LA RISERVATEZZA COME LIMITE ALLA LIBERTÀ DI MANIFESTAZIONE DEL PENSIERO di Antonella Sassu 1Le prime sentenze che hanno fatto storia/ 2 Apertura della Corte di Cassazione e costruzione di un fondamento al diritto di riservatezza/ 2.1 Cass. Civile 27 maggio 1975, N° 2129, sezione I / 3 Il diritto alla riservatezza nella Costituzione/ 3.1Gli artt. 2 e 3 della Costituzione/ 3.2 Gli artt. 13, 14 e 15 della Costituzione/ 3.3 L’art. 21 della Costituzione/ 4 Diritto di cronaca e diritto alla riservatezza/ 4.1 Cassazione civile, sezione III, 8 giugno 1998, n° 5658/ 5 Conclusioni/ Bibliografia e sitografia essenziale 1 Le prime sentenze che hanno fatto storia Non è un caso che le prime situazioni in cui venne sollevata la questione del diritto di riservatezza si collocano proprio nel momento storico –gli anni cinquanta - in cui gli organi di stampa e, in generale, di comunicazione godevano di una libertà più ampia rispetto l’epoca precedente. Uno dei casi che generò più clamore fu il c.d. “caso Caruso1” per il quale il Tribunale di Roma fu chiamato ad esprimersi in merito l’eventuale imposizione di limiti a rappresentazioni cinematografiche a carattere biografico, espressamente riferite a persona reale. In quella occasione fu individuata2, per la prima volta, l’esistenza nel nostro ordinamento di un diritto alla riservatezza (o privatezza) concretantesi, secondo De Cupis, “nel divieto di qualsiasi ingerenza estranea nella sfera della vita privata della persona, e di qualsiasi indiscrezione, da parte di terzi, su quei fatti o comportamenti personali che, non pubblici per loro natura, non sono destinati alla pubblicità delle persone che essi riguardano”. La ratio di questa conclusione – in mancanza di un’esplicita tutela del diritto alla riservatezza - si basa sulla disciplina del diritto all’immagine3, in tal caso considerata come manifestazione della riservatezza della persona. Furono, ovviamente, fatte anche delle considerazioni sul carattere pubblico del personaggio in questione e si convenne che l’invasione della riservatezza altrui deve pur sempre essere giustificata affinché non si cada gratuitamente nella semplice intromissione per “curiosità” o “pettegolezzo”. Ovviamente ci deve essere un bilanciamento tra il diritto alla riservatezza del personaggio noto (e le limitazioni che questa condizione impone) e l’interesse generale all’informazione. Questa interpretazione non fu però largamente condivisa al punto che la Corte d’Appello di Roma4 - chiamata ad esprimersi in secondo grado sulla medesima questione - pur 1 Caruso era un noto tenore Tribunale di Roma, 14 settembre 1953. 3 Il diritto all’immagine è tutelato dall’art. 10 c.c. 4 Corte d’Appello di Roma, 17 maggio 1955. 2 1 confermando la parte dispositiva imposta dal tribunale, liquidò ben presto la faccenda sostenendo che non fosse indispensabile cercare di capire se il diritto alla riservatezza fosse riconosciuto o meno nel nostro ordinamento. Anche la Cassazione mise in dubbio l’esistenza di tal diritto sostenendo che gli artt. 6 e 7 c.c. tutelano sì il diritto all’uso del proprio nome, ma non ne vietano l’uso altrui (ammesso che l’uso non sia indebito e non arrechi danno alla persona titolare del nome). Il diritto all’immagine si baserebbe quindi, sempre secondo la Cassazione, sulle vere sembianze della persona e la tutela riguarderebbe l’imitazione di esse. Bisognava considerare, inoltre, che il nostro ordinamento non prevede un diritto alla fedele corrispondenza della rappresentazione artistica alla verità storica, né un diritto alla riservatezza come limite dell’espressione dell’arte (purché la rappresentazione non leda la persona in quanto il neminem laedere trova applicazione anche nel campo dell’arte). Si affermava quindi che “nessuna disposizione di legge autorizza a ritenere che sia stato sancito, come principio generale, il rispetto assoluto all’intimità della vita privata e tanto meno come limite alla libertà dell’arte. Sono soltanto riconosciuti e tutelati, in modi diversi, singoli diritti soggettivi della persona (...) che formano oggetto di varie autonome disposizioni che creano per ciascuno di essi una sfera più o meno ampia in cui è vietata l’intromissione altrui (...)” e ancora “chi non ha saputo o voluto tenere celati i fatti della propria vita, non può pretendere che il segreto sia mantenuto dalla discrezione altrui; la curiosità ed anche l’innocuo