MARKETING
Il marketing (termine inglese, spesso abbreviato in mktg), anche commercializzazione,
mercatistica, è un ramo dell'economia che si occupa dello studio descrittivo del mercato e dell'analisi
dell'interazione del mercato e degli utilizzatori con l'impresa.
Il termine prende origine dall'inglese market (mercato), cui viene aggiunta la desinenza del
gerundio per indicare la partecipazione attiva, cioè l'azione sul mercato stesso da parte delle imprese.
Non comune l'uso dei termini in italiano mercatistica o mercatologia.
Il marketing comprende quindi tutte le azioni aziendali riferibili al mercato destinate al
piazzamento di prodotti o servizi, considerando come finalità il maggiore profitto e come causalità la
possibilità di avere prodotti capaci di realizzare tale operazione finanziaria.
Definizioni
Vengono riconosciuti tre tipi di marketing:


marketing analitico: studio del mercato, della clientela, dei concorrenti e della propria
realtà aziendale;
marketing strategico: è un'attività di pianificazione, tradotta in pratica da un'impresa,
per ottenere, pur privilegiando il cliente, la fedeltà e la collaborazione da parte di tutti
gli attori del mercato;
1

marketing operativo: attiene invece a tutte quelle scelte che l'azienda pone in essere
per raggiungere i suoi obiettivi strategici.
Diverse sono le definizioni possibili del marketing, a seconda del ruolo che nell'impresa viene
chiamato a ricoprire in rapporto al ruolo strategico, al posizionamento dell'impresa nel suo ambito
competitivo di mercato.
La definizione principale viene da Philip Kotler, riconosciuto all'unanimità quale padre dei
più recenti sviluppi della materia per i lavori apparsi dal 1967 al 2009, con l'ultimo lavoro nato
dall'ultima crisi economica: Chaotics.
Le origini del "concetto di marketing" si possono far risalire all'economista italiano Giancarlo
Pallavicini, che nel 1959 sviluppò approfondimenti sulle ricerche di mercato, costituenti, di fatto, i
primi strumenti di quello che divenne poi il marketing moderno, ripresi e sviluppati in un secondo
tempo da Philip Kotler.
Giancarlo Pallavicini introduce, infatti, le seguenti definizioni:


Il marketing viene definito come quel processo sociale e manageriale diretto a soddisfare
bisogni ed esigenze attraverso processi di creazione e scambio di prodotto e valori. È l'arte
e la scienza di individuare, creare e fornire valore per soddisfare le esigenze di un mercato
di riferimento, realizzando un profitto: delivery of satisfaction at a price.
Il marketing management consiste invece nell'analizzare, programmare, realizzare e
controllare progetti volti all'attuazione di scambi con mercati-obiettivo per realizzare
obiettivi aziendali. Esso mira soprattutto ad adeguare l'offerta di prodotti o servizi ai
bisogni e alle esigenze dei mercati-obiettivo ed all'uso efficace delle tecniche di
determinazione del prezzo, della comunicazione e della distribuzione per informare,
motivare e servire il mercato.
Tuttavia sono state proposte anche altre definizioni. Citiamo in primo luogo quella di Russell
Winer:
«L'insieme delle attività che mirano a influenzare una scelta del consumatore riguardano il
marketing.»
William Pride e O.C. Ferrel ne danno una definizione più globale:
«Marketing: processo di produzione, promozione, distribuzione (punto vendita) e determinazione del
prezzo di beni, servizi o idee al fine di porre relazioni soddisfacenti con il cliente in un ambiente
dinamico.»
In realtà, negli ultimi venti anni, il marketing ha subito una rapida e forte evoluzione che ha
segnato la concezione stessa del marketing come ambito di ricerca. Tale tendenza è rintracciabile
nell'evoluzione delle definizioni che l'American Marketing Association, l'organismo più autorevole
nella ricerca di marketing al mondo, ha coniato negli ultimi anni.
Nel 1984, l'AMA Board, dava questa definizione:
(EN)
«The process of planning and executing the conception, pricing, promotion and distribution of ideas,
goods and services to create exchanges and satisfy individual and organizational objectives» (IT)
2
«Il processo di organizzazione e di esecuzione del concepimento, della politica dei prezzi, delle
attività promozionali e della distribuzione di idee, beni e servizi per creare scambi commerciali e
soddisfare gli obiettivi degli individui e delle organizzazioni.»
(AMA Board, 1985)
Questa visione è molto simile a quella finora descritta nelle precedenti definizioni. Negli
ultimi anni, il marketing ha iniziato invece ad abbandonare la prospettiva transazionale, per
concentrarsi maggiormente sull'ottica relazionale. La definizione più recente dell'AMA Board
descrive infatti il marketing così:
(EN)
«An organizational function and a set of processes for creating, communicating, and delivering value
to customers and for managing customer relationships in ways that benefit the organization and its
stakeholders.»
(IT)
«Una funzione organizzativa ed un insieme di processi volti a creare, comunicare e trasmettere un
valore ai clienti, ed a gestire i rapporti con essi in modo che diano benefici all'impresa ed ai suoi
portatori di interesse.»
(AMA Board)
L'AMA ridefinisce ulteriormente il concetto di marketing nel luglio 2013, poiché questa
disciplina si sta spostando verso nuovi orizzonti. Così viene descritta:
«Marketing is the activity, set of institutions, and processes for creating, communicating, delivering,
and exchanging offerings that have value for customers, clients, partners, and society at large.»
(Approved July 2013)
Ossia: Il Marketing è l'attività, insieme di istituzioni e processi per creare, comunicare, offrire
e scambiare le offerte che hanno valore per i clienti, clienti, partner, e la società in generale.
Philip Kotler
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Philip Kotler (Chicago, 27 maggio 1931) è S.C. Johnson & Son Distinguished Professor of
International Marketing presso la Kellogg School of Management della Northwestern University di
Evanston, Illinois.
È stato indicato come il quarto "guru del management" di tutti i tempi dal Financial Times
(dopo Jack Welch, Bill Gates e Peter Drucker) e acclamato come "il maggior esperto al mondo nelle
strategie di marketing" dal Management Centre Europe.
Viene anche considerato uno dei pionieri del marketing sociale.
Kotler ha dato un contributo importante alla strutturazione del marketing come disciplina
scientifica, orientando la formazione di moltissimi studenti e manager in tutto il mondo.
La sua opera principale è Marketing Management (prima edizione nel 1967), che viene
generalmente riconosciuto come uno dei più autorevoli testi sul marketing, ed è il più diffuso nelle
università e nelle business school di tutto il mondo, con una percentuale di adozioni vicina al 60%.
L'edizione italiana di Marketing Management è stata realizzata in collaborazione con il
professor Walter Giorgio Scott.
Kotler ha pubblicato numerose altre opere e più di cento articoli su diversi aspetti del
marketing. Inoltre ha ricevuto importanti premi e riconoscimenti.
Attraverso la sua società di consulenza, il Kotler Marketing Group (KMG), Kotler ha
collaborato con molte grandi aziende multinazionali, tra cui IBM, General Electric, AT&T,
Honeywell, Bank of America, Merck e Motorola.
Principali contributi di Philip Kotler al marketing
Da funzione a processo
In Marketing Decision-making, pubblicato nel 1971, Kotler sostiene la necessità di fondare il
processo decisionale di marketing su basi di maggiore scientificità.
Impostando lo studio del marketing da un punto di vista manageriale, anziché merceologico
o funzionale come avveniva prima di lui, lo fa evolvere da funzione aziendale a processo di gestione
dell'intera impresa. Un concetto inizialmente esposto dall'economista italiano Giancarlo Pallavicini
in un lavoro pubblicato nel 1959 sulle ricerche di mercato nell'ambito bancario, in cui proponeva una
relazione tra le circostanze esterne del mercato ed i fatti gestionali interni alla banca [1] Nel 1998
insegna anche in Italia con diversi seminari rivolti al management italiano, gestito da ISEM, Dr. Piero
Guidi, fa intervenire anche The Yorker International University Italia per la partecipazioni di diversi
studenti.
Orientamento al mercato
Kotler sposta la focalizzazione dell'impresa dal prodotto al mercato, o ancor meglio al cliente,
ribaltando la direzione tradizionale del processo di marketing: non più dall'interno dell'impresa verso
l'esterno, ma al contrario.
Con lui si sancisce il passaggio da un'azienda production oriented (dove la cosa più importante
è organizzare la produzione in modo che il prodotto finale derivante sia efficiente e di qualità
accettabile), ad un'azienda marketing oriented, capace di ascoltare e comprendere il mercato,
individuare bisogni ancora insoddisfatti e rispondere con un'offerta di valore adeguata e competitiva.
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Per Kotler il marketing non è un processo lineare ma circolare, in cui ascolto, comprensione
dei bisogni e delle forze che agiscono sui mercati, progettazione di prodotti o servizi in grado di
rispondere alle nuove opportunità individuate, comunicazione del vantaggio proposto e distribuzione
si susseguono, interagendo e modificandosi continuamente.
Concetto di marketing ampliato
Kotler fornisce una definizione più ampia e generale dell'attività di marketing, come
"strumento per comprendere, creare, comunicare e distribuire valore".
In questo modo ne estende il campo d'azione oltre il limite della gestione d'impresa.
Pubblica diversi lavori su temi come il marketing dei luoghi, delle nazioni, delle idee, delle
persone e delle professioni.
Modello delle "quattro P
Contrariamente a quanto spesso si crede, il noto modello delle "quattro P" del marketing mix
non è stato introdotto da Philip Kotler ma dal professor Jerome McCarthy nei primi anni sessanta. A
Kotler se ne deve comunque in gran parte la diffusione.
