Biochimica Clinica e Biologia Molecolare Clinica A.A. 2006-2007 Biologia molecolare 1. Isolamento del DNA Il DNA è una macromolecola formata da catene lineari di desossiribonucleotidi legati insieme mediante gruppi fosfato. Ogni desossiribonucleotide comprende una base azotata e uno zucchero (desossiriboso). Le basi sono quattro: due purine (Adenina e Guanina) e due pirimidine (Citosina e Timina). L’ordine delle basi codifica l’informazione genetica contenuta nel DNA in base ad un codice gentico pressoché universale. Le catene di DNA assumono una forma ad elica nella quale una base pirimidinica di un filamento si accoppia con una base purinica del filamento opposto (G con C e A con T) in modo che ciascun filamento è complementare all’altro. La lunghezza dei filamenti viene misurata in coppie di basi (“base pairs”, bp) e loro multipli (kilobasi, kb; megabasi, Mb). Il primo passo di qualunque tecnica di biologia molecolare consiste nell’isolare e purificare il DNA. I dettagli sperimentali variano a seconda del tipo cellulare, dal tipo di esperimento che si deve effettuare, ecc. In tutti i casi si deve rompere in qualche modo la membrana cellulare e separare gli acidi nucleici da altri componenti cellulari quali proteine, lipidi, polisaccaridi, nucleotidi, sali ecc. In linea generale gli acidi nucleici sono rimossi da tutti gli altri componenti cellulari precipitandoli selettivamente in soluzioni alcoliche. Generalmente si usano 2 volumi di etanolo a (-20°C per 15’) o 0.7 volumi di isopropanolo (5’ a temperatura ambiente). Dopo la precipitazione, che viene di solito assistita da una opportuna concentrazione di cationi monovalenti, in funzione di carrier, la soluzione viene centrifugata, seccata e risospesa in adeguati tamponi. Una tecnica comunemente utilizzata per rimuovere il grosso delle proteine dagli acidi nucleici consiste nel trattare la soluzione acquosa contenente gli acidi nucleici con solventi organici immiscibili (quasi) in acqua, tipicamente fenolo/cloroformio. Emulsionando i due componenti si formano due fasi distinte nelle quali si partizionano i vari componenti; il DNA nella fase acquosa e le proteine in quella organica. Dopo aver separato le due fasi per centrifugazione si prende la fase acquosa (fase superiore) avendo cura di non prelevare né quella inferiore (fase fenolica) né lo straterello intermedio (proteine denaturate), dove si accumulano la maggior parte delle proteine. Poiché tracce di fenolo, eventualmente rimaste in soluzione possono inibire trattamenti enzimatici successivi (denaturanando gli enzimi!) è pratica comune rimuovere le tracce di fenolo con cloroformio, precipitando successivamente gli acidi nucleici deproteinizzati. In alternativa ai classici metodi di purificazione degli acidi nucleici esistono in commercio numerosi kit di isolamento e purificazione degli acidi nucleici che rappresentano una alternativa sempre più utilizzata. Esistono molti prodotti commerciali che garantiscono facilità d’uso riproducibilità ed elevato livello di purificazione. Si basano essenzialmente sull’utilizzo di: (1) resine a scambio ionico (scambiatori anionici come la DEAE cellulosa); (2) matrici silicee; (3) ultrafiltrazione; (4) biglie magnetiche 2. Stima della concentrazione degli acidi nucleici Prima di utilizzare il DNA negli esperimenti di biologia molecolare o a scopo diagnostico è necessario valutare la concentrazione degli acidi nucleici nella soluzione con cui lavoriamo. Esistono due metodi principali: (1) la lettura spettrofotometrica; (2) lo spot test. La determinazione spettrofotometrica della concentrazione del DNA è il metodo d’elezione, in presenza di quantità non limitanti di acidi nucleici, per la sua accuratezza. Per avere una stima attendibile la lettura deve essere compresa tra OD = 0,1 e O.D.