FACOLTÀ DI INGEGNERIA Corso di Laurea in Ingegneria delle Telecomunicazioni Tesi di Laurea Effetti dell’electron cloud sulla dinamica del fascio di particelle in macchine acceleratrici Relatore: Prof. Stefania Petracca Correlatore: Dott. Theo Demma Candidato: Francesco Maria Velotti Anno Accademico 2008 - 2009 matr.196/510 Indice 1 Introduzione 1 2 Cenni sugli Acceleratori 3 2.1 Definizioni sul moto di particelle relativistiche . . . . . . . . . . . . . 4 2.2 Concetti generali sugli acceleratori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7 2.3 Luminosità per collider ad alta energia . . . . . . . . . . . . . . . . . 11 3 Dinamica Lineare 3.1 13 Dinamica trasversale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 14 3.1.1 Focheggiamento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 16 3.1.2 Oscillazioni di betatrone . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 24 3.2 Emittance e admittance . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 33 3.3 Dinamica longitudinale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 37 4 Radiazione di Sincrotrone 45 4.1 Radiazione per particelle relativistiche . . . . . . . . . . . . . . . . . 46 4.2 Smorzamento delle oscillazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 49 5 Wake Fields 54 5.1 Funzioni di wake . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 54 5.2 Impedenze . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 58 i INDICE ii 6 Electron Cloud 62 6.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 62 6.2 Build-up dell’electron cloud . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 66 6.3 Sorgenti di elettroni primari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 66 6.4 Interazione elettrone-bunch . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 67 6.4.1 Bunch cilindrico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 69 6.4.2 Bunch con distribuzione di carica non uniforme . . . . . . . . 71 6.5 Secondary electron yield . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 72 6.6 Effetti di saturazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 76 6.7 Descrizione dell’evoluzione dell’electron cloud tramite mappa cubica . 77 6.7.1 Formalismo della mappa cubica . . . . . . . . . . . . . . . . . 78 6.7.2 Calcolo del coefficiente lineare . . . . . . . . . . . . . . . . . . 80 7 Instabilità Causate dall’Electron Cloud 7.1 Instabilità di single-bunch . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 85 7.1.1 7.2 84 Schemi di simulazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 89 Instabilità di multi-bunch . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 91 7.2.1 Tracking dell’instabilità di multi-bunch . . . . . . . . . . . . . 95 8 Possibili soluzioni 97 8.1 Uso dei solenoidi per sopprimere l’electron cloud in DaΦne . . . . . . 97 8.2 Simulazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 99 8.2.1 Regioni con bassa fotoemissione . . . . . . . . . . . . . . . . . 99 8.2.2 Regioni con alta fotoemissione . . . . . . . . . . . . . . . . . . 103 A Lagrangiana ed Hamiltoniana 107 Ringraziamenti 117 Capitolo 1 Introduzione I campi elettrici presenti nella camera a vuoto di un acceleratoere possono far collidere gli elettroni prodotti da foto-emissione, ionizzazione di gas residui, ecc. verso le pareti della camera a vuoto. Se gli elettroni che bombardano le pareti possiedono sufficiente energia, si produrranno elettroni secondari, che una volta accelerati potranno colpire a loro volta la superficie producendo ancora elettroni. Sotto opportune condizioni, si produce, in tal modo, un meccanismo di moltiplicazione a valanga degli elettroni prodotti dalle collisioni noto come multipacting effect. Si crea così una nube di elettroni all’interno della camera (electron cloud ) che, se sufficientemente densa, può incidere negativamente sul funzionamento e sulle prestazioni della macchina, causando, ad esempio, la perdita del fascio, l’aumento dell’emittanza, degradazione del vuoto, e disturbi sulla diagnostica dei fasci. Lo studio dell’insorgenza dell’electron cloud e dei suoi effetti, avendo grande evidenza sperimentale in numerose macchine acceleratrici, è già da alcuni anni uno dei temi di maggiore rilevanza nell’attivita’ di ricerca sugli effetti collettivi nella dinamica dei fasci di particelle nella comunità scientifica internazionale [13, 26, 20, 18, 27]. Il lavoro che ha condotto alla stesura di questa tesi è iniziato con lo studio della fisica del fenomeno dell’electron cloud, dandone una giustificazione da un punto di vista formale [17], ed è proseguito con l’acquisizione e utilizzo di codici di si1 CAPITOLO 1. INTRODUZIONE 2 mulazione (ECLOUD [25]) per visualizzarne i possibili effetti sulla dinamica delle particelle, successivamente è stato utilizzato un metodo semi analitico, per trattare l’evoluzione di alcuni parametri di merito del fenomeno, introdotto in letteratura da Iriso, Petracca e Demma [18], [19], che oltre a produrre un risparmio molto significativo dei tempi di calcolo, migliora la comprensione della fisica del problema nella sua formulazione analitica. Gli strumenti acquisiti, i codici di simulazione ed il metodo semi analitico sono stati applicati allo studio dei parametri della macchina acceleratrice DaΦne dei Laboratori Nazionali di Frascati dell’INFN con risultati molto soddisfacenti, in particolare si è ottenuto un ottimo accordo tra valori ottenuti dalla simulazione, quelli ricavati utilizzando il metodo semianalitico e i risultati sperimentali. Il contenuto della Tesi è organizzato in sette capitoli. Il primo capitolo contiene dei cenni sulla macchine acceleratrici e loro grandezze fondamentali. Nel secondo viene introdotto il formalismo necessario per studiare il moto delle particelle all’interno della camera a vuoto. Il terzo si occupa della radiazione di sincrotrone, che è una delle cause principali della formazione dell’electron cloud. Il quarto capitolo tratta brevemente dei campi scia (wake fields). Nel quinto capitolo è illustrato il fenomeno dell’electron cloud, i parametri che lo caratterizzano, ed il metodo semi analitico utilizzato per lo studio. Nel sesto sono illustrate le instabilità indotte dall’electron cloud, dal punto di vista sia analitico che numerico. L’ultimo capitolo contiene i risultati numerici ottenuti con il codice di simulazione ECLOUD per DaΦne e viene considerato un espediente sperimentale per sopprimere l’insorgenza dell’electron cloud. Capitolo 2 Cenni sugli Acceleratori Lo studio sperimentale dei nuclei e delle particelle elementari e delle loro interazioni consiste in larga parte nello studio di processi di collisione tra particelle ad energie sufficientemente elevate. Un importante aiuto lo riceviamo da apparati in grado di fornire fasci continui o impulsati di particelle (cariche o neutre) con energia e intensità adeguate allo scopo prefissato. La natura, in realtà, mette a disposizione delle sorgenti naturali di particelle come i raggi cosmici e le sorgenti radioattive. I raggi cosmici incidenti sull’atmosfera terrestre hanno uno spettro in energia che raggiunge valori compresi tra 1018 e 1019 eV, anche se con intensità molto piccole. Le limitazioni dei raggi cosmici come fasci naturali di particelle energetiche in termini di intensità e di dispersione in energia e direzione, rendono comunque necessaria la costruzione di “sorgenti artificiali” quali acceleratori, accumulatori, colliders, ecc. Il più potente acceleratore di particelle costruito è l’LHC, entrato in funzione soltanto nello scorso autunno, il quale potrà raggiungere energia di singolo fascio pari a 7 TeV. 3 CAPITOLO 2. CENNI SUGLI ACCELERATORI 2.1 4 Definizioni sul moto di particelle relativistiche Seguendo la convenzione standard definiamo la velocità relativistica β e il fattore di Lorentz γ come β= v c (2.1) �− 1 � γ = 1 − β2 2 (2.2) con v velocità della particella e c velocità della luce nel vuoto. L’energia totale, la quantità di moto e l’energia cinetica per una particella con massa a riposo m, sono rispettivamente: (2.3) U = γmc2 , U , c (2.4) W = (γ − 1) mc2 . (2.5) p = βγmc = β La relazione tra l’energia e la quantità di moto è: � U = (pc)2 + (mc2 )2 . (2.6) Le particelle generalmente accelerate sono gli elettroni con massa me = 0.511 MeV e i protoni con massa mp = 938 MeV. Generalmente distinguiamo tre possibili casi: γ�1 Non relativistico (N.R.) γ>1 Relativistico γ�1 Ultra relativistico (U.R.) CAPITOLO 2. CENNI SUGLI ACCELERATORI 5 Espandiamo ora l’Eq. (2.2) per β piccolo e otteniamo γ � 1+ 12 β 2 , quindi sostituendo in (2.5) otteniamo: 1 1 W � mc2 β 2 = mv 2 2 2 (2.7) che è l’energia cinetica classica. Introduciamo ora una serie di relazioni molto usate nello studio della fisica per gli acceleratori. Differenziando la (2.2) otteniamo: � �− 3 dγ = β 1 − β 2 2 dβ = βγ 3 . (2.8) Per un’accelerazione monodimensionale e per la (2.8), la seconda legge di Newton diventa F = dp d dv dv = mc (βγ) = γ 3 m = m∗ , dt dt dt dt (2.9) definendo come massa effettiva, m∗ = dp d (γmv) = = mγ 3 . dv dv (2.10) Come già accennato, le particelle cariche sono accelerate da forze elettromagnetiche, le quali sono descritte dall’equazione di Lorentz: �→ → − − − → −� F =q E +→ v ×B . (2.11) Se non c’è campo elettrico ma esclusivamente un campo magnetico uniforme, l’ Eq. (2.11) può essere scritta come � → � − − → − → − d→ p d d− v dγ → d→ v → − → − − F =qv ×B = = (γm v ) = m γ + v = γm , dt dt dt dt dt (2.12) �→ � �− � − − − dove β = � β � è una costante, quindi (dγ/dt) = 0. La velocità → v =→ ω ×→ ρ , definita − dalla velocità angolare → ω e dal raggio, è costante per una forza centrale con modulo CAPITOLO 2. CENNI SUGLI ACCELERATORI 6 costante. Il cyclotron radius ρ è il raggio di curvatura della traettoria. L’Eq. (2.12) diventa − → − d→ ρ → − → − − − q v × B = γm ω × = γm→ ω ×→ v. dt (2.13) → − Nel caso in cui la particella ha velocità iniziale perpendicolare a B , si ha qvB = γmωv = γm v2 , ρ (2.14) quindi la forza di Lorentz è la forza centripeta che mantiene la particella di carica q e massa m su un’orbita circolare. Dividendo l’Eq. (2.14) per v/ρ, otteniamo la relazione che lega la quantità di moto con il raggio di curvatura, il campo magnetico e la carica della particella: p = βγmc = qBρ. (2.15) Per una particella con la stessa carica dell’elettrone, è utile ricodare p [GeV/c] � 0.3B [T ] ρ [m] (2.16) e (Bρ) rappresenta la rigidità magnetica. Altre relazioni importanti sono: ω= eB γm � � � ⊥� = γ E � ⊥ + �v × B �⊥ E �� = E �� E � � � � �⊥ � ⊥ − �v × E �⊥ B = γ B � �� = B � � B (2.17) (2.18) (2.19) (2.20) (2.21) dove nella (2.17) ω è la velocità angolare o frequenza del ciclotrone ed e è la carica dell’elettrone, ed i simboli � e ⊥ rappresentano rispettivamente la componente CAPITOLO 2. CENNI SUGLI ACCELERATORI 7 Figura 2.1: Esempio di acceleratore circolare (LEP), in cui si possono osservare le componenti principali. parallela ed ortogonale alla velocità. [1] 2.2 Concetti generali sugli acceleratori In generale un acceleratore di particelle è composto da alcuni elementi fondamentali (fig. 2.1): • una sorgente di ioni o elettroni; • una camera a vuoto (vacuum chamber) all’interno della quale le particelle sono accelerate; CAPITOLO 2. CENNI SUGLI ACCELERATORI 8 • un dispositivo di guida e focalizzazione (bending e focusing magnets), che utilizza campi magnetici per mantenere le particelle in prossimità di un’orbita o traiettoria di riferimento; • un sistema di accelerazione (RF cavity), che mediante campi elettrici fornisce energia alle particelle e le accelera; • dispositivi di misura e correzione, per controllare l’intensità, la posizione e le dimensioni del o dei fasci nel corso del processo di accelerazione ed eventualmente del periodo in cui i fasci restano accumulati e, se necessario, correggere automaticamente posizione, dimensioni e dispersione in energia del o dei fasci; • nel caso di acceleratori che producono un fascio da utilizzare su bersaglio fisso, un bersaglio interno all’accumulatore o un sistema che consenta l’estrazione del fascio e lo convogli su uno o più bersagli esterni; nel caso di un collider il “bersaglio” e’ costituito da un secondo fascio accumulato, circolante in senso opposto al primo. [2] Possiamo ora dividere gli acceleratori in due grandi famiglie: quelli che accelerano le particelle tramite tensione continua e quelli che accelerano mediante campi elettromagnetici variabili nel tempo. Nel primo caso è applicata una d.d.p. costante elevata tra la sorgente di ioni e il bersaglio; tale d.d.p. è ottenuta tramite un alimentatore di tensione AC e un sistema di raddrizzatori a diodi. Questo tipo di acceleratori soffrono però di un forte limite, ovvero non possono raggiungere elevata energia a causa di fenomeni di scarica. Per ovviare a tale limite si utilizzano tecniche di accelerazione mediante campi elettromagnetici variabili nel tempo. In generale si sfrutta il doppio ruolo del campo magnetico, ovvero dovrà mantenere il fascio su un’orbita circolare e dovrà CAPITOLO 2. CENNI SUGLI ACCELERATORI 9 accelerarlo. Consideriamo la forza di Lorentz � � d�p � � = q E + �v × B , dt (2.22) in cui il secondo membro, non considerando il campo elettrico, è d�p � orbit = q�v × B dt (2.23) allora per la (2.15) possiamo scrivere �Borbit = �p qρ (2.24) quindi ρ rimane costante. Vediamo ora come la variazione temporale del campo magnetico accelera il fascio: d�p � = qE dt (2.25) considerando l’equazione in forma integrale di Maxwell � � =−d � · dl E dt Cρ � Σρ � � · ds B (2.26) allora dp qρ dBavg = dt 2 dt (2.27) e quindi abbiamo �p = qρ �Bavg . 2 (2.28) Da cui si evince che affichè il fascio sia accelerato e ρ resti costante deve valere la relazione �Borbit = �Bavg . 2 (2.29) CAPITOLO 2. CENNI SUGLI ACCELERATORI 10 Quanto descritto finora è l’idea che sta alla base del funzionamento degli acceleratori in generale, ma in particolare del betatrone. [1] Gli acceleratori basati sulla condizione di accelerazione risonante sfruttano un campo elettrico oscillante, in fase con il passaggio delle particelle, per accelerare il fascio; quest’ultimo presenta una struttura discontinua nella coordinata longitudinale, ovvero è diviso in bunches (gruppi di particelle vicine tra loro nella coordinata longitudinale, separati da intervalli spopolati). Per questo tipo di acceleratori ci sono tre implementazioni fondamentali: • acceleratore lineare (LINAC), è costituito da una serie di tubi di drift, intervallati da gap acceleratrici, nel quale i fasci percorrono una trettoria rettilinea; • (sincro) ciclotrone, è formato da due elettrodi a forma di D nei quali il fascio percorre una traettoria a spirale in quanto il campo magnetico è costante e tra i due elettrodi le particelle sono accelerate dal campo elettrico, quindi il raggio di curvatura è crescente; • sincrotrone, ha una forma circolare in quanto il raggio di curvatura si mantiene costante ed è formato da una o più cavità acceleratrici le quali sono attraversate ripetutamente dalle particelle. In questa struttura il campo magnetico cresce quasi linearmente con quello elettrico. [1] Gli acceleratori hanno vari scopi: • ricerca per la fisica delle alte energie, ovvero le particelle accelerate sono fatte scontrare tra loro o contro un bersaglio fisso per studiare i prodotti dell’interazione e per dare uno sguardo più da vicino agli elementi di base della materia; • ricerca per la fisica nucleare, ovvero studiare le interazioni di ioni completamente nudi con l’obiettivo di indagare sulla struttura, sulle interazioni e sulle proprietà dei nuclei; CAPITOLO 2. CENNI SUGLI ACCELERATORI 11 Figura 2.2: Collisione di una singola particella di un fascio con un bunch di un altro fascio. • produzione di luce di sincrotrone, in quanto utilizzata nello studio della struttura atomica, della chimica, della fisica della materia condensata, della biologia e della tecnologia; • applicazioni mediche, ad esempio trattamento del cancro tramite bombardamento con adroni. 2.3 Luminosità per collider ad alta energia A causa dell’utilizzo di campi variabili nel tempo per produrre accelerazione in macchine ad alta energia, questi dispositivi tendono a produrre fasci di particelle non continui, ma costituiti da sequenze di bunches (“pacchetti” di particelle). Si supponga che un bunch si stia muovendo in una direzione e che, nello stesso acceleratore, ce ne sia un altro che si stia muovendo in direzione opposta. Entrambi hanno sezione trasversale A e contengono N particelle. Ogni particella di un bunch “vedrà” una frazione dell’area dell’altro bunch N σint /A oscurata dalla sezione trasversale d’interazione σint . Questa situazione è mostrata in fig. 2.2. CAPITOLO 2. CENNI SUGLI ACCELERATORI 12 Il numero di interazioni per ogni passaggio di due fasci simili è quindi N 2 σint /A. Se la frequenza di collisione dei bunches è f , allora il rate di interazione è R=f N2 σint . A (2.30) La luminosità, L, è definita come il numero di interazioni per unità di tempo e di superficie trasversale L=f N2 . A (2.31) Una situazione più realistica si ha quando la distribuzione delle particelle nel piano perpendicolare alla direzione del moto è Gaussiana, o più propriamente, una distribuzione di Rayleigh. La funzione densità di probabilità per la distribuzione di particelle è funzione del raggio r in una distribuzione a simmetria cilindrica: dn (r) = N − r22 e 2σ r dr. σ2 (2.32) Per questa distribuzione la luminosità assume la forma L=f N2 . 