda provvista di peli corti e sottili
Arvicola del Savi (Microtus savi)
Questo roditore è incluso nel gruppo dei topi campagnoli definiti a
coda corta. Tale specie è distribuita su tutto il territorio italiano, dal
mare fino a quote montane, con l’eccezione della Sardegna. Questa arvicola è adattata alla vita sotto terra e compie rapidi e brevi
spostamenti sul terreno soprattutto quando è protetta dalla vegetazione (erbe infestanti e piante di carciofo), dall’oscurità e da altre
coperture; è incapace di arrampicarsi sugli alberi o compiere salti
L’individuo appare tanto tozzo e massiccio
a riposo quanto allungato e snello durante
corsa e vari spostamenti
Apertura utilizzata dall’arvicola
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coltivazione
Malattie
Introduzione
Le malattie crittogamiche del carciofo sono state oggetto di
un’ampia ed esauriente relazione di Antonio Ciccarone in occasione del 1° Congresso Internazionale di Studi sul Carciofo, a Bari,
nel 1967.
Nonostante da allora siano trascorsi ben oltre quarant’anni si
può senz’altro affermare che nel frattempo la ricerca in questo
settore non ha fatto registrare sostanziali progressi, se non per
quanto riguarda la lotta contro alcune delle principali fitopatie
della composita.
Pertanto, qui viene oggi proposta una disamina delle malattie economicamente più rilevanti con particolare riferimento agli aspetti
epidemiologici salienti e alle possibili strategie di lotta.
Malattie del carciofo
• Il carciofo costituisce una delle
produzioni orticole di maggiore rilievo
per l’Italia meridionale. L’esame della
situazione fitopatologica mette
in evidenza che alcuni problemi sono
tuttora irrisolti anche perché sono pochi
i fungicidi registrati su tale coltura.
Le malattie del carciofo più pericolose
sono quelle causate da patogeni
del terreno, in particolare i marciumi
del colletto e la verticilliosi, a causa,
soprattutto, della propagazione,
essenzialmente di tipo agamico (ovoli
e carducci), di questa composita
Oidio o mal bianco o nebbia (Leveillula taurica f.sp. cynarae –
forma conidica Ovulariopsis cynarae)
Il fungo responsabile di questa patologia è comunissimo in tutti
i Paesi carcioficoli del bacino del Mediterraneo ove può causare
danni ingenti. In Italia la malattia appare particolarmente grave
nelle colture primaticce, che sono oggigiorno le più diffuse per
l’alto reddito ricavabile dalla raccolta precoce dei capolini.
Le prime infezioni si manifestano di norma verso la prima decade di settembre, raggiungendo la massima intensità nel mese di
ottobre e nella prima decade di novembre. Col sopraggiungere
Foto I. Ponti
Sezione di un cleistotecio di L. taurica f.sp. cynarae
Esito di un grave attacco di mal bianco
Foto I. Ponti
50M
Conidio di Ovulariopsis cynarae
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coltivazione
Marciume dei capolini (Botrytis cinerea)
Il marciume dei capolini era concordemente ritenuto, sia in Italia sia in diversi altri Paesi carcioficoli, di scarsa importanza in
pieno campo ma assai temibile dopo il raccolto. In quest’ultimo
decennio, però, esso è andato estendendosi nelle carciofaie in
forma sempre più grave fino ad assumere oggigiorno proporzioni allarmanti.
I sintomi della malattia consistono in marciume e imbrunimento dei capolini che, in seguito, si ricoprono di una muffa grigiobrunastra.
Non v’è dubbio che l’insorgenza degli attacchi botritici sia correlata col verificarsi di lesioni sui capolini per le cause più disparate,
quali attacchi di Bremia lactucae, insetti, molluschi; a nostro avviso, però, la causa principale di tali lesioni è rappresentata dagli
improvvisi abbassamenti termici. In conseguenza di questi sbalzi,
infatti, sulle brattee si formano areole necrotiche, localizzate di solito intorno alla base della spina, e spesso lacerazioni dell’epidermide cui segue talvolta il distacco della stessa. Attraverso dette
lesioni il patogeno si instaura con facilità nei tessuti del capolino
provocandone il marciume in tempi anche relativamente brevi, in
concomitanza di periodi con umidità elevata e specialmente con
temperatura mite.
Un altro fattore, non meno importante, che ha contribuito a far
aumentare l’incidenza del marciume dei capolini in pieno campo è rappresentato dalla mutata tecnica colturale del carciofo.
Capolino di carciofo con evidenti
fruttificazioni di Botrytis cinerea
Marciume dei capolini
• L’esposizione dei capolini alle gelate
del periodo autunno-vernino provoca
aree necrotiche e lacerazioni
dell’epidermide sulle brattee, favorendo
la penetrazione del patogeno nei tessuti
del capolino che, in tempi relativamente
brevi, marcisce. Attacchi anche lievi
in pieno campo possono trasformarsi
in ingenti perdite di prodotto quando,
alla raccolta, i capolini vengono posti
nelle cassette per essere spediti verso
le località di smercio
Pianta di carciofo i cui capolini mostrano sintomi di marciume da Botrytis
cinerea
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coltivazione
Virosi
Introduzione
In una recente rassegna curata da Martelli e Gallitelli, sono state
elencate 24 specie virali isolate da carciofo, appartenenti a dieci
generi e una alla famiglia Rhabdoviridae. Gran parte di esse è
stata rinvenuta in Europa o in Paesi che si affacciano sul bacino
del Mediterraneo, mentre una minoranza di reperti ha riguardato
il Brasile (Artichoke latent virus, Tobacco streak virus, Tobacco
rattle virus), gli USA (California) (Artichoke curly dwarf virus, Artichoke latent S virus, Tomato infectious chlorosis virus, Tomato
spotted wilt virus), l’Argentina e l’Australia (Tomato spotted wilt
virus). Solo in alcuni casi si tratta di virus che infettano in modo
specifico il carciofo, mentre la maggioranza è patogena di un numero più o meno elevato di altre specie, coltivate e spontanee.
Caratteristica comune a più agenti infettivi è, invece, la frequente asintomaticità delle infezioni o, nei casi in cui è visibile una
risposta sintomatologica, questa è spesso condizionata dalla
presenza di più virus nella medesima pianta, da fattori ambientali, dalle tecniche colturali e dalla varietà di carciofo. In questa
sede sono fornite indicazioni sugli aspetti eco-epidemiologici
delle principali virosi che infettano il carciofo e sulle possibilità
di intervento.
Caratteristiche dei fitovirus
• I fitovirus o virus delle piante sono entità
infettive la cui forma matura consiste
di particelle di forma sferica o più
o meno allungata e flessuosa, costituite
da acido nucleico racchiuso e protetto
da un involucro proteico. L’acido nucleico
costituisce il genoma e la parte infettiva
del virus e può essere DNA o RNA,
a singolo o doppio filamento. La gran
parte dei fitovirus possiede un genoma
costituito da RNA a singolo filamento:
una molecola fortemente soggetta
a mutazioni, il che giustifica la grande
variabilità esistente tra questo gruppo
di patogeni delle piante. L’involucro
proteico o capside virale racchiude
e protegge l’acido nucleico dall’attacco
di enzimi ed è fondamentale sia per il
movimento del virus all’interno della
pianta, sia per la sua trasmissibilità
da un ospite all’altro
Artichoke latent virus (ArLV)
Tra i virus che infettano in modo specifico il carciofo, ArLV è
di gran lunga il più diffuso in tutte le aree di coltivazione della
• Per svolgere il proprio ciclo vitale,
i fitovirus hanno bisogno di una cellula
ospite viva e, pertanto, sono
da considerarsi patogeni obbligati.
Tuttavia, le particelle virali sono
sufficientemente stabili per restare
a lungo infettive in varie matrici,
anche morte, come i residui vegetali
o il terreno
Foto N. Calabrese
Carciofaia in ottimo stato fitosanitario
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coltivazione
positivi con altre specie virali dello stesso genere con le quali
AMCV è imparentato.
Difesa da Artichoke mottled
crinckle virus (AMCV)
Tomato spotted wilt virus (TSWV)
TSWV è una specie del genere Tospovirus, famiglia Bunyaviridae
ed è tra i virus di più recente segnalazione su carciofo. È un virus
ubiquitario e polifago, tanto che la gamma di ospiti suscettibili
comprende un migliaio di specie in diverse famiglie botaniche
e include colture di rilevante importanza economica come peperone, lattuga, pomodoro, melanzana, patata, tabacco, cicoria, endivia e carciofo. TSWV è trasmesso in modo persistente
propagativo dal tripide Frankliniella occidentalis che, comunque,
non è il suo unico vettore. Il virus è acquisito solo dalle neanidi
di prima e seconda età ma non dagli adulti, che possono solo
trasmettere il virus acquisito in precedenza dalle neanidi e successivamente moltiplicatosi nell’insetto. Gli adulti non possono
acquisire nuovo virus, anche se si alimentano su piante infette,
per una particolare conformazione del canale alimentare. In questo caso, il virus è semplicemente ingerito ma non sembrerebbe
rilevante ai fini della trasmissione, anche se è stata paventata
la possibilità che le particelle virali presenti nelle deiezioni degli
insetti possano stabilire nuove infezioni, penetrando nell’ospite
attraverso ferite o aperture naturali. Gli individui adulti possono
continuare a trasmettere il virus per tutta la durata della loro vita;
in media 35-40 giorni. Non sono riportati casi di trasmissione
transovarica alle successive generazioni di individui viruliferi,
ma la loro permanenza in campo, anche dopo l’espianto della coltura, espone al rischio di infezioni anche le colture successive. Numerosi sono stati gli isolamenti italiani, a partire dal
1992. Come in altre essenze, anche nel carciofo il fenotipo della
• Per la lotta, si può solo ricorrere a
lunghe rotazioni perché la persistenza
dell’inoculo nel terreno rende poco
utile il ricorso a germoplasma sano
di cui, tuttavia, è consigliabile
l’impiego per il nuovo impianto
al termine della rotazione
Eco-epidemiologia di TSWV
• Nelle condizioni dell’Italia meridionale,
il virus è trasmesso da Frankliniella
occidentalis nel periodo primaverileestivo e da Thrips tabaci in quello
autunno-invernale. Le uova deposte
nelle foglie e nelle brattee schiudono
in 2-14 giorni, in dipendenza
della temperatura, e le neanidi
di prima età iniziano immediatamente
l’alimentazione sulla stessa pianta, dalla
quale, se infetta, possono già acquisire
il virus. Anche le neanidi di seconda età
possono acquisire il virus che continua
a replicarsi e può essere trasmesso
per tutta la vita dall’adulto dell’insetto
Evidenti malformazioni fogliari e ridotto
accrescimento di una pianta infetta da TSWV
Necrosi delle nervature osservabile in una foglia di carciofo infetta
da TSWV. La necrosi delle nervature provoca arresto della distensione
del lembo fogliare con conseguente curvatura dell’asse fogliare
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coltivazione
Interazioni virus-pianta
A seguito dei progressi nella comprensione di come sono disposti ed espressi i geni della maggior parte dei virus che infettano
le piante, l’interesse dei ricercatori si è ora spostato sugli aspetti dell’interazione fra virus e ospite, con particolare riferimento ai
meccanismi attraverso i quali si sviluppano sintomi e malattia.
Gran parte di tali studi è condotta su piante modello come Arabidopsis thaliana, una crucifera dotata di un genoma di piccole
dimensioni e completamente noto. Sono diffusamente utilizzate anche varie specie di Nicotiana, tra cui il tabacco, che sono
piante infettate da un gran numero di virus, molto diversi. Su
tali piante-modello è anche possibile effettuare trasformazioni
genetiche così da poter studiare, nel dettaglio, la funzione di
singoli geni del patogeno, avendoli isolati dal contesto della
pianta infetta nella quale, a vari livelli, agiscono anche tutti gli
altri geni virali. A tale proposito va però specificato che il comportamento del singolo gene può variare se messo in condizione
di esprimersi da solo rispetto al più ampio e armonico contesto
di un complesso processo infettivo. Si va infatti chiarendo che
soprattutto i fattori definiti “di patogenicità”, coinvolti, cioè, nella
induzione della malattia, assolvono a più di una funzione, e che
tali funzioni possono essere rivelate solo in presenza del virus
in replicazione attiva nella pianta ospite e non già attraverso un
gene singolarmente espresso. Un’alternativa alla transgenesi è
quella basata sull’uso di vettori virali, cioè virus il cui corredo
genetico è stato modificato per portare all’interno della cellula
ospite geni di un altro virus in modo da poterne studiare la funzione. Questo tipo di approccio, definito “transiente” presenta il
vantaggio, rispetto a quello transgenico, di essere più flessibile
perché uno stesso vettore virale può essere usato per veicolare geni differenti ma, comunque, non risolve il problema della
Trasformazione genetica
• Per trasformazione genetica
o transgenesi si intende l’integrazione
stabile di una sequenza di DNA
nel genoma di una pianta. Da questa
operazione si ottengono piante note
come transgeniche o OGM. In agricoltura,
la transgenesi è generalmente proposta
per conferire vantaggi alle piante come
un incremento della produttività o del
livello di resistenza ai patogeni, ma può
anche essere un valido sistema di studio
genico oggi utilizzato da molti laboratori
di ricerca
Piantine di carciofo Brindisino risanato
esitate dall’attività di premoltiplicazione
e pronte per la distribuzione ai vivaisti
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virosi
mancanza di un contesto di infezione. Anche se il vettore virale
genera un processo infettivo, spesso asintomatico, esso è però
diverso da quello del virus da cui è stato prelevato il gene che si
vuole studiare attraverso l’espressione transiente.
Altre indagini sono invece condotte direttamente sulle piante di
interesse agrario nella prospettiva che da tali studi possano anche derivare informazioni utili per combattere la malattia. Queste
piante, di cui non è noto, o è noto solo in parte, il genoma, rendono più complicati gli approcci sperimentali ma spesso portano, per puro caso, alla scoperta di aspetti di un certo interesse,
soprattutto applicativo.
