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Saggine / 134
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Orlando Franceschelli
DARWIN E L’ANIMA
L’evoluzione dell’uomo
e i suoi nemici
DONZELLI EDITORE
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© 2009 Donzelli editore, Roma
Via Mentana 2b
INTERNET www.donzelli.it
E-MAIL [email protected]
ISBN 978-88-6036-311-4
DARWIN E L’ANIMA
Indice
Introduzione
Conosci te stesso: l’anima, l’antropologia di Darwin
e la volontà di potenza di Nietzsche
p.
1. I pregiudizi, le celebrazioni e la «molta luce»
de L’origine delle specie
2. Darwin e gli «Anti-Darwin» di Nietzsche
(e del darwinismo sociale)
3. Quale naturalismo post-religioso?
3
11
15
I.
24
28
36
II.
47
55
L’antropologia di Darwin
1. Il problema dell’uomo
e «l’impossibilità di passarvi sopra»
2. Provenienza e differenza della mente umana
da quella animale
3. Istinti sociali, poteri cognitivi, cultura:
la coevoluzione della natura umana
4. Lotta per l’esistenza, selezione e progresso
verso la civiltà
19
Dall’anima alla natura e alla storia dell’uomo
1. Il «mistero dei misteri»
e il congedo dal misterianismo antropologico
2. Oltre il dualismo creazionistico e ontologico
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Franceschelli, Darwin e l’anima
61
3. La natura e l’artificio: oltre il dualismo
etico-politico
4. Civilizzazione senza provvidenza
e dialettica: oltre Vico e Marx
69
III.
77
84
92
Postilla. Un’anima ancora antidarwiniana?
L’evoluzionismo metafisico di Mancuso
101
IV.
136
V.
150
L’anti-darwinismo di Nietzsche
e del darwinismo sociale
1. La biologia della volontà di potenza
2. La civiltà come malattia e la «grande politica»
3. Biologia, istinti sociali e cultura in Darwin
e nel «darwinismo» sociale
4. La (presunta) via da Darwin a Hitler
111
120
129
143
La teologia ha perso l’anima?
1. Emergenza evolutiva ed emergentismo (teologico)
2. Tra creazione ed emergenza dell’anima:
l’arroganza della teologia cattolica
3. La teologia di fronte alla natura umana:
perdere l’anima due volte
Oltre l’anima e la volontà di potenza
1. Il figliol prodigo moderno: oltre Dio
e l’ambizione di esserlo
2. Eco-appartenenza, sfide della storia
e piacere della saggezza solidale
163
Bibliografia
181
Indice dei nomi
VI
Darwin e l’anima
A Liliana e Lucio,
fraternamente
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DARWIN E L’ANIMA
Introduzione
Conosci te stesso:
l’anima, l’antropologia di Darwin
e la volontà di potenza di Nietzsche
In primo luogo dobbiamo vedere con
sagace ragionare di che son fatte l’anima e
la natura dell’animo […]. Il cui principio
prenderà per noi l’avvio da questo: che
nessuna cosa mai si genera dal nulla per
volere divino.
(Lucrezio)
1. I pregiudizi, le celebrazioni e la «molta luce»
de L’origine delle specie.
Forse non pochi pensano che l’esistenza dell’uomo e
della sua mente costituiscano anche la migliore prova dell’esistenza del Creatore, di cui l’uomo sarebbe l’immagine. Impressa innanzitutto proprio nei poteri della nostra mente, grazie a cui sulla terra hanno potuto fiorire il
linguaggio, la cultura, l’etica, il progresso civile. Ma a immagine di chi è effettivamente fatta la natura umana: di un
creatore divino o del mondo naturale indagato dalla scienza, e che al moderno naturalismo post-religioso appare
come l’unica realtà da cui provengono il nostro corpo e la
nostra mente?
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Franceschelli, Darwin e l’anima
I più risponderanno che l’uomo è entrambe le cose, come fa anche la teologia di ispirazione biblica: immagine di
Dio (imago Dei) e immagine del mondo (imago mundi).
Oppure che proprio l’esistenza della ragione umana è quasi un mistero impenetrabile, come finì per concludere anche un illuminista del valore di Kant, convinto tuttavia che
agire e pensare come se l’anima sia immortale e Dio esista
aiuti a risolvere qualche problema.
Oggi però, chi può, come opportunamente invitava a
fare Lucrezio, ragionare con sagacia su questi temi senza
partire da Darwin? Dalle conquiste scientifiche e dalle implicazioni filosofiche, etico-politiche e persino teologiche
collegate a ciò che egli ha detto sulla natura umana: sull’origine e la storia dell’uomo?