= 1. Dai dati di letteratura relativi ai coefficenti di estinzione molari di soluzioni acquose di acidi nucleici sappiamo che: per un DNA ds un O.D A260 = 1 corrisponde a 50 µg/ml per un DNA ss un O.D A260 = 1 corrisponde a 33 µg/ml per un DNA ds un O.D A260 = 1 corrisponde a 20 µg/ml Esempio di calcolo. Da una preparazione plasmidica abbiamo ottenuto 100 µl di concentrazione incognita. Diluiamo 25 µl di questa preparazione in 500 µl di H2O (cuvetta da 500 µl) Leggiamo un OD A260 = 0.53 Metodo 1 1 OD : 50 µg/ml = 0.53 OD :x x =0.53 x 50 µg/ml =26,5 µg/ml (concentrazione del DNA nella cuvetta) 26,5µg : 1ml = xµg : 0,5 ml x = 13,25 µg ( quantità totale di DNA nella cuvetta) 13,25 µg /25 = 0,53 µg/µl (concentrazione DNA nel campione) 0,53 µg/µl x 100 µl = 53 µg ( quantità totale DNA nel campione) Metodo 2 Calcoliamo il fattore di diluizione : 25 µl + 475 µl di H2O = 1/20 La concentrazione del DNA nel campione è uguale a: 0.53 x 50 µg/ml x 20 (fattore di diluizione)= 530 µg/ml (530 ng/µl) La quantità di DNA totale è 530 µg/ml x 0,1 ml = 53 µg (530 ng x 100 = 53 µg ) 3. Separazione del DNA L’elettroforesi è il classico strumento di cui si serve il biologo molecolare per separare, identificare ed isolare frammenti di DNA. Come dice il nome l’elettroforesi consiste nel movimento di una molecola carica sottoposta ad un campo elettrico generato dalla differenza di potenziale creata da un apposito alimentatore di corrente. Poiché gli acidi nucleici sono molecole cariche negativamente (in un tampone neutro o alcalino) migreranno verso il polo positivo. Le prime elettroforesi in fase liquida sono state soppiantate da quelle in fasi solide, più riproducibili. Le matrici solide generalmente usate sono costituite da gel di agarosio e da gel di poliacrilamide. Il primo metodo è più rapido ma con potere di risoluzione inferiore alla poliacrilammide. La mobilità elettroforetica dei frammenti dipende dalla loro dimensione ed è abbastanza indipendente dalla composizione e dalla sequenza nucleotidica che li caratterizza. Al termine della migrazione occorre visualizzare le bande di DNA con opportuna colorazione per i gel di agaroso si utilizza abitualmente il bromuro di etidio, un agente intercalante che si lega al DNA e può essere rivelato con un transilluminatore UV. Per il gel di poliacrilammide è possibile parimenti effettuare una colorazione: con bromuro di etidio oppure si può ricorrere alla colorazione argentica, metodo circa 100 volte più sensibile, anche se necessita di tempi operativi più lunghi. Amplificazione in vitro di regioni specifiche del genoma a scopo diagnostico mediante reazione a catena della polimerasi (PCR). 4. La reazione a catena della polimerasi La Biologia Molecolare nel laboratorio clinico rappresenta una innovazione che ha modificato profondamente gli approcci convenzionali alla diagnosi di infezioni virali o batteriche, all'individuazione di marcatori genetici di malattie ereditarie, di malattie neoplastiche ed all’accertamento di paternità. Nel campo della Diagnostica Molecolare l'innovazione tecnologica che ha determinato il salto di qualità è rappresentata dalla tecnica di PCR (Polymerase Chain Reaction), utilizzata in un numero crescente di laboratori. La PCR rappresenta uno strumento che ha raggiunto una diffusione senza precedenti nel laboratorio clinico, indipendentemente dalla specializzazione del laboratorio stesso e dalla sua applicazione a specifici tests diagnostici. La reazione di PCR è una tecnica enzimatica studiata per amplificare in vitro una regione specifica bersaglio di DNA o di RNA a partire da una quantità anche minima di acidi nucleici, permettendo di ottenere una quantità di acido nucleico misurabile e caratterizzabile. La miscela di reazione comprende, oltre al DNA da amplificare, due primers (oligonucleotidi appositamente disegnati in modo che corrispondano alle estremità che fiancheggiano il tratto di DNA da amplificare), nucleotidi, DNA polimerasi termostabile. Aumentando la temperatura della reazione, i due filamenti di DNA si separano; su ciascuno di essi si posiziona un primer (annealing) che inizia la reazione di copiatura del DNA complementare (extension), effettuata dalla DNA polimerasi, utilizzando i nucleotidi presenti e riformando una doppia elica da ciascuno dei due filamenti. Le nuove doppie eliche vengono di nuovo separate mediante innalzamento di temperatura e il ciclo