4πσ 2 (2.33) L’unità di misura della luminosità è cm−2 s−1 , ad esempio DaΦne a luminosità 1032 cm−2 s−1 ed LHC a 1034 cm34 s−1 . Capitolo 3 Dinamica Lineare Come detto nel capitolo precedente, il sincrotrone è un acceleratore in cui la variazione del campo magnetico e della pulsazione delle cavità a RF mantiene stabile l’orbita delle particelle (ρ costante) e le particelle continuano ad essere sincrone con la fase del campo acceleratore. Abbiamo detto che l’orbita resta stabile, quindi il campo magnetico necessario per mantenere chiusa l’orbita deve essere ”creato” solo in corrispondenza di essa. Ciò consente di realizzare macchine acceleratrici di grandi dimensioni, ad esempio come l’LHC del CERN in cui L ∼ 27 Km. In un acceleratore di questo tipo, le particelle compiono un numero molto elevato di rivoluzioni, quindi il problema fondamentale risulta essere quello della stabilità dei fasci e le eventuali correzioni riguardanti: • le inevitabili deviazioni dall’orbita delle particelle sincrone ( particelle con energia pari all’energia nominale del fascio); • le dimensioni trasversali del fascio; • la sincronia di accelerazione.[2] 13 CAPITOLO 3. DINAMICA LINEARE 14 Figura 3.1: Caratterizzazione dei gradi di libertà trasversi e longitudinali rispetto al moto di una particella. Figura 3.2: Particelle cariche in moto immerse in un campo magnetico uniforme subiscono una deflessione (a) perpendicolare alle linee di campo, (b) parallela alle linee di campo. 3.1 Dinamica trasversale Le oscillazioni di betatrone avvengono nel piano (x, y) ortogonale alla direzione del fascio (fig. 3.1). Le frequenze delle oscillazioni trasverse sono molto più grandi rispetto alla frequenza tipica delle oscillazioni di fase, quindi il moto longitudinale può essere trattato indipendentemente.[2] Le particelle si muovono lungo orbite circolari immerse in un campo magnetico uniforme, il quale produce il focheggiamento. Supponiamo che la particella subisca una deflessione angolare nel piano ortogonale al campo magnetico, l’orbita risultante sarà comunque circolare, con raggio invariato ma centro differente, come mostrato in fig. 3.2. La seconda orbita sta eseguendo un’oscillazione stabile rispetto alla prima. Sfortunatamente, se la deflessione ha una componente lungo le linee di campo magnetico, l’orbita diventerà successivamente una spirale infinita, quindi non c’è focheggiamento CAPITOLO 3. DINAMICA LINEARE 15 Figura 3.3: Sistema di riferimento di Frenet-Serret lungo l’orbita di riferimento. rispetto a questo grado di libertà. [2] Si consideri il sistema di riferimento locale mostrato in fig. 3.3, dove: • s è la lunghezza dell’arco (misurata sull’orbita) tra un punto arbitrario fissato Q e un punto generico P ; • O (s) è il centro del cerchio osculatore di raggio ρ; • ρ = ρ (s) è il raggio di curvatura della traiettoria ideale di riferimento (orbita chiusa della particella sincrona) ; • r = r (s) è la distanza della traiettoria generica dall’asse y passante per O(s); • x = x (s) e y = y (s) sono le coordinate di betatrone che descrivono le oscillazioni trasverse; • x = x (s) = r (s) − ρ (s); • R = R (s, x, y) è il raggio di curvatura locale della trettoria generica della particella. CAPITOLO 3. DINAMICA LINEARE 3.1.1 16 Focheggiamento Nel piano orizzontale (y = 0), dall’Eq. (2.15) e rispetto al sistema di riferimento locale, possiamo scrivere: R (s, x, y) = p qBy (s, x, y) (3.1) ponendo x = 0 si ha (3.2) R (s, x = 0, y = 0) = ρ (s) . Derivando parzialmente la (3.1) rispetto ad x: ∂R dR ∂By ρ (s) (s, x = 0, y = 0) = =− ∂x dBy ∂x By (s, x = 0, y = 0) � ∂By ∂x � , (3.3) x=0,y=0 con B0 (s) ≡ By (s, x = 0, y = 0) (3.4) si definisce l’indice di campo n (s): ρ (s) n (s) ≡ − B0 (s) � ∂By ∂x � (3.5) x=0,y=0 e omettendo per semplicità di notazione la dipendenza da s, la (3.5) diventa: ∂R (x = 0) = n. ∂x (3.6) La condizione di stabilità dell’orbita nel piano orizzontale può essere scritta come: R (x) < r (x) x > 0 . R (x) > r (x) x < 0 (3.7) CAPITOLO 3. DINAMICA LINEARE 17 Considerando x � ρ, con r = ρ + x, nell’intorno di x = 0 si ha R (x) � ρ + � ∂R ∂x � x, (3.8) x=0 e la condizione di focheggiamento (3.7) nel piano orizzontale diventa n < 1. (3.9) Si noti che la condizione di focheggiamento orizzontale è soddisfatta anche per n ≤ 0; per la precisione, quanto minore è n, tanto più “forte” sarà l’effetto di focheggiamento orizzontale. Analizziamo ora il focheggiamento nel piano verticale (x = 0). Supponiamo che il campo magnetico non abbia componenti lungo s e nel piano dell’orbita di riferimento (y = 0) sia � (s, x, y = 0) = By (s, x) ûy ; B (3.10) allora la forza di Lorentz sarà data da: � = −qvs By ûx + qvs Bx ûy + q (vx By − vy Bx ) ûs F� = q�v × B (3.11) Fy = qvs Bx . (3.12) ovvero Quindi la condizione di focheggiamento nel piano verticale risulta <0y>0 Fy >0y<0 (3.13) CAPITOLO 3. DINAMICA LINEARE essendo vs > 0 e q > 0 Bx allora per la (3.10) abbiamo � ×B � = 0, quindi Essendo ∇ <0y>0 >0y<0 18 (3.14) ∂Bx < 0. ∂y (3.15) ∂By ∂Bx = ∂x ∂y (3.16) la condizione di focheggiamento nel piano verticale diventa ∂By <0 ∂x (3.17) n > 0. (3.18) ovvero � ed n indipendenti da s, entrambe le condizioni di focheggiamento (3.9) Essendo B e (3.18) sono soddisfatte simultaneamente e vale la condizione di focheggiamento debole (weak focusing): 0 < n < 1, (3.19) Se n � −1 e per n � 1 si parla di focheggiamento forte (strong focusing) che corrisponde ad una sequenza di magneti caratterizzati alternativamente da n � 1 e n � 1. In un acceleratore sono utilizzati due tipi di magneti: � (x, y) = By ûy uniforme sia in • dipoli, che producono un campo magnetico B x che in y. Essi assicurano che l’orbita di riferimento sia chiusa, ma non possiedono alcuna funzione di focheggiamento; • quadrupoli, i quali possono avere rispettivamente n � −1 e n � 1. So- CAPITOLO 3. DINAMICA LINEARE 19 Figura 3.4: Coordinate per descrivere il moto nei due piani trasversali (con p fissato). no caratterizzati da un campo magnetico sull’asse di simmetria, ma se sono disposti in maniera tale che l’orbita di riferimento passi per tale asse, non hanno alcun effetto sull’orbita di riferimento e svolgono soltanto una funzione di focheggiamento. Per discutere ora, sotto quali condizioni una disposizione di dipoli e quadrupoli possiede proprietà focheggianti in entrambi i piani trasversali, bisogna innanzitutto specificare la struttura, tipicamente periodica, della successione degli elementi magnetici lungo l’orbita di riferimento; introdurre un linguaggio per la descrizione del moto nei due piani trasversali, insieme ad opportune approssimazioni. Considerando ora il moto, con p fissato, nelle coordinate orizzontali (x, x� ), come in fig. 3.4, la sola componente del campo magnetico che ci interessa è quella verticale By , il cui valore dipende, in un quadrupolo, solo da x; quindi il moto nei due piani trasversali risulta disaccoppiato. Se lo spessore l dei quadrupoli è piccolo rispetto al raggio di curvatura R della traettoria da essi introdotto, il campo magnetico sulla traettoria è uniforme e il suo valore può quindi essere considerato come funzione della coordinata xin della traettoria all’ingresso del quadrupolo (fig. 3.5). Questa approssimazione è definita come approssimazione di lente sottile (thin lens): xout = xin . La relazione (2.15) con By (x) = ∂By x ∂x (3.20) CAPITOLO 3. DINAMICA LINEARE 20 Figura 3.5: Deflessione di una particella mediante un elemento magnetico sottile. diventa p = qBy (x) R = q ∂By xR ∂x (3.21) L’inclinazione della traettoria della particella sarà: e lo sfasamento � � � � � ql ∂By � � l ∂By � l � � � |θ| � = xin � = � xin �� R � p ∂x (Bρ) ∂x (3.22) ∆x� ≡ x�out − x�in , (3.23) B�l xin . (Bρ) (3.24) con x� ≡ dx/ds, vale: ∆x� � − L’effetto di un quadrupolo sulle coordinate (x, x� ) può essere rappresentato in forma matriciale: x x� out 1 0 x = − f1 1 x� (3.25) out CAPITOLO 3. DINAMICA LINEARE 21 Figura 3.6: Lente sottile convessa. in cui la distanza focale della lente del quadrupolo vale f≡ (Bρ) ; B�l (3.26) positiva nel caso di quadrupolo focheggiante, come mostrato in fig. 3.6, negativa nel caso di quadrupolo defocheggiante. La dinamica delle particelle nello spazio libero (drift) di lunghezza L tra due quadrupoli consecutivi è descritto dalla relazione x x� out 1 L x = . 0 1 x� (3.27) in Quindi per descrivere la dinamica tra due punti s1 e s2 sulla traettoria si introduce la relazione x x = M (s1 , s2 ) x� x� s2 (3.28) s1 dove M (s1 , s2 ) è la matrice 2 × 2 che si ottiene moltiplicando tra loro le matrici corrispondenti a tutti gli elementi magnetici compresi tra s1 e s2 : M (s1 , s2 ) = � Mi . (3.29) i La successione periodica di elementi magnetici, detta reticolo magnetico (magnetic lattice) individua una cella fondamentale detta FODO, in cui: CAPITOLO 3. DINAMICA LINEARE 22 • F rappresenta un quadrupolo focheggiante; • O rappresenta un dipolo, drift space; • D rappresenta un quadrupolo defocheggiante e la matrice M corrispondente è 1 L 1 0 1 L 1 0 MF ODO = = 1 1 0 1 1 0 1 − 1 f f � �2 L L L2 2L + f 1− f − f − fL2 1 + Lf (3.30) (3.31) Una serie di elementi successivi aventi matrici M1 , M2 , ...., Mn , saranno descritti dalla matrice della rivoluzione completa: M = Mn ...M2 M1 (3.32) e per n rivoluzioni di macchina si ha x Mn x� . (3.33) xin Se ora V1 e V2 sono gli autovettori di M e λ1 e λ2 gli autovalori, tali che M Vi = λi Vi , un vettore generico si scriverà x = AV1 + BV2 x� (3.34) CAPITOLO 3. DINAMICA LINEARE 23 dove A e B sono due costanti; dopo n rivoluzioni si ha x n n Mn = Aλ1 V1 + Bλ2 V2 . x� (3.35) in La condizione di stabilità è equivalente alla richiesta che λn1 e λn2 non crescano con n. Notiamo che M è il prodotto di matrici con determinanti unitari, quindi anche M avrà determinante uguale ad 1. Allora gli autovalori di M sono uno il reciproco dell’altro: 1 , λ1 (3.36) λ1 = eiµ (3.37) λ2 = e−iµ (3.38) λ2 = quindi, in generale, possiamo scrivere dove µ è un numero complesso e per la condizione di stabilità, µ deve essere reale. Ponendo a b M = c d (3.39) e risolvendo l’equazione agli autovalori det(M − λI) = 0 (3.40) (ad − bc) − (a + d) λ + λ2 = 0. (3.41) otteniamo CAPITOLO 3. DINAMICA LINEARE 24 Essendo (ad − bc) = det (M ) = 1 scriveremo λ−1 + λ = a + d ≡ T rM, (3.42) dove T rM è la traccia di M . Esprimendo λ in termini di µ eiµ + e−iµ = 2 cos µ = T rM, (3.43) quindi la condizione di stabilità sarà1 1 − 1 ≤ T rM ≤ 1. 2 (3.44) Nel caso particolare di un reticolo costituito dalla ripetizione periodica della cella FODO, per la (3.31), la condizione di stabilità diventa 1 −1≤1− 2 o, semplificando [2] 3.1.2 � �2 L ≤1 f � � �L� � � ≤ 1. � 2f � (3.45) (3.46) Oscillazioni di betatrone Consideriamo ora una particella che percorre, immersa in un campo magnetico con gradiente B � = ∂By /∂x, una distanza ∆s. Riprendendo l’Eq. (3.24), vediamo che l’inclinazione della traettoria di una particella cambia di ∆x� , quindi: ∆x� B � (s) =− x. ∆s (Bρ) 1 (3.47) La condizione di stabilità è indipendente dal punto di partenza, in quanto la traccia di un prodotto di matrici è invariante rispetto a permutazioni cicliche delle matrici. CAPITOLO 3. DINAMICA LINEARE 25 Figura 3.7: Variazione del versore x. Facendo il limite per ∆s → 0, otteniamo un’equazione differenziale del secondo ordine x�� + B � (s) x = 0. (Bρ) (3.48) Se il campo magnetico è diverso da zero sulla traettoria di riferimento, come ad esempio nei dipoli, allora l’Eq. (3.48) rappresenta la differenza tra le variazioni di inclinazione della particella in questione e quella della particella ideale. Essenzialmente abbiamo ottenuto l’equazione del moto in due passaggi, però ora procederemo ad una derivazione più rigorosa di tali equazioni. Si consideri come traettoria di riferimento una linea diritta o una singola curva planare chiusa; per ottenere le equazioni del moto per le oscillazioni di betatrone in un LINAC o in un sincrotrone. Nella geometria mostrata in fig. 3.3, la posizione di una particella può essere � (da non confondersi con R (s, x, y)) nella forma espressa come un vettore R � = rûx + yûy , R (3.49) dove, come detto in precedenza, r ≡ ρ + x. L’equazione del moto in generale è d�p � = e�v × B, dt (3.50) CAPITOLO 3. DINAMICA LINEARE 26 � abbia componenti radiali e verticali e ignorato le possibili ma assumendo che B componenti lungoûs si ha: � � � � � ûx ûy ûs � � � � � � � �v × B = � vx vy vs �� = −vs By ûx + vs Bx ûy + (vx By − vy Bx ) ûs . � � � � � Bx By 0 � (3.51) Se ignoriamo la radiazione prodotta da cariche accelerate, l’energia e il fattore di Lorentz γ, non cambieranno in un campo magnetico statico e si ha d�p d �˙ = γmR �¨ = γmR dt dt (3.52) � �¨ = e�v × B . R mγ (3.53) �˙ = ṙûx + rû˙ x + ẏûy ; R (3.54) û˙ x = θ̇ûs , (3.55) e quindi �˙ Sia R: dalla fig. 3.7 si ha: dove θ̇ ≡ vs /r e quindi la (3.54) diventa �˙ = ṙûx + rθ̇ûs + ẏûy R (3.56) ma derivando ancora si ottiene � � �¨ = r̈ûx + 2ṙθ̇ + rθ̈ ûs + rθ̇û˙ s + ÿûy . R (3.57) La nuova quantità è û˙ s . Con lo stesso procedimento utilizzato per calcolare û˙ x si CAPITOLO 3. DINAMICA LINEARE 27 Figura 3.8: Confronto della lunghezza del tratto ds lungo l’orbita di riferimento, con la lunghezza vs dt lungo la traettoria della particella. ottiene e quindi û˙ s = −θ̇ûx (3.58) � � � � �¨ = r̈ − rθ̇2 x̂ + 2ṙθ̇ + rθ̈ ûs + ÿûy . R (3.59) L’equazione del moto nella direzione di ûx è: r̈ − rθ̇2 = − evs By ev 2 By =− s ; γm γmvs (3.60) essendo vx � vs e vy � vs , una buona approssimazione della quantità di moto totale p della particella è γmvs , allora r̈ − rθ̇2 = − evs2 By . p (3.61) Poniamo ora s come variabile indipendente d ds d = ; dt dt ds (3.62) CAPITOLO 3. DINAMICA LINEARE 28 dalla fig. 3.8 si vede che ρ ds = ρdθ = vs dt , r (3.63) quindi assumendo che d2 s/dt2 = 0 abbiamo d2 = dt2 � ds dt �2 � ρ �2 d 2 d2 = vs ds2 r ds2 (3.64) e utilizzando l’Eq. (3.60) e la definizione di r, l’equazione del moto diventa d2 x ρ + x By − =− 2 2 ds ρ (Bρ) � x 1+ ρ �2 ; (3.65) con analoghi procedimenti si può ottenere l’equazione del moto per la direzione ûy :2 d2 y Bx = ds2 (Bρ) � x 1+ ρ � .2 (3.66) Considerando l’espansione in serie, troncata al primo ordine, dei campi: ∂Bx ∂Bx y+ x ∂y ∂x ∂By ∂By = By (0, 0) + y+ x, ∂y ∂x Bx = Bx (0, 0) + (3.67) By (3.68) con l’ipotesi che l’acceleratore sia planare (Bx (0, 0) = 0) e il moto sia accoppiato (∂By /∂y, ∂Bx /∂x = 0), le equazioni del moto diventano � � d2 x 1 1 ∂By (s) + 2+ x = 0 ds2 ρ (Bρ) ∂x d2 y 1 ∂By (s) − y = 0 2 ds (Bρ) ∂x (3.69) (3.70) dove si è utilizzata la condizione al rotore (3.16) per eliminare Bx . Le equazioni (3.69), (3.70) risultano essere molto simili all’Eq. (3.48), ma quella 2 In generale queste sono equazioni non lineari, però in questo caso ci siamo limitati a considerare solo i termini del primo ordine, in quanto ipotizziamo che i campi varino linearmente con x� e y. CAPITOLO 3. DINAMICA LINEARE 29 in x risulta diversa solo per l’aggiunta di un termine ”centripeto”, originato dalla scelta delle coordinate curvilinee. Tali equazioni possono essere riscritte nella forma di equazioni di Hill : x�� + Kx (s) x = 0 (3.71) y �� + Ky (s) y = 0; (3.72) introducendo le funzioni K (s) (spring constant) 1 ∂By 1 + 2 (Bρ) ∂x ρ 1 ∂By Ky (s) = − . (Bρ) ∂x Kx (s) = (3.73) (3.74) che per gli acceleratori circolari sono periodiche con periodo pari alla lunghezza C dell’orbita ideale: K (s + C) = K (s) . (3.75) Una soluzione generale dell’equazione di Hill ha la forma x (s) = Aw (s) cos [ψ (s) + δ] (3.76) dove A e δ sono due costanti di integrazione che sono determinate dalle condizioni iniziali. Per calcolare w (s) e ψ (s), sostituiamo nell’Eq. (3.71) la soluzione generale (3.76) e otteniamo � � x�� + Kx = A (2w� ψ � + wψ �� ) sin (ψ + δ) + A w�� − wψ �2 + Kw cos (ψ + δ) = 0. (3.77) Affinchè le funzioni w e ψ siano indipendenti da δ occorre che i coefficienti dei termini CAPITOLO 3. DINAMICA LINEARE 30 in seno e coseno siano singolarmente nulli: 2w� ψ � + wψ �� = 0 w�� − wψ �2 + Kw = 0 (3.78) moltiplicando la prima della (3.78) per w otteniamo: � �� 2ww� ψ � + w2 ψ �� = w2 ψ � = 0 (3.79) e quindi w2 ψ � = h (3.80) h . w2 (3.81) con h costante ψ� = Usando la seconda relazione della (3.78) si ha l’equazione differenziale per w: w3 (w�� + Kw) = h2 . (3.82) che non richiede la periodicità della funzione. Imponendo invece che w (s) sia periodica, di periodo C, (3.76) può essere riscritta come x (s) = w (s) (A1 cos ψ + A2 sin ψ) (3.83) e quindi � x (s) = � � � � A2 A1 � A1 w (s) + h cos ψ (s) + A2 w (s) − h sin ψ (s) . w (s) w (s) � (3.84) CAPITOLO 3. DINAMICA LINEARE 31 Imponendo le condizioni iniziali x (s0 ) = x0 (3.85) x� (s0 ) = x�0 (3.86) w (s0 ) = w0 (3.87) w� (s0 ) = w0� (3.88) ψ (s0 ) = 0 (3.89) dove ψ (s) ≡ si ha � A1 = A2 = s s0 h ds̄, (s̄) (3.90) w2 x0 w0 (3.91) x�0 w0 −x0 w0� h e sostituendo la (3.91) nelle (3.83) e (3.84) si ottiene x (S0 + C) = � � � 2 � w0 w0� w0 cos ∆ψC − sin ∆ψC x0 + sin ∆ψC x�0 h h 1 + x (s0 + C) = − � � w0 w0� h w0 h �2 (3.92) � � w0 w0� sin ∆ψC x0 + cos ∆ψC + sin ∆ψC x�o ; h (3.93) dove si è posto w (s0 + C) = w0 (3.94) w� (s0 + C) = w0� (3.95) ψ (s0 → s0 + C) ≡ ∆ψC = � s0 +C s0 h ds̄ (s̄) w2 (3.96) in cui la (3.96) rappresenta l’avanzamento di fase su un’intera rivoluzione, indipen- CAPITOLO 3. DINAMICA LINEARE 32 dentemente dalla scelta di s0 , essendo w (s) periodica. Conviene introdurre nuove variabili dette ”parametri di Courant-Snyder ”: w2 (s) h 1 dβ (s) β� α (s) ≡ − =− 2 ds 2 2 1 + α (s) γ ≡ β (s) β (s) ≡ (3.97) (3.98) (3.99) dove β (s) è detta funzione di ampiezza. Sostituendo β (s) nella (3.82) si ha 2ββ �� − β 2 + 4β 2 K = 4 (3.100) in cui è sparita la dipendenza da h. La soluzione generale del moto può essere scritta in termini di parametri di Courant-Snyder : x (s) = A � β (s) cos (ψ (s) + δ) (3.101) in cui la costante h è inclusa in A e l’equazione ψ � (s) = 1 β (s) (3.102) descrive la dipendenza dell’ampiezza delle oscillazioni da s e mostra che β (s) può essere interpretata come una lunghezza d’onda locale dell’oscillazione divisa per 2π. Quanto detto finora varrà in generale, infatti l’avanzamento di fase tra due posizioni longitudinali s1 e s2 è dato univocamente da ∆ψ (s1 → s2 ) = � s2 s1 ds β (s) (3.103) cosichè, per un’acceleratore circolare, il numero di oscillazioni per una rivoluzione CAPITOLO 3. DINAMICA LINEARE 33 Figura 3.9: Mappatura dello spazio delle fase, giro dopo giro, in un acceleratore circolare. completa (tune dell’acceleratore) è: 1 ν= 2π 3.2 � ds . β (s) (3.104) Emittance e admittance In assenza di campo, la soluzione per un oscillazione di betatrone (3.101) può essere espressa in termini di x e x� ed eliminando le funzioni trigonometriche α (s) x (s) + β (s) x� (s) = −A � β (s) sin (ψ (s) + δ) . (3.105) Quadrando e sommando l’Eq. (3.101) e la (3.105) otteniamo A2 = γ (s) x2 (s) + 2α (s) x (s) x� (s) + β (s) x�2 (s) . (3.106) Quest’ultima relazione è detta invariante di Courant-Snyder ed è l’analogo dell’energia totale in un oscillatore armonico. Per una data traettoria, il valore di A è fissato e l’espressione dell’invariante di Courant-Snyder descrive, per ogni posizione CAPITOLO 3. DINAMICA LINEARE 34 Figura 3.10: Ellissi nello spazio delle fasi lungo la traettoria di riferimento. s, un’ellissi nel piano (x, x� ), come mostrato in fig. 3.9. Poichè β, quindi anche α e γ, dipende da s, la forma e l’orientazione dell’ellissi associata, per una data traettoria (A fissato), varieranno in funzione di s (fig. 3.10). Comunque al variare di s, le ellissi pur avendo stessa forma e orientazione avranno anche stessa area A. Dall’equazione generale di un’ellissi ax2 + 2bxy + cy 2 = d (3.107) si ha l’area dell’ellisse √ πd ac − b2 (3.108) che nel nostro caso, riferendoci all’Eq. (3.106), vale � πA2 βγ − α2 = πA2 , (3.109) e dimostra pertanto che l’area racchiusta all’interno della traettoria di una certa particella non accelerata nello spazio delle fasi (x, x� ) è costante. L’admittance è l’area della più grande ellissi nello spazio delle fasi che l’acceleratore accetterà. In ogni punto dell’acceleratore, il massimo valore che potrà assumere √ x è A β. Se la mezza apertura a disposizione del fascio è a (s), allora da qualche CAPITOLO 3. DINAMICA LINEARE parte ci sarà un minimo in a (s) / 35 � β (s). Quindi l’admittance sarà � a2 π β � . (3.110) min Nel caso particolare in cui si ha una mezza apertura uniforme a, senza l’intromissione √ di elettrodi o cose simili, il minimo in a/ β cadrà nel massimo della funzione di ampiezza, βmax ; allora admittance = πa2 βmax (3.111) L’area occupata nello spazio delle fasi dal fascio è detta emittance ed è indicata con il simbolo �. Essa è una proprietà del fascio, ovvero del modo in cui esso è stato preparato a partire dalla sorgente, più precisamente della distribuzione dei valori di A e δ per le particelle del fascio. Per un sincrotrone con emittance �, l’area occupata nello spazio delle fasi è delimitata dalla curva � = γx2 + 2αxx� + βx��2 . π (3.112) Spesso è conveniente parlare dell’emittance di una particolare distribuzione di particelle in termini dello scarto quadratico medio della dimensione trasversale del fascio. Ad esempio, possiamo considerare un fascio in un sincrotrone nel quale le particelle sono distribuite Gaussianamente rispetto ad una sola coordinata trasversa. Questa è la scelta naturale nel caso di un fascio di elettroni, in quanto la radiazione di sincrotrone dà luogo ad una distribuzione di questo tipo se la perdita di particelle del fascio è trascurabile e costituisce una ragionevole approssimazione anche nel caso di un fascio di particelle più pesanti. Supponiamo che la distribuzione nella coordinata trasversa x, normalizzata ad una particella, sia data dalla funzione densità n (x) dx = √ x2 1 e− 2σ2 dx 2πσ (3.113) CAPITOLO 3. DINAMICA LINEARE 36 e che la distribuzione sia stazionaria nel tempo per una particolare posizione s lungo la traettoria. Il fascio si trova in equilibrio se la distribuzione è indistinguibile da un giro all’altro. Dalle Eq. (3.101) (3.105) possiamo dire che le traiettorie, nello spazio delle fasi x, (αx + βx� ), sono circolari, allora in questa situazione di equilibrio anche la distribuzione nella coordinata αx + βx� sarà Gaussiana con deviazione standard σ, mentre nello spazio delle fasi bidimensionale, sarà: 1 − (x n (x, αx + βx ) dxd (αx + βx ) = e 2πσ 2 � � 2 + αx+βx� 2 ( ) 2σ 2 ) dxd (αx + βx� ) . (3.114) Introducendo le coordinate polari, dove la coordinata con 2 (3.115) r2 = x2 + (αx + βx� ) , la distribuzione (3.114) si scrive n (r, θ) rdrdθ = 1 − r22 e 2σ rdrdθ. 2πσ 2 (3.116) Definendo ora una superficie circolare di raggio a nella quale è contenuta una frazione di particelle F , si ha che F = � 2π 0 � a nrdrdθ = 0 � a r2 e− 2σ2 0 r dr σ2 (3.117) e risolvendo per a a2 = −2σ 2 ln (1 − F ) . (3.118) Moltiplicando l’Eq. (3.112) per β si vede che β� 2 = x2 + (αx + βx� ) , π (3.119) CAPITOLO 3. DINAMICA LINEARE 37 ma dalla definizione della coordinata radiale (3.115) si ha β� = r 2 = a2 π (3.120) e l’emittance, che contiene la frazione di particelle F di un fascio Gaussiano nello spazio delle fasi (x, x� ), vale �=− 2πσ 2 ln (1 − F ) , β (3.121) con valore efficace della dimensione trasversa σ, in un punto del reticolo dove la funzione di ampiezza è β.[2] 3.3 Dinamica longitudinale Come già accennato nel Capitolo 1, l’accelerazione è impressa alle particelle nelle cavità risonanti, pertanto in un LINAC, si ha una lunga sequenza di cavità disposte lungo una traettoria rettilinea, mentre in un sincrotrone basta anche una sola cavità alla quale le particelle ritorneranno ripetutamente grazie all’applicazione di un campo magnetico dipolare che determina un’orbita chiusa. Ignorando per il momento la dinamica trasversale del fascio, si definisce particella ideale (o sincrona), ovvero quella particella che ad ogni istante di tempo ha energia e posizione longitudinale ideali, tale da ricevere, da ogni cavità accelerante l’energia di progetto in modo da mantenersi sull’orbita di riferimento. Ovviamente tale condizione è per definizione ideale, in quanto un fascio reale sarà costituito, in ogni istante, da una distribuzione di energie e posizioni longitudinali; avremo quindi a che fare con un problema di stabilità. Occorre ricavare le condizioni sotto le quali una particella, che ad un certo istante t0 ha energia E (t0 ) e posizione s (t0 ), manterrà ad ogni successivo istante t, un’e- CAPITOLO 3. DINAMICA LINEARE 38 nergia E (t) e una posizione s (t) prossime rispettivamente a Es (t) e ss (t) della una particella sincrona. Intuitivamente ci si può aspettare che tale situazione si verifichi quando |E (t0 ) − Es (t0 )| e |s (t0 ) − ss (t0 )| sono sufficientemente piccoli. Tale condizione però, pur essendo necessaria, non è tuttavia sufficiente. Affinchè la situazione di stabilità appena enunciata si verifichi, è necessario che la posizione longitudinale della particella ideale soddisfi un opportuno criterio; il principio che garantisce che, per un’opportuna scelta di ss (t0 ), esistano valori di E (t0 ) e di s (t0 ) tali che la condizione di stabilità sia soddisfatta, va sotto il nome di principio di stabilità di fase. Quando le condizioni di stabilità per il moto longitudinale sono soddisfatte, le particelle prossime alla particella ideale (in E ed s) oscilleranno attorno ai valori Es , ss della particella ideale, tali oscillazioni sono dette oscillazioni di sincrotrone. Come già detto, nel seguito saranno trascurati i gradi di libertà trasversali del moto perchè la frequenza delle oscillazioni di sincrotrone è in generale molto più piccola di quella delle oscillazioni di betatrone. Per semplicità si consideri una sola cavità a RF, di spessore longitudinale infinitesimo e sia V (t) = V sin (ωRF t) (3.122) la legge oraria con cui varia la d.d.p. con t tra le due estremità longitudinali della cavita. Siano ts1 , ts2 , . . . tsn gli istanti3 in cui la particella sincrona attraversa la cavità le n volte; la fase della d.d.p. nella cavità, vista da tale particella in corrispondenza del suo n−esimo attraversamento della cavità stessa, sarà: ψns = ωRF tsn . 3 (3.123) In conseguenza dell’ipotesi semplificatrice formulata in merito allo spessore longitudinale infinitesimo della cavità, il tempo di attraversamento della cavità può essere trascurato rispetto al periodo di oscillazione del campo nella cavità stessa. CAPITOLO 3. DINAMICA LINEARE 39 Indicando con ωR la pulsazione di rivoluzione della particella ideale, la scelta di una pulsazione ωRF sarà tale che: (3.124) ωRF = hωR , dove h è una costante intera positiva; essa assicura che la particella ideale attraversi la cavità acceleratrice sempre in corrispondenza della stessa fase del campo elettrico (modulo 2π). Siano t1 , t2 , . . . tn gli istanti in cui una generica particella, non ideale, attraversa la cavità la prima volta, la seconda volta, .... l’n-esima volta, e sia ψn = ωRF tn la fase della d.d.p. nella cavità vista da tale particella in corrispondenza del suo s n−esimo attraversamento. Indicando con τn+1 l’intervallo temporale che intercorre tra l’n−esimo e l’(n + 1) −esimo attraversamento della cavità per la particella ideale, ossia il periodo di rivoluzione della particella sincrona e con τn+1 = (τ s + ∆τ )n+1 l’analoga quantità per una generica particella non ideale. Le fasi della d.d.p. per due attraversamenti consecutivi della cavità per la particella generica saranno allora legate tra loro dalla relazione: s ψn+1 = ψn + ωRF (τ + ∆τ )n+1 = ψn + s ωRF τn+1 + s ωRF τn+1 � ∆τ τs � . (3.125) n+1 Indicando con Tns l’intervallo temporale che intercorre tra il primo e l’n−esimo attraversamento della cavità da parte della particella ideale, ossia: Tns = n � k=2 s s s τks ⇒ Tn+1 = Tn+1 + τn+1 , (3.126) risulta conveniente sfruttare la circostanza già menzionata, ovvero la fase della d.d.p. per tutti gli attraversamenti della cavità da parte della particella ideale è la stessa; a tale scopo, sostituiamo la fase ψn con la fase ridotta φn , definita come φn ≡ ψn − ωRF Tns , (3.127) CAPITOLO 3. DINAMICA LINEARE 40 cosichè, per la particella ideale (3.128) φsn = ψ1s ∀n non dipende da n. In termini della fase ridotta, la relazione tra le fasi della d.d.p. per due attraversamenti consecutivi della cavità per la particella generica sarà quindi: φn+1 = φn + s ωRF τn+1 � ∆τ τs � . (3.129) n+1 s La condizione di sincronia ωRF = hωR assicura che la quantità ωRF τn+1 non dipenda da n e sia un multiplo intero di 2π; se ciò accade h è detto numero armonico. Viceversa, la quantità (∆τ /τ s )n+1 dipende effettivamente da n e relativamente alla particella generica, può essere espressa in termini della differenza ∆En+1 = En+1 − s En+1 . Infatti, indicando con Ls la lunghezza dell’orbita della particella ideale4 e con v s la sua velocità5 , mentre con L, v le analoghe quantità per la particella generica, si ha τs = Ls vs (3.130) e quindi ∆τ ∆L ∆v = s − s s τ L v (3.131) ∆L = L − Ls (3.132) ∆v = v − v s . (3.133) dove Assumendo che le deviazioni di L e p da Ls e ps siano piccole rispetto a Ls e ps 4 5 In assenza di oscillazioni di betatrone. Supposta costante lungo l’orbita, oppure prendendone il valor medio. CAPITOLO 3. DINAMICA LINEARE 41 Figura 3.11: Un magnete curvante deflette le particelle con quantità di moto maggiore rispetto alla particella sincrona di un angolo più piccolo. rispettivamente, possiamo scrivere, per la (2.15), che ∆v 1 ∆p = , s v (γ s )2 ps (3.134) dove ps rappresenta la quantità di moto della particella ideale e ∆p l’incremento della quantità di moto per ogni passaggio in una sezione acceleratrice. Vediamo ora come la quantità ∆L/Ls , in generale, dipenda dal valore di ∆p. In un acceleratore circolare, l’orbita di una particella con quantità di moto p�=ps differisce da quella della particella ideale; più precisamente, il moto generale di una particella con momento longitudinale p�=ps è costituito da oscillazioni di betatrone trasversali attorno a un’orbita di lunghezza L�=Ls . La distanza, nel piano orizzontale, dell’orbita della particella di momento p da quella della particella ideale, è funzione della posizione longitudinale s e si parametrizza con il momentum dispersion function D (s). L’origine fisica di tale effetto risiede nel fatto che il campo guida dell’acceleratore circolare6 deflette la traiettoria di una particella di momento p > ps di un angolo inferiore rispetto a quello per cui è deflessa la traiettoria della particella ideale. Ciò è mostrato in fig. 3.11 dove ∆p ≡ p − ps . Quindi, ∆L/Ls 6 Si parla del campo magnetico uniforme a tratti originato dai magneti dipolari. CAPITOLO 3. DINAMICA LINEARE 42 dipenderà dal valore di ∆p, ovvero ∆L ∆p =α s s L p (3.135) dove α è il momentum compaction factor, che sarà descritto successivamente in dettaglio. Se ∆p/ps � 1, l’equazione del moto nella coordinata trasversale x per la generica particella differisce da quella della particella sincrona solo per la comparsa di un termine che non dipende da x, il quale rende l’equazione non omogenea: � � 1 B� 1 ∆p x + 2+ x= ρ (Bρ) ρ ps �� (3.136) dove ρ indica il raggio di curvatura locale dell’orbita ideale. La soluzione generale per tale equazione sarà esprimibile come x (s) = xh (s) + xi (s) , (3.137) ovvero sarà la combinazione lineare della soluzione generale dell’equazione omogenea associata e della soluzione particolare dell’equazione non omogenea: � xh (s) = A β (s) cos (ψ (s) + δ) xi (s) = D (p, s) ∆p . ps (3.138) (3.139) Dalla (3.139) si vede che la funzione di dispersione è una soluzione particolare dell’equazione (3.136) � 1 B� 1 D + 2+ D= ρ (Bρ) ρ �� � (3.140) e, in base all’approssimazione fatta, non dipende da p. Si dimostra che esiste sempre CAPITOLO 3. DINAMICA LINEARE 43 una soluzione periodica per l’equazione (3.140), ovvero (3.141) D (s + Ls ) = D (s) che indicheremo con DC (s) e la funzione (3.139) si può scrivere come xi (s) = DC (s) ∆p ps (3.142) e descrive l’orbita della particella di impulso p�=ps . Detta Ls la lunghezza dell’orbita della particella ideale Ls = L dell’orbita generica (per p�=ps ) è esprimibile come: L= � � xi (s) 1+ ρ (s) � � ds, la lunghezza (3.143) ds da cui si ricava il momentum compaction factor α: ∆L = Ls � 1 Ls � DC (s) ds ρ (s) � ∆p 1 ⇒α= s s p L � DC (s) ds = ρ (s) � DC ρ � . (3.144) In conclusione dalle (3.131) (3.134) e (3.144) si ha: � � ∆τ 1 ∆p ∆p s = α (γ ) − = η (γ s ) s 2 s s s τ p p (γ ) (3.145) dove η (γ s ) ≡ α (γ s ) − 1 (γ s )2 (3.146) è detto slip factor. Il segno di tale quantità dipende dal valore del momento ps della particella ideale e determina le condizioni sotto le quali le particelle di momento p�=ps compiono oscillazioni di sincrotrone stabili attorno a ps . Il valore di γ s per il quale si ha η (γ s ) = 0, ossia α (γ s ) = 1 (γ s )2 (3.147) CAPITOLO 3. DINAMICA LINEARE si indica con γ† . [2] 44 Capitolo 4 Radiazione di Sincrotrone Le particelle accelerate emettono radiazioni elettromagnetiche specialmente quelle “leggere” come elettroni e positroni in moto lungo orbite curve sotto l’influenza di campi magnetici in acceleratori ad alta energia. L’energia persa da tali particelle per ogni rivoluzione può diventare critica per la scelta della dimensione dell’acceleratore perchè limita la massima energia raggiungibile dal fascio. La radiazione ha un effetto incisivo sulla dinamica del moto delle particelle, principalmente produce smorzamento ma anche eccitazione delle oscillazioni attorno all’orbita di equilibrio. Tali effetti influenzano la progettazione di alcuni componenti dell’acceleratore: il sistema a RF deve compensare l’energia persa ad ogni giro; il sistema di vuoto deve far fronte al desorbimento dei gas prodotto dall’impatto dei fotoni con le pareti dell’acceleratore. Se l’energia del fascio è sufficientemente elevata, lo spettro delle radiazioni si può estendere fino ai raggi X e la radiazione può penetrare le pareti della macchina, quindi deve essere realizzata una speciale schermatura della camera a vuoto per prevenire il danneggiamento delle componenti sensibili, quali apparecchiature elettroniche, cavi e bobine.[3] 45 CAPITOLO 4. RADIAZIONE DI SINCROTRONE 4.1 46 Radiazione per particelle relativistiche Se una particella di carica e si muove lentamente con accelerazione a, la potenza da essa irradiata P è data dalla formula di Larmour [2]: P = 1 e 4 a2 . 