Trascurare, attaccare o già solo provare a sterilizzare la
rivoluzione antropologica darwiniana è sempre possibile.
E largamente praticato. Ma il prezzo che si paga non è trascurabile: si abdica a valutare criticamente sia le conoscenze che la biologia evoluzionistica ci mette sempre più a disposizione, sia le ragioni e la ricchezza umana esibite dai
naturalisti, che all’uomo guardano al di fuori di ogni credenza religiosa nel sovrannaturale e senza indulgere ad alcun misterianismo antropologico che suoni come rinuncia
a indagare la nostra natura.
«Conosci te stesso», ammoniva l’antica sapienza greca.
Con parole di insuperabile potenza e saggezza, che educano a non esitare di fronte a questo insopprimibile bisogno
dell’intelligenza umana. E a non sminuire, con l’autoinganno del rifiuto o della dimenticanza, la conoscenza di
cui umanamente siamo alla ricerca e possiamo essere capaci. Un ammonimento divenuto giustamente celebre. E che
sembra riecheggiare anche nelle parole consegnateci da
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Introduzione
Charles Darwin nelle ultime pagine de L’origine delle specie: «Molta luce sarà fatta sull’origine dell’uomo e sulla sua
storia». Come in effetti è avvenuto, grazie al contributo
che su questi due snodi decisivi di ogni antropologia – origine e storia dell’uomo, appunto – hanno saputo dare le
teorie darwiniane, capaci di far avanzare la conoscenza di
noi stessi forse più di quanto abbiano fatto le idee di ogni
altro protagonista della cultura moderna.
Ma se è così, perché anche il grande naturalista e pensatore inglese, proprio nel capolavoro di cui si celebrano i
centocinquanta anni della prima edizione (novembre 1859),
si è limitato a dedicare all’uomo solo questi cenni tanto impegnativi quanto prudenti? Perché tanta cautela, dopo millenni di umano impegno a indagare noi stessi e secoli di
scienza e di illuminismo moderni?
I biografi ci hanno aiutato non poco a ricostruire lo sviluppo intellettuale di Darwin e le complesse ragioni storiche e private che possono averlo indotto a maneggiare con
innegabile circospezione le proprie concezioni antropologiche. Affiorate nella sua mente già durante il celebre viaggio sul Beagle (1831-36) e la stesura dei Taccuini (1836-44).
Ma rese pienamente pubbliche solo nel 1871 con L’origine
dell’uomo, in cui finalmente illustrava le prove, raccolte
lungo un’intera vita di ricerca, dell’acquisizione per gradi
«di ciascuna facoltà e capacità mentale» dell’uomo, come
pure già aveva scritto ne L’origine delle specie1.
E tuttavia, l’adozione di una simile condotta sembra nascere innanzitutto da una duplice consapevolezza: Darwin
sapeva bene che proprio la questione antropologica – il «mi1
C. Darwin, L’origine delle specie. Selezione naturale e lotta per l’esistenza (1859), d’ora in avanti cit. come Ods, p. 552.
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Franceschelli, Darwin e l’anima
stero dei misteri» – costituiva lo snodo più delicato e dirompente della sua teoria dell’evoluzione per selezione naturale. Destinata a scuotere dalle fondamenta consolidate
tradizioni e convinzioni scientifiche, filosofiche, religiose.
A cominciare dalla «credenza sull’immortalità dell’anima»2.
E sapeva anche che proprio conoscere e accettare ciò che
di fatto siamo, diradare il «mistero dei misteri», si scontra
sempre con i timori e le speranze – i pregiudizi – con cui ci
avviciniamo agli interrogativi più radicali. Quelli capaci di
scatenare un autentico travaglio della mente e del cuore, poiché condizionano non poco il senso e il valore che attribuiamo alle nostre vite, a quelle delle persone a noi più care, alle
pene e alle gioie di tutti i nostri fratelli umani e animali. Tutto ciò ha un’origine e un destino «soltanto» naturali, oppure è atteso dalla salvezza promessa dal Creatore celeste come
coronamento e gloria di un suo disegno d’amore? Proprio
noi esseri umani siamo appunto un’imago mundi frutto dell’evoluzione biocosmica e contingente come le altre specie,
oppure siamo anche l’imago Dei che in se stessa racchiude
qualcosa di sovrannaturale, un’anima forse alata e immortale, come suggeriva già Platone?