pettegolezzo, se pur costituiscono una manifestazione non elevata dell’animo, non danno luogo di per sé ad un illecito giuridico” Il problema era un po’ più complicato in quanto non si trattava solo del caso specificamente considerato: dalla tesi di De Cupis derivava una struttura pluralistica dei diritti della personalità risultante da una molteplicità di aspetti e interessi della persona ognuno con caratteristiche peculiari e dotato di una propria autonomia. Alla costruzione dei diritti della personalità come pluralità di diritti viene contrapposta una concezione monistica, prospettata in particolare da Giampiccolo, il quale preferisce delineare un diritto unico della personalità. Egli considera la persona umana come valore unitario derivandone quindi la considerazione che il complesso di norme del nostro ordinamento"non costituiscono il fondamento di tanti autonomi diritti della persona, ma piuttosto la disciplina 2 specifica di alcuni aspetti particolari della sua tutela"5. In tal modo, il diritto alla riservatezza doveva essere inteso come una categoria concettuale del diritto alla personalità e non un diritto a sé stante. Secondo questa logica si prevedeva, quindi, un processo interpretativo analogico che parte dalla norma più generale del diritto alla personalità per ritrovarvi la sfaccettatura del diritto alla riservatezza. 2 Apertura della Corte di Cassazione e costruzione di un fondamento al diritto di riservatezza In seguito alle precedenti affermazioni della Cassazione hanno seguito diverse decisioni della giurisprudenza le quali hanno aggiunto, di volta in volta, elementi e considerazioni nuove in merito il tema riservatezza. L’ammissione definitiva del diritto alla riservatezza nel nostro ordinamento si ha con la sentenza 27 maggio 1975 n° 2129 nella quale la Cassazione, dopo aver riepilogato la precedente situazione giurisprudenziale, dà una definizione a questo diritto. 2.1 Cass. Civile 27 maggio 1975, N° 2129, sezione I Il giudizio esamina la questione del diritto all’immagine. Nella ricostruzione del caso, la Corte ammette che “l’interesse pubblico all’informazione debba corrispondere ad un giustificato interesse della collettività alla sempre maggiore conoscenza della persona nota e non possa, quindi, identificarsi nella morbosa curiosità che parte del pubblico ha per le vicende piccanti o scandalose, svoltesi nell’intimità della casa della persona assurta a notorietà”. Nell’accettare questo, ripercorre gli orientamenti precedentemente assunti in proposito e li rivede alla luce della visione attuale. In particolare, in riferimento all’orientamento secondo cui non era giustificata la divulgazione d’immagine di una persona se non in riferimento al campo di attività e alle caratteristiche di questa, chiarisce che, superata questa tendenza, “a giustificare la pubblicazione basta il «pubblico interesse» a conoscere l’immagine della persona notoria”6. In ogni caso, anche se questo diritto all’immagine deve essere sacrificato per un pubblico interesse, ciò deve avvenire nei limiti che concernono lo stesso interesse pubblico7. L’uso dell’immagine non deve cioè andare oltre l’utilità finale di quell’interesse. La Corte precisa, inoltre, che non può 5 G. Giampiccolo, La tutela giuridica della persona umana e il c.d. diritto alla riservatezza, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1958, p. 465. 6 Come già espresso nella sentenza cass. n° 3150 del 1963 7 Come già espresso nella sentenza cass. n° 259 del 1959 3 considerarsi “pubblico interesse” l’uso a scopo lucrativo altrui e quindi, di conseguenza, non può nemmeno configurarsi il diritto di altri soggetti (tra cui i giornalisti) di controllare e riferire illimitatamente aspetti di vita delle persone note, quando il fine sia di mero lucro e comunque non di interesse pubblico. Nel citare la cronaca e i suoi limiti (verità del fatto esposto, pertinenza, riservatezza), la Corte riconosce “la configurabilità, entro un determinato ambito, di autonomo diritto alla riservatezza della propria vita privata (…) la portata di questo più generale diritto, di cui ovviamente gode anche la persona notoria, vale ad illuminare meglio l’ambito della tutela specifica dell’immagine della persona stessa”. Accertando la configurabilità della riservatezza, la Cassazione ha preso in considerazione la crescita delle nuove tecnologie ed il rischio dell’eventuale intromissione