intervista a giacomo contri

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Nome file
89PSISCIU_GBC3.pdf
data
1989
Contesto
GBC
Relatore
GB Contri
Liv. revisione
Pubblicazione
Lemmi
Città
Cultura
Diritto
Freud
Inconscio
Leggi
Metapsicologia
Psicoanalisi
Pulsione
PSICOTERAPIA E SCIENZE UMANE
N. 4
FRANCO ANGELI
1989
INTERVISTA A GIACOMO CONTRI 1
D.: Il primo capitolo del suo libro Leggi si chiude con un'affermazione inquietante: «Il nostro mondo
è senza legge». Ciò che la rende inquietante, e drammatica, è anche il fatto che nel nostro mondo vi sono fin
troppe leggi, e che si continua a farne...
R.: Quanto meno c'è legge, tanto più si metastatizzano diritti. «Legge» significa qui una soluzione
alla questione freudiana di un principio di piacere di cui ognuno e tutti difettiamo. Dico tutti, perché
«principio di piacere» non è una faccenda interiore, né privata, individualistica, morale nel senso intimistico,
e neppure anzitutto psicologico. Poiché definisco l'inconscio come la competenza soggettiva di ognuno nel
cooperare all'istituzione di una tale legge, quando dico che il nostro mondo ha poca legge, dico che nel
nostro mondo c'è poco inconscio. «Super-io» è un nome del sostituto imperativo, usurpativo, terroristico, di
una legge mancante. Aut inconscio aut Super-io. Non ho peli sulla lingua nel riferire ciò, per esempio, a
Ossicini: la pseudolegge omonima – l'ho già definita una fuorilegge – si è prodotta al posto di una miseria
della legge, che è la stessa cosa della «miseria nevrotica» di Freud.
D.: La cultura psicoanalitica sembra ignorare il tema della legge, complessivamente, eppure la
psicoanalisi si pone come scienza, dunque come un sapere di leggi...
R.: La scienza di Freud è nata come scienza di leggi. Di leggi prepsicologiche con effetti psicologici.
Proprio per questo Freud ha dovuto inventare un neologismo, chiamandole «metapsicologiche». Molta
cultura psicoanalitica lo ha dimenticato, o rinnegato, immaginandosi l'inconscio come una specie di cic-ciac
di confuse azioni e reazioni, come un teratoma dinamico di spintonamenti screanzati tra oscure esigenze
coabitanti («non spingere troppo!», sembra di sentire). Questo sciabordare di liquami reciprocamente
insolubili, qualcuno ha avuto la spudoratezza di chiamarlo dialettica. Qualcun altro ha involontariamente
rivelato il carattere un po' viscido di queste concezioni, proponendo parole come «simbiosi» o fusione, e
simili. Apprezzo H.P. Lovecraft, ma per favore non confusioniamolo con queste cose. Scienza, certo, di
leggi: non della natura, non della cultura o società, ma del soggetto, nei loro rapporti con le leggi di natura e
cultura.
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Intervista di Anna Maria Guerrieri a Giacomo B. Contri, pubblicata su Psicoterapia e scienze umane, n. 4, Franco
Angeli, 1989, pagg. 84-90.
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D.: Lei parla dell'inconscio come di una norma, ma ai giorni nostri la parola Norma suona Ordine
costituito. Allora, come la mettiamo con l'idea di inconscio come creatività disordinata, così diffusa da essere
quasi uno stereotipo?
R.: È giusta la critica dell'Ordine costituito come disordine arrangiato, critica già marxiana. Non
molti psicoanalisti hanno accertato un'evidenza, ossia che Freud tratta come un tale ordine costituito anzitutto
nevrosi, perversioni, psicosi. E che le tratta due volte: l° come quei disordini costituiti individuali che ci si
presentano solitamente come fatti clinici; 2° come forme generali della Civiltà, extracliniche, come surrogati
della legge o del principio di piacere nella Civiltà: così che tra patologie individuali e Civiltà c'è omologia.
Tali forme sono antitesi, parziali o totali, all'inconscio: è questo il significato di «patologia», clinica o
extraclinica. Antitesi non normative, ma imperative; antinormative. Una delle patologie del nostro secolo è la
terribile confusione tra norma e imperativo. Norma è termine di paragone, test, mezzo di orientamento,
bussola. Il test di realtà, cioè la norma pratica del singolo, è l'inconscio. L'idea dell'inconscio come creatività
disordinata, oltre che contraddittoria, è una stupidaggine: Sturm und Drang per ceti medi (una volta
dicevamo: piccolo-borghesi).
D.: Lei, allora, contrappone l'inconscio alla Legge morale di Kant?