Oggi, anche mentre affrontiamo simili questioni, non
ci sentiamo certo immersi nella temperie spirituale dell’Inghilterra vittoriana in cui si formò e operò Darwin. Anzi,
l’anniversario del suo capolavoro e il bicentenario della sua
nascita (12 febbraio 1809) vengono celebrati praticamente
ovunque. Con la Chiesa anglicana che porge le sue scuse al
grande naturalista, mentre la Chiesa cattolica ritiene di non
doverlo fare solo perché non ci sarebbe nulla di cui scu2
C. Darwin, L’origine dell’uomo e la selezione sessuale (1871), d’ora in
avanti cit. come Odu, p. 458.
Extrait de la 6publication
Introduzione
sarsi, giudicando così con sospetta indulgenza la complessa storia dei suoi rapporti con le teorie evoluzionistiche.
Scandita dalla condanna come turpe della dottrina dell’evoluzione dell’uomo dalle scimmie (ab irsuto simio) da
parte del Concilio Vaticano I (1870); e ancora oggi gravata
dall’accusa di nichilismo rivolta alle antropologie che spiegano l’origine dell’uomo e della sua mente in termini naturalistico-evolutivi, ossia senza alcun ricorso all’intervento del Creatore.
Queste antropologie, come ha sostenuto Giovanni Paolo II ed è continuamente ribadito dalle più alte sfere della gerarchia e da non pochi scienziati e teologi cattolici, sarebbero, da un lato, «incompatibili con la verità dell’uomo», frutto di un «salto ontologico» rispetto al resto della natura;
dall’altro, «incapaci di fondare la dignità della persona»3.
In questa arroganza antidarwiniana della teologia cattolica torna alla luce l’accusa di deriva antiumanistica subito sollevata proprio contro L’origine delle specie dal reverendo Adam Sedgwick, guida di Darwin a Cambridge nello studio delle scienze naturali. In essa – si affrettò a scrivere all’autore appena letta l’opera – veniva prospettata comunque una separazione tra storia naturale e cause finali
metafisiche non solo arbitraria, ma destinata a degradare
l’umanità. È appunto l’accusa di nichilismo etico-antropologico spesso sollevata ancora oggi contro le antropologie
naturalistiche da quanti attribuiscono all’uomo un’anima
sovrannaturale e concepiscono il nostro senso morale come un dono elargito da Dio agli esseri umani, come suggeriva già il mito narrato da Protagora nell’omonimo dialogo platonico.
3
Cfr. infra, cap. III.
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Franceschelli, Darwin e l’anima
Un simile pregiudizio dualistico, infatti, spinge non pochi a sostenere che anche la dignità umana, i valori etici, la
giustizia, le leggi, la civilizzazione sarebbero del tutto dipendenti da questa anima o essenza creata e immortale – la
«scintilla» divina – posta in noi da Dio. Al punto che, se il
«riferimento a Dio» viene smarrito, saremmo destinati a
precipitare nel baratro del «nichilismo paralizzante e sterile» e della disgregazione di ogni «convivenza degna dell’uomo»4. L’antropologia naturalistica e la fine della visione
sacra della vita e dell’uomo che essa comporta diventano sinonimo di relativismo nichilistico. E da Darwin – come
suona l’accusa dei seguaci del Disegno Intelligente, ma anche di una parte importante della filosofia e della teologia
cattoliche – non si può che arrivare al razzismo, all’eugenetica e alla politica di sterminio di Hitler.
Già questi brevi richiami alla cautela cui Darwin si vide come costretto e ai pregiudizi etici e teologici che ancora circondano la sua antropologia dovrebbero far avvertire a tutti – se non la ricchezza – almeno l’urgenza di
un confronto non meramente celebrativo con ciò che egli
ha effettivamente detto sull’origine e la storia dell’uomo.
Darwin infatti, esattamente al contrario di quanto induce
a pensare il pregiudizio etico-nichilistico nei confronti
della sua antropologia naturalistica, non ha sottratto all’uomo la socialità, il senso morale, la mente e il progresso civile. Piuttosto: ci ha fatto capire come tutto ciò non
sia una creazione scesa dal cielo, ma il frutto di processi
evolutivi.
A ben vedere, proprio questa luce che Darwin ha saputo gettare sulla nostra complessa natura (biologica, sociale e
4
Benedetto XVI 2006.
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Introduzione
culturale) dovrebbe interessare anche teologi e filosofi di
ispirazione cristiana. Tanto più se, a differenza dei neocreazionisti e dei sostenitori protestanti e cattolici del Disegno
Intelligente, non sono interessati a una religiosità fondamentalista e antimoderna, ma al contrario sono impegnati a
conciliare criticamente la loro fede nel Dio creatore e il fatto dell’evoluzione bio-cosmica documentato dalla scienza.
Di più: a conciliare la stessa legge naturale di cui parlano
Paolo e Tommaso con l’evoluzione del senso morale di cui
parla Darwin (Arnhart). Essendo ormai ben consapevoli
che anche la «mente emerge dalla natura» e che questa sua
naturalità può essere colta soltanto osservando da vicino «il
modo di funzionare dell’evoluzione biologica e ciò che essa produce» (Clayton).
Queste correnti teologiche, seppure entro un panorama
indubbiamente complesso e in fermento, hanno abbandonato il dualismo ontologico anima-corpo a favore di un fisicalismo o monismo emergente e sono alla ricerca di una
sorta di terza via tra la concezione del tutto naturale della
mente propria dell’evoluzionismo darwiniano e la creazione dell’anima mediante un intervento diretto di Dio. Posizione su cui è invece ancora attestata la gerarchia cattolica,
in polemica frontale con ogni concezione dell’uomo e delle sue capacità spirituali come «emergenti dalle forze della
materia vivente».
Da una simile condanna finiscono per essere condizionati anche non pochi esponenti dell’emergentismo cattolico. Convinti che proprio l’«emergenza» della mente (o spirito) dell’uomo obbligherebbe comunque a risalire, se non
al disegno, al progetto superiore di un Principio o Logos
creatore e ordinatore (Facchini). Una versione appena più
raffinata del Disegno Intelligente. Un tentativo di tenere inExtrait de9la publication
Franceschelli, Darwin e l’anima
sieme emergenza e creazione che ha ben poco a che fare con
l’emergenza evolutiva di cui parlano eminenti darwinisti. E
risulta irricevibile anche quando vorrebbe lasciarsi alle spalle la tradizionale idea di un’anima creata direttamente da
Dio e fatta calare dall’alto come «un misterioso elemento
sovrannaturale» (Mancuso)5.
Certo, è ben noto: rimuovere o sterilizzare le sfide critiche risulta più agevole che raccoglierle. Magari assecondando così anche il desiderio di trasformare persino le celebrazioni darwiniane in occasioni esteriori di apologie, appropriazioni o polemiche banali e strumentali. Rischio – si
converrà – cui spesso sono esposte proprio le commemorazioni di uomini e teorie che hanno segnato la storia dell’umanità. E tra le quali certo rientra il rovesciamento del
«dogma delle creazioni separate» operato da Darwin6.
Ma il compito critico dinanzi a cui ci pone Darwin è
proprio questo: non sottrarsi almeno al confronto con una
concezione dell’uomo e della storia definita senza alcun ricorso né a un’essenza o anima immortale e creata da Dio,
né alla Provvidenza che guiderebbe la civilizzazione e la
storia di Homo sapiens. A ben vedere, ogni adulto pensante dovrebbe avvertire il bisogno di un simile confronto e
cercare di evitare ogni sterilizzazione di una simile rivoluzione antropologica, provando piuttosto a coltivare con
saggezza il contributo epocale che essa ha dato all’antico
«conosci te stesso». Senza contrapporle comodi e paralizzanti appelli all’impenetrabile mistero della natura umana
e senza svilire questa antropologia e questa concezione
della storia con forme di naturalismo ancora contaminate
5
6
Cfr. infra, cap. III.
Infra, pp. 23 sgg.
10
Introduzione
da pregiudizi teologici o dal dualismo tra biologia e cultura (etico-politico, emergentista o dialettico).
E neppure dalla volontà di potenza e dalla «grande politica» che ispirarono la polemica scatenata non a caso da
Friedrich Nietzsche anche contro «la scuola di Darwin».
2. Darwin e gli «Anti-Darwin» di Nietzsche
(e del darwinismo sociale).
L’antropologia darwiniana ci suggerisce di guardare alla natura umana come a una realtà indubbiamente complessa, di cui una parte costitutiva è rappresentata dalle capacità etico-cognitive (linguaggio, senso morale, coscienza, ragione), frutto dei processi di coevoluzione che hanno incorporato in essa poteri cognitivi, socialità, storia. E
che perciò sono capacità da indagare accostandole «esclusivamente dalla parte della storia naturale», come si legge
ne L’origine dell’uomo con riferimento alla concezione del
dovere avanzata da Kant.