di queste nella vita privata. Ricorda inoltre che, con sentenza n° 990 del 1963, essa aveva già previsto la tutela giuridica in caso di violazione del diritto assoluto di personalità, inteso questo come diritto erga omnes di autodeterminazione della formazione della propria personalità e quindi aveva già sostanzialmente ammesso l’esistenza del diritto alla riservatezza. La violazione di questo diritto consiste nella divulgazione di notizie riservate (a meno che non vi sia l’autorizzazione da parte dell’interessato o la presenza di interesse pubblico). A questo punto, nella ricerca del fondamento normativo a questo diritto non ancora precisamente definito, elenca le differenti ipotesi con cui s’intende l’espressione “diritto di riservatezza”: 1) «the right to be alone» ovvero il riserbo dell’intimità domestica; 2) «privacy» ovvero il riserbo della vita privata da qualsiasi ingerenza; 3) riserbo legato alle proprie questioni intime nel domicilio ideale ovvero in tutti quei posti dove si svolge la propria vita privata. Si ritengono a fondamento della riservatezza la prima e la seconda accezione il cui basamento è rinvenibile sia negli artt. Cost. 14 e 298, sia nell’art. 2 Cost. nel momento in cui si fa riferimento ai diritti inviolabili dell’uomo9 (come singolo e nelle formazioni sociali), sia nell’art. 3 Cost. quando questo prevede la tutela della dignità sociale dell’individuo (e quindi lo spazio necessario che la garantisca). In realtà la Corte trova molti altri riferimenti, sia sistemici che normativi che giustificano la presenza della riservatezza nel nostro ordinamento. In definitiva, la Cassazione afferma finalmente che questo diritto “consiste nella tutela di quelle situazioni e vicende strettamente personali e familiari, le quali, anche se verificatesi I due artt. Costituzionali prevedono rispettivamente il diritto all’inviolabilità del domicilio e il riconoscimento della famiglia quale società naturale fondata sul matrimonio 9 L’art. 2 Cost. è fondamento del principio personalista dal quale, secondo la teoria del catalogo aperto dei diritti, vengono fatti derivare tutti i singoli diritti riferiti alla personalità (ritenuti facce diverse della stessa medaglia: esiste, cioè, un diritto universale che è quello di personalità da cui dedurre tutti gli altri). 8 4 fuori dal domicilio domestico, non hanno per i terzi un interesse socialmente apprezzabile, contro le ingerenze che, sia pure compiute con mezzi leciti, per scopi esclusivamente non speculativi e senza offesa per l’onore, la reputazione o il decoro, non siano giustificate da interessi pubblici preminenti. Il diritto stesso non può essere negato ad alcune categorie di persone, solo in considerazione della loro notorietà, salvo che un reale interesse sociale all’informazione od altre esigenze pubbliche lo esigano.” ***** I primi orientamenti in materia della Corte Costituzionale sono da far risalire alla sentenza n°122 del 1970 dove affermava che il diritto alla riservatezza dell’immagine può costituire un limite sostanziale alla libertà di manifestazione del pensiero. Successivamente la stessa Corte, con sentenza n° 38 del 1973, attraverso lettura degli artt. Cost. 2, 3 e 13 riconoscerà un esplicito diritto alla riservatezza. L’orientamento preso dal nostro ordinamento trova corrispondenza anche in diverse deliberazioni di carattere internazionale firmate dal nostro Stato: la dichiarazione dei diritti dell’uomo, approvata il 10 dicembre 1948 dall’ONU, in cui si vieta qualsiasi ingerenza arbitraria nella vita privata dell’individuo e la Convenzione europea, firmata il 4 novembre 1950 a Roma, che ha ribadito che ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, del suo domicilio e della sua corrispondenza. La più recente dottrina e l’orientamento giurisprudenziale ritiene che esista un vero e proprio diritto alla riservatezza, anche al di fuori dei casi espressamente previsti dalla legge, desumibile dal sistema di tutela costituzionale della persona umana e in particolare dagli artt. 2 e 3 Cost. (in realtà alcuni autori aggiungerebbero anche gli artt. Cost. 14, 15, 27, 29 e 41). Secondo questa logica, l’interprete deve costruire le posizioni soggettive idonee a garantire ogni proiezione della persona nella realtà sociale, sia come singolo che nelle formazioni sociali delle quali fa parte. La considerazione del diritto alla riservatezza quale diritto della personalità consente di individuare il fondamento giuridico direttamente nell’art. 2 Cost. inteso come clausola “aperta” all’evoluzione dell’ordinamento che consente la copertura costituzionale dei nuovi diritti emergenti della personalità (permettendo, al contempo, la garanzia dello sviluppo della persona umana di cui all’art. 3 Cost.) 5 3 Il diritto alla riservatezza nella Costituzione La ricerca del fondamento giuridico del diritto alla riservatezza consente di porre le basi affinché, in caso di contrasto con altro diritto di rilevanza costituzionale, possa essere attuato l’eventuale bilanciamento. 