In sintesi, il modello organizza tutte le attività di marketing operativo che un operatore di
mercato gestisce in quattro grandi aree:
• Prodotto (Product)
• Prezzo (Price)
• Punto di vendita (Placement)
• Comunicazione (Promotion)
Con lo sviluppo della ricerca sul marketing, sono state proposte varie integrazioni al modello,
ad esempio l'aggiunta del Packaging, della vendita personale (Personal selling), o del servizio
(concetto di prodotto-servizio). In questo modo il modello diventerebbe delle "cinque P", delle "sei
P" e così via.
In una sua opera recente, Kotler attualizza il concetto di marketing mix, sostenendo che in
realtà molte delle proposte di integrazione avanzate negli anni non appaiono necessarie: l'imballaggio
è a tutti gli effetti un aspetto del prodotto, la vendita personale fa parte integrante della promozione,
mentre il servizio è parte costitutiva del prodotto (che andrebbe meglio definito come offerta).
D'altra parte, Kotler suggerisce due possibili espansioni del marketing mix:
• Le relazioni istituzionali (rapporti delle imprese con il mondo delle istituzioni per gestire le
conseguenze di leggi, provvedimenti, orientamenti della politica verso le attività
imprenditoriali che possono influenzare i mercati)
• Le relazioni pubbliche (organizzazione di campagne che cercano di modificare gli
atteggiamenti negativi dell'opinione pubblica verso determinate categorie di prodotti)
Modello delle "quattro C
Nella stessa opera, Kotler accoglie invece un'altra critica al modello, che sostituisce o associa
alle "quattro P" altrettante "C":
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• "Customer value" (valore per il cliente)
• "Change" (capacità strutturale dell'azienda di cambiare se stessa e ciò che propone al
mercato)
• "Convenience" (facilità per i clienti di trovare i prodotti)
• "Communication" (interazione Clienti - Azienda)
Questa impostazione vuole evidenziare l'importanza di pensare prima in termini di valore per
il cliente, e solo successivamente definire le corrispondenti attività di marketing dell'impresa (le
quattro P).
Orientamenti del marketing
Philip Kotler distingue, nella storia economica recente, quattro strategie di approccio al
mercato da parte dell'impresa:




Orientamento alla produzione: in questo periodo, dalla Rivoluzione industriale fino alla metà
del Novecento, il mercato è caratterizzato da una predominanza della domanda sull'offerta
dovuta al fatto che il cliente ha bisogno praticamente di tutto. Unica preoccupazione
dell'imprenditore è ridurre i costi di produzione, azione giustificata soprattutto nei mercati
dove prevalgono beni commodity, e dove quindi si può vincere con la concorrenza di prodotto.
Orientamento al prodotto: intorno agli anni trenta del Novecento l'impresa si concentra sulla
tecnologia del prodotto, piuttosto che sul consumatore. Il rischio di questa strategia è la
cosiddetta miopia di marketing (in inglese marketing myopia), cioè non accorgersi che il
fattore chiave di successo per un'azienda non è dal lato dell'offerta ma della domanda, cioè
del bisogno o funzione che il cliente deve soddisfare (rendendo quindi vani gli sforzi per
sostenere un prodotto se esistono tecnologie alternative più comode/economiche/efficaci).
Orientamento alle vendite: a partire dagli anni cinquanta e sessanta del Novecento si cerca di
vendere ciò che si produce. È una prospettiva di tipo inside-out, praticata soprattutto nel breve
termine, e con prodotti/servizi a bassa visibilità (unsought goods), oppure in casi di
sovrapproduzione, o ancora quando un mercato è saturo (e quindi va conquistato con la forza
vendita). Anche in questo caso il rischio è di capire poco cosa desidera il consumatore finale.
Orientamento al marketing: consiste nella comprensione dei bisogni del cliente, per produrre
i beni e quindi soddisfarli. È una prospettiva di tipo outside-in, o anche pull (capire il mercato)
anziché push (spingere sul mercato). Nasce alla fine degli anni novanta ed è in continuo
sviluppo ancora oggi.
Lo sviluppo della funzione del marketing nelle imprese è parte di una strategia di mercato che
viene definita "proattiva", dove l'impresa ha un ruolo propositivo nei confronti dei bisogni del
mercato.
Tuttavia, si può considerare come categoria a sé stante il progress marketing, basato sui nuovi
media.
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Ruolo del marketing
Il marketing può rivolgersi ai consumatori, e in questo caso si parla di marketing B2C, (business
to consumer, "dall'impresa al consumatore"), spesso definito semplicemente marketing; oppure, può
rivolgersi al mercato delle imprese, e in questo caso prende il nome di marketing industriale o
marketing B2B, (business to business, "da impresa a impresa").
Sono da citare anche il marketing dei servizi (compagnie aeree, catene alberghiere, ecc.) e il
marketing istituzionale (fatto cioè da istituzioni). Di significato meno economico è il marketing
politico, così come quello che le aziende riservano ai propri dipendenti e che viene comunemente
definito, sebbene impropriamente, marketing B2E (business to employee, "da impresa a dipendente").
Questa attività pertanto può fungere da "interfaccia" tra l'impresa e il contesto esterno (insieme al
settore vendite, import/export, pubbliche relazioni e altri), osservandone il comportamento e
presidiando, almeno in parte, i flussi informativi uscenti dall'impresa (voluti o non voluti), e
incamerando le conoscenze provenienti dall'esterno; tra queste sono compresi i deboli segnali che
consentono di comprendere, possibilmente in tempo utile, le modifiche al mercato che si
realizzeranno in un prossimo futuro.
L'analisi della posizione competitiva dovrebbe essere diffusa nella direzione delle varie funzioni,
ma spesso è lasciata al marketing, che utilizza modelli come le "5 forze di Porter" (teorizzate dal
docente universitario statunitense Michael Porter), modelli analitici come la matrice del Boston
Consulting Group o le 7S della McKinsey, le ricerche ed indagini di mercato e le segmentazioni del
mercato.
Il marketing è inoltre volto alla creazione del valore per il cliente, e uno dei suoi scopi è creare un
posizionamento della marca (brand) nella mente del consumatore attraverso tecniche di brand
management. Le ultime tendenze sono volte allo studio del marketing esperienziale, che abbraccia la
visione del consumo come esperienza, in cui il processo di acquisto si fonde con gli stimoli percettivi,
sensoriali ed emozionali.
Piano di marketing
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Il piano di marketing è la pianificazione della strategia a livello corporate/aziendale, ed è diviso
nelle seguenti fasi:
1. Introduzione al piano: dove troviamo una sintesi manageriale chiamata Executive Summary,
e i suoi macro-obiettivi
 Executive Summary è il riassunto manageriale del piano di marketing; apre il documento
per mettere in risalto i principali obiettivi di marketing e le linee guida d'azione pianificate
e un breve estratto delle previsioni economiche finanziarie.
 Mission e obiettivi di fondo mette in evidenza gli obiettivi di fondo che l'impresa vuole
raggiungere nel breve e/o medio lungo periodo e che ispireranno la successiva analisi e
pianificazione. La loro declinazione è preceduta da alcuni riferimenti alla mission aziendale
e ai valori dell'impresa, fonte d'ispirazione delle politiche di marketing strategico.
2. Analisi della situazione di marketing serve per fare il punto della situazione su quanto accade
all'esterno e all'interno dell'impresa, è fondamentale perché racchiude in sé tutte le informazioni
fondamentali per supportare le pianificazioni. È necessario effettuare un audit di marketing
volto da un lato a mettere a fuoco gli obiettivi in cui già opera e le forze operanti nell'ambiente
di marketing; dall'altro a valutare il pregresso dell'impresa in termini di performance.
 Audit esterno: stabilire quali sono i confini di massima dell'azione di marketing
dell'azienda; un altro aspetto da considerare è il fattore di stagionalità dei mercati serviti.
Per fare ciò è necessario avere un'approfondita analisi della domanda in modo tale da sapere
i bisogni e il comportamento d'acquisto e d'uso dei clienti e consumatori; a ciò si collegano
le Forze di marketing che sono forze economiche, forze sociodemografiche, forze
tecnologiche e politiche e forze competitive.
 Audit interno: l'obiettivo è capire quali sono le risorse, le azioni e i risultati su cui l'azienda
può sentirsi confidente per il futuro. Per i piani di marketing che si riferiscono ai prodotti
esistenti, il focus è sulle caratteristiche dell'offerta, del brand, sulle politiche di prezzo
adottate, sulle scelte di comunicazione, distribuzione e vendita adottate. Nel caso di nuovi
prodotti, le valutazioni si limitano a eventuali ricerche di mercato condotte a livello di
concept test, alle risorse esistenti che potrebbero essere impiegate a supporto del lancio e
del successivo sviluppo.
3. SWOT Analysis: si tratta di far fronte a fenomeni esterni che non dipendono direttamente
dall'impresa, ma che essa potrebbe sfruttare o arginare traendone un vantaggio competitivo.
Bisogna, quindi, pianificare il futuro tenendo conto delle possibili opportunità o minacce da cui
difendersi che l'ambiente di marketing riserva all'azienda. L'identificazione delle opportunità e
delle minacce ambientali costituisce la prima parte della SWOT Analysis. La parte alta della
matrice SWOT fa riferimento all'ambiente di marketing che circonda l'impresa; quella inferiore
contiene le valutazioni riferite all'audit interno. In questo secondo caso l'utilità è di isolare i
principali punti di forza e di debolezza competitiva che dovrebbero consentire all'azienda di far
fronte alle minacce, e di sfruttare le opportunità di mercato. Inoltre la SWOT se ben utilizzata
può aiutare a far comprendere le priorità aziendali e stabilire gli obiettivi di marketing.
