A proposito di Ça ira
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1. «Rappresentazione epica»
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Per i dodici sonetti del Ça ira Carducci afferma di poter accoglie la definizione, proposta da un
critico, di «rappresentazione epica», «interpretandola − aggiunge − per un offerire alla fantasia e
al sentimento altrui in brevi tratti come attuale e senza mistura di elementi personali un
avvenimento o una leggenda storica; a quella guisa che feci altre volte con i Campi di Marengo e la
Canzone di Legnano».
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2. La scelta del ‘sonetto’
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«Oggi è vezzo, non saprei se stearico, voler abbassare e impiccolire la rivoluzione francese: con
tutto ciò il Settembre del 1792 resta pur sempre il momento più epico della storia moderna.
Impossibile mettere in versi quella storia, se non a brevi tratti: per ciò elessi la forma del sonetto,
che ne’ secoli XIII e XIV fu anche strofe».
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«Elessi, per la forma della verseggiatura, il sonetto, come quello che più mi si prestava, o
parevami, agli atteggiamenti risoluti e quasi in alto rilievo a tratti rapidi risentiti corti, come quello
che mi avrebbe impedito di allargarmi nella descrizione o stemperarmi nel lirismo, da poi che è
proibito di far bruttura dinanzi alle muraglie di bronzo della storia. E sentivo quasi un solletico di
vanità in quella prova di ravvivare, dopo le odi barbare, a rappresentazione intentata il vecchio
sonetto».
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Si cita la prosa apologetica Ça ira (1883) e la prima nota ai testi apposta da Carducci da
CARDUCCI, Opere scelte, a c. di MARIO SACCENTI, vol. I, Torino, UTET, 1993, pp. 656-657.