6π�0 c3 (4.1) La distribuzione angolare della radiazione varia come sin2 (θ), dove θ è l’angolo tra la direzione dell’accelerazione e il punto di osservazione. Si può calcolare facilmente la potenza irradiata da particelle relativistiche cariche visto che la potenza irradiata è Lorentz invariante. Supponiamo che un fotone, con frequenza angolare ω � stia viaggiando nella direzione che forma un angolo θ con l’asse x� di un sistema (x� , y � ) in moto parallelamente all’asse x del sistema di riferimento del laboratorio (x, y). La trasformazione che lega (x� , y � ) al sistema (x, y) del laboratorio è tan θ = sin θ� γ (cos θ� + β) ω = γω � (1 + β cos θ� ) . (4.2) (4.3) Se due fotoni sono emessi con angoli rispettivamente θ� e θ� +π ed hanno la stessa frequenza angolare ω � , nel sistema di riferimento del laboratorio (x, y) l’energia totale sarà proporzionale a ω1 + ω2 = 2γω � . (4.4) Se l’emissione avviene in un piccolo intervallo τ � , allora in termini di potenza irradiata, la relazione (4.4) diventa P τ = P �τ �γ (4.5) CAPITOLO 4. RADIAZIONE DI SINCROTRONE 47 oppure P = P � , in quanto per la dilatazione temporale si ha τ = γτ � . La potenza persa per effetto Doppler in una direzione è guadagnata nell’altra direzione. Fintanto che la distribuzione angolare di radiazione nel sistema in moto ha l’appropriata simmetria, si può concludere dicendo che la potenza è invariante. Analizziamo ora due casi: accelerazione perpendicolare o parallela alla direzione del moto di una particella relativistica carica. L’accelerazione è perpendicolare alla direzione del moto quando una particella attraversa un magnete curvante. In un sistema inerziale che si muove alla velocità della particella, tangente all’orbita nel momento di arrivo della particella, in quell’istante, la particella sarà a riposo e subirà un’accelerazione in direzione −y � . In questo sistema di riferimento la potenza irradiata è data dalla formula di Larmour, dove a� sarà l’accelerazione. Per un’accelerazione trasversale al moto relativo dei due sistemi , a� = γ 2 a. Nel sistema (x� , y � ) la distribuzione di potenza ha la corretta simmetria fronte-retro necessaria affinchè la potenza sia invariante. Allora la potenza vista nel sistema del laboratorio è: 1 e 2 a2 4 γ 6π�0 c3 1 e2 c 4 = γ 6π�0 ρ2 1 e4 = B2E 2. 6π�0 m4 c5 P = (4.6) (4.7) (4.8) Nella (4.7) è stato posto a = c2 /ρ l’accelerazione centripeta, nella (4.8) invece è stato sostituito E = γmc2 e B = γmc/(eρ), che rispettivamente sono l’energia totale e il campo magnetico necessario per curvare l’orbita della particella. Considerando ora che l’accelerazione sia parallela al moto della carica, nel sistema (x� , y � ) la distribuzione angolare sarà ruotata di π/2 e la potenza è ancora un CAPITOLO 4. RADIAZIONE DI SINCROTRONE 48 invariante. Essendo ora a� = γ 3 a, la potenza sarà P = 1 e 2 a2 6 γ . 6π�0 c3 (4.9) Tale risultato è usato di rado in quanto è difficile produrre un’accelerazione nella direzione del moto di una particella in rapido movimento. La (4.9) può essere riscritta come P = 2 r0 2 ṗ 3 mc (4.10) dove r0 è il raggio della particella. Tornando al caso in cui la radiazione è prodotta da un’accelerazione trasversa, si ha che l’energia persa ad ogni giro dell’orbita ideale, a causa della radiazione di sincrotrone è: � 2πR P dz c 0 � � 1 4 = Cγ E R ρ2 U0 = (4.11) (4.12) dove Cγ = 4π r0 = 8.85 × 10−5 m/GeV3 3 (mc2 )3 (4.13) e il quadrato di 1/ρ è mediato sulla circonferenza dell’anello 2πR. Il coefficiente numerico Cγ è stato calcolato per l’elettrone, con r0 = 2.818 × 10−15 m. La potenza media irradiata è �P � = f U0 (4.14) dove f è la frequenza di rivoluzione [2] f= c . 2πR (4.15) CAPITOLO 4. RADIAZIONE DI SINCROTRONE 4.2 49 Smorzamento delle oscillazioni Con l’introduzione della radiazione di sincrotrone, le oscillazioni trasverse e longitudinali di una singola particella non avranno più ampiezze invarianti, quindi il sistema è dissipativo. Il tempo caratteristico per gli effetti della radiazione di sincrotrone è τ0 , nel quale un elettrone con energia E irradiata E: τ0 ≡ E . �P � (4.16) La radiazione di sincrotrone riduce la quantità di moto di una particella nella direzione del moto, mentre il sistema di accelerazione cerca di ripristinarla. Considerando il caso in cui non ci sono accelerazioni nette, in media i due incrementi dei momenti sono uguali in modulo. Se in un elemento di lunghezza ds, la particella irradia energia du e riceve lo stesso incremento di energia dal sistema acceleratore, le quantità di moto prima e dopo saranno rispettivamente p�1 e p�2 : p�2 = p�1 − du p�1 du + ûs . c p1 c (4.17) Riscrivendo in termini delle componenti trasverse e longitudinali du p1y c p1 du p1s du = p1s − + . c p1 c p2y = p1y − (4.18) p2s (4.19) Dividendo la (4.18) per la (4.19) otteniamo la relazione in y � = py /ps prima e dopo l’attraversamento di ds: y2� = y1� � � 1 − du/E du � = y1 1 − 1 − du/E + du/cps E (4.20) CAPITOLO 4. RADIAZIONE DI SINCROTRONE 50 Figura 4.1: Illustrazione della differenza di incremento della lunghezza del percorso tra una particella e quella sincrona. dove E è l’energia totale della particella e dove sono stati considerati solo i termini in du/E di ordine minore. Tuttavia l’equazione in y contiene un termine y �� = − 1 du � y E ds (4.21) in aggiunta al termine di focheggiamento proporzionale ad y. Per un damping rate lento rispetto alla frequenza delle oscillazioni di betatrone, l’oscillazione libera è ora modificata da un fattore moltiplicativo 1 e− 2 � 1 du ds E ds =e − 2τt 0 (4.22) e la costante di tempo dello smorzamento è τy = 2τ0 . (4.23) La differenza tra l’energia della particella sincrona e quella di una particella generica è ∆E. In un elemento trasverso infinitesimo, ∆E varierà come ∆E2 = ∆E1 − du (∆E1 ) + du (0) (4.24) dove il secondo e il terzo termine a destra sono rispettivamente l’energia persa a causa della radiazione di sincrotrone e l’energia guadagnata attraverso il sistema RF CAPITOLO 4. RADIAZIONE DI SINCROTRONE 51 a ∆E = 0. In termini della potenza irradiata du (∆E1 ) = P (∆E1 ) dt1 � �� � ∆E1 ∆B D ∆E1 = P (0) 1 + 2 +2 1+ dt0 E B ρ E du (0) = P (0) dt0 , (4.25) (4.26) (4.27) dove dt1 è stato espresso in termini di dt0 sull’orbita della particella sincrona usando la fig. 4.1 e P (∆E) è stata scritta in termini di P (0) utilizzando la (4.19). Scrivendo ∆B come ∆E , E (4.28) � � P (0) D B� 2 + + 2D dt0 E ρ B (4.29) ∆B = B � x = B � D la variazione di ∆E per rivoluzione sarà d∆E = −∆E dn � T 0 essendo T il periodo di rivoluzione, il primo integrale è 2U0 /E . Moltiplicando ambo i membri per la frequenza di rivoluzione f , otteniamo � � �� � T d∆E f U0 f P (0) 1 B� = −∆E 2 + dt0 D +2 . dt E E ρ B 0 (4.30) Dalla definizione (4.16) f U0 /E = 1/τ0 , quindi la (4.30) può essere scritta come d∆E ∆E = − (2 + D) dt τ0 � � �� D 1 B� + 2 ρ2 ρ B � � D = . 1 ρ2 (4.31) (4.32) Quando questo termine è aggiunto alle equazioni del moto per oscillazioni di sincro- CAPITOLO 4. RADIAZIONE DI SINCROTRONE 52 trone, la soluzione conterrà il fattore e − 2τ1 (2+D) (4.33) 0 e la costante di tempo per lo smorzamento sarà τs = 2τ0 . 2+D (4.34) Il teorema di Robinson permette di ottenere la somma dei damping rates per tutti e tre i gradi di libertà; dunque conoscendo i primi due otterremo immediatamente il terzo. Si consideri la matrice di trasferimento degli esavettori x, x� , y, y � , Φ, ∆E attraverso un elemento ds. Gli elementi sulla diagonale per x� e y � differiscono dall’unità per −du/E, mentre, per quanto detto in precedenza, l’elemento sulla diagonale principale per ∆E vale 1 − 2du/E. Gli unici termini nel determinante della matrice di primo ordine in ds, vengono fuori dagli elementi sulla diagonale, quindi per questa matrice infinitesima du , E (4.35) U0 . E (4.36) det (dM ) = 1 − 4 per un’intera rivoluzione det (M ) = 1 − 4 Ma il determinante è anche il prodotto degli autovalori. Per modi oscillatori, gli autovalori possono essere espressi come eγk . I sei γk saranno complessi e coniugati e quindi le parti immaginarie non daranno contributo al prodotto. Chiamando le parti reali αx , αy , αs , otteniamo αx + αy + αs = −2 U0 . E (4.37) Gli α sono i decrementi per giro; moltiplicando per la frequenza di rivoluzione CAPITOLO 4. RADIAZIONE DI SINCROTRONE 53 otteniamo le costanti di tempo [2] 2 1 1 1 = + + τ0 τx τ y τs 2 τx = τ0 . 1−D (4.38) (4.39) Capitolo 5 Wake Fields Un fascio di particelle cariche interagisce elettromagneticamente con l’ambiente della camera a vuoto; da tale interazione si generano i wake fields (campi scia). Assumendo che il fascio si muova alla velocità della luce, il wake field che più interessa è quello visto da una carica di prova che segue il fascio ad una distanza fissa relativa. Nel limite relativistico, la causalità impone che non vi sia alcun campo elettromagnetico di fronte al fascio, da cui il termine ”wake” (scia). Se la camera a vuoto non ha una superficie liscia o se non è perfettamente conduttrice, il fascio genererà dietro di se una scia elettromagnetica (fig. 5.1). 5.1 Funzioni di wake In fig. 5.2 sono mostrati alcuni esempi di ambienti in cui un fascio con un potenziale che ammette uno sviluppo in multipoli può eccitare un campo elettromagnetico scia dietro di se. Una carica di prova e dietro il fascio, considerato come un anello con distribuzione cos mθ in uno di tali ambienti, subirà una forza elettromagnetica scia (forza di wake). La camera a vuoto ha una simmetria assiale e sia il fascio che la carica finale di prova viaggiano alla velocità della luce c. 54 CAPITOLO 5. WAKE FIELDS 55 Figura 5.1: Linee di campo elettrico scia in una camera a vuoto con pareti non perfettamente conduttrici generato da una carica puntiforme q. Figura 5.2: Esempi di camere a vuoto che generano wake fields. Il fascio è rappresentato come un anello con un momento multipolare distribuito come cos mθ. Una carica di prova e sta seguendo il fascio ad una distanza fissa. (a) Discontinuità geometriche periodicamente distribuite lungo la camera a vuoto. (b) Struttura liscia ma non perfettamente conduttrice. (c) Discontinuità geometrica presente in un solo punto della camera. CAPITOLO 5. WAKE FIELDS 56 � � � � � Nel caso in cui le pareti non sono PEC, la forza di Lorentz F = e E + ŝ × B percepita dalla carica di prova ha componenti F� = eEs (5.1) Fθ = e (Eθ + Br ) (5.2) Fr = e (Er − Bθ ) . (5.3) In fig. 5.2(a), la forza sentita dalla carica di prova varia periodicamente con il periodo delle discontinuità geometriche. In fig. 5.2(c), la forza si manifesta più o meno come un impulso quando la carica di prova passa attraverso la discontinuità. In questo caso la forza di wake diviene molto più complicata da studiare, perchè dipende da s e t separatamente, non come il caso delle pareti resistive in cui c’è una simmetria traslazionale, quindi la forza subita dalla carica di prova dipende da s e da t tramite z = s − ct. Tuttavia, ad alte energie, la traiettoria del fascio e la carica di prova non sono molto perturbate se viaggiano a distanza dalla discontinuità; l’effetto maggiore sulla carica di prova può essere ottenuto integrando la forza su una distanza più grande rispetto alla dimensione della discontinuità, allora � L/2 −L/2 f ds ≡ f¯ (5.4) dove f rappresenta le componenti della forza F� sentita dalla carica di prova ed L è la distanza di interesse. Per la fig. 5.2(a), L è il periodo delle discontinuità. Per la fig. 5.2(c), L è scelta molto più grande della dimensione della discontinuità, mentre nel caso (b) la forza di wake è indipendente da s e quindi si semplifica f¯ = f L. Per un sistema con simmetria assiale, F� e Fr sono proporzionali al cos mθ e Bs CAPITOLO 5. WAKE FIELDS 57 e Fθ sono proporzionali al sin mθ, quindi � � �⊥ ds = −eIm Wm (z) mrm−1 r̂ cos mθ − θ̂ sin mθ F −L/2 � L/2 F ds = −eIm Wm� (z) rm cos mθ −L/2 � � L/2 eBs ds = eIm Wm� (z) rm sin mθ −L/2 � L/2 (5.5) dove Wm è una funzione di z ancora da determinare e Wm� è la sua derivata rispetto a z. Per la causalità si ha che la carica di prova non potrà subire la forza di wake se è avanti al fascio, questo richiede che Wm (z) = 0 se z > 0. In questa approssimazione ultrarelativistica, le (5.5) sono applicate alla carica di prova nella posizione in cui i wake fieds sono generati, ovvero dove è presente la discontinuità. Notare che non ci sono forze di wake trasversali quando m = 0, � perchè F�⊥ ds = 0 La forma esplicita di Wm può determinata solo dopo l’imposizione delle condizio- ni al contorno; tuttavia è interessante notare che tutte le dipendenze esplicite delle (5.5) da r, θ e z sono state derivate senza riferirsi a tutte le condizioni al contorno, eccetto che per la simmetria assiale del contorno. La funzione Wm (z) nelle (5.5) è chiamata funzione di wake; essa descrive la risposta dell’ambiente della camera a vuoto ad un fascio impulsivo con momento m-esimo. Matematicamente, Wm assomiglia alla funzione di Green. Talvolta può essere più conveniente chiamare Wm funzione di wake trasversale e Wm� funzione di wake longitudinale, per ragioni che derivano dalle (5.5). In analogia con il concetto di potenziale elettrico, gli integrali delle (5.5) sono chiamati potenziali di wake. In generale, le funzioni di wake sono solitamente determinate dalle proprietà dell’ambiente della camera a vuoto; esse sono indipendenti dalle proprietà del fascio. La proprietà (5.5) si applica alle componenti della forza e non alle componenti del campo elettromagnetico. Fortunatamente, si ha bisogno delle componenti della forza e non di quelle dei campi. CAPITOLO 5. WAKE FIELDS 58 Si può utilizzare il risultato delle (5.5) per dire che il gradiente trasverso del potenziale di wake longitudinale è uguale alla derivata longitudinale del potenziale di wake trasversale: ∇⊥ � L/2 ∂ F� ds = ∂z −L/2 � L/2 −L/2 F�⊥ ds. (5.6) Questa scrittura è di solito nota come il teorema di Panofsky-Wenzel [8]. 5.2 Impedenze Fino ad ora i wake fields sono stati descritti in funzione del tempo dopo il passaggio di un fascio impulsivo; un’altra utile analisi è quella in frequenza mediante la trasformata di Fourier del wake field. Un motivo dell’utilità di tale procedura è che tali campi spesso contengono un numero ben determinato di frequenze, le quali possono essere individuate tramite la trasformata di Fourier. Ciò non è vero per wake fields prodotti da pareti non perfettamente conduttrici, ma solo per campi prodotti da pareti che presentano discontinuità geometriche. Le trasformate di Fourier delle funzioni di wake sono chiamate impedenze. L’idea di rappresentare l’ambiente di un acceleratore mediante delle impedenze è stata introdotta da Sessler e Vaccaro [9]. La descrizione delle forze di wake in termini delle funzioni di wake nel dominio del tempo e in termini di impedenze nel dominio della frequenza è equivalente. In molte applicazioni pratiche, ad esempio, il calcolo delle funzioni di wake a piccole distanze risulta tecnicamente problematico, così come il calcolo delle impedenza ad alte frequenze. In molti casi si preferisce utilizzare un approccio misto, ovvero si utilizza la descrizione del fenomeno nel dominio del tempo per impostare le equazioni del moto (F� = m�a) e si utilizza poi la tecnica della trasformata di Fourier per risolverle. Fin ora si è considerato un fascio con distribuzione tipo δ. Le scie prodotte da un’altra distribuzione del fascio può essere ottenuta per sovrapposizione, utilizzando CAPITOLO 5. WAKE FIELDS 59 i risultati del caso in cui la distribuzione è una δ. Ad esempio si consideri un fascio che ha una corrente J0 (s, t) = Jˆ0 ej(ks−ωt) . (5.7) Solo la parte reale della (5.7) è significativa. Il potenziale di wake in posizione s, al tempo t e per m = 0 è la sovrapposizione delle scie prodotte da tutte le cariche del fascio che sono passate per la stessa posizione in istanti di tempo precedenti, ovvero � � � 1 ∞ s� − s E s (s, t) = − J0 s, t − W0� (s − s� ) ds� c s c � � 1 0 z� � = − J0 s, t + W0 (z) dz c −∞ c � ∞ 1 = − J0 (s, t) e−jωz/c W0� (z) dz c −∞ (5.8) (5.9) (5.10) dove Ēs (s, t) è Es integrata, secondo la (5.4), rispetto alla cavità della discontinuità. Nella (5.9) si è effettuato un cambio di variabile z = s − s� . Nella (5.10) il limite superiore di integrazione è stato esteso a ∞ in quanto W0� = 0 per z > 0. Si è sfruttato il fatto che il wale field per m = 0 è insensibile all’area della sezione trasversale del fascio, quindi integrando la densità di corrente Js rispetto alla sezione trasversale si è ottenuta la corrente del fascio J0 . Sia la porzione dell’acceleratore che contiene il wake field di lunghezza L. Si può definire allora il potenziale di wake su tutta la sezione causato dal wake field: V (s, t) = E s (s, t) ; (5.11) quindi, per una corrente sinusoidale (5.7), si ha V (s, t) = −J0 (s, t) Z0� (ω) , (5.12) dove Z0� (ω) è chiamata impedenza longitudinale per il modo m = 0 a frequenza ω. CAPITOLO 5. WAKE FIELDS 60 Dalla (5.12) risulta che: Z0� 1 (ω) = c � ∞ −∞ e−jωz/c W0� (z) dz. (5.13) L’Eq. (5.13) esprime il legame tipo trasformata di Fourier che c’è tra Z0� e W0� , ovvero descrive il contenuto in frequenza di W0� . Si noti che, nonostante la dipendenza della (5.7) da ω e da k, la (5.13) dipende solo da ω; ciò è causato dal fatto che l’impedenza è localizzata nello spazio. Essa riunisce il segnale del fascio in un punto fisso e tale segnale conterrà solo le informazioni frequenziali e non quelle spaziali. Analogamente, se la corrente del fascio ammette uno sviluppo in multipoli Jm (s, t) = Jˆm ej(ks−ωt) , (5.14) � m V = E s = −Jm Zm r cos mθ (5.15) si può definire la relazione attraverso un’impedenza longitudinale � Zm 1 (ω) = c � ∞ −∞ e−jωz/c Wm� (z) dz. (5.16) Per il fascio (5.14), si può scrivere la forza di wake trasversa come � � m−1 ⊥ � F⊥ = jeJm (s, t) mr r̂ cos mθ − θ̂ sin mθ Zm (ω) , (5.17) ⊥ dove Zm (ω) è l’impedenza trasversale data da ⊥ Zm =j � ∞ −∞ e−jωz/c Wm (z) dz . c (5.18) CAPITOLO 5. WAKE FIELDS 61 In molte applicazioni si è interessati agli effetti longitudinale per m = 0 e a quelli trasversi per m = 1, infatti, in alcuni casi, si identifica con Z0� l’impedenza longitudinale e con Z1⊥ l’impedenza trasversale. In qualche applicazione risulta utile � esprimere le impedenze utilizzando gli ohm, quindi sarà ΩL−2m per Zm e ΩL−2m+1 ⊥ per Zm . Ad esempio Z0� sarà espresso in ohms e Z1⊥ in ohms per metro. I segni negativi che compaiono nelle (5.12) (5.15) rappresentano il ritardo di fase (180°) che ha la tensione vista dal fascio rispetto alla corrente del fascio stesso. Analogamente si introduce in fattore j nell’Eq. (5.17) perchè la forza trasversa tende ad essere in ritardo di fase di 90° rispetto alla corrente del