Nel caso del carciofo, è stata appunto casuale la scoperta che piante infette da due virus differenti come Artichoke latent virus (ArLV) e
Artichoke Italian latent virus (AILV), sottoposte a risanamento mediante coltura in vitro di apici meristematici, risultassero risanate
da ArLV ma non da AILV. Per risanare le piante anche da AILV si è
dovuto fare ricorso a un doppio trattamento consistente nella coltura di apici meristematici preceduta o seguita da un trattamento di
termoterapia, cioè di esposizione delle piante ad alta temperatura.
La coltura in vitro di apici meristematici è stata proposta come
tecnica utile al risanamento del carciofo ma, se buoni risultati
Espressione “transiente”
• A differenza dell’espressione genica
costitutiva realizzata con la transgenesi,
quella transiente è un tipo di espressione
che non produce una pianta transgenica,
ma che consente di effettuare studi sulla
funzione di specifici geni trasportati
momentaneamente da un vettore
all’interno della pianta. Per queste
finalità, sono spesso usati vettori
virali per la loro capacità di invadere
sistemicamente l’ospite e consentire
la valutazione del gene in tessuti diversi
della pianta
Protocollo per il risanamento da infezioni virali di varietà
rifiorenti di carciofo mediante coltura di apici meristematici
e termoterapia in vivo e in vitro
Pianta infetta
Termoterapia in vitro
Prelievo dell’apice meristematico
Termoterapia in vivo
Acclimatazione dei carducci
a 30 °C (30 giorni)
Problema della perdita
di precocità
• Si è visto che la coltura di apice
Insediamento (30 giorni)
Moltiplicazione (30 giorni)
Esposizione dei carducci
a 38 °C (150 giorni)
Esposizione degli espianti
della prima subcoltura a 38 °C
(15 giorni)
Prelievo dell’apice meristematico
Prelievo dell’apice meristematico
Moltiplicazione mediante
tre subcolture (90 giorni)
Insediamento (30 giorni)
Moltiplicazione mediante
tre subcolture (90 giorni)
Radicazione (45 giorni)
meristematico, ancorché non sempre
efficiente nel risanare il carciofo
dalle infezioni virali, produce, come
effetto collaterale, la perdita delle
caratteristiche di precocità delle cultivar
rifiorenti. Questo effetto indesiderato
sembra essere il risultato dell’eccessivo
numero di subcolture in terreni agarizzati
ricchi di ormoni a cui sono sottoposti
gli espianti per incrementarne
il numero. Il problema sembra risolvibile
se si contiene in due o tre il numero
di subcolture
Insediamento (30 giorni)
Radicazione (45 giorni)
Acclimatazione (30-40 giorni)
Tempo totale necessario
circa 358 giorni
Acclimatazione (30-40 giorni)
Tempo totale necessario
circa 280 giorni
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coltivazione
Flora spontanea
Foto M. Curci
Introduzione
La particolare epoca di impianto della carciofaia, nel pieno della
stagione estiva, rende questa coltura diversa dalle altre ortive da
pieno campo, anche dal punto di vista della diffusione delle erbe
infestanti. Generalmente le lavorazioni di preparazione del letto
di semina consentono di rinettare il terreno all’atto dell’impianto, così come il diserbo di pre-trapianto, nel caso si utilizzino
carducci, o di pre-emergenza, nel caso si utilizzino ovoli. In assenza di diserbo la prima tipologia di infestazione che apparirà
nella coltura comprende le specie annuali che nascono, grazie
soprattutto all’irrigazione, durante la stagione estiva. A questo
tipo di flora seguirà quella della stagione autunno-invernale
che invaderà la carciofaia all’inizio della produzione e che verrà
sostituita dalle specie che nasceranno durante la primavera e
l’estate nell’anno successivo all’impianto. Intanto anche le specie poliennali e quelle perenni avranno l’opportunità di insediarsi
nella carciofaia, specialmente nelle zone del Centro-Nord nelle
quali la durata della coltura si protrae più a lungo di quella delle
altre zone d’Italia.
In definitiva nel corso della vita della carciofaia si possono prevedere le tre seguenti tipologie di flora selvatica:
a) flora estiva dell’anno di impianto e di quelli successivi;
b) flora autunno-primaverile dell’anno di impianto e successivi;
c) flora annuale o poliennale che si sviluppa prevalentemente negli
anni successivi a quello di impianto, durante tutte le stagioni.
Carciofaia infestata da senape selvatica
nel Brindisino
Foto R. Angelini
Tappeto di acetosella gialla in una carciofaia
del Brindisino
Carciofaia fortemente infestata
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flora spontanea
Avena selvatica (Avena sterilis). Le avene sono conosciute sin
dall’antichità; il nome pare derivi dal sanscrito avasa e sottolinea
l’uso come foraggio che ne facevano i popoli antichi. Queste piante
sono state accostate spesso, da poeti e scrittori, alle vicissitudini
umane, come nel Colloquio sentimentale del poeta Paul Verlaine,
che così recita: “Nel vecchio parco gelido e deserto sono appena
passate due forme… Andavano così tra l’avena selvatica, e le loro
parole le udì solo la notte”, e gli fa eco il nostro D’Annunzio, nell’Alcyone (La spica). “... Ma la vena selvaggia, ma il ciano cilestro, ma il
papavero ardente, con lei cadranno, ahi, vani su le secce...”.
Diffusione di avena selvatica
nelle principali regioni produttrici
di carciofo
Foto R. Angelini
Diffusione
assente o sporadica
discreta presenza
elevata presenza
Becco di gru (Erodium spp.). Il frutto è composto da un’appendice
appuntita, come il becco di una gru o di un airone (dal greco erodium = airone), formata dall’insieme di molti “becchi” allungati e sottili che portano alla base un seme. A maturità l’appendice del frutto
si sfilaccia, i becchi si staccano, indipendenti, attorcigliandosi a cavaturacciolo, cadono sul terreno e, in base alle variazioni di umidità
dell’aria, si allungano (srotolandosi) e si accorciano (riarrotolandosi),
in un movimento lento ma progressivo, mediante il quale si conficcano nel terreno e trasportano così i semi alla profondità adatta per
la loro germinazione. Le specie più diffuse sono b. d. g. comune (E.
cicutarium) e b. d. g. malvaceo (E. malacoides).
Diffusione di becco di gru
nelle principali regioni produttrici
di carciofo
Diffusione
assente o sporadica
discreta presenza
elevata presenza
Becco di gru comune
Becco di gru malvaceo
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gestione delle malerbe
Diserbo
Al pari di tutte le altre colture agrarie, anche per quella del carciofo è sempre stata molto sentita dagli orticoltori l’esigenza di
attuare il diserbo, cioè l’eliminazione o almeno il contenimento
delle malerbe, al fine di diminuirne il più possibile gli effetti dannosi. Solo difendendo opportunamente la coltura, infatti, diviene
possibile salvaguardarne il potenziale produttivo sotto l’aspetto
sia quantitativo sia qualitativo e, nel caso della coltura poliennale,
ottenere una durata della carciofaia che sia più economicamente
conveniente.
Le problematiche di diserbo richiedono soluzioni che non sono
sempre facili da attuare, specialmente per i cinaricoltori delle aree
irrigue meridionali che praticano la coltivazione forzata; in tal caso, infatti, data la lunghezza del ciclo colturale, che può arrivare
fino a 270-300 giorni, è conseguentemente più esteso il periodo
di tempo durante il quale la coltura può risultare suscettibile alla
competizione delle malerbe che iniziano appunto a emergere già
nel periodo estivo.
Gestione delle malerbe
nell’antichità
• Troviamo nella Bibbia la necessità
di difendere le coltivazioni dalle
malerbe; nel Vecchio Testamento
(Genesi, 3, 18), infatti, si legge che
Dio disse ad Adamo: “… Maledetta
sia la terra per causa tua. Spine
e cardi ti produrrà”, mentre nel Nuovo
Testamento (Matteo, 13, 17) è scritto:
“Parte del seme (di grano) cadde
tra le spine, le spine crebbero
e lo soffocarono” e in una parabola:
“Il Regno dei cieli si può paragonare
a un uomo che ha seminato del buon
seme nel suo campo. Ma mentre
tutti dormivano venne il suo nemico,
seminò zizzania in mezzo al grano
e se ne andò” (Matteo 13, 24-25).
Anche nel mondo latino, nelle
Georgiche, Virgilio riporta che
“… inutile domina il loglio (zizzania)
e la sterile avena”; “… alta si sporge
la felce nemica dell’aratro”, e ancora
come “… ogni anno bisogna per
tre-quattro volte sarchiare il terreno”,
in altre parole togliere le malerbe nate
nella coltura. Columella, nel De re
rustica, afferma: “... ma a me sembra
l’indicazione di un’agricoltura povera
il permettere alle erbacce di crescere
fra le colture, poiché i raccolti
diminuiscono fortemente...”
Metodi di diserbo
Nei confronti delle erbe infestanti che inerbiscono le coltivazioni
di carciofo sono attualmente praticabili metodologie di diserbo di
tipo sia indiretto sia diretto, la cui gestione può avvenire anche in
maniera integrata.
Metodi indiretti. I metodi di diserbo indiretti, definiti anche preventivi, sono tutti quelli che tendono in generale a prevenire le
infestazioni di malerbe, in modo che sia evitato l’arrivo nei campi
di semi di nuove infestanti o comunque di altri organi di riproduzione di tipo vegetativo (bulbi, rizomi, stoloni ecc.) delle stesse e/o
non avvenga la proliferazione delle specie di malerbe già presenti,
specialmente se di tipo perenne. In altri termini, i metodi preven-
Principali componenti che influenzano l’ottimizzazione
del diserbo
Erbicidi
Mezzi di distribuzione
Tecnica colturale
Normative comunitarie
e nazionali
Caratteristiche
del terreno
Rotazione
Flora infestante
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ricerca
Miglioramento genetico
Francesco Saccardo
Nuove selezioni
in Toscana
Romano Tesi
Biotecnologie
Raffaela Tavazza, Paola Crinò,
Giorgio Àncora,
Mario Augusto Pagnotta
Propagazione
e innovazione
Irene Morone Fortunato, Claudia Ruta
Spinoso sardo
Maria Cadinu, Anna Maria Repetto
Tecnica vivaistica
Fabio Micozzi, Bernardo Pace,
Nicola Calabrese
Risanamento da virus
Marina Barba
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14-12-2009 13:28:27
ricerca
Miglioramento genetico
Introduzione
Il carciofo (Cynara cardunculus var. scolymus) è una delle più importanti colture ortive prodotte sul territorio nazionale, con 50.120 ha
coltivati e una produzione lorda vendibile che supera i 500 milioni
di euro. Negli ultimi anni, il settore cinaricolo presenta tuttavia alcune problematiche legate principalmente:
– alla comparsa sul mercato di prodotti provenienti dall’estero, in
particolare dalla Francia e dall’Egitto;
– alla mancanza di varietà iscritte al Registro Nazionale MiPAAF;
– alla difficoltosa gestione agronomica della coltura a causa della
variabilità del germoplasma tradizionale, costituito in genere da
popolazioni eterogenee;
– all’assenza di un’attività vivaistica innovativa;
– all’elevato costo di manodopera richiesta per le cure colturali e
la raccolta. Inoltre, il calo dei prezzi, dovuto al fatto che l’offerta
per ogni tipologia è per lo più limitata a un arco di tempo piuttosto breve, la ridotta diversificazione varietale esistente e la commercializzazione di un prodotto non qualificato rappresentano
ulteriori problemi della coltura.
Nuove prospettive possono essere fornite dal miglioramento genetico mediante la costituzione di nuove cultivar che meglio rispondano alle esigenze di produzione (uniformità, attitudine alla
raccolta meccanica) e di mercato (precocità) e mediante l’utilizzo
di sistemi razionali di gestione dei tradizionali materiali di propagazione e l’impiego di nuove tecniche vivaistiche. La resistenza
a stress abiotici e biotici (in particolare a Verticillium dahliae) dovrebbe consentire la coltivazione del carciofo anche in aree sottoposte a stress diversi.
Principali caratteri del carciofo
• Apparato radicale fittonante con rizoma
(organo di riserva)
• Fiori ermafroditi violacei
in infiorescenza (capolino)
• Brattee larghe inermi o spinescenti
• Gineceo con ovario infero
monoloculare, lungo stilo e stigma
bifido
• Androceo con cinque stami liberi
e antere saldate tra loro
• Polline bianco avorio riunito in piccole
masse compatte
• Impollinazione entomofila
e proterandria del fiore
• Fioritura scalare e centripeta
nel capolino
• Parte edule costituita dal capolino
• Frutti (acheni) duri, globosi
con abbondante pappo
per la disseminazione
Coltivazione per la produzione di “seme”
Foto R. Angelini
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miglioramento genetico
Risorse genetiche
L’Italia presenta il più ricco pool genico coltivato di carciofo per
lo più rappresentato da un elevato numero di ecotipi o cloni, propagati vegetativamente e il cui nome richiama generalmente le
zone di origine. Tuttavia, la biodiversità presente a livello locale è tuttora poco conosciuta, tanto da determinare confusione
sia nella terminologia sia nella classificazione del germoplasma
disponibile. Esiste, infatti, un ampio numero di popolazioni che
prendono il nome dalla rispettiva zona di coltivazione, pur non
essendo sempre geneticamente differenziate tra loro. Per esempio, è il caso del carciofo Cupello (capolino di colore violaceo,
grande e carnoso) che, pur prendendo il nome dalla località
di coltivazione, sin dalla fine degli anni ’50, è genotipicamente
rappresentato dalla popolazione Campagnano che, assieme a
quella denominata Castellammare, concorre alla produzione della tipologia Romanesco. Anche per il Pian di Rocca, il genotipo
coltivato è rappresentato dal clone Terom e non da uno specifico
ecotipo locale.