4. Planning con questa fase il management è chiamato a definire concretamente i traguardi,
definire il programma d'azione e pianificare il sistema di controllo delle perfomance di
marketing.
 Gli obiettivi del marketing possono essere obiettivi economici, obiettivi competitivi e
obiettivi relazionali. Nella formulazione degli obiettivi vi sono alcuni regole di fondo da
adottare. Gli obiettivi dovranno essere mirati, rilevanti, misurabili e tempificati e realistici.
 Programma d'azione pianificare un set d'azioni mirate, efficaci ed efficienti; evidenziare in
modo chiaro il legame esistente tra le evidenze delle analisi, della Swot, quindi degli obiettivi
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e delle azioni mirate per ciascun target di riferimento. In questa fase si affrontano il prodotto
e la marca, le politiche di prezzo, i canali distribuitivi e forza vendita, promozione e
comunicazioni, il piano d'azione e infine le scelte di struttura.
5. Controlli di marketing All’interno del piano di marketing è presente uno spazio importante
riservate alle previsioni economiche-finanziarie: il budget, che fornisce un’indicazione del
margine atteso, risultante dal controllo dei ricavi obbiettivo con le spese di marketing e vendite
pianificate. Questa fase della pianificazione consente al management di valutare la reale
fattibilità delle azioni di marketing previste e la sostenibilità economica degli obbiettivi
programmati.
Marketing territoriale
Di recente comprensione e sviluppo è il cosiddetto "marketing territoriale" (erroneamente confuso
con il "geomarketing") che, quale attività strategica di sviluppo economico e sociale, si pone il
prioritario obiettivo di analizzare, comprendere, valorizzare e definire le strategie di sviluppo più
consone per lo sviluppo di sistemi economico produttivi locali. La prioritaria esigenza è quella di
produrre una sostanziale evoluzione del comprensorio territoriale in virtù delle specifiche
caratteristiche espresse o latenti. Nell'era della globalizzazione, in altre parole, ha lo scopo di
formulare una strategia di sviluppo competitivo organico per l'intero territorio accentuando
l'attenzione sulle tipicità e le valenze dello stesso.
Le fasi che precedono la definizione di un programma strategico di marketing territoriale sono:
1.
2.
3.
4.
L'analisi del territorio e del suo sistema economico e sociale;
L'individuazione delle caratteristiche e delle potenzialità espresse ed inespresse;
La comprensione delle tipicità e delle valenze proprie del comprensorio;
L'individuazione delle variabili e dei condizionamenti territoriali;
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5. L'individuazione dell'attuale potenziale specifico ed aggregato e di quello esprimibile dal
territorio;
6. L'individuazione del collocamento "merceologico" del comprensorio;
La definizione del programma di marketing territoriale deve tenere conto:








dei soggetti pubblici e privati presenti sul territorio e delle loro specifiche competenze ed
esigenze;
della necessità di produrre effetti positivi sia sul sistema economico locale che sull'intera
società;
dalla necessità di sviluppare politiche di aggregazione operativa e funzionale tra i diversi
soggetti coinvolti o beneficiari delle attività;
della necessità di sviluppare progetti e programmi capaci di generare risultati strutturali e
tangibili nel breve, medio e lungo periodo;
dell'impossibilità di modificare sostanzialmente le attività in corso se non in termini
evolutivi;
della necessità di valorizzazione, ristrutturazione, riconversione e riqualificazione di
strutture o realtà non più economicamente rappresentative o non utilizzate per il loro
specifico potenziale;
dell'esigenza di produrre effetti economicamente rilevanti in considerazione della pluralità
e peso dei soggetti coinvolti;
del fattore tempo che impone scelte e decisioni in linea con l'evoluzione dei mercati.
Il concetto di marketing territoriale non deve quindi essere frainteso con una semplice attività di
natura promozionale che invece dipende dalla definizione di piani strategici definiti e programmati a
monte. Altro concetto molto importante afferente al marketing territoriale, che alcune teorie
propongono, è la costituzione del Marchio d'Area, definito come l'individuazione di un'area
territoriale che si impegna a progettare e realizzare una rete di servizi, sia pubblici che privati, tra loro
omogenei, coordinati e complementari, non sovrapponibili e non concorrenziali (esempio tipico è il
marchio d'area "Salento d'Amare che vuole valorizzare la realtà del territorio salentino). La
proliferazione di tali marchi deve prescindere da una seria e profonda modifica delle politiche di
promozione e valorizzazione nazionale necessarie per la maggiore comprensione delle valenze e
specificità espresse dalle singole località. Se è vero quindi che l’MdA si riferisce ad una precisa area
geografica, che si identifica in alcune caratteristiche che la rendono tipica, questa non può prescindere
dalla piena comprensione di quanto il valore globale nazionale incida sulla definizione delle strategie
e sui riscontri generabili dalle stesse. In tal senso, la definizione di un MdA presuppone
l’identificazione chiara delle tipicità del territorio oggetto dell'analisi e le conseguenti azioni su tale
territorio attuate in base alle sue tipicità al fine di valorizzare i vantaggi competitivi territoriali tipici
di tale area.
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Geomarketing
Il geomarketing è un approccio di marketing che utilizza le informazioni riferite al territorio
(dati georeferenziati) per analizzare, pianificare ed attuare le attività di marketing.
La conoscenza del territorio è finalizzata a rendere più efficaci ed efficienti le decisioni e le
attività di comunicazione, vendita, distribuzione e servizio ai clienti. Il geomarketing è una disciplina
del marketing che consente di caricare dati numerici sul territorio, per estrarli successivamente in
modo selettivo allo scopo di svolgere delle analisi. Tipicamente il territorio viene suddiviso in base
alla minima dimensione informativa disponibile che è, in Italia, la seguente:
•
Regione
•
Provincia
•
Comune
•
CAP
•
Sezione di censimento ISTAT
•
Strada
•
Numero civico
A seconda del livello informativo sono disponibili più o meno dati. Essi vengono caricati su
di un database e sono visibili geograficamente sul sistema GIS. In caso di interrogazione su di una
determinata area (determinata con criteri diversi o manualmente) è possibile estrarre i dati in maniera
rapida ed avere dei resoconti dei valori estratti.
Erroneamente è confuso con il marketing territoriale.
Gli elementi essenziali
• Dati interni all'azienda (gestionali, anagrafiche) ed esterni (banche dati, rilevazioni sul campo,
ricerche)
• Software geografici (Sistema informativo territoriale - GIS) e statistici per rappresentare i dati
ed elaborare modelli interpretativi
• Mappe e cartografie per visualizzare i fenomeni analizzati
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Le applicazioni aziendali
Le tecniche di Geomarketing possono essere utilizzate da tutte le aziende, senza distinzione di
settore e dimensioni, per
• analizzare la domanda e la concorrenza;
• localizzare i clienti;
• pianificare campagne di volantinaggio e local marketing;
• decidere dove aprire nuovi punti vendita;
• aumentare il traffico di un punto vendita;
• definire le politiche di trade marketing;
• sviluppare o razionalizzare il canale distributivo;
• ottimizzare la rete di agenti / venditori;
• analizzare il comportamento del consumatore sul territorio;
• valutare le performance degli agenti / venditori.
Trade marketing
Il trade marketing è l'applicazione delle tecniche di marketing indirizzate al distributore piuttosto
che al consumatore finale. Rappresenta quindi un approccio gestionale che si propone di contribuire
all'efficacia dell'azione di marketing aziendale, attraverso il completo soddisfacimento delle esigenze
dei propri clienti commerciali.
Questo significa che una impresa produttrice pianificherà le strategie e attività di marketing
avendo come obiettivo un mercato intermedio, quello costituito dai distributori.
Le attività di marketing vengono suddivise in due grandi macroaree:
1. Attività "above the line" azioni di marketing dirette al consumatore, quindi advertising
on air, campagne pubblicitarie istituzionali su stampa specializzata e non, affissioni, ecc.
2. Attività "below the line" azioni di marketing veicolate dal trade, cioè dalla distribuzione,
per poi raggiungere il cliente; alcune di queste attività sono: volantini promozionali, in
store promotion, fidelity program, raccolta punti, evidenziazione a scaffale, comarketing,
ecc.
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Nell'ambito delle strategie aziendali gli investimenti di Trade Marketing stanno assumendo
un ruolo ed una rilevanza economica crescenti tanto che, nel settore del Largo Consumo Confezionato
(LCC), assorbono circa il 50% degli investimenti di Marketing delle imprese industriali (Fonte:
CERMES - Università Bocconi).
Presso l'Università degli Studi di Parma è attiva dal 2003 la prima Laurea Magistrale italiana
in "Trade Marketing e Strategie Commerciali".
Customer relationship management
In economia aziendale il concetto di customer relationship management (termine inglese
spesso abbreviato in CRM) o gestione delle relazioni con i clienti è legato al concetto di fidelizzazione
dei clienti.
In un'impresa "market-oriented" il mercato non è più rappresentato solo dal cliente, ma
dall'ambiente circostante, con il quale l'impresa deve stabilire relazioni durevoli di breve e lungo
periodo, tenendo conto dei valori dell'individuo/cliente, della società e dell'ambiente. Quindi
l'attenzione verso il cliente è cruciale e determinante. Per questo motivo il marketing management
deve pianificare e implementare opportune strategie per gestire una risorsa così importante.