di copiatura viene ripetuto per molte volte, fino a raggiungere una quantità di DNA, uguale a quello iniziale, sufficiente per l’analisi. Ad ogni ciclo di amplificazione, il numero dei "primers" presenti nel campione da analizzare viene raddoppiato. L'andamento esponenziale della reazione fa sì che il numero delle molecole di DNA o RNA ottenute sia pari a 2n, con n = numero di cicli eseguiti. In una tipica reazione di PCR in vitro, una stima realistica di amplificazione è tra 105-106 copie di acido nucleico amplificato, per cui da poche molecole di DNA bersaglio (virtualmente anche una singola copia di ac. nucleico), si producono milioni di copie di DNA, rendendo tale tecnica estremamente sensibile e specifica. Il materiale di partenza, o substrato per l'amplificazione, è il DNA e la reazione è catalizzata dalla Taq-polimerasi, un enzima termoresistente che svolge la funzione di duplicare l'acido nucleico. È in grado di catalizzare la sintesi di nuovo DNA in presenza di desossinucleotidi a partire dal breve frammento di DNA a doppia elica costituito dal primer legato complementarmente alla sua regione bersaglio. Gran parte degli enzimi di questo tipo presenti in natura vengono distrutti dalle alte temperature utilizzate nella PCR. Alcuni microrganismi adattatisi ad habitat estremi, come le sorgenti termali, quali il Thermus aquaticus ed il Pirococcus furiosus, posseggono delle DNA polimerasi termostabili (Taq polimerasi e Pfu polimerasi). Naturalmente le variazioni di temperatura necessarie al compimento della reazione ciclica vengono effettuate automaticamente grazie ad apparecchi detti termociclatori, dotate di piastre la cui temperatura può essere fatta variare a piacere con grande precisione ed omogeneità. La rivelazione del DNA amplificato avviene mediante i mezzi più disparati: segnali fluorescenti o colorati per marcare le sonde, uso di intercalanti, etc. Definizione dei parametri per il ciclo di amplificazione. Il profilo termico della reazione PCR seve esere determinato accuratamente per evitare la formazione di bande aspecifiche che potrebbero ostacolare o addirittura impedire ulteriori analisi (es. sequenziamento, identificazione di mutazioni ecc.) o determinare l’inspiegabile assenza di amplificato. I metodi più comuni di ottimizzazione includono la titolazione della concetrazione del magnesio, dello stampo, dei primer, dei dNTP e della concentrazione della Taq polimerasi, l’aggiunta di detergenti, la riduzione dei cicli di PCR o attraverso una graduale modificazione della temperatura di annealing. 1. Il DNA stampo. Normalmente vengono utilizzate quantità intorno ai 100 nanogrammi di DNA stampo. Anche se teoricamente è sufficiente una sola molecola di DNA stampo per ottenenre la reazione la presenza di meno di 100 molecole rende molto difficile la fase di screening da parte dei primer poiché la frequenza di incontri tra le due molecole è molto bassa, mentre la formazione di primer-dimer è molto facile. Quando il DNA è molto diluito è opportuno ricorrere alla PCR booster o alla PCR hot-start. 2. Denaturazione. Per bersagli < 1 kb denaturare per 1 minuto a 94°C. Se si usano provette a parete ultrasottile si può ridurre la desaturazione a 30 secondi. Per frammenti più lunghi occorre aggiungere 1 minuto di desaturazione per kb (30 secondi se si usano provette ultrasottili). 3. Annealing. La determinazione della temperatura ideale di annealing è forse una delle fasi più critiche nella ottimizzazione della specificità nelle reazioni di amplificazione. Nella maggior parte dei casi questa temperatura deve essere testata empiricamente. Per avere una specificità ideale la temperatura di annealing dovrebbe corrispondere alla più bassa temperatura di dissociazione fra quelle dei due primer. La PCR normalmente viene eseguita partendo da una temperatura che è 5°C sotto la Tm calcolata per il primer utilizzato. La formazione comunque di bande aspecifiche secondarie dimostra che la temperatura ideale è spesso più alta rispetto a quella calcolata (>12°C). Si suggerisce di utilizzare un tempo di annealing di 1 minuto ma si può scendere a 30 secondi se il volume della reazione è piccolo (25 µL) o si utilizzano provette a parete ultrasottile. 