Il germoplasma di carciofo può essere oggi raggruppato e classificato secondo differenti criteri, fondamentalmente basati sulle
caratteristiche morfologiche del capolino quali la forma, il colore
delle brattee, la presenza o assenza di spine, o sull’epoca di produzione, autunnale e primaverile. In base alle caratteristiche del
capolino, le risorse genetiche coltivate sono state suddivise nelle
seguenti tipologie principali:
– Spinosi, caratterizzati da lunghe spine sulle brattee e sulle foglie;
– Violetti, con capolini viola di medie dimensioni e produzione autunnale;
– Romaneschi, con capolini più o meno globosi e produzione primaverile;
Fiore di carciofo
Capolini di carciofo (in alto) e di cardo
coltivato (in basso)
Diverso colore di infiorescenze di carciofo
287
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miglioramento genetico
nali. Recentemente, attraverso programmi mirati di miglioramento
genetico, sono stati ottenuti ibridi F1 italiani derivati dall’incrocio
di linee inbred fertili e cloni maschiosterili utilizzati come piante
portaseme. Le autofecondazioni ripetute in carciofo determinano
però fenomeni di depressione da inbreeding con conseguenze
negative sul vigore della pianta, sulla superficie fogliare, sull’altezza dello stelo, su numero e dimensione dei capolini commerciali,
sulla qualità e quantità del polline e sul numero di semi vitali. Talvolta la depressione da inbreeding compare già alla seconda autofecondazione mentre, in altri casi, alla III-IV autofecondazione,
gli effetti possono essere talmente severi da dover rinunciare alla
produzione di linee inbred. In contrasto con i fenomeni di inbreeding, gli incroci tra cloni di carciofo determinano elevata eterosi,
espressa chiaramente in biomassa e produzione. È stato notato
un impressionante vigore ibrido nelle combinazioni di incrocio tra
carciofo e cardo.
La strategia seguita per l’ottenimento di ibridi F1 presenta le seguenti fasi:
1) realizzazione di variabilità genetica ottenuta mediante clonazione, autofecondazione, incrocio intra/interspecifico e mutagenesi;
Coltivazione di carciofo in serra
Capolini di ibridi F1 commerciali (in basso) e in via di sviluppo (in alto)
Sami
Sami
Madrigal
Madrigal
Concerto
Opal
293
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biotecnologie
nata per caratteristiche fisiologiche e produttive di pregio, con un
processo di propagazione vegetativa simile a quello della talea.
Contrariamente alle tecniche tradizionali di propagazione, che
si effettuano in serra o in campo, la micropropagazione viene
condotta in condizioni strettamente asettiche e con l’impiego di
camere di crescita caratterizzate da parametri di luce e temperatura controllati.
Terreno di coltura
• Per la coltura in vitro si utilizzano
substrati agarizzati composti da una
miscela di sali minerali comprendenti
macro- e microelementi, una fonte
di carbonio (generalmente saccarosio
o glucosio) e una serie di composti
organici addizionali quali vitamine,
ormoni ecc.
Principali fasi della micropropagazione
A partire dalla coltura in vitro di un meristema, o di un apice vegetativo, è possibile ottenere un germoglio che, in opportune
condizioni di coltura, viene indotto a proliferare sviluppando le
gemme ascellari presenti alla base di ogni foglia. I germogli proliferati, dopo diversi cicli di moltiplicazione, possono essere successivamente indotti a formare le radici mediante trasferimento
su un terreno di coltura idoneo, originando una piantina completa.
Il passaggio della pianta dalla coltura in vitro alla serra è partico-
• Ogni fase del processo (coltura del
meristema, sviluppo, moltiplicazione
e radicazione dei germogli) richiede
specifici terreni di coltura. La coltura
del meristema richiede generalmente un
terreno povero con basse dosi ormonali,
mentre le fasi di moltiplicazione e di
radicazione richiedono substrati più
ricchi con concentrazioni più elevate
di ormoni
Principali fasi della micropropagazione
3)
4)
2)
5)
6)
Vantaggi
della micropropagazione
• Ottenimento di copie identiche
della pianta madre (clonazione)
• Superamento di difficoltà
nella moltiplicazione vegetativa
di alcune specie
7)
• Rapidità di ottenimento di un gran
numero di piante
• Necessità di quantità ridotte di materiale
1)
di partenza
9)
• Assenza di condizionamento ambientale
• Sanità dei materiali ottenuti
8)
1) Meristema prima della sterilizzazione. 2) Meristema in coltura. 3) Germoglio. 4) Trasferimento e moltiplicazione in vitro. 5) Allevamento in camere di crescita. 6) Germoglio con
gemme ascellari. 7) Fase di radicazione. 8) Adattamento alle condizioni in vivo. 9) Sviluppo
di pianta in campo
305
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propagazione e innovazione
ospite. I funghi AM sono abbondantemente distribuiti nell’ecosistema naturale e agrario e producono micorrize in quasi tutti i
campi coltivati.
L’alta reattività mostrata dal carciofo lo prefigura come modello
per l’applicazione di queste biotecnologie in agricoltura.
Produzione di micorriza e
mantenimento delle piante stock
• Il fungo micorrizico del genere Glomus
Micropropagazione di tipologie precoci di carciofo
Catanese, Brindisino, Locale di Mola
La prima attività vivaistica per il carciofo nasce negli anni Ottanta.
In quegli anni la micropropagazione veniva sempre più applicata
alla propagazione su larga scala delle piante di interesse agrario.
Esempio di interazione fra strutture di ricerca (ENEA) e territorio
(Cerveteri, Ladispoli) è l’utilizzo di piantine micropropagate delle
tipologie di carciofo tardivo, tutt’oggi una realtà che ha consentito
la moltiplicazione e la distribuzione agli agricoltori di cloni di diverse cultivar come il C3.
Tale tecnologia ha trovato un’ampia applicazione sulle cultivar
tardive; complesse si sono rivelate le problematiche relative alla
micropropagazione di tipologie precoci di carciofo, sia in relazione alle fasi di radicazione e ambientamento, sia per le difficoltà
riscontrate nella coltivazione in pien’aria.
produce clamidospore che si trovano
nel suolo o nelle radici, isolate
o riunite in sporocarpi. La biotrofia
obbligata determina la necessità
di avere piante in vaso sulle cui radici
possa vivere in simbiosi il fungo. Circa
20 spore, prelevate con l’aiuto di uno
stereomicroscopio da un terreno infetto,
vengono poste intorno alle radici di una
piantina ospite sterile (fragola, cipolla,
trifoglio) su un substrato sterile (sabbia
di fiume). Dopo 3 o 4 mesi si ottiene
una produzione di migliaia di spore,
con cui continuare le colture stock
Schema della micropropagazione e della micorrizazione di tipologie precoci di carciofo mediterraneo.
M-: apparato radicale non micorrizato; M+: apparato radicale micorrizato
Vitro
Serra
Micorrizazione
Numero subcolture: 4-5
Moltiplicazione
Radicazione
M–
Dimensioni apice: 5-6 mm
M+
Stabilizzazione
Ambientamento
Confronto apparato radicale
dopo due mesi
315
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ricerca
Tecnica vivaistica
Introduzione
La propagazione del carciofo è ancora attuata per via agamica,
per mezzo di carducci, ovoli, parti di rizoma o ceppaia, spesso
autoprodotti dagli stessi agricoltori, che utilizzano per l’impianto
materiale prelevato direttamente da carciofaie coltivate per la
produzione dei capolini senza fare ricorso a tecniche particolari.
Il materiale utilizzato per la moltiplicazione è caratterizzato da notevole variabilità in ordine a età, stadio fisiologico, forma, dimensione, posizione sulla pianta madre, numero di gemme presenti
ecc. Ciò ha portato nel tempo alla comparsa di gravi problemi
di carattere agronomico e patologico con ricadute negative per
i produttori, anche di tipo economico. È infatti evidente un lento
e progressivo peggioramento delle potenzialità produttive delle
carciofaie e delle caratteristiche qualitative dei capolini; i produttori lamentano che la coltura non risponde all’impiego dei più
moderni mezzi tecnici di coltivazione con adeguati incrementi
produttivi. Questa situazione risulta più accentuata nelle realtà
produttive orientate verso produzioni precoci, che sono quelle
maggiormente diffuse su tutto il territorio nazionale. Solitamente
si attribuisce la ridotta produttività della coltura al fenomeno della stanchezza del terreno, ma questa, pur verosimile, non considera altri aspetti di fondamentale importanza, quali la mancata
applicazione di metodi di selezione del materiale genetico, il risanamento del materiale stesso e la necessaria razionalizzazione della tecnica di propagazione.
Attività vivaistica del carciofo
• Nonostante la notevole importanza
economica del carciofo, per questa
specie manca una consolidata
attività vivaistica in grado di fornire
piantine sane e di buona qualità da
impiegare per l’impianto, che possa
garantire rispondenza alla normativa
vigente, uniformità del materiale
di propagazione, conformità alle
caratteristiche varietali e, in definitiva,
assicurare produttività e sanità
delle coltivazioni
Carciofaia nel Foggiano
Foto R. Angelini
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ricerca
Piante madri risanate
Coltivazione di piante madri risanate. Le piante sono state poste in vasi di plastica da 50 l impiegando come substrato una
miscela di torba bruna e di torba bionda nel rapporto 2/3 e 1/3;
questa combinazione ha fornito i migliori risultati in termini di velocità di crescita e peso dell’apparato radicale. L’apporto idrico e
nutrizionale è stato assicurato da fertirrigazione con distribuzione
per singolo vaso con spaghetto.
Capitozzatura della pianta madre
Capitozzatura delle piante madri. La capitozzatura si effettua
quando le piante madri presentano le seguenti caratteristiche
morfologiche: diametro del fusto al colletto ≥ 35 mm; 13-15 foglie
ben sviluppate con lamina fogliare superiore a 30 cm di lunghezza
e buon apparato radicale. Tale intervento, effettuato in modo da
salvaguardare l’integrità del rizoma, stimola la pianta all’emissione di un elevato numero di germogli (carducci).
Pianta madre capitozzata
Emissione di germogli (carducci)
Pianta con numerosi carducci pronti per il prelievo
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utilizzazione
Trasformazione
industriale
Giancarlo Colelli
Nicola Calabrese
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utilizzazione
Trasformazione industriale
Introduzione
L’industria di trasformazione utilizza prevalentemente i capolini
più piccoli, raccolti a mano, senza l’ausilio del coltello, di solito in
aprile e maggio, quando i prezzi sono più bassi.
La trasformazione avviene con l’impiego di processi fisici, chimici e biotecnologici. Nei prodotti tradizionali i processi fisici sono
prevalentemente basati sulla variazione di temperatura (trattamenti termici, surgelazione), mentre quelli chimici utilizzano acidi
organici per abbassare il pH del liquido di governo, o il sale per
abbassare l’attività dell’acqua. I processi biotecnologici consistono nella produzione di acido lattico attraverso la fermentazione,
spontanea o controllata, condotta da batteri.
I prodotti trasformati sono prevalentemente destinati al consumo
diretto o al catering. In alcuni casi invece costituiscono un semilavorato da destinare a successive preparazioni. In genere i trasformati sono prodotti stabilizzati termicamente in diversi liquidi di
governo (olio di oliva o di semi, salamoia, in qualche caso aceto)
e sono di solito caratterizzati da vita commerciale molto lunga
(anche superiore all’anno) e da livelli qualitativi dipendenti dal tipo di lavorazione, dalla ricetta utilizzata e dalla sua formulazione.
Il trattamento termico stabilizzante incide spesso pesantemente
sugli aspetti nutrizionali ed organolettici del prodotto trasformato,
con il risultato finale che questo, seppur in varia misura, differisce
notevolmente dal prodotto di partenza.
Con la surgelazione si ottengono prodotti dalle caratteristiche organolettiche simili a quelli freschi e con elevato contenuto in servizio;
sono però caratterizzati da vita commerciale più breve rispetto al
prodotto appertizzato, e, soprattutto, necessitano della catena del
freddo durante la distribuzione e la commercializzazione in grado
di rispettare i livelli termici ottimali (<–18 °C) di conservazione.
Carciofi trasformati
• La trasformazione dei prodotti
ortofrutticoli ha avuto in passato,
come obiettivo principale, quello di
estenderne la conservabilità per lungo
tempo e consentirne l’uso anche in
periodi di assenza del prodotto fresco.
Attualmente, diverse sono le esigenze
del consumatore moderno in termini
di qualità, servizio, valore nutrizionale,
facilità di preparazione e comodità
d’uso. Tutto ciò ha maggiore valenza per
il carciofo, la cui produzione nazionale
copre un ampio periodo, da ottobre a
maggio, e la preparazione per l’impiego
culinario è spesso lunga e laboriosa.
Numerosi sono infatti i prodotti
trasformati del carciofo: le tradizionali
conserve in olio o in salamoia (preparate
in molteplici ricette), le preparazioni per
il catering, i surgelati, i prodotti pronti
all’uso, freschi o cotti
Foto R. Angelini
Capolini di ottima qualità pronti
per la trasformazione
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trasformazione industriale
Foto R. Angelini
Carciofi sottolio
• I carciofi sottolio (generalmente
di girasole o di oliva) sono di solito
commercializzati in vasi di vetro
con coperchio a chiusura ermetica,
contenenti ciascuno, a parità
di capacità, un numero di cuori
che varia a seconda della dimensione
dei capolini, i quali sono indicati
come TPS (piccolissimi), TP (piccoli),
TM (medi), T (normali) e TSN (super
normale). Recentemente sono stati
introdotti sul mercato cuori preparati
alla brace, grigliati, alla giudìa e conditi
con diverse spezie ed erbe aromatiche
Carciofi sottolio
pallettizzate e stoccate. Questo prodotto possiede una completa
edibilità, brattee esterne di colore giallo, prive di striature verdi.
Se si desidera un prodotto sottolio dotato di elevate caratteristiche organolettiche, occorre impiegare carciofi allo stato fresco.