Descrizione
Il CRM si spinge sostanzialmente secondo quattro direzioni differenti e separate:
1.
l'acquisizione di nuovi clienti (o "clienti potenziali")
2.
l'aumento delle relazioni con i clienti più importanti (o "clienti coltivabili")
3. la fidelizzazione più longeva possibile dei clienti che hanno maggiori rapporti con
l'impresa (definiti "clienti primo piano")
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4. la trasformazione degli attuali clienti in procuratori, ossia consumatori che lodano
l’azienda incoraggiando altre persone a rivolgersi alla stessa per i loro acquisti
Alcune aziende cercano di non tenere conto di clienti che hanno poca importanza (definiti in
gergo "clienti sotto-zero") e attuano delle implicite tecniche definite, sempre gergalmente, come
"demarketing".
Esistono tre tipi di CRM:
1. CRM operativo: soluzioni metodologiche e tecnologiche per automatizzare i processi di
business che prevedono il contatto diretto con il cliente.
2. CRM analitico: procedure e strumenti per migliorare la conoscenza del cliente attraverso
l'estrazione di dati dal CRM operativo, la loro analisi e lo studio revisionale sui comportamenti dei
clienti stessi.
3. CRM collaborativo: metodologie e tecnologie integrate con gli strumenti di comunicazione
(telefono, fax, e-mail, ecc.) per gestire il contatto con il cliente.
L'errore più comune in cui ci si imbatte quando si parla di customer relationship management
è quello di equiparare tale concetto a quello di un software. Il CRM non è una semplice questione di
marketing né di sistemi informatici bensì si avvale, in maniera sempre più massiccia, di strumenti
informatici o comunque automatizzati, per implementare il management. Il CRM è un concetto
strettamente legato alla strategia, alla comunicazione, all'integrazione tra i processi aziendali, alle
persone ed alla cultura, che pone il cliente al centro dell'attenzione sia nel caso del business-tobusiness sia in quello del business-to-consumer.
Le applicazioni CRM servono a tenersi in contatto con la clientela, a inserire le loro
informazioni nel database e a fornire loro modalità per interagire in modo che tali interazioni possano
essere registrate e analizzate.
Prima di seguire la strada del CRM ogni azienda deve essere consapevole che:
• bisogna investire prima in strategia, organizzazione e comunicazione, solo dopo nella
tecnologia. La scelta del software non ha alcun effetto sulla probabilità di successo. Ciò non
implica che i software siano tutti uguali, ma significa solo che nessun software porterà al
successo un progetto sbagliato.
• il CRM è adatto sia a quelle aziende che cercano un Return on investment (ROI) veloce sia a
quelle che curano il processo di fidelizzazione e l'aumento del Lifetime value (LTV) dei clienti
che richiede del tempo.
Strumenti a disposizione di un'impresa CRM Oriented
Innanzitutto occorre tenere presente che esistono differenti strumenti e diversi livelli di
integrazione per quanto riguarda i sistemi di CRM. Un ottimo sistema CRM comprende una serie di
infrastrutture sia a livello di front office (nella relazione con l'esterno vera e propria), sia a livello di
back office, per analizzare e misurare dati e i risultati raggiunti, però altrettanto vero è che per cercare
una relazione con il proprio cliente non occorrono sempre software complicati.
Molti sono gli strumenti a disposizione delle singole imprese al fine di instaurare con il cliente
un rapporto individuale, ad esempio:
• chat online;
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• forum di discussione;
• una banca dati contenente le risposte alle domande più frequentemente poste dagli utenti
(FAQ);
• un indirizzo e-mail a cui rivolgersi;
• servizi informativi forniti anche su altri strumenti (come SMS da inviare al proprio cellulare,
o l'utilizzo della tecnologia WAP)
• ticket on-line per la segnalazione di problemi o per la richiesta di assistenza;
• tracciamento interno di ogni comunicazione "da" e "per" il cliente;
• preventivi e fatture rivolte al cliente;
• storia dei pagamenti effettuati dal cliente;
• analisi della navigazione, per utenti profilati, con l'ausilio di web analyzer;
• social network.
Gli strumenti a disposizione sono tanti; inoltre Internet e gli strumenti che offre possono essere
considerati un valido ed essenziale completamento per instaurare e migliorare il rapporto con la
propria clientela; importante è individuare quali, fra tanti, l'impresa reputi i migliori strumenti per la
propria clientela.
Inoltre non bisogna dimenticare che necessari non sono solo gli investimenti inerenti alla
tecnologia, ma soprattutto quelli in termini di risorse umane. È vero che la gestione delle informazioni
viene automatizzata, ma è anche vero che la componente umana resta un elemento determinante.
Componenti di una strategia CRM
Le componenti strutturali di una strategia CRM sono:
• Analisi e gestione della relazione con i clienti: contatto con i clienti e analisi dei bisogni
attraverso molteplicità di strumenti come mailing, lettere, telefonate, SMS, eccetera. Il contatto
è fondamentale se si vuole mappare ogni singolo cliente per poi organizzare tutte le
informazioni raccolte in un database strutturato. Queste informazioni sono preziose in quanto
permettono di conoscere, e, se possibile, anticipare le esigenze del cliente.
• Lo sviluppo di contenuti e servizi personalizzati: i dati raccolti vengono gestiti per
elaborazioni statistiche utili a segmentare i clienti in specifiche scale. Una volta organizzati, è
possibile procedere con l'analisi dei dati per sviluppare una comunicazione e un'offerta
commerciale e personalizzata.
• L'infrastruttura informatica: attivazione di strumenti informatici che aiutano in questo
processo di gestione del cliente (Vedi anche: Implementazione CRM).
Scelta del brand name
Un brand di successo ha le seguenti caratteristiche:
• facile da pronunciare
• facile da ricordare
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• facile da riconoscere
• facile da tradurre
• suggerisce un riferimento all'immagine aziendale
• attira l'attenzione
• suggerisce caratteristiche e benefici del prodotto
• distingue il posizionamento del prodotto rispetto alla concorrenza
• registrabile legalmente
Tipologie di brand
Esistono diversi tipi di brand, ciascuno dotato di caratteristiche molto diverse.
• In riferimento all'ampiezza del portafoglio prodotti a cui si riferiscono:
 mono brand: usato per uno o pochi prodotti, e quindi evocante determinate caratteristiche
funzionali del prodotto a cui si riferisce.
 family brand: riferito a molti prodotti, e che quindi richiama non caratteristiche specifiche
(dato che esse sono diverse per ogni prodotto della "famiglia"), ma situazioni emotive o valori
astratti.
• A seconda della distanza dall'identità aziendale:
 corporate brand: usato sia per i prodotti, sia per richiamare l'immagine dell'azienda e le sue
competenze distintive (di solito il marchio stesso dell'azienda).
 furtive brand: distante dall'identità aziendale, riferibile solo a determinati prodotti.
• Tipologie "ibride":
 brand endorsed: incorpora due marchi appartenenti a due diverse tipologie tra quelle sopra
citate. Un esempio è il brand "Mulino Bianco Barilla", che incorpora sia il corporate brand
(Barilla) che il family brand (Mulino Bianco).
 brand individuali: brand diversi per ogni prodotto.
I prodotti di largo consumo, reperibili nella grande distribuzione organizzata, non usano
praticamente mai corporate brands: questi sono impiegati in settori dove i prodotti sono poco o per
nulla diversificati, rendendo così sufficiente l'utilizzo del marchio aziendale (si pensi ai distributori
di carburante: Agip, Erg...).
Al contrario, nei supermercati, se si escludono corporate brands come Coca-Cola o Pepsi, è più
facile trovare furtive brands. La birra Kronenbourg, ad es., è un brand furtive mono: mono perché
identifica solo quel bene, furtive perché il marchio dell'azienda proprietaria appare solamente in
ridottissime dimensioni sul retro della bottiglia.
Esempi di brand furtive family sono invece i prodotti Findus, un ampio portafoglio di prodotti,
sulle cui confezioni non si trova però il logo Unilever.
• Altri tipi di brands:
 premium brand: riferito a prodotti più costosi rispetto ad altri della stessa categoria (es. nel
mercato del cioccolato, Lindt è considerato un premium brand rispetto a Milka, Novi...).
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 economy brand: rivolto a un segmento di mercato caratterizzato da alta elasticità di prezzo.
 fighting brand: lanciato per contrastare una minaccia della concorrenza.
 value brand: quanto una ditta e suoi prodotti è riconosciuta e popolare rispetto alla sua
concorrenza.
Politiche di branding
- Decisioni di marca
In primo luogo, un produttore può decidere di vendere senza marca, nel caso di prodotti generici
(come il sale), oppure applicare un marchio.
In questo secondo caso, le tre strategie fondamentali riguardano l'utilizzo di:
• marca industriale: è il marchio del produttore stesso.
• marca commerciale: è il marchio di un privato, del rivenditore o del distributore.
• brand licensing: vendita dei diritti all'utilizzo di un marchio, per l'uso su un prodotto non
concorrente o per una diversa area geografica.
• co-branding: applicare a un prodotto brand di due diverse imprese, per unirne i target di
clientela (es. Citroen C2 Deejay, Peugeot 206 Sweet Years).
- Strategie di marca
In secondo luogo, è compito del brand manager decidere quale strategia seguire, a seconda del
rapporto tra la marca (nuova o preesistente) e la categoria del prodotto (nuova o preesistente).
Le strategie di marca sono:
• line extension (estensione della linea): utilizzo di uno stesso brand di successo, per introdurre
nuovi prodotti in una linea di prodotto preesistente (cioè il brand rimane lo stesso, ma si
"estende" la linea)
• brand extension (estensione della marca): uso di un brand di successo, per lanciare nuovi
prodotti in nuove linee (cioè si "estende" l'uso di un marchio ad altri prodotti)
• multi brands (marche multiple): sviluppo di uno o più nuovi brands, per lanciare prodotti in
una linea preesistente ("multi" perché una stessa linea include più di un marchio)
• new brands (nuove marche): sviluppo di nuove marche per nuovi prodotti in nuove categorie.