4. Numero di cicli. Per mettere a punto uno nuova reazione PCR è opportuno partire da 30 cicli di amplificazione. Trenta cicli sono normalmente sufficienti per visualizzare il prodotto di reazione col bromuro di etidio. Venticinque cicli sono sufficienti se i prodotti sono radiomarcati e visualizzati mediante autoradiografia. Increementi di 5 cicli di reazione per volta possono essere effettuati se la resa è insoddisfacente. 5. Estensione. La Taq DNA-polimerasi è in grado di sintetizzare 1-4 kb al minuto (35-70 basi al secondo). Per bersagli < 1 kb una fase di estensione di 1 minuto a 72°C è sufficiente. Per frammenti più lunghi si può aggiungere 1 minuto per ogni kb. 6. Concentrazione dell’enzima. Nella maggior parte dei protocolli si suggerisce di utilizzare una concentrazione di Taq polimerasi di 0,5 unità per 25 µL di miscela di reazione. In questo modo l’enzima è il componente limitante della reazione. Concentrazioni superiori a 1,25 unità per 25 µL sono da evitare se si vuole controllare la specificità della reazione. Per le più recenti DNApolimerasi termostabili (Pfu) la concentrazione ottimale è diversa e sarà opportuno seguire i suggerimenti del fornitore. Esempio di protocollo PCR A. Preparazione della miscela di reazione (x 16 campioni) Aggiungere i seguenti reagenti in una provetta etichettata “master mix”. Primer 1 (250 pmoli/µL) 4 µL 2.5 pmoli/µL Primer 1 (250 pmoli/µL) 4 µL 2.5 pmoli/µL dNTP stock 40 µL 200 µmoli/L Buffer 10X 40 µL 1X H2O distillata 294.4 µL Taq DNA-polimerasi (5 U/µL) 1.6 µL 0.5 U/25 µL Vorticare la miscela. Distribuire 24 µL di master mix in ognuna delle 16 provette e centrifugare brevemente per portare al fondo il contenuto. Quindi aggiungere 1 µL di DNA stampo per provetta. B. Cicli termici. Impiegare il seguente profilo: Denaturazione a 94°C 1 minuto per kb Annealing a Td 1 minuto Polimerizzazione a 72 °C 1 minuto per kb I tempi consigliati possono essere ridotti a 30 secondi se si usano provette a parete ultrasottile. Ripetere il ciclo per un numero di volte compreso fra 20 e 50 e proporzionale al rapporto primer/stampo. La PCR a gradiente è una tecnica che permette la determinazione empirica delle condizioni ottimali di PCR utilizzando il minor numero di passaggi. Questa ottimizzazione può spesso essere raggiunta in un solo esperimento. Hot-start. L'amplificazione con “partenza a caldo” (hot start) serve per migliorare l'efficienza di amplificazione e ridurre i prodotti anomali.. Il metodo isola uno o più componenti della reazione di PCR fino a che non viene raggiunta una temperatura abbastanza alta. Questo impedisce l'ibridazione a basse temperature dei primer oligonucleotidici a siti di DNA parzialmente omologhi e l'allungamento tramite Taq polimerasi. La partenza a caldo può essere ottenuta aggiungendo i reagenti alle provette di reazione aperte nel termociclatore. Tuttavia ciò dovrebbe essere evitato perchè aumenta notevolmente il rischio di contaminazione con prodotti di PCR precedentemente amplificati. La partenza a caldo può essere ottenuta senza aumentare il rischio di contaminazione includendo i reagenti della PCR in olio di paraffina o legando la Taq polimerasi ad un anticorpo termolabile, entrambi i sistemi sono disponibili in commercio. Come per qualsiasi analisi clinica con la PCR, dovrebbero essere impiegate delle barriere fisiche e, in maniera facoltativa, delle barriere chimiche per impedire la contaminazione dei campioni freschi con prodotti precedentemente amplificati. In ogni dosaggio dovrebbe venir incluso un campione di controllo negativo che non contiene DNA stampo per controllare le cross-contaminazioni. La tecnica PCR consente tra l’altro di evitare il Southern Blotting: in quest’ultima metodica il DNA da analizzare viene digerito con enzimi di restrizione che permettono di frammentare il DNA in maniera riproducibile: su ciò si basa la possibilità di isolare il frammento di interesse, cioè quello che contiene una specifica sequenza. I frammenti di