Alle operazioni di lavaggio e cernita segue la scottatura, chiamata
comunemente blanching, effettuata in acqua bollente per 10-20
minuti, in base alla grandezza del capolino. Successivamente si
procede alla tornitura dei capolini e al riempimento dei contenitori
che, nel caso di vendita al dettaglio, sono vasi di vetro di diverse dimensioni. L’olio viene aggiunto al prodotto a temperatura di
circa 90 °C. Alla sigillatura sottovuoto segue la pastorizzazione. Il
prodotto viene successivamente confezionato in cartoni, stoccato o immesso direttamente alla vendita.
Scottatura
• L’operazione di scottatura (blanching)
è un trattamento termico indispensabile
per stabilizzare i prodotti trasformati,
anche surgelati. L’utilizzo delle basse
temperature, infatti, non è sufficiente
a conservare definitivamente tali
alimenti in quanto il freddo rallenta
i processi enzimatici ma non li arresta
totalmente. Spesso l’operazione
di blanching viene effettuata
immergendo il prodotto in acqua
bollente per il tempo necessario
all’inattivazione enzimatica, di solito
alcuni minuti. Nel carciofo si adopera
acqua acidulata con acido citrico a
una concentrazione compresa tra 0,7
e 1,5%. Tali condizioni favoriscono un
colore delle brattee più attraente, ma
possono modificare le caratteristiche
organolettiche del prodotto, che risulta
leggermente acido. La scottatura può
essere effettuata anche utilizzando
direttamente il vapore surriscaldato
Carciofo surgelato
La produzione di cuori surgelati inizia con la fase di tornitura seguita dall’immediata immersione in acqua acidulata con lo 0,5-1%
di acido citrico o ascorbico, la cui presenza è necessaria per evitare fenomeni di imbrunimento sulle superfici di taglio. Da questo
momento in poi la lavorazione generalmente si divide in linee parallele, alimentate con calibri diversi.
I cuori sono prelevati dalla vasca di raccolta attraverso un elevatore a tazze forate e inviati alla scottatrice. Il prodotto viene immerso in acqua bollente per un tempo prestabilito grazie a un
trasportatore a coclea; dopo la scottatura il prodotto viene sgrondato e preraffreddato. I cuori di carciofo di pezzature medie e
grandi sono poi tagliati a metà o in spicchi; a tal fine, sulla linea,
sono inserite apposite taglierine. Inoltre sono prodotti anche i fondi (ricettacoli) che vengono usati specialmente in Francia per la
preparazione di piatti tipici. Al termine del raffreddamento, un elevatore porta i carciofi su di un banco di cernita per l’eliminazione
del prodotto non idoneo, e quindi alla surgelazione. Questa viene
effettuata preferibilmente in impianti continui con circolazione di
351
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utilizzazione
Cuori dopo la scottatura
Cuori di carciofo pronti per la surgelazione
aria a –40 °C dal basso verso l’alto. In questo modo si ottiene una
pseudo-fluidizzazione del carico che sfrutta tutta la superficie del
prodotto per lo scambio termico e che, con la continua agitazione
del prodotto, evita che i cuori congelino ammassandosi tra loro.
La durata della surgelazione varia con la dimensione del prodotto
e con il tipo di impianto; in genere è compresa tra 15 e 20 minuti.
Dallo scarico del surgelatore il prodotto viene inviato alle confezionatrici e poi stoccato in cartoni in cella frigorifera a −30 °C.
Di recente sono state poste in commercio altre tipologie di surgelati, come i carciofi in pastella pronti da friggere, le crêpe, i cannelloni
ripieni con fettine e pezzetti di carciofo, i ravioli e carciofi saltati in
padella, per le quali si utilizza la nuova tecnologia stir-fry, in cui anche il liquido usato per la cottura contiene piccoli pezzi di cuori.
Alimentazione delle linee di lavorazione
Prodotti innovativi
Le recenti tendenze dell’industria di trasformazione sono rivolte
alla soddisfazione delle esigenze dei consumatori verso prodotti
caratterizzati da aspetti nutrizionali e organolettici il più possibile
simili al prodotto fresco, e al contempo caratterizzati da praticità
d’uso e di risparmio di tempo per la preparazione/cottura, tipiche
del prodotto trasformato.
I prodotti pronti all’uso, denominati anche IV e V gamma, rispondono in maniera esaustiva a tali esigenze. Con il termine IV
gamma si intendono i prodotti ortofrutticoli freschi, lavati, tagliati, confezionati e pronti all’uso, mentre la V gamma prevede anche trattamenti termici; per entrambi la conservazione avviene a
2-4 °C, con la catena del freddo. Il periodo di conservazione della
IV gamma è di solito di 4-7 giorni, mentre la V gamma può essere
conservata anche per alcuni mesi.
Questi prodotti, pur presentando notevoli vantaggi rispetto ai trasformati tradizionali, implicano una maggiore complessità del ciclo
produttivo e la disponibilità di impianti di alto livello tecnologico.
Cuori di carciofi preparati a macchina
Cuori preparati a mano immersi in soluzione
antiossidante
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mondo e mercato
Carciofo nel mondo
Vito Vincenzo Bianco, Nicola Calabrese
Carciofo in Spagna
Ignacio Macua, Inmaculada Lahoz
Carciofo in Francia
Cristophe Bazinet, Marc Eric Pavillard,
Chrystelle Jouy
Carciofo in Tunisia
Toufik Ouselati, Ismail Ghezal
Carciofo in Egitto
Mahmoud Sharaf-Eldin
Carciofo in Marocco
Mohamed Razine
Carciofo in Turchia
Benìan Eser, Atnan Uğur
Carciofo negli Stati Uniti
Daniel Leskovar, Mohammad Abdul Bari
Carciofo in Argentina
Stella Maris Garcia
Carciofo in Perú
Santiago Fumagalli Galli, Andres Casas Diaz
Carciofo in Cile
Costanza Jana Ayala
Aspetti commerciali
Roberto Piazza, Duccio Caccioni
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carciofo nel mondo
Produzione di carciofo nel mondo
Produzione (.000 t)
1980
1985
1990
1995
2000
2005
2007
Italia
598
418
487
517
515
470
474
Spagna
288
269
428
251
285
189
215
Argentina
59
77
72
75
85
88
90
Egitto
29
41
74
40
35
70
74
Perú
1
1
0,9
1,9
4
68
72
Cina
-
-
-
14
16
55
65
Francia
103
55
97
63
64
50
55
Marocco
33
18
17
35
41
53
52
USA
43
61
51
37
40
38
41
Algeria
14
3
6
7
40
37
37
Cile
18
15
21
17
24
32
34
Grecia
44
32
34
25
26
35
25
Tunisia
13
11
12
22
17
12
19
Mondo
1254
1017
1323
1146
1330
1323
1317
Capolini di Violetto di Provenza in cassette
di cartone
si registra un incremento notevole delle superfici, che sono decuplicate negli ultimi cinque anni, raggiungendo 4200 ha nel 2007.
Per la produzione totale, dopo Italia e Spagna, seguono nell’ordine Argentina, Egitto, Perú e Cina. La Francia, a causa della bassa
produzione unitaria (5,3 t/ha in media), è relegata al settimo posto.
Carciofaia in Spagna
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mondo e mercato
Completano la graduatoria dei primi dieci Paesi produttori Marocco, USA e Algeria.
Per quanto riguarda il calendario del periodo di raccolta, è opportuno premettere che la tecnica colturale e le caratteristiche
varietali influenzano notevolmente il calendario di raccolta in tutti
gli areali di coltivazione. In genere, nei Paesi che si affacciano sul
bacino del Mediterraneo, la produzione dei capolini comincia in
autunno, prosegue durante l’inverno con modalità che dipendono
dalle condizioni climatiche, in alcune zone può anche interrompersi, raggiunge il culmine in primavera e termina di solito a fine
maggio. Differisce notevolmente il calendario di produzione delle
regioni della Francia del Nord; in queste zone, infatti, le condizioni
climatiche particolari consentono la raccolta dei capolini durante
la stagione estiva; pertanto la Francia può produrre carciofi tutto
l’anno. Situazione simile si osserva in California (USA), dove le
favorevoli condizioni climatiche delle diverse aree di coltivazione
e le differenti tecniche colturali permettono l’offerta di capolini sul
mercato interno durante l’intero anno.
Nei Paesi del Sudamerica, l’epoca di produzione va da metà aprile a inizio dicembre e corrisponde al periodo autunnale-primaverile. In Perú, invece, la produzione si ottiene durante tutto l’anno,
perché le due grandi aree di coltivazione, la zona costiera e la
sierra andina, coprono nel loro insieme tutti i mesi. Questa situa-
Carciofi Blanca de Tudela al mercato
di Madrid
Calendario del periodo di raccolta in vari Paesi
Nazione
Gen
Feb
Mar
Apr
Mag
Giu
Lug
Ago
Set
Ott
Nov
Dic
Italia
Spagna
Francia Nord
Francia Sud
Grecia
Egitto
Tunisia
Algeria
USA
Cina
Turchia
Argentina
Cile
Perú costa
Perú sierra
360
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carciofo nel mondo
Tonnellate
Evoluzione della produzione totale del carciofo in Italia
800.000
700.000
600.000
500.000
400.000
300.000
200.000
100.000
0
Italia
Superficie:
49.952 ha
(Superficie:
49.952
Produzione totale:
517.999ha
t
Produzione totale: 517.999 t)
1960
1970
1980
1990
2000 2008
Anni
damento ricalca quello osservato per la superficie, pur tenendo
conto della notevole influenza sulla produzione delle condizioni
climatiche verificatesi nelle singole annate. La produzione unitaria
del carciofo in Italia è aumentata fino alla metà degli anni ’70, e
leggermente diminuita nei vent’anni successivi. La tendenza alla riduzione della produzione areica si è consolidata nell’ultimo
decennio, nonostante siano migliorati notevolmente la tecnica
colturale (soprattutto per quanto riguarda la fertilizzazione e l’irrigazione) e il controllo dei parassiti. Attualmente le regioni in cui
il carciofo è maggiormente diffuso sono la Puglia con 17.085 ha
e 173.448 t di capolini, la Sicilia (14.270 ha e 159.064 t) e la Sardegna (12.952 ha e 106.860 t), che insieme rappresentano il 90%
della superficie totale coltivata e l’85% della produzione nazionale. Presenze significative della coltivazione del carciofo si registrano anche in Campania (2019 ha e 34.663 t) e Lazio (1043 ha
e 20.650 t).
Puglia
Superficie: 17.085 ha
Produzione totale: 173.448 t
Sicilia
Superficie: 14.720 ha
Produzione totale: 159.064 t
Evoluzione della produzione del carciofo in Italia
Sardegna
Superficie: 12.952 ha
Produzione totale: 106.859 t
1,4
1,2
t/ha
1,0
Campania
Superficie: 2019 ha
Produzione totale: 34.663 t
0,8
6,0
4,0
Lazio
Superficie: 1043 ha
Produzione totale: 20.650 t
2,0
0,0
1960
1970
1980
1990
2000 2008
Anni
365
34_35_Diffusione.indd 365
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mondo e mercato
Carciofo in Spagna
Introduzione
L’introduzione del carciofo in Spagna è probabilmente dovuta agli
Arabi. Testimonianze riportano che nell’XI secolo erano coltivate
piante di carciofo (chiamato al-kharchaf, da cui il termine spagnolo alcachofas) provenienti dal Nordafrica, più piccole di quelle attuali, di cui si utilizzavano sia i capolini sia lo stelo fiorale tenero.
Nella seconda metà del XII secolo, Ibn al-Awwan riporta che gli
orticoltori andalusi avevano selezionato e migliorato la tipologia
delle piante, incrementando la dimensione, l’omogeneità fenotipica e il numero di capolini prodotti.
Attualmente la coltivazione del carciofo occupa una superficie
di circa 16.000 ha, con una produzione di oltre 200.000 t. Più
dell’85% dei capolini raccolti è destinato alla trasformazione industriale, mentre la quota restante è esportata allo stato fresco
(13.910 t nel 2008) o commercializzata sul mercato nazionale.
Nel 1990 la superficie coltivata superava i 30.000 ha; successivamente è diminuita e in particolare un calo notevole è stato osservato a partire dal 2005. Questo, però, non ha provocato una
riduzione altrettanto significativa della produzione, che negli ultimi quattro anni si è mantenuta abbastanza costante, attorno alle
200.000 t.
La produzione unitaria è in media di circa 12 t/ha, con valori più
elevati nelle regioni di Murcia e Alicante, dove la produzione media
supera le 20 t/ha grazie all’ampia durata del periodo di raccolta.
La zona di produzione si concentra prevalentemente lungo la costa del Mediterraneo: fra tutte spicca la regione di Murcia, con
6500 ha, seguita dalla Comunità Valenciana (3860 ha), dall’Andalusia (2484 ha) e dalla Catalogna (1492 ha). Esiste infine un
altro nucleo di importanza significativa, quello situato nella valle
dell’Ebro, formato da Navarra e La Rioja (circa 1200 ha). L’impor-
Spagna in sintesi
• Il carciofo occupa una superficie
di circa 16.000 ha, con una produzione
di oltre 200.000 t
• Più dell’85% dei capolini raccolti
è destinato alla trasformazione
industriale, mentre la quota restante
è esportata allo stato fresco
o commercializzata sul mercato
nazionale
• Le aree di produzione sono concentrate
lungo la costa del Mediterraneo: la
regione di Murcia con 6500 ha è al
primo posto, seguita da: Comunità
Valenciana (3860 ha), Andalusia
(2484 ha), Catalogna (1492 ha) e Valle
dell’Ebro, Navarra e La Rioja (circa
1200 ha)
• La produzione si basa sostanzialmente
sulla cultivar Blanca de Tudela
o popolazioni da essa derivanti:
Monqueline nella zona di Valencia
o Aranjuez nella zona di Madrid,
entrambe in progressivo abbandono.
Modesta è la presenza di cultivar di
provenienza francese, Macau e Calico
Verde, con capolini di colore verde,
e Violetto di Provenza, Tema e Calico
Rosso, con brattee di colore violetto.