3.1 Gli artt. 2 e 3 della Costituzione Il riconoscimento del diritto alla riservatezza nell’art. 2 Cost. ha generato un animato dibattito. Coloro che interpretavano detto art. costituzionale come un catalogo “chiuso” di diritti escludevano che la riservatezza potesse essere ricondotta al secondo art. della carta costituzionale, in quanto, basandosi su una concezione pluralistica dei diritti soggettivi, ritenevano che ciascun diritto è autonomo e non fa capo ad un più generale diritto alla personalità. Al contrario, coloro che nel suddetto art. fondamentale vedono un catalogo “aperto” di diritti motivavano l’inclusione del diritto alla riservatezza nel principio personalista dell’art. 2 secondo la concezione monistica dei diritti soggettivi (espressioni specifiche di uno stesso diritto alla personalità). È stata adottata, come già detto, la seconda teoria in quanto si ritiene che il riconoscimento costituzionale della riservatezza soddisfa il fine superiore di apprestare effettiva tutela alla persona umana e alle sue esigenze fondamentali. La garanzia di una sfera sottratta alle intrusioni di terzi e la sicurezza che determinate informazioni resteranno private rappresentano la condizione per assicurare alla persona il pieno godimento dei diritti fondamentali sanciti dalla Costituzione. Nella stessa lunghezza d’onda viene inserito l’art. 3 Cost10: è necessaria la garanzia di una sfera privata inviolabile affinché la dignità e lo sviluppo della persona siano effettivamente assicurati. 3.2 Gli artt. 13, 14 e 15 della Costituzione In riferimento a questi articoli11, la riservatezza viene intesa con riguardo alla persona nella sua interezza, compresa la sfera spirituale e la sua personalità. Domicilio e corrispondenza sono considerate proiezioni spaziali dell’individuo nelle quali egli sviluppa la propria L’art. 3 Cost. parla al primo comma di “pari dignità sociale”, al secondo comma di “pieno sviluppo della persona umana” 11 Gli artt. 13, 14 e 15 si riferiscono rispettivamente ai diritti di libertà personale, inviolabilità del domicilio, libertà e segretezza della corrispondenza 10 6 soggettività. La tutela del diritto alla riservatezza consente indirettamente la tutela di questi ambiti personali dell’uomo e quindi lo sviluppo e la piena integrazione di questo nella società. 3.3 L’art. 21 della Costituzione L’art. 21 Cost. è stato utilizzato nei confronti del diritto alla riservatezza in due sensi: uno per negare la rilevanza costituzionale della riservatezza in quanto si sarebbe così posta come limite alla manifestazione del pensiero; l’altro nell’analisi dei limiti impliciti con cui bilanciare il diritto di manifestazione del pensiero. È facile che l’esercizio della manifestazione di pensiero entri in collisione con la riservatezza in quanto si realizza mediante l’apprendimento delle notizie, la comunicazione e il libero scambio di idee. Secondo i fautori del primo orientamento, la libertà di informarsi e di informare12 non può trovare un ostacolo in quanto ciò costituirebbe un limite per il diritto di manifestazione del pensiero, considerato pietra angolare della democrazia. Ma nessuna libertà ha carattere assoluto e, nel momento in cui è inserita in un ordinamento normativo, deve sottoporsi ai reciproci condizionamenti con le altre libertà. D'altronde, la stessa Corte Costituzionale con sentenza n° 1/1956 aveva chiarito che la norma che attribuisce un diritto non esclude il regolamento dell’esercizio di esso. Detto questo, si può tranquillamente affermare che le attività della manifestazione del pensiero non possono essere illimitate, ma devono misurarsi con altre libertà costituzionalmente garantite. È necessario, anche, considerare il fatto che gli strumenti dell’informazione e della comunicazione possono arrecare danni notevoli