- Architettura di marca
In terzo luogo è necessario definire la struttura che organizza il portfolio dei brand detenuti
dall'Impresa, stabilendone i ruoli e le relazioni reciproche sulla base delle esigenze competitive di
medio e lungo termine. Un'architettura di marca efficace e armonica rende più cristallina l'offerta e
favorisce sinergie tra i marchi gestiti. Esistono 3 tipi fondamentali di architettura di marca:
• Unitary brand: l'impresa si presenta con la stessa marca, e quindi lo stesso insieme di valori,
in tutti i mercati cui opera, anche quando essi appartengono a settori merceologici molto
eterogenei (es. Apple, Nike, Sony, Virgin, Kodak)
• Sub-branding: l'impresa associa alla marca corporate una marca di livello inferiore che
identifica uno specifico prodotto o una versione del prodotto sviluppata ad hoc. Questa nuova
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marca permette di attribuire nuove equity alla marca di origine, la quale però deve avere tra le
sue potenzialità i valori che la sub-brand esplicita (es. Nestlé: Nestea, Nescafé; Nivea: Nivea
Body, Nivea Sun). È un'architettura consigliata nei casi in cui l'Impresa presenta un'elevata
differenziazione all'interno dell'offerta per contenuti/target/distribuzione e un'elevata coerenza
in relazione alla tipologia merceologica e ai mercati.
• Brand Endorsement: questo tipo di architettura prevede la presenza di marche forti e
indipendenti sostenute da una master brand garante dell'offerta, con un ruolo meno diretto e più
secondario rispetto al sub-branding. Il brand endorsement ha inoltre il vantaggio di consentire
l'impiego discrezionale del corporate brand in funzione del profilo e del ruolo strategico di ogni
singolo mercato. (es. Barilla: Mulino Bianco, Ferrero: Nutella)
• House of Brands: ogni singola marca del portfolio vive in modo completamente autonomo,
identificando un solo prodotto/linea e comunicando una promessa specifica (es. P&G: Ariel,
Dash, Ace; Unilever: Svelto, Coccolino, BioPresto). Questa architettura di marca permette di
dominare nicchie di mercato attraverso posizionamenti basati su specifici benefici funzionali, e
semplifica i processi di acquisizione di nuovi brand.
Componenti
Il processo di Brand Management è caratterizzato dalle seguenti componenti:
• Brand Identity: insieme di elementi espressivi utilizzati dall'azienda per veicolare le
credenziali di una marca, corrisponde a ciò che l'azienda vuole trasmettere al mercato;
• Brand Awareness: attività, generalmente di tipo comunicativo, che permettono di aumentare
la conoscenza del brand nel mercato;
• Brand Image: come la marca viene percepita dalla clientela, può non corrispondere all'identità
che l'azienda ha costruito;
• Brand Positioning: posizionamento del Brand rispetto alla concorrenza;
• Brand Loyalty: fedeltà dei consumatori nei confronti di un determinato brand;
• Brand Equity: valorizzazione della marca.
Modelli di branding
L'espressione modelli di branding identifica i diversi tentativi che, a partire dagli anni '70, hanno
cercato di definire e formalizzare in modo più o meno univoco il concetto di marca (in inglese brand),
ossia l'insieme degli attributi tangibili e intangibili che, sintetizzati in un segno (il marchio),
rappresentano e caratterizzano un'Azienda, un prodotto e/o un servizio, allo scopo di renderli rilevanti
e distintivi per il consumatore.
Nel corso degli anni numerosi economisti, cognitivisti, semiologi e pubblicitari hanno cercato
di imbrigliare il concetto di "marca" all'interno dei rispettivi paradigmi. I risultati hanno evidenziato
un notevole disaccordo su quali siano gli elementi costitutivi della brand e su come interagiscano tra
loro. Come la maggior parte dei fenomeni di comunicazione, infatti, il concetto di "marca" racchiude
al proprio interno istanze relative a discipline anche molto eterogenee (semiotica, psicologia,
sociologia, economia, marketing, design etc.), e lo studio delle sue componenti costitutive, della sua
organizzazione interna e dei suoi principi di funzionamento è difficilmente riconducibile ad un unico
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paradigma interpretativo. Negli ultimi anni lo studio dei fenomeni relativi alla marca si è quindi spinto
progressivamente verso un approccio multidisciplinare, nel tentativo di valorizzare gli apporti di
ciascuna disciplina e mantenere al tempo stesso una visione ad ampio spettro.
Tipologia dei modelli di branding
È possibile suddividere i diversi modelli di branding all'interno di tre categorie principali:
modelli di stato, modelli di gestione, modelli di valutazione. In ogni caso, e nonostante alcuni modelli
rientrino pienamente all'interno di tali categorie, la suddivisione è da considerarsi puramente teorica,
poiché la maggior parte delle modellizzazioni trascende tali categorie, spesso integrandone strumenti,
prospettive e finalità.
Modelli di stato
Sono catalogate come modelli di stato tutte le elaborazioni teoriche che si pongono come
obiettivo principale l'identificazione delle componenti costitutive della marca, la determinazione del
loro ordine gerarchico e la comprensione dei rapporti di relazione in cui si trovano.
Modelli di gestione
Anche i modelli di gestione identificano le componenti della brand e i vari parametri ad essa
legati, ma da una prospettiva maggiormente orientata al pragmatismo, alle regole di funzionamento
e di gestione della marca.
Modelli di valutazione
I modelli di valutazione hanno come scopo principale la quantificazione del valore economico
di una brand e della sua forza sul mercato. Rispetto ai modelli di stato e di gestione, particolarmente
attenti agli aspetti qualitativi della marca, i modelli di valutazione tendono ad essere maggiormente
marketing-oriented e a fondarsi su tecniche di analisi statistica.
I principali modelli di branding
- Star Strategy (J. Séguéla)
Il modello della Star Strategy, elaborato da Jacques Séguéla in aperto contrasto con il modello
operativo della copy strategy, ha il merito storico di aver aperto il dibattito sul brand come istanza
specifica e non come mero riflesso della strategia di advertising. Utilizzando una metafora
antropologica, la Star Strategy considera il prodotto come un individuo avente un corpo, un carattere
in grado di connotarlo e uno stile in grado di suscitare desiderio. Secondo Sèguèla, questo vale anche
per le marche.
- Modello cognitivista (K. Keller)
Modello sviluppato da Kevin Keller, focalizzato sul ruolo del consumatore e sulla conoscenza
che egli ha della marca. Secondo Keller l'identità di marca è generata dagli elementi che costituiscono
la sua notorietà e la sua immagine presso i pubblici finali, ossia brand awareness e brand image.
- Rosone di marca (M. C. Sicard)
Marie-Claude Sicard vede la brand come il risultato di un equilibrio instabile tra sette variabili:
spazio, fisico, tempo, progetto, relazione, posizione, norme. La marca così costituita è caratterizzata
da evoluzione costante, apertura e reattività agli stimoli provenienti dal contesto sociale, culturale ed
economico.
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- Brand Asset Valuator (Young & Rubicam)
Modello di valutazione del valore della brand, sviluppato dall'agenzia pubblicitaria Young &
Rubicam. Questo modello misura il valore della marca attraverso quattro fattori principali:
differenziazione, rilevanza, stima, familiarità. La differenziazione e la rilevanza sono indicative del
potenziale di espansione (vitalità della brand), mentre la stima e la familiarità determinano l'attuale
potere di una marca (statura della brand). Un'indagine basata sul Brand Asset Valuator (BAV) viene
eseguita annualmente e contiene dati su circa 2.000 marchi per ogni rilevazione. È basata
sull'opinione di oltre 400.000 intervistati in 48 paesi.
- Cerniera di marca (J. M. Floch)
Il modello, elaborato da Jean-Marie Floch, analizza le manifestazioni di marca operando una
distinzione tra "piano dell'espressione" (colori, materiali, gusti, odori, profumi, suoni, tatto etc.) e
"piano del contenuto" (valori, temi, promesse, associazioni etc.). Ciascuno dei due piani è a sua volta
suddiviso in una componente variabile e una componente invariabile. L'identità della marca è fondata
sulla dialettica tra le componenti invariabili dei due piani, definite etica di brand ed estetica di brand.
- Modello progetto/manifestazioni (A. Semprini)
Secondo il modello teorizzato dal semiologo Andrea Semprini, la costruzione dell'identità della
brand inizia con un progetto che definisce la strategia di marca e, soprattutto, propone un orizzonte
di senso pertinente, significativo e sensato rispetto alle aspettative del target. L'identità di marca è
quindi suddivisibile in diversi livelli: un livello profondo costituito da un numero limitato di valori
fondamentali, un livello intermedio in cui i valori si presentano organizzati in racconti e narrazioni
(es. seduzione, minaccia, incoraggiamento, ricompensa etc.) e un livello discorsivo in cui valori e
narrazioni sono arricchiti dalle figure del mondo (oggetti, forme, colori, personaggi etc.). Semprini
infine riconosce un ruolo anche al contesto sociale, politico ed economico, poiché influisce nella
ricezione e interpretazione delle manifestazioni di marca da parte dei pubblici.
- Modello Interbrand (Interbrand)
Il modello Interbrand parte dall'assunto che il valore di una brand non si può rilevare
analizzandola in maniera globale, ma è necessario incentrare l'analisi sui diversi segmenti di target.