R.: Sembra che Kant abbia prima letto Freud e poi scritto la Ragion pratica, e non solo quella, per
contrapporvisi poi, punto per punto...
D.: Lei parla sempre di diritto ci dica, allora...
R.: Il diritto (statuale) è uno tra í reali legami umani collettivi, non l'unico. Quando diventa l'unico,
non c'è nessuna differenza tra stalinismo e ipergiuridismo: il nostro secolo è stato il gioco mostruoso della
pseudoalternativa tra statualismo e monismo giuridico. Ed ecco Freud con il suo «inconscio» come
universale. Che vuol dire «universale»? Che lo hanno tutti? Questo è fideismo occultista. È fin troppo
evidente che molti non lo hanno, o lo hanno malridotto, o in tracce. Se fossimo una mezza dozzina ad avere
l'inconscio, sarebbe universale ugualmente. L'inconscio è universale perché è il punto di riferimento nel
singolo – «istanza» – di una certa possibilità di relazioni umane o leggi valide per tutti, che la civiltà che
conosciamo non contempla. L'inconscio è l'indice, nel singolo, della possibilità, nella Civiltà, di una civiltà
qui e là già reale, ma sempre delegittimata. È a questo livello che Freud prediligeva la parola «Eros»: lessico
mitico per un concetto, non per un mito. Non dico nulla di antigiuridico, semmai leggermente il contrario.
Sto però asserendo che grazie all'inconscio, l'individualismo – ossia l'idea che la relazione o legge
fondamentale è individuo-società – è una prospettiva non solo falsa e variamente repressiva, ma anche
astratta. L'individuo con un inconscio partecipa a questa civiltà a partire dalla possibilità di un'altra, di cui
l'inconscio è la cittadinanza e la carta d'identità. L'inconscio non è individualista. Non perdiamo neppure
tempo a dire che non è nemmeno collettivista. Un'analisi è la pratica agorafilica di un'altra città, Agostino se
vi piace, e senza deduzioni da qualsivoglia Rivelazione. L'inconscio è il criterio del pubblico nel singolo.
D.: E la pratica analitica? Che conseguenze ci sono per la pratica analitica, partendo da questa
tematica della Legge?
R.: Pratiche, appunto, in rutti i sensi: logica, azione, sensibilità, affetto. Dalle compulsioni penose del
disordine soggettivo («soggettivo» è reale come tutto il resto], alle disponibilità, mobilità, più diverse. Fino
alla mobilità di fantasia: abbiamo poca fantasia perché abbiamo solo fantasie, quei bravi fantasmi fissi in cui
ci crogioliamo. «Fissazione» è la grande parola critica di Freud: in lessico politico, equivale a dire che siamo
conservatori a oltranza. Quando crediamo di essere un po' più mobili, è solo perché ci scambiamo i nostri
fantasmi come le figurine. C'è un mercato dei fantasmi, nel senso proprio della parola «mercato». Il mercato
mondiale ci campa.
D.: Allora. il fine di un'analisi
R.: Orientarsi. L'inconscio come norma è una bussola personale nell'universo (nell'«ambiente», va
là!). Nelle patologie si è perso... la bussola. Trattare per mezzo della psicoanalisi è ricostituire l'inconscio,
nient'altro: non è poco, e non è tutto. La psicoanalisi – cioè quella di Freud – non è mai psicoterapia, per la
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più elementare e manifesta delle ragioni: lo psicoanalista non compie la pur minima operazione terapeutica,
«psichica» o fisica. Alla terapia pensa l'inconscio, il solo psicoterapeuta onesto, come ho scritto nel libro.
Semmai è il paziente che a volte compie reazioni terapeutiche. tanto più negative quanto più l'analista
compie azioni terapeutiche «positive». Un analista serve per farsi un inconscio, con i suoi pensieri, le sue
possibilità mobili d’azione, e perfino i suoi affetti. Chissà perché non si comincia neanche a pensare che se
nevrosi, psicosi, perversioni, e quel regime dei regimi che è detto «Super-io», hanno i loro poco gradevoli e
incivili affetti, anche l'inconscio ha i propri affetti. Quali? È già molto porre l'interrogativo, visto che nessuno
lo pone. Nessun misticismo: diversi di noi ci sono passati, poi li hanno rimossi, o nostalgizzati.
D.: Tornando sul motivo fondamentale di questo suo scritto, proprio su ciò che lo informa, intendo
dire... e dunque sulla Legge di questa sua precisa posizione teorica. Perché, allora, «Leggi»?
R.: Perché ce ne sono tante, con il dubbio di nessuna... Perché la sola legge degna di questo nome è
quella che riguarda anzitutto il singolo – 24 ore su 24 – nel suo rapporto con la città e dunque la città, invece
della mortificante idea dominante, amministrativa, in cui Est e Ovest, destra e sinistra, coincidono
perfettamente.