fascio. Tali fattori sono introdotti esclusivamente per convenzione e le impedenze sono quantità generalmente complesse. Invertendo le trasformate di Fourier (5.16) e (5.18) si possono ottenere le funzioni di wake dalle impedenze � ∞ 1 � (z) = ejωz/c Zm (ω) dω 2π −∞ � ∞ 1 ⊥ Wm (z) = ejωz/c Zm (ω) dω. 2π −∞ Wm� (5.19) (5.20) Il teorema di Panofsky-Wenzel, Eq. (5.6), dà anche la relazione tra le impedenze longitudinali e trasversali per un dato m; � Zm (ω) = ω ⊥ Z (ω) . c m (5.21) Capitolo 6 Electron Cloud 6.1 Introduzione I campi elettrici presenti in una camera a vuoto possono accelerare gli elettroni (prodotti da foto-emissioni, ionizzazione di gas residui, ecc.) verso le pareti della camera a vuoto. Se gli elettroni che bombardano le pareti acquisiscono abbastanza energia, produrranno elettroni secondari, i quali saranno accelerati dal campo elettrico normale alla superficie e potrebbero colpire a loro volta la superficie producendo ancora elettroni. Se si verificano determinate condizioni sulle superfici, il rimbalzo degli elettroni produce una moltiplicazione di questi ultimi, ovvero il multipacting effect, il quale crea una nube elettronica all’interno della camera. L’electron cloud (nube elettronica) è definita come l’accumulazione di elettroni all’interno della camera a vuoto, che, se sufficientemente forte, può incidere sulle performance della macchina, causando, ad esempio, la perdita del fascio, l’aumento dell’emittance, l’incremento della pressione nella camera e disturbi sulla diagnostica dei fasci. Nelle regioni in cui non sono previsti campi, il campo elettrico che genera il multipacting è prodotto dal fascio1 , allora le due componenti che influenzano l’accu1 Per regioni con elementi elettrici e magnetici (come cavità a RF, dipoli), il campo diventa la 62 CAPITOLO 6. ELECTRON CLOUD 63 Figura 6.1: Tipico comportamento del SEY in funzione dell’energia degli elettroni incidenti. Il comportamento cambia per materiali diversi, quindi cambieranno δmax , E1 , E2 , ecc. mulazione degli elettroni sono il fascio e le caratteristiche della superficie delle pareti della camera. Tra queste la più importante è il Secondary Electron Yield (SEY, o δ) del materiale delle pareti ed esso dipende dall’energia degli elettroni incidenti. Tale dipendenza è mostrata in fig. 6.1. Per un dato elettrone incidente sulla parete, sono prodotti più elettroni secondari se l’energia dell’elettrone incidente è maggiore di E1 e minore di E2 . In letteratura [4] lo studio dell’electron cloud è classificato in due differenti regimi: single-bunch e multi-bunch. Regime a single-bunch Si assume il regime single-bunch se la lunghezza del bunch (carico positivamente) è abbastanza grande da sostenere passaggi multipli di elettroni, il fenomeno che si genera è chiamato trailing edge multipacting. Gli elettroni sono attratti dal potenziale combinazione di quello prodotto dal fascio e di quello prodotto dagli elementi. CAPITOLO 6. ELECTRON CLOUD 64 Figura 6.2: Schema del multipacting in regime di single-bunch nel PSR. del fascio e il loro moto è caratterizzato dalla frequenza di rimbalzo ωe = � 2πre λp (6.1) dove re è il raggio dell’elettrone e λp è la densità volumetrica del fascio. Dopo il passaggio della parte centrale del bunch, quella centrata nel picco della densità di carica, gli elettroni sono rilasciati e accelerati dalle code del fascio aventi densità minore (effetto di trailing edge della distribuzione di densità del fascio, fig. 6.2). Il numero di elettroni all’interno della camera cresce drammaticamente con questo effetto di trailing edge multipacting. L’accumulo elettronico è tipicamente insensibile al bunch spacing (sb/c, dove sb è la distanza, in unità di lunghezza, tra due bunch successivi) ma dipende fortemente dalla lunghezza del bunch e dalla variazione della densità longitudinale, ciò determina il guadagno di energia e la durata del multipacting. Al momento dell’accelerazione del fascio, l’energia degli elettroni è in generale al di sotto dei keV . Con la costituzione dell’electron cloud si ha un aumento di pressione nella camera a vuoto e si osservano instabilità trasversali. CAPITOLO 6. ELECTRON CLOUD 65 Figura 6.3: Schema del multipacting in LHC. Regime a multi-bunch In questo caso l’accumulazione di elettroni avviene grazie al passaggio di successivi bunches carichi positivamente. Gli elettroni primari possono essere generati da fotoelettroni (prodotti dalla radiazione di sincrotrone), da ionizzazione di gas residui e dalle particelle perse dal fascio che colpiscono le pareti della camera. Questi elettroni primari guadagnano energia grazie all’interazione con il bunch che sta passando ed eventualmente con i bunch successivi. Il multipacting (fig. 6.3) può svilupparsi solo se sono soddisfatte due condizioni: • il guadagno di energia è tale che esso può generare più di un elettrone secondario dopo l’impatto con la parete della camera. In fig. 6.1 ciò avviene quando l’energia è maggiore di E1 e minore di E2 ; • il tempo di vita degli elettroni secondari è comparabile con il bunch spacing. Questo meccanismo è stato descritto in [5] e chiamato beam-induced multipacting(BIM). Per una camera circolare di raggio b, il BIM è storicamente presentato quasi come una risonanza: il tempo impiegato dagli elettroni ad attraversare la camera a vuoto è sincrono con i passaggi del bunch, ciò porta a Nb ≤ b2 re sb (6.2) CAPITOLO 6. ELECTRON CLOUD 66 dove Nb è la popolazione del bunch. Tuttavia l’Eq. (6.2) è troppo severa, poichè la maggior parte degli elettroni secondari viaggia con piccolissimo dispendio energetico e il SEY è prossimo all’unità, quindi il loro tempo di vita sarà molto lungo. L’electron cloud è osservato sia in macchine con bunch spacing piccoli (sb/c ≈ 4 − 8 ns), sia con grandi bunch spacing (sb/c ≈ 25 − 200 ns). Un risultato interessante è che, a causa della natura puramente elettromagnetica dell’interazione che guida il fenomeno dell’electron cloud, è stato trovato anche per fasci di elettroni nell’APS, anche se ad un livello più modesto rispetto a fasci di positroni nella medesima macchina. 6.2 Build-up dell’electron cloud Questo sezione fornisce una panoramica sulla fisica coinvolta nel processo di buildup (costituzione) dell’electron cloud. Il primo problema da affrontare è l’interazione tra un elettrone e il passaggio di un bunch in assenza di campi elettromagnetici esterni. Il secondo è la moltiplicazione degli elettroni sulla superficie della parete, descritta dal SEY della superficie del beam-pipe (”tubo” in cui passa il fascio). Il build-up dell’electron cloud è interrotto dall’effeto della carica spaziale della nube stessa. Tuttavia, finora non vi è un processo analitico per la fusione di questi due processi e la formazione dell’electron cloud è attualmente studiata attraverso vari codici di simulazione. 6.3 Sorgenti di elettroni primari Per LHC (come per tutte le macchine ad adroni) i fotoelettroni non sono una fonte significativa di elettroni primari, perché la radiazione di sincrotrone è piccola. Le principali fonti di elettroni primari sono la ionizzazione dei gas residui e l’impatto delle particelle perse dal fascio con le pareti della camera. Il numero di elettro- CAPITOLO 6. ELECTRON CLOUD 67 ni primari per passaggio di bunch per unità di lunghezza prodotti dall’interazione fascio-gas è dNe P = σNb dl kT (6.3) dove σ è la ionizzazione dei gas residui dalle particelle del fascio, Nb è la popolazione del bunch, P è la pressione di vuoto, k è la costante di Boltzmann e T è la temperatura del sistema. Per i protoni e per gli ioni del fascio che incidono sulla superficie, il tasso di produzione di elettroni (numero di elettroni per particella incidente) è dNe Λ ≈ dNb cos θ � dE dx � , (6.4) dove dE/dx è la potenza elettronica d’arresto, θ è l’angolo d’incidenza e Λ è una costante dipendente dal tipo di materiale e dal tipo di particelle del fascio. L’Eq. (6.4) è valida per θ ≈ 89.6°; per angoli più grandi di θ = 89.8°, la (6.4) non è più valida perchè si andrà in saturazione. 6.4 Interazione elettrone-bunch Si consideri un beam-pipe a sezione trasversale circolare con bunch di ioni positivi altamente relativistici (β ≈ 1) che si muovono lungo la direzione longitudinale, z (come in fig. 6.4). L’Hamiltoniana2 (espressa in coordinate cilindriche), che descrive il moto di un elettrone con massa me e carica −e è data da: H= p2r p2θ [pz − eβe V (r, z − βct) /c]2 + + − eV (r, z − βct) , 2me 2me r2 2me (6.5) dove βe = ve /c è la velocità relativistica dell’elettrone, e V (r, z − βct) è il potenziale creato dalla distribuzione di carica del bunch. Per semplificare la (6.5) è utile studiare il contributo dei diversi termini singolarmente. 2 Per un approfondimento, si veda l’appendice A. CAPITOLO 6. ELECTRON CLOUD 68 Figura 6.4: Interazione elettrone-bunch basata sul formalismo di Berg in un beampipe a simmetria cilindrica. Partendo dal presupposto che gli elettroni del multipacting non sono relativistici (ve � c), il termine eβe V (r, z − βct) /c può essere trascurato. In secondo luogo, segue dall’elettrodinamica classica che il campo elettrico per un bunch di protoni altamente relativistico è diverso da zero in un cono con rms dell’angolo dell’ordine di 1/γ nella direzione del moto del fascio. Quindi, in prima approssimazione, l’influenza della spinta longitudinale prodotta dal fascio può essere trascurata. Assumendo momento angolare pθ pari a zero, la (6.5) diventa H= p2r − eV (r, z) , 2me (6.6) la dinamica radiale è calcolata mediante l’equazione di Hamilton: ∂pr ∂H ∂V (r, z) =− =e . ∂t ∂r ∂r (6.7) Per valutare il potenziale V (r, z), si assume che la parete della camera sia perfetta- CAPITOLO 6. ELECTRON CLOUD 69 mente conduttrice; dall’equazione di Poisson (6.8) ∇2 V = −ρ/�0 assumendo che sia la camera che la distribuzione del bunch abbiano simmetria cilindrica, il potenziale creato dal bunch vale 1 V (r, z) = �0 � r r� ρ (r� , z) ln 0 r� � dr , r (6.9) dove ρ (r, z) è la distribuzione di carica spaziale del fascio che può essere fattorizzata come: (6.10) ρ (r, z) = λb (z) f (r) . 6.4.1 Bunch cilindrico Si consideri ora il caso in cui il bunch abbia la forma di un cilindro, di lunghezza infinita e carica distribuita uniformemente, con raggio σr e densità lineare costante λb . Questa approssimazione è valida se si considera che la forma del bunch sia modellata da una curva Gaussiana sia nel piano longitudinale che in quello trasverso, quindi l’rms della lunghezza del bunch σz è significativamente maggiore rispetto alla dimensione trasversale σr . La densità lineare di carica è quindi ZeNb λb = √ 2πσz (6.11) dove Nb è il numero di particelle cariche nel bunch e Z è lo stato di carica ionica. In questo caso, il potenziale dell’Eq. (6.9) avrà la forma V (r) = − − λb r2 4π�0 σr2 λb 2π�0 � ln r σr + 1 2 � r ≤ σr r ≥ σr . (6.12) CAPITOLO 6. ELECTRON CLOUD 70 In questa approssimazione non è presente la dipendenza da z. Ora è possibile dividere l’interazione elettrone-bunch in due regimi, in funzione della posizione iniziale dell’elettrone r. Il primo, per gli elettroni al di fuori del nucleo del fascio che sono quasi stazionari durante il passaggio di un bunch. L’altro per gli elettroni che rimangono intrappolati nel nucleo del fascio. Quest’ultimo regime ha un potenziale simile a quello dell’oscillatore armonico. S. Berg definì questi regimi rispettivamente come “kick -regime”, ovvero gli elettroni nel beam-pipe non entrano nel bunch durante il suo passaggio e “autonomus-regime”, ovvero gli elettroni nel beam-pipe effettuano oscillazioni armoniche all’interno del bunch. Il raggio critico rC (critical radius, fig. 6.4), che separa questi due regimi, è definito come la distanza radiale per la quale, il tempo per il passaggio di un bunch, è uguale ad un quarto3 del periodo delle oscillazioni. Può essere calcolato come � � rC ≈ 2 ZNb re σz 2/π, (6.13) dove re = e2 / (4π�0 me c2 ) = 2.82 × 10−15 m è il raggio classico dell’elettrone. Dalla (6.7), il momento radiale guadagnato da un elettrone è: ∆pr ≈ e ∂V (r, z) ∆tb , ∂r (6.14) dove ∆tb è il tempo che occorre al bunch per passare. Gli elettroni “kiked”, inizialmente vicini alle pareti del beam-pipe, guadagnano un’energia pari a ∆Ewall = 2me c 2 � ZNb re b �2 , (6.15) dove b è il raggio del beam-pipe. Gli elettroni ”autonomi” guadagnano un’energia che dipende dall’esatto periodo 3 In un oscillatore armonico, il guadagno massimo di energia si ha quando la particella di prova esegue un quarto di oscillazione. CAPITOLO 6. ELECTRON CLOUD 71 di oscillazioni, dal tempo in cui la particella è soggetta a tale forza e dalla sua energia all’inizio dell’oscillazione. La frequenza di oscillazione dell’elettrone è ωe = c � 2πZre Nb . σr2 σz (6.16) Per un elettrone inizialmente fermo ad una distanza pari alla dimensione trasversale bunch σr , il guadagno massimo di energia è 1 1 Zre Nb ∆Ebunch = me ωe2 σr2 = me c2 . 2 2 σz 6.4.2 (6.17) Bunch con distribuzione di carica non uniforme Si consideri ora uno scenario più realistico: • gli elettroni non sono stazionari, ma si muovono durante il passaggio del bunch; • la distribuzione spaziale di carica del bunch non è uniforme sia longitudinalmente che trasversalmente. Si consideri ora una distribuzione longitudinale Gaussiana e tre distribuzioni diverse per il piano trasverso: cilindrica, Gaussiana e un profilo parabolico espresso da λb (t) = � � �2 � 3 λb 1 − σct l 0 |ct| ≤ σl (6.18) |ct| ≥ σl dove 2σl è la lunghezza totale del bunch e λb è il picco della densità lineare del bunch. L’Eq. (6.18) assomiglia ad un profilo Gaussiano del fascio troncato dolcemente in ct = ±σl (l’equivalente dell’rms Gaussiano della lunghezza è σz ≈ σl /3). Le distribuzioni longitudinali e trasversali sono fattorizzate secondo la (6.10). L’espressione per il guadagno medio di energia di una distribuzione uniforme di CAPITOLO 6. ELECTRON CLOUD 72 elettroni in un beam-pipe circolare in regime autonomus è data da ∆Eaut = me c 2 � ZNb re b �2 4 π � rC 1 ln − c0 σ r 2 � , (6.19) dove c0 = 1.05 è solo una costante numerica. Invece in regime di kick, ovvero oltre il raggio rC , il guadagno medio di energia è: ∆Ekick = me c 2 � ZNb re b �2 4 ln b . rC (6.20) Tuttavia le equazioni (6.19), (6.20) non sono sempre valide, in quanto se il raggio critico rC diventa comparabile con il raggio del beam-pipe b, le particelle inizialmente in regime di kick entrano nel regime autonomus durante il passaggio del bunch. In questo caso, l’energia media trasmessa alle pareti è ∆Eint ZNb re = me c √ 2πσz 2 � b 1 ln − c0 σr 2 � . (6.21) Tale energia cresce linearmente con l’intensità del bunch, Nb e decresce con la lunghezza dello stesso, σz . Mentre dipende debolmente, a causa del logaritmo, dal raggio del beam-pipe b e dalla dimensione trasversale del fascio σr . Quindi l’energia guadagnata da un elettrone durante il passaggio di un bunch dipende principalmente dalla sua posizione radiale. 6.5 Secondary electron yield La moltiplicazione degli elettroni sulle pareti del beam-pipe è un “ingrediente” fondamentale per la formazione dell’electron cloud. Questo è parametrizzato tramite il Secondary Emission Yield della superficie delle pareti della camera, solitamente indicato con δ o SEY , il quale ci dà il numero degli elettroni secondari emessi per CAPITOLO 6. ELECTRON CLOUD 73 Figura 6.5: Sinistra : schema che mostra le diverse componenti che definiscono l’emissione secondaria di elettroni. Destra: curve di distribuzione di energia per pareti di acciaio inox con elettroni a 300 eV incidenti normalmente. La distribuzione mostra tre differenti componenti: true secondaries, rediffused e backscattered. elettrone incidente: δ= Is = SEY Ip (6.22) dove Is è la corrente di elettroni secondari emessi dalla superficie e Ip è quella degli elettroni incidenti. Convenzionalmente, sono definite tre componenti del flusso di elettroni secondari in base all’energia con cui essi sono emessi. La parte sinistra della fig. 6.5 mostra uno schema del processo di emissione secondaria, mentre il plot di destra mostra il contributo delle tre componenti per il caso di un fascio di elettroni incidenti con energia Ep = 300 eV su una superficie in acciaio inossidabile. Le tre componenti sono: 1. Elastically backscattered electrons (elettroni retrodiffusi elasticamente dalla parete) Iel . Questi elettroni sono emessi con energia uguale a quella delle particelle incidenti. 