Il valore complessivo di una marca dipende da quello dei singoli segmenti. Il valore d'ogni singolo
segmento deriva dalla moltiplicazione tra il valore effettivo del brand (composto dagli elementi
tangibili e intangibili) e il valore potenziale, ponderando il tutto per il rischio d'investimento.
- Modello di Aaker e Joachimsthaler
Modello implementato da David A. Aaker e E. Joachimsthaler secondo il quale l'identità della
marca, i suoi significati ed i valori di cui è portatrice, costituiscono una cornice di senso che si estende
fino a determinare l'identità dei prodotti ad essa associati, mediandosi con le loro caratteristiche
intrinseche.
- Modello della Leo Burnett Brand Consultancy (L. Burnett)
Secondo questo modello della Leo Burnett, l'identità di brand corrisponde a ciò che l'impresa
riesce a trasmettere al mercato, e si definisce attraverso i suoi scopi (obiettivi), le sue funzioni (cos'è
e cosa fa), la sua immagine/personalità (com'è percepita) e le sue differenze dalla concorrenza (come
si distingue).
- Modello di Upshaw (L. B. Upshaw)
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Il modello di Lynn B. Upshaw distingue due livelli fondamentali della brand: la brand essence
(nocciolo duro dell'identità di marca, risultato dell'interazione tra personalità di marca e
posizionamento di marca), e la total brand identity (riverbero della brand essence, all'interno del quale
rientrano nome della brand, logotipo e sistema grafico, comunicazioni di marketing, strategie di
vendita, promozioni e performance di prodotto).
- Modello di Brun e Rasquinet (M. Brun, P. Rasquinet)
Secondo Monique Brun e Philippe Rasquinet non si può parlare di brand identity, ma solamente
di brand image, ossia di identità attribuita dai consumatori. Questo modello inscrive la brand image
all'interno di un triangolo equilatero, ai cui vertici troviamo la realtà dell'impresa, l'ambiente sociale
e la strategia.
- Prisma d'identità (J. N. Kapferer)
Secondo Jean-Noel Kapferer l'identità di marca è costituita da 6 elementi: fisico (le
caratteristiche oggettive della marca, cosa offre), personalità (il carattere della marca), relazione (lo
scambio simbolico di contenuti e significati legati alla marca), cultura (di cui la marca è espressione),
immagine riflessa (il tipo di target che viene associato alla marca), auto-immagine (come il target
percepisce sé stesso).
- Dimensioni della personalità di marca (J. Aaker)
Il modello teorizzato da Jennifer Aaker, utilizzando un'analogia antropologica, descrive e
misura la personalità e il profilo di una marca attraverso cinque dimensioni centrali, ciascuna divisa
in una serie di aspetti: sincerità (semplice, onesta, sana, allegra), eccitamento (audace, animata,
immaginativa, aggiornata), competenza (affidabile, intelligente, di successo), sofisticazione (di
categoria superiore, di charme) e natura rude (aperta, dura).
- Modello di branding Carmi e Ubertis (E. Carmi)
Modello qualitativo di gestione della marca, secondo il quale una brand governance coerente
ed efficace richiede l'elaborazione di una strategia unitaria, ossia una design strategy in grado di
coordinare e organizzare in modo efficiente ed efficace tutte le manifestazioni della marca, che il
modello suddivide in base agli ambiti di pertinenza e d'applicazione (corporate design, packaging
design, space design, editorial design).
- La marca come punto di contatto (J. Blythe)
Jim Blythe interpreta la brand come un punto di contatto tra impresa e consumatori. La marca
riceve dall'azienda degli input (prodotto, luogo, prezzo, promozione, persone, processo, evidenza
fisica), che elabora in output verso il consumatore (immagine, qualità, costo, performance attesa,
differenziazione dai concorrenti).
Personal branding
L'espressione personal branding (mutuata dalla lingua inglese) indica la capacità di promuovere
se stessi, al fine di essere gradito o comunque appetibile nei confronti di una comunità di consociati,
con modalità simili a quanto avviene in campo economico, con i prodotti commerciali.
A differenza di altre discipline di miglioramento personale, il personal branding suggerisce di
concentrarsi oltre che sul valore anche sulle modalità di promozione.
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Il termine viene comunemente fatto risalire ad un articolo del 1997 di Tom Peters[1], sebbene
di self-branding e brand individuale se ne parli nel libro del 1980 "Positioning: The Battle for your
Mind", scritto da Al Ries e Jack Trout.
Caratteristiche
Il personal branding è un processo attraverso cui un’azienda o una persona definisce i punti di
forza (conoscenze, competenze, stile, carattere, abilità, ecc.) che la contraddistinguono in modo
univoco, creando un proprio marchio personale, che comunica poi nel modo che reputa più efficace.
Il personal branding adotta le tecniche utilizzate dal Marketing per promuovere i prodotti commerciali
e le adatta per la promozione dell’identità delle singole persone e delle aziende (piccole e medie
imprese o aziende personali). L'obiettivo in entrambe i casi è il brand positioning ovvero, per citare
Ries e Trout, posizionare nella mente dell'utente il brand (o il nome del professionista) associato a
una precisa peculiarità, a un concetto che inequivocabilmente lo distinguerà dai concorrenti.
Con il personal branding si influenza l'utenza, attraverso esperienze da far vivere al cliente
(experiential marketing) o diventando capace di influenzare una community di seguaci fedeli.
Chi applica il personal branding al web ha lo scopo di creare una rete di seguaci attraverso
social media e Blog personali ed eventi (formazione e fiere di settore) con l'obiettivo di aumentare la
propria web reputation.
I professionisti utilizzano software di monitoraggio della reputazione digitale che applicano
diverse operazioni dette di social media Monitoring in grado di valutare la soddisfazione dell'utenza,
di fare indagini di mercato e di monitorare le tendenze dei propri follower con operazioni di listening
Brand management
Il brand management è l'applicazione delle tecniche di marketing a uno specifico prodotto,
linea di prodotto o marca (brand). Lo scopo è aumentare il valore percepito da un consumatore rispetto
a un prodotto, aumentando di riflesso il brand equity (valore del marchio o patrimonio di marca). Gli
operatori del marketing vedono nella marca la "promessa" implicita di qualità che il cliente si aspetta
dal prodotto, determinandone così l'acquisto nel futuro.
Si considera che il brand management sia una disciplina nata alla Procter & Gamble come
risultato di un famoso promemoria di Neil H. McElroy.
Un giusto brand management genera un aumento delle vendite, rendendo il prodotto più
appetibile rispetto a quelli della concorrenza. Il brand equity è determinato dall'extra profitto che
genera per l'impresa grazie all'utilizzo del marchio.
Marketing: Naming
Per comunicare efficacemente un prodotto o un servizio, il suo nome è spesso un fattore
determinante del suo potenziale successo. La scelta del nome è un'operazione detta appunto naming
(dall'inglese per "nominare"). Il naming ha la funzione di tracciare cognitivamente l'identità di marca
verso i desideri, le esigenze e le richieste del consumatore.
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Il naming è un'azione primaria nelle operazioni di brand management, risultato di un processo
dove la strategia si traduce in creatività nella forma di un nome. È infatti una delle attività del
copywriting, svolta secondo un briefing che individua gli obiettivi di comunicazione del brand.
Patrimonio di marca
Il patrimonio di marca o valore del marchio (conosciuto anche con il termine inglese brand
equity), è una risorsa immateriale d'impresa che si fonda sulla conoscenza di una marca da parte di
un determinato mercato.
Esso può essere definito come lo stato, in un dato momento, della relazione instaurata tra una
determinata offerta e una domanda. Esprime il valore della marca in condizioni di funzionamento
sintetizzando la forza di una marca sul mercato di riferimento.
Le determinanti della brand equity sono molteplici ma possono essere riassunte in:
•
valori di marca
•
tratti distintivi
•
riconoscibilità
•
personalità di marca
•
coerenza delle manifestazioni
•
fedeltà alla marca
•
conoscenza di marca
•
qualità percepita
•
associazioni di marca
•
altre tipicità.
Valutazione del patrimonio di marca
Per quanto concerne la valutazione della brand equity si devono valutare gli aspetti qualiquantitativi della conoscenza di marca, cioè la notorietà (brand awareness), l’immagine (brand image)
e la "brand association" (alla base della costruzione della lealtà al brand).
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Closed Loop Marketing
"Marketing a ciclo chiuso (CLM) è il processo mediante il quale una società sviluppa strategie
di marketing e li distribuisce tramite uno o più canali per raggiungere i propri clienti (i prescrittori) e
acquisire una profonda conoscenza di ciò che accade sul mercato. È in grado di capire cosa funziona
e cosa non funziona. È in grado di comprendere i dati oggettivi e perfezionare i processi in un formato
circuito chiuso così nel tempo si continua a migliorare l'efficacia sia in marketing e vendite ".
"Un nuovo approccio alle vendite e del marketing, Closed Loop Marketing ridefinisce
l'interazione tra rappresentanti e clienti. Gli strumenti che fanno parte di Closed Loop Marketing
danno rappresentanti di vendita l'accesso ai dati accurati e up-to-date di un medico prima di ogni
visita, permettendo loro di adattare le informazioni di prodotto per soddisfare il profilo e gli interessi
dei clienti finali. Utilizzando Closed Loop Marketing, rappresentanti di vendita possono alimentare
automaticamente i dati su ogni interazione cliente direttamente al team del marchio attraverso un
portale centrale di vendite, fornendo le informazioni squadra marchio necessarie per perfezionare la
commercializzazione e la strategia."