D.: In un certo senso, questa sua precisazione rende inevitabile una precisazione sulla struttura e sul
progetto che lei persegue. Quale dunque il rapporto tra Lexicon psicoanalitico ed enciclopedia? E inoltre,
quale la valenza privilegiata di significato che lei conferisce al concetto di enciclopedia, man mano che esso
compare nello sviluppo del suo discorso psicoanalitico, a proposito di «Leggi»?
R.: Noi crediamo di parlare italiano, e più o meno è anche vero, svarioni a parte. Freud insegna che,
quasi quasi, noi parliamo italiano, o altre lingue, per avere l'opportunità di fare dei lapsus, per avere
l'opportunità di fare dei sogni. O anche, per parlare d'amore, che parliamo male perché in amore tutti
sappiamo che non sappiamo parlare italiano. Ciò è supervero notoriamente, ma morire che a scuola ce
l'abbiano insegnato. Ecco perché la psicoanalisi è una specie di corso di recupero della lingua, per acquistare
una vera «competenza linguistica», quella che i linguisti credono di poterci e potersi regalare così,
ovviamente. Il fatto è che noi non parliamo «italiano», ma enciclopedia, ossia idee già organizzate, ma così
male che stiamo male. Si tratta dunque non già di disorganizzare la nostra esperienza, o enciclopedia, come
pensano coloro per i quali l'inconscio sarebbe «anarchia creativa», perché, chissà perché, a essere arruffati si
sarebbe creativi. Bensì di avere un'esperienza finalmente ordinata, perché ordinato significa aperto, non
chiuso. Uno dei delitti della modernità è che la parola «ordine» è stata conquistata dalle caserme prussiane,
indubbiamente con la forza delle armi (e di Kant). Si tratta invece di liberare un ordine.
D.: Allora si potrebbe dire, anziché «mi fa male la pancia». mi fa male il logos?
R.: Geniale! Sì!
D.: A quanto mi sembra d'intuire, si profila una revisione, attraverso un nuovo lessico, dei concetti
fondamentali della psicoanalisi... Ma una revisione nel senso di restituire ad essi qualcosa...
R.: Non che avesse torto Marx quando replicava a Proudhon, mi pare, nella Miseria della filosofia,
che per trasformare il mondo non si tratta di riformare il vocabolario della Crusca. Da «Filosofia della
miseria» a «Miseria della filosofia». o della lingua, o dell'enciclopedia che ha agito fin da bambino come
impostura del pensiero. Non si tratta di restituire qualcosa alla psicoanalisi come specialità: che si arrangi! La
psicoanalisi interessa solo perché aiuta gli uomini a riprendersi qualcosa. Che cosa? La sola cosa che hanno
saputo fare almeno da bambini, pensare, pensare bene, pensare seriamente una relazione pacifica con ogni
Altro, una legge: «Ich hab’ gedacht, ho pensato», dice il piccolo Hans. Parlo di ragion pratica: non
«infantile», ma fin dall'infanzia, un'unica ragion pratica nel corso della vita.
D.: A questo punto, credo di poterle porre un nuovo quesito: in che rapporto sono l'ordine della
natura e l'ordine della cultura, nella sua visione?
R.: L'inconscio è una terza cosa rispetto a natura e cultura. Il corpo, cioè la pulsione, non è più
natura, ma è la meta-natura formale, nata dal fatto che Altri in carne e ossa e lingua, lo hanno umanizzato
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come corpo mangiante, guardante, espellente, fonico. L'inconscio è il pensiero in elaborazione, il cogito di
questo corpo individuale, come tale colto: ossia deve ben poco alla cultura, anzi, all'occorrenza, ne è la
critica. Non è un sovversivo istituzionale – il che ne farebbe soltanto una «Istituzione» in più, l'Istituzione
sovversiva perfettamente inquadrabile nel Grande fratello di Orwell – ma è capace di andarsene per i fatti
suoi, abbandonando tutti i Grandi fratelli del mondo alla loro angoscia.
D.: E possibile, dunque, un'autonomia positiva dell'inconscio, nel senso che se l'inconscio si dà una
legge, non sarà anarchico... Ma si tratta di un Io inconscio, ossia di quelle componenti dell'Io che Freud
indicò come «pulsioni dell'Io», differenziandole così da quelle che sono riferibili all'ES, oppure si tratta di un
inconscio totale?
R.: Ma insomma: o si esalta l'Io in modo non credibile, o lo si umilia più di quanto non lo sia già
stato. O autonomo o servo. L’Io deve tornare ad essere quello che è stato nel bambino, quando elaborava le
teorie sessuali infantili – da premio Nobel! – e poi non ha più saputo esserlo, o gli è stato impedito di esserlo.