Recentemente sono state introdotte
su piccole superfici cultivar propagate
per “seme”: Imperial Star, Lorca
e A-106
Evoluzione delle superficie coltivata
• Due denominazioni di origine:
ettari
DO Alcachofa de Benicarló
(Comunità Valenciana), per la
commercializzazione allo stato
fresco, e IGP Blanca de Tudela,
per la commercializzazione allo
stato fresco e trasformato
19.500
19.000
18.500
18.000
17.500
17.000
16.500
16.000
15.500
15.000
2002
2003
2004
2005
2006
2007
2008
Fonte: MAPA, 2008
370
35_36_CarciofoSpagna.indd 370
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carciofo in Spagna
tonnellate
Evoluzione della produzione totale
350.000
300.000
250.000
200.000
150.000
100.000
50.000
0
2002
Paesi
Asturie
Cantabria BaschiNavarra
La Rioja 6,9%
Catalogna
Castiglia 3,4%
0,1%
e Leon 0,1%
Aragona
Madrid
0,7%
Comunità
Estremadura Castiglia Valenciana
La Mancia 1,1% 23,6%
Baleari 0,4%
Murcia
Andalusia
39,7%
15,2%
Galizia
2003
2004
2005
2006
2007
2008
Canarie
Ceuta
Fonte: MAPA, 2008
Melilla
Superficie coltivata a carciofo suddivisa
per regioni (Fonte: MAPA, 2008)
tanza di quest’area è data non tanto dalla quantità della produzione, quanto dal fatto che in questa zona, nelle vicinanze della città
di Tudela in particolare, si produce il materiale di moltiplicazione
destinato a rifornire tutte le aree cinaricole nazionali.
Negli ultimi anni le esportazioni del carciofo conservato (in salamoia o sottolio) sono in diminuzione, mentre le importazioni
sono aumentate in modo significativo, principalmente dal Perú
(21% del totale delle esportazioni di questo Paese). La maggior
parte dei carciofi conservati importati in Spagna viene rilavorata
e successivamente esportata. Lo stesso avviene con il carciofo
congelato, per il quale si registra l’aumento delle importazioni,
mentre le esportazioni sono stabili e sono dirette soprattutto negli Stati Uniti e, in misura minore, in Italia, Francia, Germania.
Per il prodotto fresco si registra, invece, uno scarso livello di importazioni (240 t nel 2008), soprattutto dalla Francia, sostanzialmente
quando manca la produzione interna (da luglio a settembre), e un
livello costante di esportazioni per tutto il resto dell’anno.
Evoluzione dell’esportazione di carciofo trasformato
120.000
tonnellate
100.000
80.000
60.000
40.000
20.000
0
2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008
Conservato
Carciofaia della cultivar Blanca de Tudela
in piena produzione
Congelato
371
35_36_CarciofoSpagna.indd 371
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mondo e mercato
Carciofo in Francia
Introduzione
Il carciofo sarebbe stato introdotto in Francia da Caterina de’ Medici, ma più probabilmente questo avvenne in occasione delle
Guerre d’Italia. Gli emigranti francesi contribuirono in seguito alla
sua introduzione in Argentina nel XVIII secolo (varietà Frances), poi
in Louisiana nella metà del XIX secolo (varietà Créole).
Situata al 3° posto in Europa e al 7° posto nel mondo, la produzione di carciofo in Francia ammonta oggi a circa 55.000 t, ed
è suddivisa prevalentemente tra il dipartimento della Bretagna
(82%) a nord-ovest, sulle coste dell’oceano Atlantico, e quello del
Languedoc-Roussillon (14%), a sud-ovest, sul Mediterraneo.
Dopo una riduzione considerevole negli anni ’90, la coltivazione
del carciofo tende a consolidarsi. Questo fenomeno tiene conto
da una parte dell’accresciuta diversificazione dell’offerta di acquisto degli ortaggi, che comprende ora anche i prodotti pronti al consumo, e dall’altra delle modifiche sociali e culturali dei
consumatori e delle loro abitudini alimentari.
Storicamente la Bretagna rimane la principale zona di produzione (80-85%), anche se è passata progressivamente dalle 93.147
t del 1968, alle 74.855 t del 1978, fino a circa 40.000 t del 2008.
La coltivazione si estende nella zona costiera da Brest a SaintMalo e per circa 10 km verso l’interno, dove le piante di carciofo
trovano le condizioni favorevoli per la crescita: clima oceanico con
scarse variazioni termiche o idriche, terreni fertili e ricchi di limo e
inverni poco rigidi. La coltivazione è essenzialmente concentrata
in questa regione in due dipartimenti, Finistère e Côtes d’Armor,
che riuniscono 1298 produttori (7218 ha) suddivisi rispettivamente
tra le associazioni SICA Saint Pol de Léon e L’Union des Coopératives de Paimpol et de Tréguier. Più precisamente, l’82% della
produzione bretone della cultivar Castel, il 62% del Petit Violet
de Provence e il 57% del Camus sono realizzati nelle aziende del
Finistère. Introdotta nel 1966 nel Roussillon (sud-ovest, zone costiere del Mediterraneo), la cultivar Blanc Hyérois (comprendente
Francia in sintesi
• Con una produzione di circa 55.000 t
di capolini, la Francia si colloca
al 3° posto in Europa e al 7° posto nel
mondo. La superficie coltivata è di poco
superiore ai 10.000 ha. La coltivazione
è diffusa prevalentemente tra il
dipartimento della Bretagna (82%) e
quello del Languedoc-Roussillon (14%)
• Le cultivar attualmente più diffuse
sono:
– Camus de Bretagne, coltivata in
Bretagna, nei dipartimenti del Finistère
e Côtes-d’Armor, rappresenta il 75%
della produzione
– Castel, derivata dal Camus per
autofecondazione, copre il 30%
della produzione bretone
– Petit Violet de Provence. L’epoca di
produzione è autunnale e primaverile
nell’ambiente del Mediterraneo
(Roussillon, Provenza, Alpi-Costa
Azzurra), ed estiva in Bretagna
– Blanc Hyérois. L’epoca di produzione
è esclusivamente primaverile
(marzo-giugno) in zona mediterranea
(Roussillon); rappresenta il 60% della
produzione del bacino mediterraneo
Evoluzione della produzione francese di carciofo (tonnellate)
1989
2000
2001
2002
2003
2004
2005
2006
2007
96.958
63.605
61.249
71.735
49.846
59.612
50.149
53.034
50.662
Bretagna
75.588
48.506
45.226
58.066
37.005
46.535
40.687
40.207
41.473
Languedoc-Roussillon
12.303
11.553
12.576
10.426
9711
9830
7173
10.373
6833
Provenza-Alpi-Costa Azzurra
4552
1691
1720
1702
1692
1764
1251
1113
1121
Francia
di cui
Fonte: Agreste
378
36_37_CarciofoFrancia.indd 378
30-11-2009 15:53:57
carciofo in Francia
Foto BBV, C. Bazinet
Nord-Pas de Calais
Gros Vert de Laon
Picardie
Gros Vert de Laon
Bretagne
Camus de Bretagne
Castel
Petit Violet de Provence
Bouches-du-Rhône
Petit Violet de Provence
Roussillon
Blanc Hyérois (Popvert, Calico)
Varietà di carciofo coltivate nelle principali zone di produzione
anche Popvert e Calico) rappresenta il 70% della produzione, che
si estende intorno a Perpignan tra 250 aziende su circa 660 ha
di terreni fertili e irrigui (noti come “regatiu”). Il Violet de Provence rappresenta il 25% della produzione della zona mediterranea.
Quanto alla cultivar Gros Vert de Laon, è oggi principalmente coltivata da una decina di produttori su circa 4 ettari, nelle terre fresche
e umifere del Marais Audomarois (Saint-Omer).
Raccolta meccanizzata
Cultivar
Le cultivar presenti attualmente in Francia sono riprodotte agamicamente; le più diffuse sono:
– Camus de Bretagne (Macau - 1825): varietà a produzione tardiva (maggio-novembre), pianta poco ramificata, con capolini
verdi, tondeggianti e di grosse dimensioni (300-800 g). Coltivata essenzialmente in Bretagna, nei dipartimenti del Finistère e
Côtes-d’Armor, rappresenta il 75% della produzione francese. I
capolini sono consumati cotti, di solito bolliti in acqua.
– Castel (creazione Inra 1995): cultivar derivata dal Camus per
autofecondazione, molto adatta alle condizioni pedo-climatiche
bretoni e di dimensione maggiore (500-800 g). Copre il 30%
della produzione bretone.
– Petit Violet de Provence (VP45 creazione Inra 1968): varietà precoce, pianta ramificata, produce capolini medio-piccoli
(150-300 g), di forma conico-cilindrica con brattee di colore violetto. L’epoca di produzione dipende dalle zone di coltivazione:
autunnale (settembre-dicembre) e primaverile (marzo-maggio)
nell’ambiente del Mediterraneo (Roussillon, Provenza-Alpi-Costa Azzurra), ed estiva in Bretagna. I capolini sono consumati
Filiera ortiva bretone
• Al primo posto in Francia, la filiera
ortiva bretone riunisce 2500 agricoltori
che producono e distribuiscono sotto
il marchio collettivo di Prince de
Bretagne più di 25 specie di ortaggi per
il mercato fresco, confezionati
in contenitori diversi. Coordinata da un
organismo regionale, il Cerafel, questa
filiera si è impegnata dal 2001 in una
procedura certificata Agri-Confiance
“Qualità-Ambiente”
379
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mondo e mercato
Carciofo in Tunisia
Introduzione
In Tunisia la coltura del carciofo risale almeno al III secolo d.C.,
attestata da quattro mosaici presenti in diversi musei.
Il primo si trova a Chebba (Tunisia centro-orientale) e, all’interno
del mosaico di Arione e Orfeo, mostra due capolini allungati con
brattee che divergono in maniera molto ampia, poco o affatto spinose.
Il secondo, risalente alla metà del III secolo d.C. e proveniente da
El Jem (Tunisia centrale), è esposto nel Museo del Bardo a Tunisi
e rappresenta, in uno dei 40 riquadri, due capolini di carciofo.
Il terzo si trova nella cornice del museo di El Jem e mostra due
capolini: uno con brattee ben serrate e l’altro con brattee divergenti.
Il quarto, che si trova al museo di Sousse (Tunisia nord-orientale),
raffigura invece un cardo.
Per la superficie coltivata, il carciofo occupa il settimo posto tra gli
ortaggi coltivati in Tunisia, dopo pomodoro, patata, peperoncino,
cipolla, cocomero e melone.
La media delle superfici impiegate durante gli ultimi tre decenni
è di circa 2000 ha, con una produzione media di 14.000 t di prodotto fresco.
La coltura del carciofo è principalmente localizzata nella bassa
valle del Medjerda (Governatorati di Béja, Manouba, Ariana e Bizerte), dove si registra più del 95% delle superfici coltivate.
In particolare la delegazione di Jedaida (Governatorato di Manouba), con i suoi 600 ha, è la zona di maggiore concentrazione
del carciofo. È importante sottolineare che la concentrazione in
questa zona (la più vecchia area irrigua pubblica del paese) è
una conseguenza dell’adattamento di questa coltura al tipo di
terreno e alla qualità dell’acqua con elevata salinità che caratterizzano questa regione. Il resto della superficie (5%) è ripartito
tra i Governatorati di Jendouba, Nabeul, Sousse, Zaghouan e
Kairouan.
Tunisia in sintesi
• Il carciofo occupa una superficie
di circa 2200 ha, con una produzione
di poco superiore a 19.000 t
• La coltivazione è principalmente
localizzata nella bassa valle del
Medjerda (Governatorati di Béja,
Manouba, Ariana e Bizerte), che
raggruppa più del 95% della superficie
coltivata. La delegazione di Jedaida
(Governatorato di Manouba), con i suoi
600 ha, è la zona in cui è maggiormente
concentrata la coltura; le altre aree
sono ripartite tra i governatorati
di Jendouba, Nabeul, Sousse, Zaghouan
e Kairouan
• La cultivar più diffusa è Violet d’Hyères
che occupa il 65% della superficie;
l’epoca di raccolta comincia in
novembre e prosegue fino al mese
di maggio. La produzione media è di
4-6 capolini/pianta per il consumo
fresco e di 2-4 capolini che possono
essere utilizzati per la trasformazione.
Altra cultivar, diffusa su circa il 30%
della superficie coltivata, è Blanc
Oranais. È molto precoce, la raccolta
comincia all’inizio di ottobre e produce
6-8 capolini/pianta, che vengono
esclusivamente impiegati per il
consumo fresco. Altre cultivar presenti
su limitate superfici sono: Violet
d’Alger, Violet de Bari e Annabi;
tra le popolazioni locali si cita la Belde
Cultivar
Le principali cultivar in Tunisia sono Violet d’Hyères (65% delle
superfici) e Blanc Oranais (30%); altre cultivar presenti: Violet
d’Alger, Violet de Bari e Annabi. Tra le popolazioni locali si cita la
Belde.
Violet d’Hyères. Originaria della regione di Hyères, in Francia, è
considerata come semiprecoce. Cultivar vigorosa, a rapido accrescimento, che comincia a produrre capolini verso la metà di
novembre in caso di impianto nel mese di agosto. La produzione
prosegue fino al mese di maggio. Il capolino è allungato, conico,
386
37_38a_Tunisia.indd 386
14-12-2009 14:37:33
carciofo in Tunisia
con brattee ben serrate e colorate uniformemente di violetto. Con
la raccolta del capolino principale, si elimina la dominanza apicale
e si favorisce l’emissione dei capolini secondari che vengono raccolti successivamente.
La produzione media è di 4-6 capolini/pianta per il consumo fresco e di 2-4 capolini che possono essere utilizzati per la trasformazione industriale.