È in questo senso che proprio la nostra natura, portatrice di una significativa differenza non di genere, ma soltanto di grado rispetto agli altri animali, è da sempre costituita dalla compresenza di una prima natura biologica e
di una seconda natura storico-culturale. È appunto una
realtà complessa, selezionata lungo il tempo profondo
dell’evoluzione e che ci rende anche una specie ibrida:
sempre tentata di competere per fini egoistici, ma anche
capace di cooperare, perché la coevoluzione di biologia,
socialità e mente di cui siamo frutto ha messo nel cuore
stesso della nostra natura anche istinti sociali, sentimenti
di simpatia, senso morale, facoltà raziocinanti. Capaci an11
Franceschelli, Darwin e l’anima
che di far progredire la nostra «cultura morale» fino alla
definizione di una «vera idea di umanità». E le nostre società fino alla pratica delle «virtù fini a se stesse» sostenute dall’opinione pubblica7.
Ebbene, se è vero che questa è l’antropologia delineata da
Darwin e che essa risulta tutt’altro che smentita dalle attuali ricerche, allora appare difficile contestare che da essa siamo messi anche di fronte a un duplice risultato, con implicazioni filosofiche, etiche e persino teologiche inaggirabili.
Il primo è che contro questa antropologia sono destinate a infrangersi tutte le accuse strumentali di nichilismo
etico. A cominciare da quelle alimentate dalla confusione
sugli effettivi rapporti esistenti tra naturalismo darwiniano e volontà di potenza di Nietzsche, fino a quelle mirate
a confondere Darwin col «cosiddetto» (Mayr) darwinismo sociale. Più precisamente: mirate, spesso in maniera
pretestuosa, a equiparare sine glossa la sua antropologia e
la relazione che egli ha prospettato tra lotta per l’esistenza,
selezione naturale e progresso civile dell’umanità, con la
competizione eliminatoria esaltata da Spencer, con l’eugenetica ispirata da Galton e infine con i miti e le ideologie
del fascismo e del nazismo.
Non sono mancati, come vedremo, studiosi interessati a richiamare l’attenzione sulle ambiguità dello stesso
Darwin, certo non del tutto immune dai pregiudizi dell’Inghilterra vittoriana e imperiale in cui ha vissuto e operato. Ma anche questa sorta di via media tra Darwin e la
problematica nozione di darwinismo sociale lascia inevaso proprio il punto centrale della questione: l’effettivo
rapporto che la sua teoria stabilisce tra lotta per l’esisten7
Odu, pp. 108, 457.
Extrait de la12
publication
Introduzione
za, selezione naturale che ne deriva, istinti sociali, senso
morale e progresso civile. Un rapporto che può essere difficilmente equivocato8.
Il secondo risultato dell’antropologia darwiniana riguarda invece la radicale messa in discussione del dualismo
teologico-creazionista. Dopo Darwin infatti siamo, almeno
plausibilmente, non solo oltre l’anima e la provvidenza,
non più necessarie per spiegare la natura e la storia dell’uomo. Il suo naturalismo evoluzionistico scuote dalle fondamenta anche le traduzioni secolari in cui il dualismo platonico-cristiano ha continuato a sopravvivere nelle moderne
filosofie della soggettività e della storia. A cominciare dal
dualismo ontologico di Cartesio (separazione tra res extensa e res cogitans) e da quello storico-teologico di Vico (intervento della Provvidenza divina nella formazione del
mondo civile), fino all’«emergentismo» idealistico che segna la fenomenologia dello Spirito di Hegel. Ben lungi dall’essere il preparatore del darwinismo di cui ha parlato anche Nietzsche: «Senza Hegel non ci sarebbe Darwin».
Al contrario, proprio la concezione darwiniana della
natura umana e del progresso civile induce a essere ben vigili verso ogni residuo dialettico-escatologico di ascendenza hegeliana. Inclusi quelli presenti nel materialismo storico di Marx e Engels, definito non a caso anche sollevando
critiche contro Darwin. Ovviamente, le loro analisi possono risultare tutt’altro che irrilevanti per la critica delle dinamiche mercantili e disumanizzanti del capitalismo. Tuttavia proprio l’idea di Engels – a Darwin la natura e a Marx
la storia – non funziona. Socialità e storia sono presenti anche nell’antropologia di Darwin. E proprio Marx, nel ten8
Infra, cap. IV.
Extrait de13
la publication