alla società e agli individui se usati in mala fede13 o con leggerezza. La giurisprudenza prevede quindi una serie di abusi14 e limiti15 e le relative sanzioni. Una particolare interpretazione dell’art. 21 Cost, in riferimento alla riservatezza, vede nel suddetto articolo costituzionale, oltre che il diritto a manifestare il proprio pensiero, anche il “diritto di tacere” cioè di manifestare parzialmente il proprio pensiero, di rivelarlo solo ad alcuni o di non esprimerlo affatto. Tutte le attività di terzi finalizzate ad apprendere, a 12 È da notare che il diritto di cronaca non è espressamente citato in costituzione anche se viene ricondotto sotto l’ombrello protettivo dell’art. 21 cost. 13 Si veda la strumentalizzazione dei mezzi di comunicazione di massa durante il periodo fascista al fine di ottenere consenso e controllo mediatico della popolazione 14 Un esempio di abuso è la diffamazione a mezzo stampa con la quale si lede alla reputazione e all’onore di un soggetto 15 L’unico limite espresso alla manifestazione del pensiero è menzionato nell’ultimo comma dell’art. 21 Cost: il buoncostume. Esistono poi una serie di limiti impliciti, tra cui la riservatezza, individuati dalla ricostruzione giurisprudenziale 7 catturare e a diffondere il pensiero altrui risulterebbero quindi essere un’intrusione nella sfera di riservatezza. 4 Diritto di cronaca e diritto alla riservatezza La natura dei media di massa può incidere in maniera determinante sulla diffusività e sulla percezione delle informazioni. La distorsione di un messaggio può ledere fortemente gli interessi fondamentali, ad esempio intromettendosi irragionevolmente nella vita privata degli individui o arrecando offesa a qualcuno. Non è facile operare un bilanciamento tra diritto di cronaca e altri diritti vista la sensibilità del primo. In Italia, in generale, si tende comunque a tutelare più l’individuo rispetto il diritto di cronaca, mentre negli USA, al contrario, la libertà di cronaca viene fatta valere di più. Il nostro Paese ha adottato diversi accorgimenti per individuare il diritto di cronaca e il limite dopo il quale non è più da considerarsi tale. La legge ha inoltre introdotto delle norme che tutelano l’uso dei c.d. dati sensibili. La legge 675/1996 è frutto dell’adozione nel nostro ordinamento della direttiva comunitaria 95/46/CE che richiedeva di prevedere per i giornalisti un maggior raggio d’azione nel trattamento dei dati personali. L’art. 25 della l. 675/96 “Trattamento dei dati particolari nell’esercizio della professione di giornalista” si occupa del bilanciamento tra il diritto alla riservatezza e il diritto di cronaca: precisa che “Il giornalista dovrà rispettare i limiti del diritto di cronaca, in particolare quello dell’essenzialità dell’informazione rispetto a fatti di interesse pubblico, ferma restando la possibilità di trattare i dati relativi a circostanze o fatti resi noti direttamente dall’interessato o attraverso i suoi comportamenti in pubblico”. I limiti del diritto di cronaca sono stati individuati in due famose sentenze della Corte di Cassazione: la sentenza n° 5259/1984 (meglio nota come “sentenza decalogo”)e la sentenza n° 8959/1984. Alle numerose proteste dei giornalisti, secondo i quali i due giudizi della Cassazione imponevano pesanti limiti all’esercizio della loro professione, la dottrina rispose che tali decisioni avrebbero costituito un tentativo di prevenire un eventuale conflitto tra il potere dei media di massa e il singolo individuo o gruppo, le cui idee, la cui privatezza, la cui personalità devono essere tutelate. La sentenza decalogo afferma sostanzialmente che il diritto di cronaca è legittimo se concorrono le seguenti condizioni: 1. utilità sociale dell’informazione (interesse pubblico a che la notizia e i fatti siano conosciuti o diffusi); 8 2. verità del fatto (che sia verificata alla fonte); 3. forma civile dell’esposizione dei fatti. La notizia non deve eccedere rispetto allo scopo informativo da conseguire, non deve difettare di serenità e di obiettività, non deve calpestare quel minimo di dignità della quale ogni persona ha diritto e non deve difettare di chiarezza16. Questi principi sono stati ripresi in seguito dalla Corte con la sentenza n° 5658/1998 nella quale si afferma che il diritto di cronaca prevale sulla riservatezza se i fatti sono veri, di interesse pubblico e se sono esposti in forma civile corretta. 