Bizerete Ariana
Manouba
Nabeul
Jendouba Béjà
Zaghouan
Sousse
Kairouan
Blanc Oranais. Blanc si riferisce al colore verde pallido delle
brattee, mentre Oranais è dovuto alla regione d’origine di Oran,
in Algeria. È molto precoce e comincia a produrre dall’inizio di
ottobre. Le piante sono di medio vigore e la produzione dei capolini principali e secondari avviene quasi contemporaneamente, per cui il periodo di raccolta è abbastanza breve. Infatti il ciclo di produzione è concentrato in due epoche distinte: la autunnale, che si ottiene dall’asse principale e da quelli laterali della
pianta; la primaverile, che si ottiene principalmente a partire dai
carducci emessi successivamente. Produce 6-8 capolini/pianta
che vengono esclusivamente impiegati per il consumo fresco.
T U N I S I A
Tecniche colturali
La coltura occupa il terreno dal mese di luglio fino alla fine di maggio. Le cultivar di tipo bianco sono gestite come coltura annuale,
mentre quelle di tipo violetto sono biennali o anche triennali.
La moltiplicazione viene eseguita per circa il 90% con porzioni di
rizoma provvisto di almeno 3-4 gemme, in cui spesso è presente
il residuo del fusto che ha prodotto il capolino. Segue l’impiego
degli ovoli (8%) e solo il 2% degli agricoltori usa i carducci, appena asportati dalla pianta o radicati in vivaio.
A lg e r ia
L i b i a
Zone d’estensione
Zone tradizionali
Zone di produzione del carciofo in Tunisia
25000
Tonnellate
20000
15000
10000
5000
0
1973 1975 1977 1979 1981 1983 1985 1987 1989 1991 1993 1995 1997 1999 2001 2003 2005 2007
Anni
Superficia (ha)
Produzione totale (t)
10
9
8
7
6
5
4
3
2
1
0
t/ha
Evoluzione della superficie, della produzione totale e areica (1971-2007)
Produzione areica (t/ha)
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mondo e mercato
Carciofo in Egitto
Introduzione
Il carciofo in Egitto è stato probabilmente introdotto dall’Etiopia.
Antichi documenti riportano che il re egiziano Tolomeo Evergete,
nel III secolo a.C. faceva mangiare carciofi ai suoi soldati, poiché
credeva che infondessero forza e ardimento. Tra le raffigurazioni
presenti su una tomba del XIV secolo a.C., proveniente da Tebe
ed esposta al British Museum a Londra, si osserva una persona
che tiene un carciofo nella mano destra. Il carciofo è raffigurato
sulle decorazioni di ciotole e scodelle risalenti all’antico Egitto.
Gli scavi archeologici effettuati nell’aerea del Mons Claudianus,
antica colonia penale romana del II secolo d.C. a circa 500 km dal
Cairo, hanno riportato alla luce brattee e “semi” verosimilmente
appartenuti al carciofo selvatico. Attualmente l’Egitto occupa l’ottava posizione nel mondo per la superficie coltivata, pari a 3600
ha, e il quarto posto per quanto riguarda la produzione totale con
74.000 t. Negli ultimi vent’anni la superficie è rimasta pressoché
costante con valori compresi tra 3 e 4000 ha, mentre la produzione totale è notevolmente aumentata, infatti nel 1995-2000-2005
era rispettivamente di 35-40 e 70.000 t.
In Egitto si riscontrano alcune zone con le condizioni pedoclimatiche ideali per ottenere elevate produzioni e capolini di ottima
qualità. La coltivazione è prevalentemente concentrata nei dintorni delle città costiere e in aree limitate di alcuni governatorati: AlSharqia, Ismailia, Al-Giza, Al-Minya, Al-Behaira. Quest’ultimo, che
si trova nel nord dell’Egitto, sulle rive del Mediterraneo e a ovest
della città di Alessandria e del suo trafficatissimo porto, è quello
in cui la coltivazione del carciofo è più diffusa; gran parte della
produzione di capolini ottenuta nel governatorato di Al-Behaira è
Egitto in sintesi
• L’Egitto si colloca all’ottavo posto
nel mondo per la superficie coltivata,
con 3600 ha e al quarto per la
produzione totale con 74.000 t. Negli
ultimi vent’anni la superficie è rimasta
invariata rispetto ai valori attuali,
mentre la produzione totale
è notevolmente aumentata; infatti
nel decennio 1995-2005 la produzione
è passata da 35.000 a 70.000 t
• La cultivar più diffusa è la Balady,
molto apprezzata sul mercato interno,
con produzione precoce e capolini
di colore verde. Per l’esportazione
si utilizzano i capolini della cultivar
locale denominata Violetto,
di provenienza francese, simile
al Violetto di Provenza. Le esportazioni
in Italia di prodotto fresco si sono
decuplicate dal 2000 a oggi
• Negli ultimi vent’anni sono state
introdotte con successo alcune
cultivar propagate per “seme”:
Imperial Star, Green Globe, Emerald
e Green Globe Improved, caratterizzate
da capolini compatti, di grandi
dimensioni, di colore verde, tendenti
al grigiastro, con brattee senza spine
e lucide
Foto N. Calabrese
Carciofaia in piena produzione
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carciofo in Egitto
destinata all’esportazione per il mercato fresco, prevalentemente
sui mercati europei
Cultivar
La cultivar storicamente più diffusa è la Balady, di origine locale,
molto apprezzata sul mercato interno, con produzione precoce a
partire da novembre; i capolini sono di colore verde e le brattee
tendono ad aprirsi precocemente. Per l’esportazione si utilizzano
capolini di colore violetto provenienti da una cultivar locale denominata Violetto, di provenienza francese e simile al Violetto di
Provenza. Negli ultimi vent’anni sono state introdotte alcune cultivar propagate per “seme”: Imperial Star, Green Globe, Emerald
e Green Globe Improved, caratterizzate da capolini compatti, di
grandi dimensioni, di colore verde, tendenti a volte al grigiastro,
con brattee senza spine e lucide. La cultivar Large Green, è contraddistinta da capolini di grosse dimensioni, di colore verde con
numerose sfumature di violetto.
Ricerche condotte in Egitto hanno evidenziato che i capolini delle cultivar propagate per “seme” hanno peso fresco, diametro e
parte edibile maggiori rispetto a quelli della cultivar locale Balady
e che, se raccolti quando sono ancora compatti, possono essere
consumati anche crudi, perché il contenuto di fibra delle parte basale delle brattee è basso. Per la trasformazione industriale, produzione di cuori di carciofo o di fondi conservati prevalentemente
in salamoia, si utilizzano indifferentemente tutte le cultivar. Negli
ultimi anni si è andata affermando la coltivazione per la produzione di foglie di carciofo, da impiegare nell’industria farmaceutica.
La richiesta di foglie è in progressivo e costante aumento negli
ultimi anni. Per questo tipo di produzione sono utilizzate le cultivar
propagate per “seme”.
L ib a n o
Isr a el e
Al-Sharquia
Al-Behaira Ismailia
Al-Giza
Al-Minya
EGI T T O
S u d a n
Cultivar Large Green
Cultivar Imperial Star
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mondo e mercato
Carciofo in Marocco
Introduzione
La coltivazione del carciofo in Marocco occupa una superficie di
circa 3500 ha con una produzione totale di 52.000 t. Le regioni in
cui è maggiormente praticata sono quelle della bassa Moulouya,
Saïs, Haouz e Gharb. In quest’ultima si concentra l’80% della produzione nazionale, con 2650 ha e con una produzione complessiva di 42.000 t. La produzione unitaria è compresa in media tra 15
e 18 t/ha, con valori massimi di 30 t/ha.
Nella regione di Gharb i terreni sono prevalentemente argillosi, il
clima è del tipo subumido-umido, con temperature che variano
tra i 2 e i 45 °C.
Marocco in sintesi
• Il carciofo è coltivato in Marocco
su 3500 ha con una produzione totale
di 52.000 t; nella regione di Gharb
si concentra l’80% della produzione
nazionale; altre regioni interessate alla
coltivazione sono quelle di Saïs, Haouz
e la bassa Moulouya. La produzione
unitaria è compresa in media tra 15
e 18 t/ha, con valori massimi di 30 t/ha
• Le cultivar più diffuse sono quelle
Cultivar
Le cultivar che presentano capolini con brattee di colore verde
chiaro (Blanc Hétérosis, Blanca de Tudela, Imperial Star) sono le
più comuni, mentre quelle con capolini di colore violetto, quali
Violet d’Alger e Salanquet, hanno diffusione più limitata. Di solito
in ogni carciofaia sono coltivate assieme due o più cultivar; gli
impianti monovarietali sono limitati ai piccoli appezzamenti.
con capolini di colore verde chiaro,
Blanc Hétérosis, Blanca de Tudela,
Imperial Star; quelle con capolini di
colore violetto, quali Violet d’Alger
e Salanquet, hanno diffusione più
limitata. L’impianto si effettua
generalmente in luglio-agosto;
il materiale di propagazione è costituito
dal rizoma, intero o suddiviso in
pezzi. Imperial Star è l’unica cultivar
propagata per “seme”. La densità varia
da 8000 a 12.000 piante/ha
Principali zone di coltivazione del carciofo in Marocco
Sp a g n a
Mar
Mediterraneo
Tangeri
Tétouan
Kenitra
Oujda
RABAT
Fès
Casablanca
Meknès
OCEANO
AT L A N T I C O
Marrakech
Agadir
Canarie
(Spagna)
Alg e ria
M a u rita n ia
M a li
Cultivar Imperial Star
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carciofo in Marocco
Imperial Star è l’unica propagata per “seme”, mentre tutte le altre
cultivar sono propagate vegetativamente. Questa tecnica di moltiplicazione ha favorito nel tempo l’aggravarsi di problemi agronomici e patologici quali l’eterogeneità delle piante e la diffusione di
parassiti, in particolare dei virus.
Tecnica colturale
La lavorazione del terreno comprende l’aratura, 2-3 fresature e
infine un’assolcatura per la sistemazione delle aiuole. L’impianto
si effettua generalmente in luglio-agosto, a volte anche in settembre. Il materiale di propagazione utilizzato è costituito dal rizoma,
intero o suddiviso in pezzi, prelevato all’inizio dell’estate da piante
di un anno durante la fase di riposo. Alcuni agricoltori preferiscono capitozzare le piante a un’altezza di 20 cm dal terreno, prima
che siano completamente secche e utilizzare questo materiale
per l’impianto.
La densità varia da 8000 a 12.000 piante/ha. Alcuni agricoltori arrivano fino a 15.000 piante/ha, disponendole in file binate e utilizzando l’impianto di irrigazione a goccia posto tra le file all’interno
della bina. Nelle zone dove spira il vento caldo chiamato chergui,
che causa numerose fallanze al trapianto, si dispongono le aiuole
in modo ortogonale alla direzione del vento stesso e le piantine
vengono piantate sul fianco dell’aiuola per ottenere maggiore riparo. L’attecchimento delle piante varia dal 40 al 90%.
Le erbe infestanti costituiscono a volte un problema, soprattutto
su terreni pesanti come nella zona di Gharb. Il controllo delle malerbe è effettuato di solito con interventi manuali; solo occasionalmente si utilizza il diserbo per il controllo delle Graminacee.
Violet d’Alger in piena produzione
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mondo e mercato
Carciofo in Turchia
Introduzione
Per il carciofo, in turco Enginar, è stato registrato, negli ultimi anni,
un aumento notevole della superficie e della produzione totale.
Infatti, dal 1990 a oggi, la superficie e la produzione sono triplicate. Nella zona meridionale del Paese si trovano tutt’oggi delle
specie selvatiche. Alcuni documenti dimostrano che questo ortaggio era noto già nel XVII secolo e costituiva un piatto prelibato
della cucina di palazzo degli imperatori ottomani. Le popolazioni
che vivono nelle regioni costiere occidentali, e in particolare quelle
provenienti dalle isole egee, conoscono benissimo questo ortaggio. Oltre ai capolini, in alcune regioni si utilizzano anche i gambi. L’olio d’oliva è un ingrediente importante nella preparazione
di pietanze a base di carciofo. Il carciofo è diventato un ortaggio
apprezzato per i suoi effetti salutari, tanto che negli ultimi 10 anni
la sua richiesta è aumentata. Inoltre, i medici consigliano ad alcuni
pazienti di inserire questo ortaggio nella loro dieta.
La regione egea, localizzata nella parte occidentale del Paese,
e quella del Mar di Marmara, che si trova nella parte nord-ovest
della Turchia, sono le zone più note per la produzione.
Zone di coltivazione, superficie e
produzione del carciofo in Turchia
Città
Area (ha)
Produzione (t)
1
Bursa
1000
13.000
2
Yalova
0,25
300
3
Samsun
0,002
25
4
Izmir
997
12.000
5
Antalya
211
2400
6
Adana
105
1800
2313,25
29.525
Totale
Principali zone di coltivazione del carciofo in Turchia
Gr
ec
ia
Bul ga ri a
Mar Nero
Ge o r g i a
Istanbul
Samsun
Izmit
Bursa
Armenia
ANKARA
Balıkesir
T U RCHI A
Manisa
I r a n
Kayseri
Izmir
Konya
Diyarbakır
Kahramanmaraş
Adana
Antalya
Gaziantep
Ş anlıurfa
Mersin
Mar
Mediterraneo
Ir a q
Cipro
S ir ia
400
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carciofo in Turchia
Il clima e le cultivar in queste regioni sono diversi. Le condizioni climatiche, in particolare le condizioni di umidità, della regione
del Mar di Marmara sono adatte alla coltivazione del carciofo. La
possibilità di gelate nei mesi invernali non consente l’utilizzo di
cultivar precoci. Nella regione egea, durante i mesi invernali, il rischio di gelo è minore rispetto alla regione del Mar di Marmara e
le cultivar precoci si coltivano con maggior sicurezza. Tra le nuove
zone di produzione, quelle in prossimità delle città di Antalya e
Adana presentano un clima più caldo della regione egea e per
questo motivo è probabile che tali zone abbiano grandi possibilità
in futuro per la produzione di carciofo precoce.