2. True secondaries (elettroni secondari veri) Its . Questi elettroni sono originati da elettroni che penetrano nel materiale per poche decine di nanometri. La loro energia di emissione è di pochi eV . CAPITOLO 6. ELECTRON CLOUD 74 3. Rediffused electrons (elettroni ridiffusi) Irdf . Questi elettroni sono quelli riflessi dopo varie collisioni all’interno del materiale. La corrente totale degli elettroni secondari è la somma delle tre componenti, Is = Its +Iel +Irdf , allora δ = δts +δel +δrdf . Tuttavia non c’è una sostanziale differenza tra il processo di retrodiffusione e ridiffusione. Spesso non è fatta neanche distinzione tra “rediffused” e “true secondaries” se si considerano energie al di sotto di ≈ 50 eV; tutti gli elettroni saranno identificati come true secondaries. Allora il SEY sarà la somma di queste due componenti: δ = δt + δr (6.23) dove δt rappresenta il rendimento dei true secondaries e δr quello degli elettroni riflessi. Nel seguito si utilizzerà questa notazione. Il SEY dipende fortemente dall’energia E degli elettroni primari. Negli ultimi anni sono stati condotti diversi studi per determinare δ (E); una tipica espressione di un elettrone che colpisce la parete con incidenza normale si basa sul modello di Furman e Pivi: δr (E) = (δ0 − δ∞ ) e−E/Er + δ∞ (6.24) ∗ δt (E) = δmax (6.25) s (E/Emax ) s − 1 + (E/Emax )s ∗ dove δmax è il massimo valore di δ (E), Emax è l’energia per la quale c’è il massimo e δ0 , detto anche reflectivity, corrisponde alla probabilità per un elettrone di essere retrodiffuso nel limite in cui E → 0. Allo stesso modo, il valore di δ∞ corrisponde alla probabilità per un elettrone di essere retrodiffuso nel limite in cui E → ∞. Mentre Er e s sono due parametri di fitting. Di solito una superficie è caratterizzata ∗ da δmax = δmax + δ∞ e Emax . La figura 6.6 mostra l’andamento di δ (E) (rosso) e i contributi degli elettroni CAPITOLO 6. ELECTRON CLOUD 75 Figura 6.6: Secondary emission yield in funzione dell’energia degli elettroni primari incidenti. I cerch blu sono dati sperimentali ottenuti da R. Kirby e la curva in rosso è ottenuta tramite fitting basato sulle equazioni (6.24) e (6.25). Le curve tratteggiata e continua corrispondono rispettivamente al contributo degli elettroni true secondaries e reflected. riflessi (linea nera continua) e true secondary (linea tratteggiata) come descritto dalle (6.24) (6.25). Il fit riproduce ottimamente i dati sperimentali per Er = 60 eV s = 1.5 δ∞ = 0.15 δ0 = 0.7 Emax = 300 eV δmax = 1.9 . Poichè gran parte degli elettroni presenti nell’electron cloud ha un’energia di qualche eV , il valore di δ0 diventa molto importante. Purtroppo, a causa di limitazioni tecniche vi è una significativa incertezza nelle misurazioni del SEY per elettroni a bassa energia, infatti, in fig. 6.6, i dati sperimentali non scendono al di sotto dei 20 eV; questo è il principale problema irrisolto nel processo di emissione secondaria: gli elettroni a bassa energia non sono persi quando incidono sulle pareti, ma con grande probabilità sono riflessi (δ0 varia tra 0.5 e 1), aumentando così il loro tempo di sopravvivenza. Quando l’energia degli elettroni primari diminuisce, il numero degli elettroni backscattered diventa molto più rilevante. CAPITOLO 6. ELECTRON CLOUD 76 Il SEY dipende anche dall’angolo con il quale gli elettroni colpiscono la superficie delle pareti. Per un angolo di incidenza non normale alla superficie, il δ (E) dell’Eq. (6.23) diventerà δ (E, θ) = δ (E) eαp (1−cos θ) (6.26) dove l’angolo θ è preso rispetto alla normale della superficie (θ = 0 indica l’incidenza normale) e αp è un parametro di fitting. [4] 6.6 Effetti di saturazione Nelle sezioni precedenti si è mostrato come gli elettroni primari sono creati, accelerati a causa dell’interazione con i bunch e moltiplicati come funzione del SEY delle pareti della camera. Tuttavia, la moltiplicazione degli elettroni non è illimitata. Il build-up dell’electron cloud satura quando gli elettroni persi sono lo stesso numero di quelli generati. [6] A seconda della carica del bunch, Nb e se il multipacting si verifica, si possono stimare approssimativamente due regimi di saturazione: 1. per bunch con carica debole, la saturazione si raggiunge quando è raggiunta la densità di neutralizzazione media, ovvero quando il campo elettrico medio sulla parete è nullo. Questo porta ad una densità lineare di elettroni di λsat = Nb /sb , (6.27) dove sb è la distanza tra i bunch; 2. per bunch con carica forte, la saturazione si raggiunge quando l’energia con la quale gli elettroni secondari sono emessi, �E � � non è grande abbastanza da penetrare il campo spaziale di carica della nube. In questo caso, la densità CAPITOLO 6. ELECTRON CLOUD 77 lineare di saturazione è: λsat = π �E � � . m e c2 re (6.28) Si noti che il primo regime mostra una dipendenza lineare diretta dalla popolazione del bunch Nb , mentre il secondo no. La transizione avviene a Ntrans = �E � � sb . m e c 2 re (6.29) Si è considerato �E � � = Esec , indipendente dall’intensità del bunch, dal bunch spacing, ecc. Concludendo, si può dire che se c’è multipacting, la densità degli elettroni saturi aumenta con la popolazione del bunch, per poi stabilizzarsi quando raggiunge il valore di transizione dato dalla (6.29). 6.7 Descrizione dell’evoluzione dell’electron cloud tramite mappa cubica Per simulare il build up dell’electron cloud sono stati sviluppati una serie di codici sofisticati, ad esempio PEI [15], POSINST [16] ed ECLOUD [17]. Questi codici tipicamente tracciano il moto di macroparticelle, contenenti fino ad un massimo di ∼ 105 elettroni ognuna, tenendo conto di tutte le forze che agiscono su di esse. Visto che le macroparticelle produrranno più elettroni a causa dell’emissione secondaria, la loro carica totale aumenterà e quindi dovranno considerarsi anche macroparticelle supplementari. Pertanto sarà necessaria una grande quantità di tempo e CPU. A seconda dei parametri utilizzati, una simulazione completa può durare da poche ore a diversi giorni. Una nuova prospettiva è stata suggerita nella [18], in cui è stato verificato che, l’evoluzione della densità dell’electron cloud mediata sul bunch spacing, può essere CAPITOLO 6. ELECTRON CLOUD 78 Figura 6.7: Evoluzione della densità dell’electron cloud (verde) realizzata con ECLOUD. accuratamente descritto da una semplice mappa (cubica). Questo approccio ha il vantaggio di essere molto semplice dal punto di vista computazionale. 6.7.1 Formalismo della mappa cubica L’evoluzione nel tempo tipica della densità lineare di carica dell’electron cloud in un punto qualsiasi di un dipolo di LHC è mostrata in fig. 6.7, per i parametri mostrati in tab. 6.1. Fatta eccezione che per le oscillazioni sovrapposte, la densità cresce esponenzialmente con il tempo ovvero con il passaggio dei vari bunches, fin quando non si arriva alla saturazione. Al termine del passaggio del treno di bunches la densità decade esponenzialmente. Mediando la densit in un intervallo temporale corrispondente al passag- gio di due bunches successivi, si ottengono i cerchi blu della fig.6.7. Considerando l’evoluzione della densità media si riescono a distinguere i regimi di build-up, saturazione e decadimento, ma si perdono le informazioni relative alle CAPITOLO 6. ELECTRON CLOUD Parametro Energia delle particelle del fascio Bunch spacing Lunghezza bunch Numero di bunch Particelle per bunch Campo magnetico curvante Lunghezza magnete curvante Mezza altezza camera a vuoto Mezza larghezza camera a vuoto Circonferenza Primary photoemission yield Massimo SEY, δmax Energia per massimo SEY, Emax Energia elettroni secondari 79 Unità TeV m m T m m m m eV eV Valore 7 7.48 0.075 72 10 8 × 10 fino a 1.4 × 1011 8.4 1 0.018 0.022 27000 8 × 10−4 1.3 fino a 1.7 237 1.8 Tabella 6.1: Parametri di input per la simulazione con ECLOUD, relativi ad LHC. Figura 6.8: Mappa della densità media dell’electron cloud ρm+1 in funzione di ρm . Cerchietti: simulazioni con ECLOUD (δmax = 1.7, tutti i parametri della tab. 6.1). La linea rossa tratteggiata rappresenta la saturazione (ρm+1 = ρm ). I punti la di sopra della linea rossa descrivono il build-up dell’electron cloud (blu: N = 1.6×1011 , verde: N = 0.8 × 1011 ), quelli sotto la decadenza dell’electron cloud. La linea verde e quella blu rappresentano le corrispondenti mappe cubiche. I segni quadrati rappresentano le transizioni tra i treni di bunches pieni e vuoti. CAPITOLO 6. ELECTRON CLOUD 80 oscillazioni della densità tra due bunches successivi. La fig.6.8 mostra il comportamento della densità media dopo il passaggio del bunch m-esimo, ρm+1 in funzione di ρm , per due diversi valori della carica del bunch, N . La linea rossa tratteggiata corrisponde alla saturazione. Con il passaggio dei bunches, la densità dell’electron cloud cresce (ovvero i punti al di sopra della linea rossa, ρm+1 > ρm ), per poi saturare. I punti sotto la linea rossa (ρm+1 < ρm ) descrivono il decadimento. Tale regime, che corrisponde al passaggio dei bunches vuoti, è indipendente da N . La curva continua in fig. 6.8 è il fit cubico omogeneo ρm+1 = aρm + bρ2m + cρ3m (6.30) che riproduce i dati con una buona approssimazione. Quindi l’idea della mappa introdotta nella [18] in riferimento al RHIC, pu essere applicata anche nel caso dei dipoli di LHC [19]. I tre termini nella mappa (6.30) sono: • termine lineare, il quale descrive il meccanismo di crescita (> 1) e di decadenza (< 1) esponenziale della densità; • termine quadratico, il quale descrive l’effetto della carica spaziale che porta alla saturazione (il suo segno riflette la concavità della curva); • termine cubico, il quale apporta delle piccole correzioni. 6.7.2 Calcolo del coefficiente lineare Si consideri Nm come il numero di elettroni uniformemente distribuiti attraverso la sezione trasversale della beam-pipe prima del passaggio dell’m-esimo bunch. Dopo CAPITOLO 6. ELECTRON CLOUD 81 Figura 6.9: Geometria della sezione trasversale del beam-pipe di LHC, reale (linea continua) e approssimata (linea tratteggiata). il passaggio di tale bunch, questi elettroni avranno un’energia media Ēg : 1 Ēg = πRp2 � 2π 0 � Rp ∆E (r, θ) r dr dθ (6.31) σr dove ∆E (r, θ) è il guadagno energetico di un elettrone in posizione (r, θ) dopo il passaggio di un bunch calcolato in kick-regime e σr è il raggio trasversale effettivo del fascio. Quando questi elettroni incidono sulle pareti della camera, emergono Nm δr elettroni riflessi con energia Ēg e si creano Nm δt elettroni secondari con energia Es � Ēg . Prima dell’arrivo del bunch (m + 1), gli elettroni riflessi si muovono nella camera ed effettuano un numero medio n di collisioni con le pareti della camera, ovvero4 � � tbb n= − 1, t̄f (6.32) dove tbb è il bunch spacing e 4 4Rp t̄f (E) = � π 2E/me (6.33) �x� è la funzione Floor(x), la quale approssima un numero reale x al più grande intero ≤ x. CAPITOLO 6. ELECTRON CLOUD 82 è la media angolare di 2Rp cos θ tf (E, θ) = � , 2E/me (6.34) dove θ è l’angolo definito in fig. 6.9. Il numero totale degli elettroni riflessi con energia Ēg al passaggio del bunch (m + 1) sarà di conseguenza � � (ref ) Nm+1 = Nm δrn Ēg . (6.35) Gli elettroni secondari originati da ogni collisione con le pareti della camera, dopo un’ulteriore collisione con le stesse, origineranno elettroni secondari e riflessi, tutti con la stessa energia Es . Il numero totale degli elettroni secondari (bassa energia) al passaggio del bunch (m + 1) sarà quindi (sec) Nm+1 � = Nm δt Ēg dove δs = δt + δr e kp = � n �� p=1 � � δrp−1 Ēg δskp (Es ) , (6.36) � �� tbb − pt̄f Ēg t̄f (Es ) (6.37) è il numero di collisioni subite dagli elettroni a bassa energia, originati dopo p collisioni degli elettroni ad alta energia, con le pareti della camera. Il numero totale degli elettroni al passaggio del bunch (m + 1)-esimo sarà la somma della della (6.35) e della (6.36): Nm+1 = Nm � � n � � δr Ēg + δt Ēg n �� p=1 � p−1 δr � Ēg δskp (Es ) � (6.38) da cui il coefficiente del termine lineare della mappa (6.30) può essere scritto in CAPITOLO 6. ELECTRON CLOUD 83 Figura 6.10: Coefficiente lineare approssimativo a in funzione del bunch spacing, per δmax = 1.3 (giallo), δmax = 1.5 (rosso), δmax = 1.7 (verde). Figura 6.11: Comparazione del coefficiente lineare a della mappa derivato usando le simulazioni di ECLOUD (barre verticali) e usando il calcolo analitico (linee continue dello stesso colore), in funzione della popolazione del bunch N per δmax = 1.3 (giallo), δmax = 1.5 (rosso) e δmax = 1.7 (verde). forma chiusa come segue � � � � � � η δsnη (Es ) − δrn Ēg Nm+1 n � �, a= = δr Ēg + δt Ēg δs (Es ) η Nm δs (Es ) − δr Ēg (6.39) � � � dove η = t̄f Ēg /t̄f (Es ) = Es /Ēg � 1. In fig. 6.10 il coefficiente a è mostrato in funzione del bunch spacing tbb per differenti valori di δmax . Infine, in figura 6.11 il risultato analitico è confrontato con i valori simulati, mostrando un buon accordo. Capitolo 7 Instabilità Causate dall’Electron Cloud In acceleratori di positroni e protoni, gli elettroni prodotti per fotoemissione, ionizzazione e per emissione secondaria si accumulano nella camera a vuoto quando il fascio è diviso in più bunch ravvicinati. Un bunch di protoni o positroni passando attraverso l’electron cloud risente di una forza simile a quella di un wake field vicino. Questo wake field può causare instabilità transverse-mode-coupling se la densità dell’electron cloud supera un determinato valore soglia. L’electron cloud induce un wake field sul fascio che lo attraversa; ovvero esso produce una perturbazione trasversale di una parte longitudinale del fascio, interessando così le parti successive del fascio. In un acceleratore questo wake field può causare due tipi di instabilità: 1. instabilità trasversali di single-bunch (head-tail) causate da forze di wake vicine (< 100 ps); 2. instabilità trasversale di multi-bunch (coupled-bunch) causate da forze di wake a media distanza (> ns). 84 CAPITOLO 7. INSTABILITÀ CAUSATE DALL’ELECTRON CLOUD 7.1 85 Instabilità di single-bunch Si consideri ora un bunch con distribuzione Ψ (x, px , y, py , z, pz ; s) nello spazio delle � fase a sei dimensioni, dove la densità Ψ è normalizzata: Ψdx dpx dy dpy dz dpz ds = 1. La coordinata longitudinale z rappresenta lo spostamento relativo longitudinale del fascio; è espressa come z = s − ct, dove t è l’istante di tempo in cui una particella con coordinata longitudinale z arriva in s, quindi una z positiva significa che la particella è in anticipo rispetto al centro del bunch. Una particella in posizione z all’interno del bunch risente di una forza di wake indotta dalla parte precedente del bunch (z � < z). Se la forza di wake Fx(y) (z, s) è della stessa natura di una forza derivante da una classica impedenza della camera a vuoto o di una cavità, potrà essere espressa da N+ r c Fx(y) (z, s) = γ dove ρx(y) (z, s) = � � ∞ z Wx(y) (z − z � , s) ρx(y) (z � , s) dz � , (7.1) x (y) Ψdx dpx dy dpy dpz è un momento di dipolo orizzontale (verticale) in z, N+ è il numero di positroni o protoni nel bunch ed rc è il classico raggio della particella. Il termine Wx(y) (z, s) è il wake field. Questo è il coefficiente lineare della forza accoppiata con un momento di dipoli della parte precedente del bunch. Nell’Eq. (7.1), una particella in posizione z risente di una forza dipendente solo dalla distanza dalla posizione z � in cui c’è una perturbazione del momento di dipolo. Tuttavia non è chiaro a priori se il wake field prodotto dall’electron cloud ha le stesse caratteristiche di quello convenzionale. In questo caso si tratterà come un normale wake field in cui la forza di wake prodotta dall’electron cloud è modellata secondo la (7.1) considerando una regione senza campi magnetici esterni. Per valutare il wake field si può utilizzare l’approssimazione di “coasting beam”; ovvero la distribuzione di carica longitudinale del fascio è considerata uniforme, in cui la densità lineare del bunch λb è data da N+ /2σz . In questa approssimazione gli CAPITOLO 7. INSTABILITÀ CAUSATE DALL’ELECTRON CLOUD 86 elettroni oscilleranno in un potenziale costante vicino al centro del fascio con una pulsazione ωe,x(y) = � 2λb re c2 σx(y) (σx + σy ) (7.2) dove σx(y) è la dimensione orizzontale (verticale) del fascio. Si cercherà di trattare il wake field come un risonatore, caratterizzato da una resistenza di shunt Rs , da un fattore di qualità Q e da una pulsazione di risonanza ωR , come è comunemente usato per la caratterizzazione di camere a vuoto o cavità. Ci si aspetta che, nel caso dell’electron cloud, la frequenza di risonanza del risonatore equivalente sia strettamente correlata alla frequenza di oscillazione degli elettroni ωe . La forza tra il fascio e gli elettroni e quindi anche l’effettiva forza di wake, è non lineare nelle perturbazioni trasversali di ampiezza. Questa non linearità porterà alla saturazione dell’instabilità per un certo valore dell’ampiezza, il quale sarà paragonabile alla dimensione del fascio. L’instabilità di single-bunch causata dal wake field dell’electron cloud sarà trattata adattando la teoria convenzionale dell’nstabilità, la quale è basata sull’Eq. (7.1). Tale teoria prevede una crescita esponenziale in cui il tasso di crescita è determinanto, dai parametri del fascio e del wake field. Poichè il wake field reale non soddisfa esattamente la (7.1), l’instabilità avrà un comportamento diverso dalla semplice crescita esponenziale. Si considerino ora delle “fette” del fascio di positroni, rappresentate tramite le coordinate trasversali del centro di massa, coordinata longitudinale z e posizione s [xb (z, s) , yb (z, s)]; tale moto lungo z è descritto come una variazione in funzione di s. L’electron cloud, a sua volta, è caratterizzato dalle coordinate trasversali del centro di massa [xc (s, t) , yc (s, t)] e dalla posizione s; quindi il suo moto in s è descritto come una variazione nel tempo t. Essendo questa una trattazione analitica si assume che l’interazione tra il fascio e l’electron cloud è lineare nello spostamento tra i centri del fascio e dell’elec- CAPITOLO 7. INSTABILITÀ CAUSATE DALL’ELECTRON CLOUD 87 tron cloud per ogni s, dove le fette del fascio in (z, s) interagiscono con la nube in [s, t = (s + z) /c]. Per ora si considererà solo il moto verticale, in quanto l’estensione a quello orizzontale è semplice. Allora le equazione del moto per il fascio e per l’electron cloud sono � ω �2 d2 yb (s, z) � ωβ,y �2 b,y + y (s, z) = − {yb (s, z) − yc [s, (s + z) /c]} (7.3) b 2 ds c c d2 yc (s, t) 2 = −ωc,y [yc (s, t) − yb (s, ct − s)] , (7.4) dt2 dove ωβ,y è la pulsazione di betatrone senza l’interazione con gli elettroni. I due coefficienti ωb,y e ωc,y caratterizzano la forza linearizzata tra il fascio e l’electron cloud e sono 2λc rr c2 γky (σx + σy ) σy 2λb re c2 = , ky (σx , +σ) σy 2 ωb,y = (7.5) 2 ωc,y (7.6) dove λc e λb sono le densità lineari della nube e del fascio, σx e σy sono le dimensioni, rispettivamente, orizzontali e verticali del fascio. Ancora, ωb e ωc sono due parametri di accoppiamento e ky è un parametro libero derivante dall’integrazione di due distribuzioni Gaussiane le quali rappresentano il fasicio e l’electron cloud. Se l’electron cloud è rappresentato da una distribuzione strettamente Gaussiana con lo stesso rms della dimensione del fascio, si ha k = 2. Da notare che ωc , la quale è la √ √ pulsazione coerente dell’electron cloud, differisce di un fattore 1/ k ∼ 1/ 2 dalla pulsazione incoerente di oscillazione ωe di un singolo elettrone (7.2). Le equazioni orizzontali del moto si otterranno sostituendo ωb,y e ωc,y con 2λc re c2 γkx (σx + σy ) σx 2λb re c2 = . kx (σx + σy ) σx 2 ωb,x = (7.7) 2 ωc,x (7.8) CAPITOLO 7. INSTABILITÀ CAUSATE DALL’ELECTRON CLOUD 88 Per la condizione iniziale yc (s, −∞) = 0 la soluzione della (7.4) è yc (s, t) = ωc � t −∞ yb (s, s − ct� ) sin ωc (t − t� ) dt� . (7.9) Sostituendo la soluzione nella (7.3), l’equazione del moto del fascio è ottenuta come segue d2 yb (s, z) + ds2 � ω̃β c �2 ω 2 ωc yb (s, z) = b 3 c � ∞ yb (s, z � ) sin z ωc (z − z � ) dz � , c (7.10) dove ω̃β2 = ωb2 + ωβ2 è la pulsazione di betatrone che include le interazioni tra fascio ed electron cloud. Il corrispondente tune shift coerente è espresso come ∆ωβ = ω02 2ωβ (7.11) dove ω0 è la pulsazione di rivoluzione. La parte destra dell’Eq. (7.10) può essere rappresentata da una funzione di wake, la quale dipende solo dalla distanza longitudinale; integrata lungo la circonferenza dell’anello L, questa funzione di wake si può scrivere come �ω � � � c W1 (z) m−2 = cRs /Q sin z c per z < 0, (7.12) dove cRs /Q = γωb2 ωc L λb r c c 3 (7.13) in cui si è posto λb yb (s, z � ) = ρy (z � , s). Si è quindi dimostrato che, in base alle approssimazioni fatte, il wake field causato dall’electron cloud può essere rappresentato da un risonatore, come generalmente si fa per descrivere il problema in termini di impedenze associate, in cavità e camere a vuoto. Se interpretiamo il wake field come un risonatore, il coefficiente della CAPITOLO 7. INSTABILITÀ CAUSATE DALL’ELECTRON CLOUD 89 Figura 7.1: Rappresentazione schematica dell’algoritmo di simulazione dell’ HEADTAIL code che modella l’instabilità di single-bunch causata dall’electron cloud [11]. funzione di wake sinusoidale corrisponde ad una resistenza di shunt divisa da un fattore di qualità: Rs /Q. In questo modello lineare la funzione di wake non oscilla; questo significa che, anche se Rs /Q è una quantità finita, Rs e Q saranno infinite. Per questo modello analitico, l’Eq. (7.10) mostra che la forza di wake è lineare e obbedisce al principio di sovrapposizione degli effetti per una perturbazione yb (s, z) e dipenderà solo dalla distanza longitudinale della perturbazione (z − z � ). 7.1.1 Schemi di simulazione Le simulazioni al computer appaiono indispensabili per una corretta previsione e comprensione delle dinamiche di instabilità. Si possono utilizzare diversi approcci per modellare le interazione di un bunch e di un electron cloud, ad esempio rappresentando, il fascio, con un determinato numero di microbuches con dimensione trasversale finita ma puntiformi nella coordinata longitudinale dello spazio delle fasi, e gli elettroni con delle macroparticelle (Ohmi’s PEHT code [10]); oppure rappresentando sia il fascio che l’electron cloud come delle macroparticelle (discrete PIC code, soft-Gaussian approximation). Lo schema di simulazione per il PIC code o per il soft-Gaussian code è illustrata CAPITOLO 7. INSTABILITÀ CAUSATE DALL’ELECTRON CLOUD 90 in fig. 7.1. Si considera che le interazioni tra il bunch e gli elettroni avvengono in uno o più punti del beam-pipe. Come già detto precedentemente si rappresentano sia il fascio che gli elettroni come macroparticelle. Le macroparticelle che compongono il bunch sono divise in “fette” lungo la coordinata longitudinale, quindi l’interazione tra bunch ed electron cloud è calcolata per ogni “fetta”. Gli elettroni si muovono tra i centri delle fette con la loro quantità di moto istantanea e sotto la possibile influenza di campi magnetici esterni. Dopo l’interazione, le macroparicelle del fascio sono ricalcolate nel punto successivo di interazione tramite una matrice 6 × 6 che rappresenta l’ottica lineare; invece l’electron cloud è aggiornato prima dell’arrivo del bunch, ovvero si assume che esso si sia generato nuovamente con il passaggio dell’ultimo bunch e quindi non avrà memoria delle perturbazioni precedenti. L’interazione tra le particelle del bunch e l’electron cloud è espressa dalle seguenti equazione accoppiate del moto: N� int −1 d2�xp,i (s) e � e [�xp,i ; fe,n (x, y, t)] δ (s − sn )(7.14) = −K (s) �xp,i (s) E ds2 γmp c2 n=0 � �� � d2�xe,j (s) e d� x e,j � p [�xe,j ; fp,SL (x, y)] + � ext . = − E ×B (7.15) dt2 me dt Qui le posizioni degli elettroni e delle particelle del bunch sono rappresentate dei vettori bidimensionali e tridimensionali �xe ≡ (xe , ye ) e �xp (s) ≡ (xp , yp , zp ) dove z = s − ct rappresenta una coordinata longitudinale; Ks è la distribuzione in 3D della messa a fuoco tra due punti di interazione, comunemente integrata nella matrice 6 × 6; fe,n (x, y) e fp,SL (x, y) rappresentano rispettivamente le funzioni di distribu�e è zione dell’electron cloud in posizione n e delle particelle del bunch in una fetta; E � p è quello del fascio; B � ext è il campo magnetico il campo elettrico degli elettroni ed E esterno che potrebbe influenzare significativamente la dinamica degli elettroni. Nel� e,p , che agiscono sugli elettroni l’approccio utilizzato da PIC code, i campi elettrici E e sulle particelle del fascio durante la loro interazione, sono calcolati su una griglia. CAPITOLO 7. INSTABILITÀ CAUSATE DALL’ELECTRON CLOUD 7.2 91 Instabilità di multi-bunch Un bunch di positroni può essere caratterizzato dalla sua posizione longitudinale e trasversale in funzione di s, ignorando la struttura interna del bunch. Le interazioni tra i bunches e gli elettroni nella nube, sono determinate dai profili trasversali e longitudinali dei bunches. Tali profili sono assunti Gaussiani con deviazione standard determinata dall’emittance e dalla media della funzione beta in direzione trasversale e longitudinale. Le equazioni del moto possono essere scritte come Ne d2�xp re � + K (s) �xp = F� (�xp − �xe ) δP (s − se ) ds2 γ e=1 Nb � d2�xe 2 = 2re c F� (�xe − �xp ) δP [t − tp (se )] + dt2 p=1 (7.16) (7.17) e d�xe � − 2re c2 ∂φ , ×B me dt ∂x dove i pedici p ed e rappresentano i positroni e gli elettroni rispettivamente, re è il raggio dell’elettrone, me è la massa dell’elettrone, e è la carica dell’elettrone, φ è il potenziale elettrico causato dagli elettroni, δP è la funzione di Dirac ed F� è la forza di Coulomb in uno spazio bidimensionale. Il potenziale elettrico normalizzato, il quale rappresenta le interazioni tra gli elettroni, è determinato dall’equazione di Poisson: ∇2⊥ φ (x) = Ne � a=1 δ (x − xe,a ) . (7.18) La forza di carica spaziale è risolta utilizzando la funzione di Green considerando la sezione circolare. Il build-up dell’electron cloud è stimato utilizzando solo la (7.17) e le condizioni iniziali per l’electron cloud sono mostrate in fig. 7.2. Si consideri come posizione longitudinale se , quindi gli elettroni sono creati quando il bunch giunge in posizione se al tempo t = t (se ). Per acceleratori di positroni la fotoemissione causata dalla radiazione di sincrotrone è il processo principale nella produzione di elettroni. Il nu- CAPITOLO 7. INSTABILITÀ CAUSATE DALL’ELECTRON CLOUD 92 Figura 7.2: Rappresentazione schematica del build-up dell’electron cloud. Gran parte degli elettroni sono originati dalla porzione di superficie su cui incide la radiazione di sincrotrone. mero medio di elettroni incidenti sulle pareti della camera rispetto alla circonferenza dell’anello è � � 5π αγ nγ /m · e+ = √ 3 L (7.19) in cui α = 1/137. Il numero di fotoelettroni prodotti da un positrone nella camera è � � neγ /m · e+ = nγ Yγ . (7.20) Il tasso di fotoemissione diretta è stimato essere Yγ ∼ 0.1. Un elettrone secondario è prodotto con probabilità [δ2 (E)] quando un elettrone è assorbito dalle pareti della camera. Tale probabilità, la quale è funzione dell’energia dell’elettrone incidente (E), è definita come segue δ2 (E) = δ0 e−5E/Emax + δ2,max E 1.44 . Emax 0.44 (E/Emax )1.44 (7.21) La densità degli elettroni cresce fino ad un valore soglia, determinato dall’equilibrio CAPITOLO 7. INSTABILITÀ CAUSATE DALL’ELECTRON CLOUD 93 tra la creazione e l’assorbimento degli elettroni che si muovono sotto l’influenza di forze e dalle condizioni iniziali. In questo caso si può assumere che gli elettroni saranno prodotti uniformemente sulla superficie delle pareti della camera. La distribuzione degli elettroni si riflette sulle caratteristiche dell’instabilità di coupled-bunch; tale instabilità è causata dall’interazione del fascio con il movimento collettivo dell’electron cloud e il moto degli elettroni della nube è molto correlato con la distribuzione dell’electron cloud. Il moto collettivo e la distribuzione, dell’electron cloud, dipende dalla posizione all’interno dell’anello; ovvero dipende dalla vicinanza o dalla lontananza rispetto al campo esterno prodotto dai vari componenti dell’acceleratore. Le caratteristiche dell’instabilità di coupled-bunch sono determinate dalla media o dall’integrazione del moto collettivo delle electron clouds rispetto a tutto l’anello. Per la valutazione dell’instabilità si assume che l’intero anello sia formato da un solo componente (ad esempio solo drift-space) e che gli elettroni siano prodotti da una sola delle possibili sorgenti, quindi per valutare l’effettivo aumento dell’instabilità si fa un’opportuna media pesata dei singoli risultati. L’instabilità di coupled-bunch è simulata risolvendo le (7.16) (7.17) (7.18), imponendo delle condizioni iniziali autoconsistenti. Pur non essendo difficile da simulare l’evoluzione di ogni ampiezza del bunch osservando l’aumento dell’instabilità, richiede molte risorse al computer e molto tempo. Spesso, poi, tale metodo non fornisce un quadro fisico dell’instabilità. Il meccanismo e le cause dell’instabilità sono simili all’instabilità classica causata dalla struttura della camera a vuoto. La correlazione tra i bunches è indotta dal moto coerente degli elettroni nella nube o dal campo elettromagnetico nella camera. La teoria ordinaria sull’instabilità è basata sui wake field. La forza verticale di cui risente un bunch in posizione z è espressa dalla convoluzione del wake field (W1,y ) con i momenti di dipolo dei bunches in anticipo rispetto al bunch di interesse CAPITOLO 7. INSTABILITÀ CAUSATE DALL’ELECTRON CLOUD (zi < zj ): ∞ Np r e � Fy (zi ) = W1,y (zi − zj ) yj (zj ) , γ j>i 94 (7.22) dove il wake field W1,y (z) è funzione della distanza tra il bunch di interesse (zi ) e i bunches in anticipo (zj ). Questa convoluzione è basata sulla linearità e sul principio di sovrapposizione degli effetti della forza di wake. La forza dell’Eq. (7.22) per un treno di bunch uniformemente spaziati con bunch spacing Lsp induce un’instabilità di coupled-bunch caratterizzata da una relazione di dispersione N (Ωm − ωβ ) w m+νβ L Np r e c � = W1 (−iLsp ) ej2πi M c 2γωβ i=1 in cui Nw è il range del wake field. La parte immaginaria di Ωm L c (7.23) = T0 τm è il tasso di crescita per rivoluzione del modo m-esimo. I bunches oscilleranno con un modo caratterizzato da m come ym (zi ) = am e−j(Ωm t−2πmi/M ) , (7.24) dove M è il numero di bunches assunti equamente spaziati. La parte reale di Ωm è circa ωβ . Alcune prove sono state fatte utilizzando un metodo analitico per studiare l’instabilità di coupled-bunch indotta dall’electron cloud. La difficoltà con la teoria analitica per l’instabilità di coupled-bunch è dovuto al fatto che i singoli elettroni nella nube non risentono tutti di un moto armonico lineare. Proprio per questa difficoltà è preferibile utilizzare un procedimento semianalitico, nel quale si calcolano numericamente le forze di wake e il tasso di crescita dei modi di coupled-bunch è valutato con la (7.23) [12]. Questo metodo è stato utilizzato per capire l’instabilità di coupled-bunch osservata al KEK Photon Factory. CAPITOLO 7. INSTABILITÀ CAUSATE DALL’ELECTRON CLOUD 95 Si ipotizzi che i buches interagiscano con la nube in posizione s. Il kick subito dall’i-esimo bunch è espresso come � ∆yp,i i+N Np re �w = W1 (zi − zj ) yp,j γ j>i (7.25) dove y � = dy/ds. Questa equazione è generalmente usata per simulare il moto del fascio con un dato wake field W1 , però si può anche utilizzare per valutare il wake field indotto dall’electron cloud. Tale metodo è risultato molto efficiente per quanto riguarda le simulazioni sul KEKB, soprattutto per wake field valutati in zone di drift space e in magneti solenoidali, più problemi ci sono stati per quanto riguarda i wake field indotti dall’electron cloud in magneti curvanti abbastanza forti [12]. 7.2.1 Tracking dell’instabilità di multi-bunch Le tre equazioni (7.16) (7.17) (7.18) possono essere risolte direttamente numericamente. In una simulazione di tracking del KEKB, un migliaio di bunches interagiscono con la nube durante molte centinaia di rivoluzioni, in base al tempo di crescita. Poichè il calcolo del campo di carica spaziale impiegherebbe molto tempo, si utilizza un’approssimazione. L’equazione di Poisson è risolta solo una volta per ampiezza del fascio pari a zero, cioè, il potenziale della carica spaziale, che è stato calcolato con la simulazione del build up, è posto come campo costante in questa simulazione di tracking; tale approssimazione è affidabile e sufficiente, quando le oscillazioni in ampiezza del fascio sono piccole. Il tempo di calcolo sarà molto lungo in quanto gli effetti non lineari e i vari risultati da sovrapporre per valutare l’interazione fascio-nube sono inclusi automaticamente. L’ampiezza trasversale di ogni bunch è ottenuta come funzione del tempo; quindi trasformando secondo Fourier le ampiezze di tutti i bunches si ha lo spettro dei modi instabili. Esperimenti sull’instabilità di coupled-bunch sono stati ampiamente CAPITOLO 7. INSTABILITÀ CAUSATE DALL’ELECTRON CLOUD 96 effettuati utilizzando il fast beam-position monitors [13, 14]. Il modulo del baricentro del bunch è calcolato direttamente in funzione del tempo utilizzando i monitors. Lo spettro dei modi dato dalla trasformazione di Fourier dei dati sperimentali è poi confrontato con quello ottenuto dalle simulazioni [12]. Capitolo 8 Possibili soluzioni 8.1 Uso dei solenoidi per sopprimere l’electron cloud in DaΦne Gli effetti dovuti al fenomeno dell’electron cloud in DaΦne si possono sintetizzare come segue: un grande e positivo tune shift indotto dalla corrente del fascio di positroni; l’aumento dell’instabilità orizzontale con il tempo non può essere spiegato solo attraverso l’interazione del fascio con pareti non PEC, essa aumenta anche con la corrente del bunch; l’aumento anomalo della pressione di vuoto con la corrente del fascio; il tune shift tra bunches presenta la forma caratteristica del build-up dell’electron cloud. In DaΦne il fascio risentirà di un’instabilità verticale provocata dall’electron cloud e dall’interazione dei vari bunches con la nube stessa. Ovvero ciò che accade è che se il bunch non attraversa la nube esattamente al centro, essa sarà perturbata, tale perturbazione inciderà sul moto del bunch successivo destabilizzandolo. Tale fenomeno è detto instabilità di coupled bunch, come già discusso precedentemente. Questa instabilità è stata trovata tramite l’analisi di vari dati sperimentali. L’osservazione dell’oscillazione, provocata dall’electron cloud, mostra che la fre- 97 CAPITOLO 8. POSSIBILI SOLUZIONI 98 (a) (b) Figura 8.1: (a) Densità volumetrica di carica dell’electron cloud in DaΦne in funzione del tempo, in una regione di drift. (b) Vista tridimensionale della densità volumetrica di carica in un instante di tempo. quenza di oscillazione del modo è sempre molto bassa, infatti tale modo e detto modo -1 ed è quello più vicino all’origine dell’asse delle frequenze dalla parte negativa. Per regioni di drift (senza campi esterni), imponendo una bassa fotoemissione, però includendo comunque gli elettroni secondari, la densità volumetrica di carica dell’electron cloud è mostrata in fig. 8.1. In questo caso si può ridurre drasticamente la densità dell’electron cloud, soprattutto al centro della camera, con l’installazione di solenoidi, ovvero applicando campi magnetici in grado di trattenere gli elettroni primari e secondari nelle vicinanze delle pareti della camera. CAPITOLO 8. POSSIBILI SOLUZIONI 8.2 99 Simulazioni Come appena accennato, un modo efficace per ridurre l’electron cloud è quello dell’installazione di solenoidi. Tale beneficio è visibile chiaramente dal risultato di numerosi esperimenti ed anche dal risultato di numerose simulazioni. In questo caso le simulazioni sono state effettuate con ECLOUD, programma in Fortran che simula il build-up dell’electron cloud, tramite i modelli e i meccanismi fisici descritti nei riferimenti [21, 22, 23, 24]. La simulazione include i campi elettrici generati dal fascio, i campi magnetici arbitrari, il campo generato dalla carica spaziale degli elettroni e le cariche immagini sia per gli elettroni che per il fascio. Il programma richiede un file di input (ecloud.input) nel quale devono essere indicati i parametri del fascio (bunch spacing, popolazione del bunch, ecc.), le proprietà della superficie della camera (SEY, ecc.), il tipo del campo magnetico (intensità, dipoli, solenoidi, ecc.), geometria della camera a vuoto, ecc. [25]. Ovviamente restituisce vari file di output i quali dovranno essere successivamente analizzati. Di seguito ci sono due sottosezioni. Nella prima è stato simulato il build-up dell’electron cloud in regioni con bassa fotoemissione, in modo da mostrare come si distribuiscono spazialmente gli elettroni sottoposti ad un magnete solenoidale. Nella seconda, invece, si è considerata una regione con alta fotoemissione, sempre sotto l’influenza di magneti solenoidali. 