4.1 Cassazione civile, sezione III, 8 giugno 1998, n° 5658 Riferendosi al caso particolare, in cui un’attrice aveva lamentato la lesione della propria riservatezza da parte della RAI (che aveva mandato in onda un’udienza riguardante la sua separazione col marito indicando nei titoli di testa i nomi delle parti e del figlio minorenne), la Cassazione ripercorre brevemente i precedenti giurisdizionali ricordando, tra i tanti, la precedente sentenza n° 2129/1984. Ricorda l’orientamento ricorrente della dottrina secondo la quale esiste “un vero e proprio diritto alla riservatezza, anche al di fuori delle ipotesi espressamente previste dalla legge ordinaria, che va inquadrato nel sistema di tutela costituzionale della persona umana, traendo nella Cost. il suo fondamento normativo, in particolare nell’art. 2 e nel riconoscimento dei diritti inviolabili della persona”. La sentenza adotta, quindi, la visione monistica dell’art. 2 nell’ambito della quale “il diritto all’immagine, al nome, all’onore, alla reputazione, alla riservatezza non sono che singoli aspetti della rilevanza costituzionale che la persona, nella sua unitarietà, ha acquisito nel sistema della Cost”. La Corte riconosce nella privatezza una concezione che si riferisce ad “una certa sfera della vita individuale e familiare, all’illesa intimità personale in certe manifestazioni della vita di relazione, a tutte quelle vicende cioè, il cui carattere intimo è dato dal fatto che esse si svolgono in un domicilio ideale, non materialmente legato alle mura domestiche”. Al punto 4.1 ricorda che la riservatezza incontra dei limiti, tra cui quello del diritto di cronaca tutelato dall’art. 21 Cost. Questo conflitto va risolto con un bilanciamento che riconosce la “libera esplicabilità del diritto di cronaca e della sua prevalenza sul diritto alla riservatezza ove ricorra una triplice condizione: a) dell’utilità sociale della notizia (limite del pubblico 16 I difetti di chiarezza sono stati individuati nel sottinteso sapiente, negli accostamenti suggestionanti, nel tono sproporzionatamente scandalizzato e sdegnato e nelle vere e proprie insinuazioni 9 interesse); b) della verità dei fatti divulgati (limite della verità); c) della forma civile dell’esposizione dei fatti e della loro valutazione”. ***** In ogni caso, gli operatori del giornalismo devono rispettare i principi sanciti dall’art. 1 della legge 675/1996 che tutela i diritti fondamentali e la dignità delle persone, con particolare riferimento alla riservatezza ed all’identità personale17. 5 Conclusioni Il bilanciamento del diritto alla riservatezza e del diritto di cronaca è un’operazione abbastanza delicata vista l’importanza che entrambe le libertà hanno nel nostro ordinamento. Nel corso del tempo la giurisprudenza e la dottrina hanno fatto passi avanti circoscrivendo i possibili casi. Tutto ciò è avvenuto anche con un occhio di riguardo alle normative internazionali e allo studio delle soluzioni prese dagli stati esteri nei propri ordinamenti. Il confine tra diritto di cronaca (inteso soprattutto come diritto ad informare nel pubblico interesse) e l’intromissione nell’altrui riservatezza è abbastanza labile. Per questo il ruolo del giudice, nel verificare i casi concreti, è di fondamentale importanza, così come lo è il nostro sistema di giustizia grazie al quale dopo un primo giudizio si può richiedere un ennesimo giudizio in secondo grado fino, qualora vi fossero dubbi, alla richiesta di verifica della legittimità costituzionale. I precedenti giudizi non sono vincolanti nel nostro ordinamento (al contrario di quanto succede nei cosiddetti ordinamenti di common low), però, costituiscono un parere autorevole che aiuta a ricostruire la consistenza dei diritti e delle libertà formando così il cosiddetto diritto vivente. 17 La Cassazione ricorda questo limite nella sentenza n° 8889/2001 10 Bibliografia e sitografia essenziale - Bovio, C. (a cura di), (2001), Studiare da giornalista 2, Diritto informazione, Centro di documentazione giornalistica - Caretti, P. (2004), Diritto dell’informazione e della comunicazione, Il Mulino, Bologna - Cassazione civile, sezione I, 27 maggio 1975, n° 2129 - Cassazione civile, sezione I, 30 giugno 2001, n° 8889 - Cassazione civile, sezione III, 8 giugno 1998, n° 5658 - www.altalex.com - www.dirittoproarte.com - www.giuseppecassano.it - www.legge-e-giustizia.it - www.privacy.it 11