Il Closed Loop Marketing (CLM) è un ambiente di reporting dove il risultato e l'impatto delle
campagne di marketing può essere ottenuto mettendo in relazione l'attività di marketing con le vendite
ed i ricavi ottenuti, permettendo il calcolo del ritorno sull'investimento (ROI) e chiudendo il ciclo tra
le spese di marketing ed i ricavi generati.
Generalità
Per avere successo nel creare un ambiente CLM, è necessario che l'azienda che lo adotta
integri differenti piattaforme tecnologiche, riconcili differenti modelli di dati, e spinga i settori
Vendite e Finance ad utilizzare definizioni comuni su termini/metriche quali cliente, ricavo, e costo.
E inoltre richiesta l'abilità di integrare varie applicazioni e strumenti come il campaign
management, l'analitica, il CRM, la gestione dei contenuti e la business intelligence. Se propriamente
connessi, questi strumenti connessi attraverso un host creano un modo di supportare il CLM.
Un sistema di CLM richiede infine che il dipartimento marketing comprenda i dati, i metodi
di analisi e la tecnologia; le vendite comprendano la customer experience e l'IT comprenda che i
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sistemi possono funzionare correttamente, ma ancora non generare i dati di cui le altre funzioni hanno
bisogno.
Direct marketing
Il direct marketing è un insieme di tecniche di marketing attraverso le quali aziende
commerciali, ma anche enti (ad esempio organizzazioni pubbliche e no profit) comunicano
direttamente con clienti e utenti finali senza avvalersi di intermediari, consentendo di raggiungere un
target definito, con azioni mirate che utilizzino una serie di strumenti, anche interattivi, ottenendo in
tal modo delle risposte oggettive misurabili, quantificabili e qualificabili.
Gli strumenti di promozione e comunicazione più utilizzati a tale scopo sono:
•
promozione commerciale a mezzo di incaricati alla vendita diretta,
•
promozione telefonica, ovvero telemarketing via telefono fisso o mobile,
•
campagne pubblicitarie sui Social Network
•
campagne pubblicitarie su siti internet
25
•
comunicazioni commerciali via posta cartacea (direct mail),
•
comunicazioni commerciali via posta elettronica (email marketing),
•
comunicazioni commerciali via cellulare (mobile marketing),
•
coupon (tagliandi di offerte, omaggi o sconti) inseriti in annunci stampa o siti internet,
•
televendite e spot televisivi su TV interattiva (IPTV e DTT) che invitano l'utente a
compiere un'azione via TV (Direct Response)
•
T2Box, acronimo di Target To Box, ovvero una tecnica che utilizza il Box (la scatola)
dell'e-commerce che viene direttamente recapitata a casa del cliente come media in cui inserire
delle comunicazioni promozionali studiate ad hoc e/o dei campioni di prodotto.
Rispetto alle forme di pubblicità classica (TV, Radio, Stampa) il Direct Marketing consente
di stabilire una relazione diretta e duratura con il target, personalizzando i messaggi in funzione delle
specifiche esigenze e caratteristiche del singolo cliente e della fase del ciclo di vita del cliente stesso.
In particolare il Direct marketing può essere utilizzato per acquisire il cliente, svilupparlo, fidelizzarlo
ed infine recuperarlo in caso di abbandono (quattro fasi del ciclo di vita del cliente).
La fase di acquisizione viene effettuata contattando clienti potenzialmente interessanti
(prospect), i cui contatti (indirizzo fisico, email, numero telefono) sono disponibili all'interno di liste
profilate vendute sul mercato da operatori definiti list broker.
Esistono molte liste profilate di clienti che esprimono il loro interesse per specifici settori
merceologici (Preferences List), in modo che le aziende appartenenti a tali settori possano contattarli
e proporre offerte interessanti. In tal modo la probabilità di risposta da parte dei prospect è molto più
alta rispetto al caso in cui le proposte siano inviate a dei prospect non profilati. Sono disponibili
elenchi di persone che richiedono di non ricevere pubblicità (Robinson List), in modo che le aziende
evitino di contattarli. Il Registro delle Opposizioni è obbligatorio per l'uso del DataBaseUnico (DBU
ex guide telefoniche). In particolare prima di effettuare le telefonate o inviare mailing ai privati.
In Italia tali liste sono disponibili attraverso aziende che danno la possibilità di affittare le loro
liste clienti. Utilizzando liste profilate i tassi di risposta (redemption) sono più alti rispetto ai media
tradizionali.
Internet marketing
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La pubblicità online viene anche chiamata internet marketing e utilizza internet per indirizzare
messaggi di marketing promozionale ai consumatori. Esso comprende l'email marketing, il search
marketing, il social media marketing, display advertising e mobile advertising. Principalmente
nell'internet marketing i protagonisti sono due, l'editore che integra la pubblicità nei suoi contenuti
on-line e un inserzionista, che fornisce gli annunci da visualizzare nei contenuti di un determinato
sito web. Esistono anche agenzie di pubblicità che aiutano a creare e ideare gli annunci da
visualizzare, un server che fornisce statistiche, traccia le visualizzazioni e i click che vengono
effettuati sui banner.
L'internet marketing sta riscuotendo molto successo e sta crescendo molto rapidamente. Nel
2011 i ricavi pubblicitari di internet negli Stati Uniti hanno superato quelli della televisione via cavo.
Influencer marketing
È forma di marketing basata sull'identificazione delle persone che hanno influenza sui
potenziali acquirenti e le attività di marketing sono focalizzate quindi su queste persone influenti.
Lasciando poi che questi ultimi, sostanzialmente in autonomia, a loro volta influenzino il grande
pubblico. Si è venuta a sviluppare, quasi spontaneamente da una varietà di pratiche, usi, consuetudini
ed è stata teorizzata in studi recenti, che si concentra su alcuni specifici individui anziché sull'intero
mercato di riferimento nel suo complesso e quindi su tutti i potenziali clienti.
Questo ruolo di Influente può essere rivestito da potenziali acquirenti, o può essere coperto da
soggetti terzi. Questi ultimi possono essere anelli della filiera di approvvigionamento (dettaglianti,
produttori, agenti di commercio, grossisti ecc.) o possono essere chiamati personaggi influenti (ad
esempio giornalisti, accademici, analisti, consulenti professionali, ecc.) o utilizzatori professionali di
beni a cui potenziali clienti possono chiedere un parere, come ad es. un Taxista per consigli su modelli
di auto.
Già negli anni sessanta alcune case automobilistiche in Italia facevano sconti a Taxisti per
acquistare taxi, contando sul fatto che gli utenti delle auto pubbliche avessero modo di provare, sia
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pure solo come passeggeri il veicolo. Il caso più famoso fu sicuramente quello della Fiat 600 Multipla.
Recentemente anche Toyota, è ricorsa alla stessa tecnica per la Toyota Prius Ibrida
Esistente da tempo, ha ricevuto un impulso dal Web 2.0 e dalla diffusione dei Social
Networks, che ha allargato la categoria degli infulencer, coinvolgendo ad es. anche i blogger.
Il primo approccio alla teoria viene da un classico della comunicazione, come The Peoplle's
Choice di Lazarsfeld e Katz, uno studio del 1940 sulla comunicazione politica che è anche conosciuto
come Multistep flow model, in cui si afferma che la maggior parte le persone sono influenzate da
dicerie e opinion leader.
Nel contesto dell'influencer marketing, per influenza si intende non tanto la coercizione ad
adottare un comportamento di consumo, quanto una scelta libera ma, al tempo stesso di fatto in un
certo senso condizionata di comprare un bene o fruire di un servizio per aumentare il proprio prestigio
sociale, tipico esempio l'acquisto di un bene status simbul
L' Infulencer Marketing come disciplina del marketing
L'Influencer è sempre più praticato in ambito commerciale e si compone di quattro attività
principali:
• Identificazione degli influenzatori (influencers) e loro classificazione in ordine di
importanza.
• Azione di marketingrivolte agli influenzatori per aumentare la conoscenza dell'azienda nella
comunità degli inflencers.
• Azioni di marketing tramite gli influencers per aumentare la conoscenza del mercato da parte
dell'azienda
• Il marketing con gli influencers rendendo gli influencers ambasciatori dell'azienda
L'influencer merketing non è sinonimo del marketing basato sul passaparola (WOM), ma
l'influenza può essere trasmessa in questo modo. Quindi il passaparola è una parte fondamentale della
meccanica del Influencer Marketing.
Ci sono differenze sostanziali nella definizione di chi sia un influencer. Nel mondo
anglosassone Peck definisce persone influenti come "un certo numero di persone terze ed estranee
rispetto all'azienda, che riescono a influenzare l'azienda e i suoi potenziali clienti" Allo stesso modo,
Brown e Hayes definiscono un influente come "una terza parte dà significativa decisione di acquisto
del cliente, ma non si può mai risponderne. " avviso Keller e Berry che gli attivisti sono influenti e
ben collegata, hanno un impatto, mente attiva e sono trendsetter, anche se questo insieme di attributi
è specificamente allineato ai mercati consumi.
Quello che esattamente viene incluso nell' influencer marketing dipende dal contesto (B2C o
B2B) e dal mezzo di trasmissione di influenza (online o offline, o entrambi). Ma sempre più spesso
avviene che le aziende siano disposte a identificare e interagire con persone influenti. Far convergere
azioni di marketing focalizzate sugli influencer è visto come un mezzo per amplificare i messaggi di
marketing al fine di contrastare la crescente tendenza di potenziali clienti di ignorare il marketing.
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Buzz marketing
Il buzz marketing, detto anche marketing conversazionale è quell'insieme di operazioni di
marketing non convenzionale volte ad aumentare il numero e il volume delle conversazioni
riguardanti un prodotto o un servizio e, conseguentemente, ad accrescere la notorietà e la buona
reputazione di una marca. Consiste cioè nel dare alle persone motivo di parlare di un prodotto,
servizio, un'iniziativa e nel facilitare le conversazioni attorno a tale oggetto.