La città di Bursa è la più grande zona di produzione della regione
del Mar di Marmara; a questa si aggiunge la città di Izmir, con la
stessa quantità di produzione, tanto che il 90% della produzione
totale proviene da queste città. Con l’aumento della domanda la
coltivazione si è estesa in nuove promettenti aree come le città
di Adana e Antalya a sud e la città di Samsun a nord, vicino al
Mar Nero.
Turchia in sintesi
• Il carciofo è attualmente coltivato in
Turchia su 2700 ha con una produzione
totale di 32.000 t. Dal 1990 a oggi,
superficie e produzione sono triplicate
• La regione egea, nella parte occidentale
con la città di Izmir, e quella del Mar di
Marmara, che si trova a nord-ovest con
la città di Bursa, sono le zone dove è
maggiormente diffusa la coltivazione.
In queste aree si concentra il 90% della
produzione totale. Tra le nuove zone di
produzione, quelle in prossimità delle
città di Antalya e Adana a sud, e di
Samsun a nord, vicino al Mar Nero, che
hanno un clima più caldo, si prestano
alla produzione di carciofo precoce
Tecnica colturale e raccolta
Il ciclo produttivo della carciofaia generalmente dura 7-8 anni; le
cultivar più diffuse sono Sakiz e Bayrampasa, anche se negli ultimi 5-6 anni sono state introdotte cultivar ibride propagate per
“seme” e idonee alla coltura annuale.
Come materiale di propagazione si usano parti di ceppaia suddivise in modo da avere almeno due gemme ognuna; il reperimento di questo materiale è difficoltoso e generalmente proviene da
campi alla fine del ciclo pluriennale di produzione o è prelevato
durante la fase di riposo estivo delle piante in carciofaie in produzione. Tale materiale prima della messa a dimora viene trattato
con agrofarmaci contro agenti patogeni del terreno.
• Le cultivar più diffuse sono Sakiz
e Bayrampasa, moltiplicate
vegetativamente; negli ultimi 5-6 anni
sono state introdotte cultivar ibride
propagate per “seme”, quali Concerto,
Opal, Menuet, Prelude, Emerald, Mundi,
Maydo ed Etna, idonee alla coltura
annuale
Foto N. Calabrese
3000
35000
2500
30000
2000
1500
1000
500
25000
20000
15000
10000
Produzione totale (t)
Superficie (ha)
Superficie e produzione totale di carciofo in Turchia
5000
0
0
1961 1965 1970 1975 1980 1985 1990 1995 2000 2004 2007
Anni
Superficie
Produzione totale
Carciofaia prima dell’entrata in produzione
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mondo e mercato
Carciofo negli Stati Uniti
Introduzione
Il carciofo fu introdotto negli Stati Uniti nel 1700 da immigrati francesi in Louisiana. Thomas Jefferson, terzo presidente americano,
coltivava carciofi nella sua azienda di Monticello, in Virginia centrale, nel 1767. La diffusione del carciofo rimase molto limitata
fino all’inizio del ’900, quando immigrati italiani coltivarono alcuni
ettari di terreno a carciofo in California, nella zona di Half Moon
Bay. Il consumo di carciofo nella dieta americana, pari a 0,3 kg
pro capite, è rimasto costante negli ultimi vent’anni, ma è di secondaria importanza se paragonato a quello di altri ortaggi.
Nel 2007 il carciofo è stato coltivato su 3200 ha, con una produzione totale di 41.000 t. La coltivazione avviene quasi esclusivamente in California; le principali zone di produzione sono la costa
centrale (contee di Monterey, Santa Cruz e San Mateo) e quella
meridionale (contee di Santa Barbara, Ventura, Orange e San Diego), il deserto di Coachella Valley (contee di Riverside e Imperial)
e la Valle Centrale.
Carciofo e Marilyn Monroe
• In California la coltivazione del carciofo
ha una lunga tradizione, tanto che
dal 1947 si tiene ogni anno, nella città
di Castroville, una manifestazione
dedicata a questo ortaggio. Nella prima
edizione un’allora sconosciuta Marilyn
Monroe fu incoronata al concorso
di bellezza come Regina del carciofo,
primo passo di una carriera che la rese
celebre in tutto il mondo
Principali zone di coltivazione del carciofo negli Stati Uniti
ALASKA
Isole HAWAII
C
A
WA
MT
L
OR
ID
I
WY
NV
F
San Mateo
UT
O
CA
AZ
R
Santa
Cruz
MN
NE
CO
KS
OK
NM
TX
NH
MA
NY
RI
MI
CT
IA
PA
DE
IL IN OH
MD
WV VA
MO
KY
NC
TN
AR
SC
MS AL GA
LA
WI
SD
N
Monterey
VT ME
ND
I
FL
A
Santa Barbara
Ventura
Riverside
Orange
San
Diego
Imperial
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carciofo negli Stati Uniti
Superfici ridotte sono coltivate con successo per i mercati locali
in altri Stati, come Arizona, Virginia, New York, Oregon e Texas.
Negli ultimi vent’anni il carciofo è stato coltivato nella valle del Rio
Grande, nel Texas meridionale, situata al confine tra Stati Uniti e
Messico. A causa delle temperature più elevate la produzione era
limitata a quella regione. Oggi, grazie agli studi effettuati in Texas,
il carciofo si è diffuso in nuove zone di produzione più idonee
per le condizioni climatiche come la regione di Winter Garden, nel
Sud-Ovest (contee di Uvalde e Atascosa) e nell’area circostante
la Hill Country. In altri Stati, estensioni minori sono coltivate nella
Yuma County, in Arizona, e nella Willamette Valley, nell’Oregon.
Nella parte settentrionale dello Stato di New York, già negli anni
Venti sono stati effettuati studi per proteggere i carciofi dal freddo.
In Virginia le principali aree di coltivazione sono quella centrale
e settentrionale di Piedmont e la zona montuosa, dove l’elevata
altitudine mitiga le temperature estive e consente un buon accrescimento della pianta e un’interessante produzione di capolini.
Nella maggior parte degli Stati nordorientali e occidentali il carciofo è coltivato in aziende la cui produzione comprende anche
altri ortaggi.
Carciofo negli Stati Uniti
• La coltivazione a scopo commerciale del
carciofo negli USA risale ai primi del ’900,
quando immigrati italiani piantarono le
prime carciofaie in California, che ancora
oggi detiene largamente il primato
della coltivazione con più del 95%
della superficie e della produzione totale
• Superfici ridotte sono coltivate in altri
Stati come Arizona, Virginia, New York,
Oregon e Texas
• Nel 2007 il carciofo è stato coltivato
su 3200 ha, con una produzione totale
di 41.000 t. Nel 2007-2008 il valore
totale della produzione lorda vendibile
della California ha superato i 50 milioni
di dollari
Tecnica colturale
Sulla costa centrale della California, da cui proviene più del 75%
della produzione americana, si verificano le condizioni ideali per la
produzione (temperature di 11 °C di notte e 22 °C di giorno). Tali
condizioni si registrano durante tutto l’anno, quindi le piante, in
presenza di acqua, non vanno mai in riposo. Tuttavia il periodo di
massima produzione è compreso tra marzo e aprile. La dicioccatura viene effettuata dalla metà di maggio fino alla metà di giugno
così da favorire l’emissione di nuovi germogli per ottenere la produzione estiva e autunnale. In altre zone della California i carciofi
sono coltivati come coltura annuale; in questo caso per l’impianto
si utilizzano piantine propagate per “seme” allevate in serra e poi
trapiantate in pieno campo, in modo da programmare la produzione secondo le richieste del mercato. L’impianto avviene da novembre a giugno e la raccolta da aprile a ottobre. Questo periodo
coincide con quello di scarsa produzione della coltura poliennale. Nell’area di produzione del deserto, i carciofi sono piantati da
agosto a ottobre e le raccolte si effettuano da dicembre a marzo.
In genere, in California, la coltivazione è attuata con tecniche convenzionali, anche se dal 2001, nelle principali aree di produzione,
oltre 350 ha sono stati destinati a coltivazione biologica.
In Texas il carciofo si coltiva come pianta annuale. Le piante,
moltiplicate per “seme”, sono allevate nelle serre del sud e poi
sono trapiantate in campo da fine settembre a novembre. Anche
qui, come in California, il periodo di massima produzione è tra
marzo e aprile. Sono in corso studi mirati alla produzione autunno-invernale, con trapianto ad agosto e raccolta dalla fine di no-
• Le cultivar più diffuse sono: Imperial
Star, Desert Globe, Emerald, Big Heart
e Green Globe Improved. Le epoche
di raccolta dei capolini coprono tutto
l’anno in funzione delle tecniche
colturali e delle diverse zone
di produzione
Applicazioni di gibberelline per anticipare
la produzione
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mondo e mercato
Carciofo in Argentina
Introduzione
In Argentina assume il nome di alcaucil, parola che deriverebbe
dall’arabo harscioh o al-karshuf e che significa “spina di terra” o
“pianta che punge”.
La migrazione italiana avvenuta in seguito alla prima guerra mondiale ha introdotto in Argentina le prime varietà di carciofo, insieme alle pratiche agronomiche e alle modalità di consumo originarie, che sono state poi adattate alle condizioni locali.
Per molti anni l’area coltivata a carciofo in Argentina è stata stimata intorno ai 4000 ha, ma a partire dal 1980 il calo di redditività
ne ha determinato una drastica riduzione, pari circa al 50%: la
coltura poliennale immobilizza infatti la superficie occupata per
diversi anni, a differenza di altre specie orticole, che prevedono la
possibilità di effettuare 2 o 3 avvicendamenti annuali.
In Argentina non esistono dati statistici ufficiali relativi alla produzione, a parte quelli rilevati dal censimento del 2002 sulla superficie coltivata.
Da questi risultava che la superficie totale era di 782 ettari distribuiti in tutto il Paese e concentrati nelle principali province di
produzione: Buenos Aires (55,46%), San Juan (22,84%), Santa Fe
(11,19%) e Mendoza (8,76%).
Stando ad alcune stime, nel 2007 a La Plata (Buenos Aires) si
contavano 700 ha impiantati, a San Juan e Mendoza (che formano la regione di Cuyo) 400, a Rosario 200 e a Mar del Plata circa
100 ha.
Attualmente la superficie coltivata a carciofo in Argentina si aggira
intorno ai 2000 ha, con produzione unitaria media di 12 t/ha.
Nella zona di La Plata (provincia di Buenos Aires) si concentra il
nucleo produttivo più importante, con il 64% della superficie totale del Paese; seguono la Cintura Orticola di Rosario (provincia di
Santa Fe) con il 14% e, con un valore analogo, la zona di Cuyo,
che comprende le province di San Juan e Mendoza. A San Juan,
il 65% della produzione viene destinato all’industria conserviera
della provincia di Mendoza.
Esistono inoltre piccoli nuclei produttivi di superficie ridotta nelle
Cinture Orticole delle grandi città (Mar del Plata, Córdoba, Tucumán ecc.).
Le zone di La Plata e Rosario presentano un clima temperato,
non soggetto a gelate fra i mesi di ottobre e aprile e un livello di
precipitazioni pari a circa 1000 mm all’anno. I terreni contengono
un livello di sostanza organica oscillante fra il 2% e il 5% e un alto
contenuto di argilla.
La zona di Cuyo (San Juan e Mendoza), al contrario, è caratterizzata da terreni sabbiosi con alte percentuali di sostanza organica e da
un clima secco con precipitazioni che sfiorano i 100 mm all’anno.
Argentina in sintesi
• Nel 2007, il carciofo è stato coltivato in
Argentinas su 4600 ha con una produzione
totale di 90.000 t (rispettivamente quinto e
terzo posto nella graduatoria mondiale)
• Nella zona di La Plata si concentra
il 64% della superficie coltivata a carciofi
del Paese; seguono la Cintura Orticola
di Rosario con il 14% e, con un valore
analogo, la zona di Cuyo, che comprende
le province di San Juan e Mendoza.
A San Juan il 65% della produzione viene
destinato all’industria conserviera della
provincia di Mendoza. Piccoli nuclei
produttivi sono presenti in prossimità
delle grandi città, Mar del Plata, Córdoba,
Tucumán
• Le cultivar più diffuse sono: Romanesco,
detto anche Francés (francese), Francés
precoz (francese precoce) o Ñato francés,
Ñato, tipo tardivo, noto anche come Ñato
criollo o Violeta nella Cintura Orticola di
Rosario, Blanco o Blanco de San Juan e
Precoz italiano. Nuove varietà in corso di
introduzione sono Oro verde, Esmeralda,
Gauchito, Gurí ed Estrella del Sur
Varietà Romanesco, conosciuta anche
con i nomi di Francés, Francés precoz
o Ñato francés. È la varietà più diffusa
in termini di superficie
412
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carciofo in Argentina
Nell’area di influenza della Cintura Orticola di Rosario il carciofo
occupa il quarto posto all’interno delle colture orticole, preceduto da pomodoro, lattuga e sedano; esso costituisce una fonte di
reddito nei momenti in cui non si effettuano altre colture orticole
di grande interesse. La produzione è destinata a rifornire il mercato locale e altre aree di consumo, fra cui Córdoba, Santa Fe e
Buenos Aires.
La produzione argentina è sostanzialmente destinata al mercato
del fresco, con valori di consumo pro capite annuo pari a 2,6 kg.
La lavorazione industriale avviene principalmente nella provincia
di San Juan. La produzione dei capolini è commercializzata esclusivamente sul mercato interno; la possibilità di aprirsi al mercato
internazionale, grazie all’offerta di un prodotto di qualità e fuori
stagione, è penalizzata dal tasso di cambio, che ha più volte impedito l’accesso a mercati esteri con prezzi competitivi rispetto
ad altri Paesi concorrenti.