8.2.1 Regioni con bassa fotoemissione La prima analisi è stata effettuata su regioni dritte, in cui la fotoemissione è assente e quindi gli elettroni primari saranno molto pochi in quanto dovuti agli altri fenomeni di emissione primari. Il primo caso analizzato è quello in drift space, ovvero senza l’influenza di campi esterni. La densità dell’electron cloud è mostrata in fig. 8.1(a) ed i parametri utilizzati nella simulazione sono riportati in tab. 8.1. Come si può notare chiaramente CAPITOLO 8. POSSIBILI SOLUZIONI 100 Parametro Valore Numero di bunches 120 Numero di particelle per bunch 10.1 × 1010 Bunch spacing [m] 0.8 Lunghezza del bunch [m] 0.018 Primary photoelectron emission yield 0.00076 SEY 1.9 Dimensione orizzontale del fascio [m] 0.0014 Dimensione verticale del fascio [m] 0.00005 Campo elettrostatico [V ] 0.0 Circonferenza [m] 97.68 Tabella 8.1: Parametri utilizzati per le simulazioni. Figura 8.2: Vista tridimensionale della densità volumetrica di carica dell’electron cloud in DaΦne in una regione in cui è presente un magnete solenoidale di 20 gauss. CAPITOLO 8. POSSIBILI SOLUZIONI 101 Figura 8.3: Densità tridimensionale del’electron cloud per una regione sottoposta ad un campo magnetico solenoidale di 200 Gauss in DaΦne. dalla fig. 8.1(b), la densità massima è concentrata nel centro della sezione della camera. Una soluzione, come più volte detto, è quella di installare dei solenoidi; ad esempio in fig. 8.2 si può vedere come, applicando un leggero campo magnetico solenoidale (20 Gauss), si ha una drastica riduzione della densità, soprattutto nel centro della camera. Aumentando l’intensità del campo magnetico gli elettroni si concentreranno sempre di più vicino le pareti della beam-pipe (fig. 8.3) e la densità diminuirà(fig. 8.4). Per un determinato valore del campo magnetico si ha il fenomeno della risonanza di multipacting. Ciò avviene quando il bunch spacing è uguale all’intervallo di tempo tra due collisioni consecutive degli elettroni con la parete della camera. A seconda dei paramentri dell’acceleratore è possibile calcolare la popolazione di un bunch necessaria affinchè si verifichi tale fenomeno. Prima di tutto bisogna ricavare il valore per cui ci sia emissione secondaria; come mostrato dalla fig. 8.5 tale valore è 43.68 eV. Sostituendo nell’Eq. (6.15) si ricava Nb = 10.32 × 1010 . Allora per i parametri di DaΦne il valore del campo magnetico affinchè si verifichi il fenomeno CAPITOLO 8. POSSIBILI SOLUZIONI 102 Figura 8.4: Densità dell’electron cloud in funzione del tempo per un fascio passante in solenoidi con diversi settaggi, per DaΦne. Figura 8.5: SEY per DaΦne. CAPITOLO 8. POSSIBILI SOLUZIONI 103 Figura 8.6: Variazione della densità media dell’electron cloud in funzione del campo solenoidale. Parametri espressi dalla tab. 8.1. della risonanza è dato da Bzc = πme c2 ≈ 66 Gauss. eLsep (8.1) Come si può notare dalla fig. 8.6 la banda di tale fenomeno è abbastanza larga (≈ 40 Gauss). 8.2.2 Regioni con alta fotoemissione Come visto nelle sezioni precedenti, applicando un magnete solenoidale la densità volumetrica di carica dell’electron cloud diminuisce all’aumentare del campo magnetico, eccetto che per particolari configurazioni in cui si ha il fenomeno della risonanza di multipacting. Nelle regioni con alta fotoemissione, ad esempio appena fuori da un dipolo, si avrà una grande quantità di fotoni incidenti sulle pareti della camera, concentrati in un cono con apertura proporzionale ad 1/γ. In questa situazione, senza solenoidi, ci sono molte probabilità di avere instabilità dovute all’electron cloud. Utilizzando però tali magneti si riesce a risolvere il problema, infatti, come mo- CAPITOLO 8. POSSIBILI SOLUZIONI 104 Figura 8.7: Densità media dell’electron cloud in funzione del campo solenoidale, in regioni con alta fotoemissione. Figura 8.8: Vista tridimensionale della densità volumetrica di carica, in DaΦne, in una regiona con alta fotoemissione con un solenoide a 300 Gauss, in un istante di tempo. CAPITOLO 8. POSSIBILI SOLUZIONI 105 strato in fig. 8.7, all’aumentare del campo magnetico si avrà una grande attenuazione della densità della nube nella camera, tranne che per un picco nella posizione di incidenza della radiazione, come è mostrato in fig. 8.8. Conclusioni I risultati principali contenuti in questa tesi si possono così riassumere. L’installazione di magneti solenoidali, riducendo l’intensità dell’electron cloud nelle regioni in cui transita il fascio, abbatte efficacemente l’interazione electron cloud–fascio. Di conseguenza saranno ridotte anche le instabilità provocate dalla nube. Il risultato delle simulazioni è coerente con i dati sperimentali ottenuti su DaΦne. Dal punto di vista modellistico, si è studiato un nuovo approccio allo studio del build-up dell’electron cloud nel Capitolo 5. Si descrive la densità dell’electron cloud usando una mappa cubica per evolvere la densità dell’electron cloud da un bunch al successivo. Il coefficiente del termine del primo ordine è stato ottenuto analiticamente riducendo il costo computazionale della simulazioni numeriche della formazione dell’electron cloud. In futuro si pensa di calcolare anche il coefficiente del secondo ordine. 106 Appendice A Lagrangiana ed Hamiltoniana La meccanica Newtoniana descrive un sistema fisico, a meno della presenza di vincoli, con un’unica equazione di natura vettoriale. La Meccanica lagrangiana cerca di semplificare la trattazione formale del problema descrivendolo mediante un’unica equazione scalare e non vettoriale. Essa in realtà riesce solo in parte nel suo intento, poiché le equazioni descrittive del problema potranno, a seconda dei casi, essere una o più di una, ma la funzione (detta Lagrangiana) che entra a far parte di queste equazioni è effettivamente scalare. Essa è definita come la differenza tra l’energia cinetica e l’energia potenziale del sistema oggetto di studio. Essa, quindi, non è l’energia meccanica totale del sistema (che ne è la somma). Allora si chiamerà Lagrangiana la funzione L = T − U. (A.1) L’energia cinetica T e l’energia potenziale U del sistema sono grandezze scalari e pertanto tale sarà la Lagrangiana L. Tuttavia il moto del sistema si manifesta nello spazio tridimensionale, quindi in qualche maniera questa natura vettoriale dell’informazione fisica dovrà emergere dalle equazioni. Naturalmente, essa è in primo luogo contenuta nel fatto che tanto T quanto U non sono numeri, ma sono funzioni. Esse infatti dipendono dalla posizione nello spazio occupata dal sistema 107 APPENDICE A. LAGRANGIANA ED HAMILTONIANA 108 (qualora esso sia puntiforme o ci si sta occupando del suo solo centro di massa), o da ognuno dei suoi costituenti. Sempre restando, per semplicità, nel caso di sistema puntiforme o comunque rigido (di cui quindi consideriamo solo il moto del centro di massa), T ed U saranno allora funzioni delle coordinate spaziali x, y e z, ed eventualmente anche del tempo t. Implicitamente, se il sistema è in movimento, tanto l’energia cinetica quanto quella potenziale saranno sempre funzioni del tempo, in quanto le tre coordinate spaziali sono funzioni di esso (perché il sistema è in moto); tuttavia T e U potrebbero anche essere funzioni esplicite del tempo, in tutte quelle condizioni in cui il sistema scambia energia con l’esterno (dissipandola o assorbendola). Il simbolo q indica una generica coordinata spaziale, coordinata generalizzata, ed esso da solo può indicare anche un insieme di coordinate spaziali, ad esempio le tre coordinate dello spazio cartesiano. Per evitare questa confusione si potrebbe in realtà affinare un po’ la notazione, assegnando degli indici al simbolo q, ad esempio q1 = x q2 = y q = z. La funzione Lagrangiana, allora, scelto lo spazio in cui avviene il moto del sistema e scelta la metrica che ne dà un sistema di coordinate, sarà la differenza delle funzioni energia cinetica T ed energia potenziale U del sistema oggetto di studio scritte secondo le coordinate q dello spazio in cui avviene il moto. Le equazioni di EuleroLagrange permettono di calcolare le equazioni del moto a partire dalla Lagrangiana: d dt � ∂L ∂ q̇ � − ∂L =0 ∂q (A.2) dove q̇ è la derivata rispetto al tempo di q, ovvero la velocità. Quindi, calcolata la Lagrangiana, basta sostituirla nell’Eq. (A.2) per ottenere le equazioni del moto. L’Hamiltoniana H è definita come la somma (e non più come la differenza, come nel caso della Lagrangiana) di energia cinetica ed energia potenziale, ovvero H = T + U. (A.3) APPENDICE A. LAGRANGIANA ED HAMILTONIANA 109 Per un sistema meccanico, questa è esattamente l’energia meccanica totale del sistema. Le equazioni del moto non sono più quelle di Eulero-Lagrange, ma quelle di Hamilton: ∂H ∂p ∂H ṗ = − ∂q q̇ = (A.4) (A.5) dove q indica le posizioni o coordinate generalizzate, che saranno le tre coordinate cartesiane dello spazio che ci circonda per un sistema libero, ma saranno coordinate opportunamente definite su spazi diversi per sistemi vincolati, mentre p indica gli impulsi generalizzati, ovvero il prodotto di massa e velocità q̇ del sistema (o delle sue costituenti). Come per la Lagrangiana, sostituendo l’Hamiltoniana nelle equazioni di Hamilton, troveremo le equazioni del moto. Bibliografia [1] M. Conte e W. MacKay, “An introduction to the physics of particle accelerators”, World Scientific (1994) [2] D. A. Edwards e M. J. Syphers, “An introduction to the physics of high energy accelerators”, SSC Laboratory (1993) [3] K. Hübner, “Synchrotron radiation”, CERN/PS/LPI 84-30 (1984) [4] U. Iriso, “Electron Clouds in the Relativistic Heavy Ion Collider”, (2005) [5] O. 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Special Topics 7, 024402 (2004) Elenco delle figure 2.1 Esempio di acceleratore circolare (LEP), in cui si possono osservare le componenti principali. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.2 7 Collisione di una singola particella di un fascio con un bunch di un altro fascio. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11 3.1 Caratterizzazione dei gradi di libertà trasversi e longitudinali rispetto al moto di una particella. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 14 3.2 Particelle cariche in moto immerse in un campo magnetico uniforme subiscono una deflessione (a) perpendicolare alle linee di campo, (b) parallela alle linee di campo. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 14 3.3 Sistema di riferimento di Frenet-Serret lungo l’orbita di riferimento. . 15 3.4 Coordinate per descrivere il moto nei due piani trasversali (con p fissato). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19 3.5 Deflessione di una particella mediante un elemento magnetico sottile. 20 3.6 Lente sottile convessa. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21 3.7 Variazione del versore x. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 25 3.8 Confronto della lunghezza del tratto ds lungo l’orbita di riferimento, con la lunghezza vs dt lungo la traettoria della particella. . . . . . . . 27 3.9 Mappatura dello spazio delle fase, giro dopo giro, in un acceleratore circolare. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 33 3.10 Ellissi nello spazio delle fasi lungo la traettoria di riferimento. . . . . 34 113 ELENCO DELLE FIGURE 114 3.11 Un magnete curvante deflette le particelle con quantità di moto maggiore rispetto alla particella sincrona di un angolo più piccolo. . . . . 41 4.1 Illustrazione della differenza di incremento della lunghezza del percorso tra una particella e quella sincrona. . . . . . . . . . . . . . . . . 50 5.1 Linee di campo elettrico scia in una camera a vuoto con pareti non perfettamente conduttrici generato da una carica puntiforme q. . . . . 55 5.2 Esempi di camere a vuoto che generano wake fields. Il fascio è rappresentato come un anello con un momento multipolare distribuito come cos mθ. Una carica di prova e sta seguendo il fascio ad una distanza fissa. (a) Discontinuità geometriche periodicamente distribuite lungo la camera a vuoto. (b) Struttura liscia ma non perfettamente conduttrice. (c) Discontinuità geometrica presente in un solo punto della camera. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 55 6.1 Tipico comportamento del SEY in funzione dell’energia degli elettroni incidenti. Il comportamento cambia per materiali diversi, quindi cambieranno δmax , E1 , E2 , ecc. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 63 6.2 Schema del multipacting in regime di single-bunch nel PSR. . . . . . 64 6.3 Schema del multipacting in LHC. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 65 6.4 Interazione elettrone-bunch basata sul formalismo di Berg in un beampipe a simmetria cilindrica. 6.5 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 68 Sinistra : schema che mostra le diverse componenti che definiscono l’emissione secondaria di elettroni. Destra: curve di distribuzione di energia per pareti di acciaio inox con elettroni a 300 eV incidenti normalmente. La distribuzione mostra tre differenti componenti: true secondaries, rediffused e backscattered. . . . . . . . . . . . . . . . . . 73 ELENCO DELLE FIGURE 6.6 115 Secondary emission yield in funzione dell’energia degli elettroni primari incidenti. I cerch blu sono dati sperimentali ottenuti da R. Kirby e la curva in rosso è ottenuta tramite fitting basato sulle equazioni (6.24) e (6.25). Le curve tratteggiata e continua corrispondono rispettivamente al contributo degli elettroni true secondaries e reflected. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 75 6.7 Evoluzione della densità dell’electron cloud (verde) realizzata con ECLOUD. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 78 6.8 Mappa della densità media dell’electron cloud ρm+1 in funzione di ρm . Cerchietti: simulazioni con ECLOUD (δmax = 1.7, tutti i parametri della tab. 6.1). La linea rossa tratteggiata rappresenta la saturazione (ρm+1 = ρm ). I punti la di sopra della linea rossa descrivono il buildup dell’electron cloud (blu: N = 1.6 × 1011 , verde: N = 0.8 × 1011 ), quelli sotto la decadenza dell’electron cloud. La linea verde e quella blu rappresentano le corrispondenti mappe cubiche. I segni quadrati rappresentano le transizioni tra i treni di bunches pieni e vuoti. . . . 79 6.9 Geometria della sezione trasversale del beam-pipe di LHC, reale (linea continua) e approssimata (linea tratteggiata). . . . . . . . . . . . . . 81 6.10 Coefficiente lineare approssimativo a in funzione del bunch spacing, per δmax = 1.3 (giallo), δmax = 1.5 (rosso), δmax = 1.7 (verde). . . . . 83 6.11 Comparazione del coefficiente lineare a della mappa derivato usando le simulazioni di ECLOUD (barre verticali) e usando il calcolo analitico (linee continue dello stesso colore), in funzione della popolazione del bunch N per δmax = 1.3 (giallo), δmax = 1.5 (rosso) e δmax = 1.7 (verde). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 83 ELENCO DELLE FIGURE 7.1 116 Rappresentazione schematica dell’algoritmo di simulazione dell’ HEADTAIL code che modella l’instabilità di single-bunch causata dall’electron cloud [11]. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 89 7.2 Rappresentazione schematica del build-up dell’electron cloud. Gran parte degli elettroni sono originati dalla porzione di superficie su cui incide la radiazione di sincrotrone. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 92 8.1 (a) Densità volumetrica di carica dell’electron cloud in DaΦne in funzione del tempo, in una regione di drift. (b) Vista tridimensionale della densità volumetrica di carica in un instante di tempo. . . . . . . 98 8.2 Vista tridimensionale della densità volumetrica di carica dell’electron cloud in DaΦne in una regione in cui è presente un magnete solenoidale di 20 gauss. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 100 8.3 Densità tridimensionale del’electron cloud per una regione sottoposta ad un campo magnetico solenoidale di 200 Gauss in DaΦne. . . . . . . 101 8.4 Densità dell’electron cloud in funzione del tempo per un fascio passante in solenoidi con diversi settaggi, per DaΦne. . . . . . . . . . . . 102 8.5 SEY per DaΦne. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 102 8.6 Variazione della densità media dell’electron cloud in funzione del campo solenoidale. Parametri espressi dalla tab. 8.1. . . . . . . . . . 103 8.7 Densità media dell’electron cloud in funzione del campo solenoidale, in regioni con alta fotoemissione. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 104 8.8 Vista tridimensionale della densità volumetrica di carica, in DaΦne, in una regiona con alta fotoemissione con un solenoide a 300 Gauss, in un istante di tempo. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 104 Ringraziamenti Si ringrazia la Divisione Acceleratori dei Laboratori Nazionali di Frascati dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare per la sua ospitalità ed in particolare lo staff di DaΦne per il supporto. 117