La parola buzz è, infatti, onomatopeica e richiama il ronzio delle api: in estrema sintesi il buzz
marketing rappresenta quindi la possibilità di raggiungere nel minor tempo possibile quello che viene
definito "sciame", cioè un gruppo di utenti omogeneo per interessi rispetto a un tema o a una categoria
di prodotti/servizi.
Buzz marketing è, dunque, la strategia di coloro che, consapevolmente o inconsapevolmente,
gratis o a pagamento, utilizzano il web (tramite, ad esempio, blog, forum e social network) è un
esempio o il concetto riguarda solo il caso del web?][senza fonte] per parlare e far parlare (o cercare
di far parlare) di beni, aziende o brand.
Elemento centrale del buzz marketing è l'uso del passaparola.
Strategie
Fra le tattiche impiegate più frequentemente nel buzz marketing vi sono la creazione di
suspense per un evento o il lancio di un prodotto, l'invenzione di una controversia, il rivolgersi a
blogger e a personalità influenti nei social media. Gli utenti social media di ogni comunità virtuale
possono essere divisi in tre categorie: opinion leader, utilizzatori, compratori. Gli opinion leader
danno risonanza ai vari messaggi fra il pubblico target, spesso grazie alla loro reputazione all'interno
della community. Dunque una campagna sui social media di successo deve individuare e coinvolgere
gli opinion leader più adatti al brand e infine fornire loro informazioni sul prodotto e stimolarli a
trasmetterle alla community. Gli utilizzatori sono membri della community che assimilano le
informazioni e interagiscono con gli altri membri. Lo scopo del marketing strategico è quello di
trasformare gli utilizzatori in membri della terza categoria, ossia in reali acquirenti che avviano il
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processo di fidelizzazione al brand, necessaria ad un buzz marketing sempre positivo. La sfida del
venditore consiste nel capire le dinamiche potenzialmente complesse della community virtuale e
nell'essere capace di sfruttarle efficacemente.
Guerriglia marketing
Guerriglia marketing (dall'inglese/spagnolo Guerrilla Marketing) è la definizione coniata dal
pubblicitario statunitense Jay Conrad Levinson nel 1984 nel suo libro omonimo per indicare una
forma di promozione pubblicitaria non convenzionale e a basso costo ottenuta attraverso l'utilizzo
creativo di mezzi e strumenti aggressivi che fanno leva sull'immaginario e sui meccanismi psicologici
degli utenti finali.
Il Guerrilla Marketing originale non è, al contrario di quanto si crede, il semplice creare delle
azioni eclatanti che fanno parlare di sé, bensì un approccio sistematico al marketing dedicato alle
Piccole e Medie Imprese. Anzi per la definizione che ha dato il suo creatore, ogni azione illegale o
contro i costumi locali non è guerrilla marketing.
Uno dei primi esempi di guerrilla marketing è stata la leggenda metropolitana messa in rete,
e da lì lanciata dagli altri media, in cui si parlava di quattro cineasti scomparsi in una foresta del
Maryland nel 1994, di cui sarebbero state ritrovate le riprese a distanza di anni; un sito web trattava
del caso, e dopo poco uscì nei cinema il film The Blair Witch Project.
Anche se molte aziende promettono azioni guerrilla, il concetto stesso di azione guerrilla è
errato, in quanto lo studio della disciplina prevede un piano strategico ben specifico (non
diversamente da un piano di marketing tradizionale) e delle tattiche (cosiddette "armi") da
implementare per raggiungere l'obiettivo.
Caratteristiche
Nel suo libro, Levinson identifica alcuni principi che rappresentano le linee guida di questa
tipologia di marketing:
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•
Il guerriglia marketing è uno strumento adatto agli imprenditori che non dispongono
di grandi budget (stanziamento pubblicitario limitato).
•
L'investimento nel guerriglia marketing si basa sul tempo, l'energia e l'immaginazione
anziché sul denaro.
•
Il metodo per misurare gli affari realizzati attraverso il guerriglia marketing è in termini
di profitto anziché di vendite.
•
Inoltre, il metro di giudizio è determinato dal numero di nuove relazioni instaurate
ogni mese.
•
È necessario creare uno standard di eccellenza realizzato attraverso focus specifici,
anziché diversificare l'offerta con diversi prodotti e servizi.
•
È necessario puntare a incrementare il numero di accordi commerciali con acquirenti
esistenti, anziché concentrarsi sull'acquisizione di nuovi acquirenti.
•
Dimenticare la competizione e concentrarsi sul modo di cooperare con altre tipologie
di affari.
•
Il guerriglia marketing deve essere sempre una combinazione di diversi metodi di
marketing.
•
Utilizzare le tecnologie esistenti come strumento per rafforzare il proprio marketing.
Il guerriglia marketing in Italia
In Italia, il guerrilla marketing è entrato nei primi anni del duemila, sospinto dalla ricerca di
nuove applicazioni dei sistemi di media hoax già sperimentati, senza scopi commerciali o pubblicitari,
da parte del nome collettivo Luther Blissett. Alcuni membri del Luther Blissett Project hanno dato
vita a Roma a guerrigliamarketing.it, la prima organizzazione italiana che ha tentato, con successo,
di applicare sistemi di marketing così audaci al business, come nel caso della bufala mediatica degli
UFO[3] (o sette sataniche) davanti all'Aquafan di Riccione, estate 2001, rivelatasi poi una campagna
commissionata dallo stesso Comune.
Anche il mondo del non profit ha fatto uso della guerriglia mediatica. Un caso vistoso è
rappresentato dall'iniziativa dell'associazione ambientalista Terra!, che ha collocato maschere antigas
e cartelli stradali alle 150 statue storiche di Roma[4], per protestare contro le emissioni di CO2 e i
gas serra (l'azione è stata poi replicata a Genova e Padova).
Due casi controversi sono la campagna di SKY[7] a supporto della serie Romanzo criminale
- La serie e Street Museum a supporto del profilo tariffario TIM Tribù. Nel primo caso (ottobre 2008)
sono stati posizionati di fronte al Palazzo della Civiltà Italiana di Roma dei busti similmarmo
riproducenti quattro appartenenti alla Banda della Magliana. L'operazione ha suscitato l'intervento
del sindaco Gianni Alemanno, che ha definito la posa dei busti «un'operazione di cattivo gusto». Nel
caso di Tim Tribù Street Museum sono state incorniciate alcune opere di StreetArt per lanciare un
contest.
Un esempio di Guerrilla Marketing è l'operazione "Angeli Precari"[9], con la quale Roma, nel
dicembre 2008, è stata tappezzata di volantini riproducenti due misteriosi angeli, Angelo Precario ed
Angela Precaria, i quali cercando disperatamente qualcuno da proteggere invitavano ad essere
contattati su Facebook. Si trattava di un'azione di guerrilla ideata per promuovere il nuovo e-shop di
un'azienda orafa.
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In un altro caso, per il lancio di una nuova marca di streetwear, la società ha sfruttato le
telepromozioni di un operatore telefonico all'apertura di gare sportive per diffondere il marchio: gli
attori sono vestiti con una polo e con accessori con visibile il logo della neonata casa di moda italiana.
Questo tipo di operazioni di guerrilla prendono il nome di Ambush marketing.
Nel dicembre 2011 è stata fatta una campagna di guerriglia marketing utilizzando un
fantomatico prodotto spray orale: Rednoze, proposto on line, per evitare il test dell'etilometro. Scopo
dell'iniziativa è stato quello di sensibilizzare i consumatori di alcool sui pericoli dell'elusione e dei
mancati controlli.
Ambush marketing
Ambush marketing è l’espressione comunemente usata nel mondo anglosassone in ipotesi di
associazione indebita (non autorizzata) di un brand ad un evento mediatico; ossia quando lo stesso
non appartenga ad uno degli sponsor ufficiali. Accade sovente che un brand paghi per diventare
sponsor ufficiale ed unico di un dato evento mediatico, nel quale si intromette cercando visibilità, con
un'azione di marketing non convenzionale, un'altra compagnia in modo non ufficiale. Il termine
"Ambush Marketing" è stato coniato dal marketing strategist Jerry Welsh, mentre lavorava per
l'American Express Company, nel 1980.
Esempi storici
Nel 1996, durante la conferenza stampa di presentazione della finale dei 100 m ad Atlanta,
Linford Christie si presentò sfoggiando delle lenti in cui si poteva riconoscere il logo del suo sponsor
tecnico, Puma.
Il 22 marzo 2007 Sony lancia in Francia la nuova PlayStation 3. All'evento si "imbosca" una
società concorrente che, senza essere autorizzata, sfrutta lo sforzo di Sony per promuovere la sua
console per videogiochi diretta rivale della PS3.
Un caso eclatante avvenne nelle olimpiadi del 2008: nella cerimonia di apertura l'ultimo
tedoforo fu l'atleta Li Ning, che oltre ad essere stato un ex-ginnasta, è anche imprenditore di
un'omonima azienda di abbigliamento sportivo.
Un altro caso si è verificato durante il Campionato mondiale di calcio 2010 prima della partita
tra Paesi Bassi e Danimarca, disputata a Johannesburg il 15 giugno 2010. Un gruppo di 36 ragazze
olandesi che indossavano capi di vestiario arancioni sponsorizzati (nonostante l'assenza di loghi) da
una marca di birra tedesca sono state bloccate all'ingresso dello stadio, a causa della violazione delle
norme FIFA sull'esclusiva commerciale.
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