Pa r a g u a y
San
Juan
Rosario
(provincia
di Santa Fe)
Brasile
La Plata U r u g u a y
Mendoza (provincia
C ile
di Buenos
Aires)
ARGEN T I N A
Varietà
Romanesco. Detto anche Francés (francese), Francés precoz
(francese precoce) o Ñato francés. Caratterizzato da capolini semisferici verdi con striature violacee e brattee prive di spine. La
produzione comincia a fine giugno e si protrae fino alla fine di
agosto, epoca in cui il freddo blocca la produzione; l’utilizzo di
gibberelline permette di anticipare la raccolta al mese di maggio.
La resa è di 6-7 capolini/pianta con peso medio di 200-250 g per
capolino. È la varietà principale coltivata nella zona di La Plata e
nella Cintura Orticola di Rosario.
Principali zone di produzione del carciofo
in Argentina
Ñato. Tipo tardivo, noto anche come Ñato criollo o Violeta nella
Cintura Orticola di Rosario. Caratterizzato da capolini tendenzialmente globosi, solidi e compatti. Presenta brattee esterne mucronate e violacee. L’infiorescenza pesa fra i 200 e i 300 g, con
una resa di 7 capolini/pianta. La produzione avviene in primavera
e fra metà settembre e novembre, periodo in cui le alte temperature provocano l’apertura delle brattee compromettendone il
valore commerciale. Negli anni Ottanta era la varietà più coltivata
a livello nazionale, ma per la sua epoca di produzione molto tardiva è stato soppiantato dal tipo Romanesco, di produzione più
precoce.
Blanco o Blanco de San Juan. Tipo precoce. Pianta di dimensioni ridotte, dalle foglie verdi, inermi, con presenza di eterofillia. Si
distingue per i capolini ovali, compatti, di colore verde chiaro, e di
piccole dimensioni (140-160 g). La produzione avviene in due periodi, entrambi seguiti da una fase di interruzione per via dei freddi
intensi: da inizio marzo a fine maggio (autunno) e da inizio luglio
a metà settembre (inverno). Probabilmente si tratta della cultivar
spagnola Blanca de Tudela con la quale presenta numerose ana-
Varietà Ñato, detta anche Ñato criollo
o Violeta, di ottima qualità, ma
di produzione tardiva
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mondo e mercato
Carciofo in Perú
Introduzione
Il carciofo è stato introdotto in Perú sin dall’epoca della conquista spagnola, ma fino agli anni Novanta la superficie coltivata è
rimasta limitata a 300-400 ha, situati nella Cordigliera centrale. Era
presente solo una cultivar, denominata Criolla, di probabile origine
italiana, simile allo Spinoso sardo, moltiplicata vegetativamente; la
produzione era destinata principalmente al consumo fresco. L’area
di coltivazione era concentrata quasi esclusivamente nella zona
nota come Concepción, situata presso la valle del fiume Mantaro,
nella regione di Junín e, limitatamente, nei pressi di Lima.
A partire dalla fine degli anni Novanta e con l’inizio del terzo millennio, è stata avviata l’introduzione di cultivar propagate per “seme” in areali differenti, allo scopo di valutare sia l’adattabilità alle
diverse condizioni pedoclimatiche, sia l’idoneità alla trasformazione industriale. La loro coltivazione a fini commerciali è iniziata nel
2001-2002 e, negli anni successivi, le cultivar propagate per “seme”
si sono diffuse progressivamente in diverse valli della costa e della
Cordigliera andina, dal livello del mare fino a 2500 metri di altitudine. Attualmente si stima che il carciofo sia coltivato su 7000 ha; i
dati statistici della FAO riportano per il 2007 la superficie totale di
4200 ha, che pongono il Perú tra i primi cinque produttori mondiali.
La coltivazione è praticata prevalentemente sulla costa, con il 70%
circa della produzione, nelle regioni di Lima, La Libertad, Ancash e
Ica, mentre sulla Cordigliera oltre alla regione di Junín si segnalano
quelle di Huanuco, Ayacucho e Arequipa.
La produzione delle nuove aree è destinata quasi esclusivamente
alla trasformazione industriale, per la preparazione di cuori, quarti e fondi di carciofo, conservati principalmente in salamoia ed
esportati negli USA e in Europa.
Perú in sintesi
• Con 4200 ha e 72.000 t si pone al 7°
e 5° posto rispettivamente per superficie
coltivata e produzione. Il notevole
incremento delle superfici dell’ultimo
decennio è dovuto principalmente
all’introduzione di cultivar propagate per
“seme” in nuovi areali di coltivazione
situati lungo la costa del Pacifico
• La coltivazione è praticata soprattutto
sulla costa, con il 70% circa della
produzione, nelle regioni di Lima, La
Libertad, Ancash e Ica, mentre sulla
Cordigliera, oltre alla regione di Junín,
quelle di Huanuco, Ayacucho e Arequipa
• La cultivar tradizionalmente presente
è Criolla, di probabile origine italiana e
simile allo Spinoso sardo. Tra le nuove
cultivar propagate per “seme”, Imperial
Star è la più diffusa, seguita da Lorca
e da A106. Sono in fase di valutazione
cultivar ibride (Madrigal e Symphony)
• Attualmente rappresenta uno dei
principali competitori sui mercati
internazionali per il prodotto conservato
perché abbina una buona qualità a
prezzi di vendita molto concorrenziali
4% 3%
Principali zone di produzione del carciofo in Perú
4%
10%
16%
63%
Superficie
7000 ha
(anno 2008)
Costa
4900 ha
(70%)
Sierra
2100 ha
(30%)
Stati Uniti
Spagna
Costa
Francia
Paesi Bassi
Sierra
Germania
Altri
Zone potenziali
Destinazioni principali del carciofo
trasformato (2008)
Calamanca
Las Libertad
Ancash
Huanuca
Pasco
Junín
Lima
Hinca Cusco
Aracucha Ayaurmas
Ica
Arequina
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carciofo in Perú
Cultivar
La cultivar tradizionalmente presente in Perú è la Criolla, pianta di altezza media con foglie e capolini muniti di grosse spine,
colore delle brattee viola con sfumature verdi; la propagazione
è effettuata tramite carducci. Le carciofaie sono allevate per 2-3
anni. Tuttavia, in seguito all’introduzione delle nuove cultivar propagate per “seme”, quella attualmente più diffusa è la Imperial
Star, introdotta dalla California, seguita da Lorca e da A 106, di
origine spagnola. Il ciclo di coltivazione è annuale; sono tutte caratterizzate da buon vigore ed elevata produttività, i capolini sono
tendenzialmente globosi, di colore verde con leggere sfumature
viola alla base delle brattee esterne.
Sono in fase di valutazione alcune cultivar ibride, tra cui Madrigal e Symphony che, in prove sperimentali effettuate in Italia e
Spagna, hanno mostrato ottima produttività con capolini di ottima
qualità particolarmente richiesti dall’industria di trasformazione.
Esigenze ambientali
Il carciofo predilige climi temperati con notti fresche (intorno agli
11-13 °C) e temperature diurne di circa 22-24 °C. Nella zona costiera il trapianto ha inizio in febbraio e si conclude a maggio; la
raccolta avviene tra giugno e dicembre. Nelle aree di coltivazione
della Cordigliera, il ciclo inizia normalmente alla fine dell’inverno,
dopo l’epoca delle gelate, intorno al mese di agosto, mentre la
raccolta si effettua tra dicembre e giugno.
L’alternanza dell’epoca di raccolta nelle due differenti zone di coltivazione garantisce la produzione di capolini continua per tutto
l’anno, anche se la maggior parte è concentrata in primavera, perché l’area di coltivazione più ampia è quella costiera.
Capolini della cultivar Criolla
Tecnica colturale
Le tecniche di coltivazione sono influenzate notevolmente dalle
diverse condizioni pedoclimatiche dei due areali di produzione e
dalle cultivar utilizzate. Nella zona costiera il ciclo colturale inizia
con il trapianto di piantine con 3-4 foglie vere provenienti da “seme” e allevate in vivaio per 20-25 giorni. La distanza a cui sono
poste le piante è di 1,6-2 m tra le file e di 0,5-0,70 m sulla fila;
la densità varia tra le 10.000-12.000 piante/ha. I capolini sono
Capolino della cultivar Lorca
Calendario di produzione del carciofo in Perú
Mesi di semina e raccolta del carciofo
Paese
Gen
Feb
Mar
Apr
Mag
Giu
Lug
Ago
Set
Ott
Nov
Dic
Perú Costa
Perú Cordigliera
Impianto
Raccolta
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mondo e mercato
Carciofo in Cile
Introduzione
In Cile non esistono testimonianze certe su come questa specie
sia giunta nel Paese; tuttavia, si pensa che l’ondata migratoria
dall’Italia generata dalla Prima guerra mondiale abbia determinato la sua introduzione in Argentina. Dalle zone di produzione
argentine di San Juan e Mendoza esso sarebbe arrivato in Cile,
principalmente nelle aree settentrionale e centrale. Da allora ha
iniziato a essere coltivato per il mercato interno per il consumo
allo stato fresco, arrivando a coprire una superficie totale di circa 2500 ha. Questo valore si è mantenuto stabile fino alla metà
degli anni Novanta, quando la superficie coltivata è raddoppiata
in seguito all’aumento della produzione per la lavorazione industriale. Attualmente la superficie coltivata è di circa 5000 ha, con
una concentrazione della produzione nelle regioni centrali del paese. Trattandosi di un prodotto che entra nel mercato in periodi
di scarsa offerta di altri ortaggi, il carciofo possiede un alto valore
economico nonostante il basso livello di consumo pro capite (1 kg
all’anno per ogni abitante). Nel linguaggio popolare è molto diffusa
l’espressione “pegarse el alcachofazo” (letteralmente, “prendersi
una carciofata”), che significa accorgersi, rendersi improvvisamente conto di qualcosa. Un altro modo di dire comune è “tener
corazón de alcachofa” (“avere un cuore da carciofo”), utilizzato in
due accezioni: la prima, derivata dalla celebre Ode al carciofo del
Nobel cileno Pablo Neruda, designa coloro che dietro la corazza
di un brutto carattere celano un cuore nobile. La seconda deriverebbe dal modo popolare di consumare questo prodotto, vale
a dire mangiandolo con le mani e privandolo progressivamente
delle foglie fino ad arrivare al cuore.
Cile in sintesi
• Con 4300 ha, il Cile occupa il sesto posto
per la superficie coltivata e l’undicesimo
per la produzione totale, con 34.000 t
• Le aree di produzione si concentrano
nella zona centrale del Paese; le regioni
di Coquimbo e Valparaíso coprono
il 94% della produzione nazionale.
La coltivazione è comunque diffusa
in tutto il Paese ed è presente perfino
in molti orti familiari
• La produzione è concentrata su due tipi
di cultivar: quella argentina e quella
cilena. Queste, anche se selezionate per
il mercato da molti decenni, presentano
ancora notevole polimorfismo. La
cultivar o tipo argentino, che deve
il nome alla forte somiglianza con il
Blanco temprano coltivato in Argentina
e anche con la cultivar Blanca de
Tudela di probabile origine spagnola, è
destinata al consumo fresco, quando
sul mercato scarseggiano altre varietà,
o, prevalentemente, alla lavorazione
industriale
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carciofo in Cile
Aree di coltivazione
In Cile l’orticoltura si sviluppa, con una grande varietà di specie,
nell’arco di tutto il territorio (latitudine 18° S-56° S), lungo 4000
chilometri e suddiviso in 15 regioni. All’orticoltura è destinato un
totale di 93.616 ettari, equivalente al 4% del sistema produttivo
nazionale. Nella zona centrale (regioni di Coquimbo, Valparaíso e
Metropolitana di Santiago), caratterizzata da un clima mediterraneo, si concentra l’84% della produzione orticola nazionale. Fra
gli ortaggi il carciofo occupa il quarto posto quanto a superficie
coltivata, subito dopo mais, pomodoro e cipolla; la sua produzione si concentra anch’essa nelle regioni centrali del Paese, fra
Coquimbo e Valparaíso, che coprono il 94% della produzione nazionale. Ciononostante, la coltivazione è diffusa in tutto il Paese,
ed è presente perfino in molti orti familiari della zona più australe
del territorio.
La zona centrale del Cile è caratterizzata da condizioni agroecologiche definite da una forte influenza del mare. Più in particolare,
nella regione di Coquimbo la temperatura media si mantiene per
tutto l’anno fra i 7° e i 12° C, con elevata umidità relativa (fra l’80 e
l’85%), il che garantisce la possibilità di produrre capolini di buona qualità in periodi relativamente precoci.
Arica-Parinacota
Tarapacá
Antofagasta
Atacama
Coquimbo
Valparaíso
Region Metropolitana
Libertador General
Bernardo O’Higgins
Maule
Biobio
Araucania
Los Rios
Los Lagos
Cultivar
In Cile la produzione è storicamente concentrata su due tipi di
cultivar: quella argentina e quella cilena. Queste, anche se selezionate per il mercato da molti decenni, presentano ancora forte
variabilità genetica. Negli ultimi vent’anni si è aggiunta la cultivar
francese. Le tipologie in questione si distinguono per le seguenti
caratteristiche.
Aisén del General
Carlos Ibañez del Campo
Magallanes y Antártica
Chilena
Superficie coltivata a carciofo distribuita
nelle quindici regioni del Cile
30.000
Cartina politica del Cile, diviso in quindici
regioni. La produzione del carciofo è diffusa
prevalentemente nelle regioni centrali di
Coquimbo e Valparaíso. In queste aree si
concentra il 94% della produzione nazionale
Superficie (ha)
25.000
20.000
15.000
10.000
5000
0
cá ta a bo so na ns le io ia os en es os ta
pa agas acam uim araí olita iggi Mau io-B ucan Lag Ays llan s Ri naco
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r
B ra os
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A
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L
M
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A
Regioni del Cile
Superficie a ortaggi
Superficie a carciofi
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Collana ideata
e coordinata da
Renzo Angelini
Ideata
e coordinata da
Renzo Angelini
il carciofo
e il cardo
il carciofo
e il cardo
botanica
storia e arte
alimentazione
paesaggio
coltivazione
ricerca
utilizzazione
mondo e mercato
Script
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