Queste teorie sono state le fondamenta dell'inconscio, che come tale è un inconscio positivo, ossia posto, e
dall'Io infantile stesso, che aveva ragione («ragion pratica»), e ci vogliono anni di analisi per scoprirlo.
D.: E sarebbe questo inconscio positivo a cercare le vie dell'alleanza?
R.: Certamente. sì. A questo punto l'Io ha solo da aspettarsi – non stando fermo, ma prendendo
l'iniziativa che gli pare – di incontrare un Altro che abbia almeno l'intelligenza di sapere, con la moralità del
non ingannarlo, che l'Alleato è tutto ciò per cui esiste l'inconscio.
D.: In una parte del suo libro che va sotto la denominazione di «Addenda» (quindi di riflessioni
aggiuntive, necessarie, anche se non espressamente strutturali rispetto a «Leggi») e in particolare nel capitolo
«Freud-scienza, amore e psiche» lei parla de «La gnosi contro Freud». La sua precisazione è chiara, visto che
afferma: «... l'antifreudismo in seno alla psicoanalisi fin dagli anni ‘10 e fino a oggi, si è espresso nella
mobilitazione di tutte le risorse della politica culturale gnostica». Sarebbe però utile che lei aggiungesse qui
un'ulteriore precisazione in proposito. anche per chiarire di che Gnosi si tratta...
R.: Ne ha parlato implicitamente lo stesso Freud quando ha osservato la seconda fase delle resistenze
alla psicoanalisi: non critica frontale – che significa pur sempre prendere in considerazione qualcosa come
Altro da sé – ma metabolizzazione, infiltrazione, assunzione di parole separate dai concetti, una benevolenza
annientante, un abbraccio mortale. Ne voglio scrivere più avanti. Ne indico qui due indici ben poco esoterici:
la concezione ormai corrente della pulsione – il corpo umano in quanto umanizzato – come perversione
originaria: la confusione tra pulsione = corpo, e inconscio = pensiero, res cogitans legem corporis, ho scritto.
D.: La sua risposta mi sembra chiarificatrice rispetto al fatto di una «politica culturale gnostica», che
caratterizza l'antifreudismo nel suo insieme. La domanda che ora le faccio, però, riguarda il fondamento della
sua teoria, cioè l'inconscio come competenza, capacità di pensare una legge adeguata, e con questa, una meta
soddisfacente alla pulsione, mediante l'Altro... Ecco, non crede che questa posizione teorica possa essere
intesa come una nuova forma di gnosticismo? Si potrebbe scorgervi un'idea di illuminazione, di un percorso
privilegiato... E l'operato morale, non potrebbe apparire sconfessato, in un ceno senso, da tutto ciò?
R.: Privilegio sì, illuminazione no, niente a che vedere. Ciò che dico è solo un millesimo di
millimetro al di là del buon senso, che pochi hanno, e che dovrebbe diventare senso comune, di giusta
distribuzione, intendo. Dico che l'inconscio è un puro criterio di convenienza giocato per mezzo dell'Altro (=
amore), infatti io scrivo con-venienza, anziché contrattazione metodica con l'Altro, che insieme all'amore fa
fallire anche la convenienza. Dico che l'Altro di questo convenire, o è reale. o non è, mentre lo gnosticismo
misticheggia a partire dall'aver liquidato l'intervenire d'Altri. Il pensiero del privilegio implica la più netta
distinzione reale e legale tra soggetto e Altro. Non c'è illuminazione, ma pensiero, elaborazione personale
costruttiva e critica. Pensiero che è morale perché soggetto e Altro non sono in reciproco esilio, ovvero odio.
Qualunque soluzione di tipo iniziatico non ha a che fare con la psicoanalisi. II «corpo pulsionale» parte già
come «animal grazioso e benigno»..., non è né da reprimere né da «liberare» come perversione.
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D.: Per cui il masochismo e il problema economico che lo concerne e su cui il Freud più maturo ebbe
a riflettere, sembrano varcare i limiti del pensiero psicoanalitico...
R.: Il masochismo è un regime (insisto sul termine e sulle sue valenze storico-politiche) che gestisce
senza legge la condizione di fallimento della legge stessa.
D.: Qualcuno potrebbe dire che Freud è lontano da tutto ciò?
R.: Freud è tutto ciò, come sorgente... Vede, la scienza di Freud è una scienza del moto: delle leggi
del moto pulsionale in difetto di legge. Questa, oggi, è l'idea-guida di Leggi. Con la pulsione, l'uomo non è
più fisico, ma meta-fisico.
© Studium Cartello – 2007
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