DAL CUORE ALLE LABBRA E DALLE LABBRA ALLE OPERE
2012-12- 17 L ’O sservatore Romano
L’Anno della fede, iniziato da poco, si pr ese nt a, con le parole di Papa Benedetto XVI, come
«un pellegr inaggi o nei deserti del mondo cont em poraneo, in cui portare con sé solo ciò che
è essenziale (…) il V angelo e la fede della Chiesa» (Omelia nella messa per l’apertu ra
dell’Anno dell a fede, 11 ottobre 2012 ). Con viene pertanto concentrarsi sull’essenziale,
ritornare alle f onti . In al tre parole, si tra tta di porre Cristo stesso al centro di tutta l’azio n e
della Chiesa: E gli è l a garanzia che il d ese rt o contemporaneo si trasformerà in un giardin o .
La fede è un dono dell o Spirito che ci r af f or za e ci fa crescere, ma ci fa crescere in
comunità, e n on come membri isolati, po iché si cresce solo in comunione; e solo così
saremo preparati ad annunciare, con p ar ole e o pere, il messaggio di Cristo. Ma l’annu ncio
del m essaggio di Cristo non si può ridurr e a un semplice insegnamento; l’annuncio p orta
chi lo ascolta a dare una risposta, neg at iva o po sitiva; quest’ultima sarà una parola di fe d e,
che implica un’ accett azione di Gesù Cristo e u n impegno, affinché si compia l’alleanza tra
Dio e il suo popolo (cf r. Catechismo d ella Ch iesa cattolica, 1102).
Cristo ci ha rivel ato il volto di Dio, ci h a rive lato il volto della nuova umanità che , nel
Cristo che soffre, trova la vera bellezza che salva il mondo, poiché Egli è il compime nto
e l ’interpr ete defi nit ivo della Scrittur a. È «autore e perfezionatore della fede» (Ebre i,
12, 2). L’uomo, qui ndi, non è solo, è sost enuto dalla grazia divina, sa che può fidarsi
completamente di Dio e accogliere la su a Verità, poiché Egli è la verità stessa (cfr.
Catechismo della Chiesa cattolica, 143).
Ma quel gran de frutto del concilio Vaticano I I che è il Catechismo della Chiesa cattolica
sottolinea con grande sagacia: «Da secoli, attraverso molte lingue, culture, pop oli e
nazioni, la Chiesa non cessa di confessar e la sua unica fede, ricevuta da un solo Signo re,
trasmessa me diant e un solo Battesimo » ( Ibid em , 172). Ci viene così detto che c’è un’u nità
nella fede, m a allo stesso tempo che e sist e a nche diversità nelle sue espressioni, poiché
-1-
la ricchezza d el mi stero di Cristo è così im mensa che nessuna tradizione la può esaurire .
Di modo che «dall a prima comunità di Ger usalemme fino alla Parusia, le Chiese di Dio,
fedeli alla fed e apostol ica, celebrano, in og ni lu ogo, lo stesso Mistero pasquale. Il Mistero
celebrato nella Li turgia è uno, ma var iano le forme nelle quali esso è celebrato» (Ibide m,
1200).
In questa ri cca diversità si trova l’an tichissima liturgia ispano-mozarabica, un teso ro
ancora da scopri re per molti nella Ch iesa. Nella mente e nel cuore dei padri isp anici
nasceva il desi derio di diffondere la “Buona Novella”, nella certezza che la lex ora n di
ispanica concordava con la lex credendi; e il criterio che assicurò tutto ciò fu la fe deltà
alla tradizione apost oli ca, ossia la comu nione nella fede e nei sacramenti ricevuti dag li
apostoli, sign if icat a e garantita dalla succe ssione apostolica (cfr. Ibidem, 1209).
Il 1992 è un anno da ri cordare nella st or ia d i questa venerabile liturgia: è stata la prima
volta che un successore di san Pietr o ha celebrato con gli stessi testi con cui aveva no
celebrato generazioni e generazioni di cr istian i nelle terre ispaniche. Dopo aver port ato a
termine le rifo rme promosse dalla Sacr osa nct um concilium, sotto la direzione del card inale
Marcelo González Martín, lo stesso Papa G io vanni Paolo II ha voluto presiedere la me ssa
all’Altare della Confessione della basilica Vaticana. Il beato Giovanni Paolo II, nell’omelia
della messa, ha esortato a passare dalla ce lebrazione all’azione, seguendo il cammin o
tracciato da quanti, con il loro esemp io, si tr asformarono in fede viva: «i venerabili riti
liturgici ispano-mozarabici (lex orandi) devono rafforzare la fede cristiana di qua nti li
celebrano (l ex credendi ), di modo che la loro vita (lex vivendi) continui a emulare c oloro
che, i n passa to, di edero esempio di per seve ranza nel servizio al Signore e alla sua
verità» ( Omelia nell a concelebrazion e eucar ist ica nel rito ispano-mozarabico, 28 magg io
1992).
Proprio prima del la proclamazione de l Cr ed o, che contiene la fede della Chiesa, il
messale ispano-mozarabico presenta qu est o monito: «Professiamo con le labbra la fed e
che por tiamo nel cuore» (cfr. Romani, 10, 9 -10) esortazione che sintetizza magnificamente
le parole della sopracit ata omelia: chi cr ed e deve celebrare la propria fede, deve porta rla
nelle sue attività quotidiane, deve far la vita , in definitiva, deve passarla dal cuore a lle
labbra e dalle l abbra alle opere. In qu est a pr ospettiva, è lo stesso Benedetto XVI ch e in
Porta fidei, riprendendo l’immagine paolina, dice: «la conoscenza dei contenuti da cred ere
non è sufficiente se poi i l cuore, autent ico sacr ario della persona, non è aperto dalla gra zia
che consente di avere occhi per guard ar e in p rofondità e comprendere che quanto è stato
annunciato è la Parola di Dio. Professar e con la bocca, a sua volta, indica che la fe de
implica una test imonianza ed un impe gn o pubblici» (n. 9).
In questo anno di grazia ritengo sia molto im po rtante far conoscere i contenuti della fe de
della Chiesa; in ciò ci può senza dubbio aiut ar e l’approfondimento della lex credendi che ci
mostra la nostra propria tradizione, la bella tr adizione liturgica del rito ispano-mozara bico.
Una fede che ha forgiato una cultura, la nostr a cultura; e per un costante e autentico
rinnovamento bi sogna tener conto del r it or no alle fonti e della conoscenza di se stessi:
«Questa antica Lit urgia ispano-mozara bica ra ppresenta, quindi, una realtà ecclesiale, e
anche cultura le, che non può essere r ele ga ta all’oblio, se si vogliono capire in profond ità
le radici dello spi rito cristiano del popolo spagnolo» (Omelia, 28 maggio 1992).
Esaminiamo a lcuni esempi presi prop rio dalla liturgia ispano-mozarabica. Se Bene detto
XVI nella lettera apostolica Porta fidei ci pr esenta Maria «nell’obbedienza della sua
dedizione» (n . 13), come colei che è «b ea ta per aver creduto» (cfr. Luca, 1, 45), è p e r
dirci che Nostra Si gnora è l’esempio più vivo d el fatto che la fede trascende il tempo. E cco
cosa dice la l it urgia i spano-mozarabica: «Nel profondo del cuore, la fede accoglie con
calore l’annun cio dell’angelo, l’orecch io r iceve la parola che non lascia spazio a dubbi e la
sicurezza della sua fede viene conferm at a dalla speranza che Dio ha il potere di comp ie re
ciò che promette» (Oratio admonitionis della solennità di santa Maria).
-2-
In questo Anno dell a fede abbiamo dunque m olti motivi per i quali rendere grazie a Dio ,
specialmente per poter meglio conoscere la bellezza e la pienezza della nostra fe de
cattolica; ne abbiamo anche tanti per chied er e perdono, poiché nella nostra storia mo lte
volte la santità e il peccato s’incrociano. E abbiamo anche l’opportunità d’intensifica re
la testim onian za della carità (cfr. Port a fidei, nn. 13-14), perché la fede senza ope re è
vana, non reca frutto, è sterile (cfr. Giacom o, 2, 14-18). Il Santo Padre ha tracciato p er
noi un intero piano di conversione aff inché la nostra testimonianza di fede sia credibile e
sia capace di aprire il cuore e la mente d elle t ante persone che desiderano conoscere Dio
e vivere una vita vera.
A noi non resta che levare, dal più pro fondo d el cuore, la nostra preghiera per la Ch iesa
in questo A nno della fede. Lo facciamo con una bella professione di fede nel nostro rito
ispano-mozarabi co, presa ancora dalla ta nt o caratteristica celebrazione della solen nità
di Santa Mar ia il giorno 18 dicembre: «Proclam iamo, Signore, ciò in cui crediamo, n on
lo nascondiamo a noi stessi, supplicandoti d i tutto cuore che, così come hai conce sso
a tua Madr e d i essere madre e vergin e, tu co nceda alla tua Chiesa di essere incorro tta
attraverso la fede e feconda attraver so la castità» (Oratio post pridie della solennità di
santa Mar ia).
Braulio Rodríguez Plaza, Arcivescovo di Tole do, primate di Spagna e superiore del rito
ispano-mozarabi co
-3-