restrizione sono separati per mezzo dell’elettroforesi; quindi il DNA viene denaturato e trasferito dal gel a un substrato solido (in genere un filtro di nitrocellulosa), in modo tale da mantenere la posizione che avevano assunto nel gel. Il filtro viene successivamente messo a contatto con una sonda specifica marcata radioattivamente. I frammenti che ibridizzano con la sonda possono essere facilmente rilevati mediante autoradiografia. Con la tecnica del Northern Blotting, invece, si rileva la presenza di specifiche molecole di RNA messaggero. La molecola di RNA viene separata tramite gel elettroforesi sulla base delle proprie dimensioni; in seguito viene trasferita a un filtro di nitrocellulosa, il filtro viene messo a contatto con una sonda marcata e infine viene sottoposto a autoradiografia. Il Northern blot viene utilizzato per sapere se un dato mRNA è presente in un determinato tessuto e, in caso affermativo, per conoscere le dimensioni. 5. Gli enzimi di restrizione La biologia molecolare è in grado di analizzare e manipolare il materiale genetico essenzialmente utilizzando una serie specifiche attività enzimatiche, dette enzimi di restrizione, con le quali possono “tagliare” e “cucire” il DNA. Gli enzimi di restrizione occupano sicuramente un posto di rilievo nella diagnostica molecolare contribuendo a riconoscere rapidamente variazioni di sequenza come mutazioni, polimorfismi, etc. Gli enzimi di restrizione sono enzimi endonucleasici che legano il DNA in sequenze specifiche originando tagli a doppi filamento all’interno o in prossimità della sequenza stessa. Trovano molteplici applicazioni, oltre che nella routine di laboratorio, in clonaggi e subclonaggi,nella costruzione di mappe di restrizione, negli RFLP, ecc. La nomenclatura degli enzimi di restrizione si basa sul genere e sulla specie del batterio dal quale è stato isolato l’enzima di restrizione: per es. Bam HI deriva da Bacillus amylofaciens, Eco RI da Escherichia coli, Hind III da Haemophilus influentiae etc. La straordinaria importanza degli enzimi restrizione risiede nella loro specificità. Ogni particolare enzima di restrizione, infatti, riconosce una sequenza specifica di basi all’interno di una catena di DNA. La maggior parte degli enzimi più comuni riconoscono da 4 a 6 basi. Il numero di base riconosciute è di importanza pratica perché determina la frequenza media di taglio. E’ ovvio che un enzima che riconosce una sequenza di 4 basi taglierà più frequentemente di uno che ne riconosce 6. Più in dettaglio, assumendo che la distribuzione delle 4 basi che compongono il DNA sia casuale avremo nel primo caso una frequenza uguale a 44 =256 basi, mentre nel secondo caso 46 = 1024. In altre parole un enzima con una sequenza di riconoscimento di 4 basi, come ad es. Alu I taglierà, in media ogni 256 bp , mentre uno come , ad es. Bgl II ogni 4096 bp. In generale la frequenza di taglio è sempre uguale a 4n , dove n = alla lunghezza del sito di riconoscimento. L'utilizzo degli enzimi di restrizione é molto semplice. La maggior parte di essi funziona in semplici tamponi tra pH 7 e 8, generalmente a 37°C. Le condizioni di utilizzo di sono comunque sempre specificate dai fornitori. Tutti gli enzimi, in condizioni non ottimali, danno il cossidetto "effetto star", che consiste nella capacità dell'enzima di "confondersi" riconoscendo e tagliando sequenze simili, ma non identiche a quella target. Per evitare l'effetto target é opportuno attenersi alle condizioni specificate dai fornitori, con particolare riferimento al glicerolo e alla quantità di enzima, che non devono essere mai in eccesso. Sebbene esistano enzimi di restrizione con siti di riconoscimento degenerati ( per es. BsiEI riconosce la sequenza 5'-CGPuPyCG-3' dove Pu ePy rappresentano " qualunque purina" e "qualunque pirimidina" 7, la maggior parte degli enzimi di restrizione utilizzati in biologia molecolare riconoscono sequenze specifiche che tagliano in tre modi diversi: Generando estremità piatte (blunt) Es. SmaI 5'-CCC ↓ GGG-3' 3'GGG ↑ CCC-5’ Generando estremità coesive (sticky) sporgenti al 5' Es. EcoRI 5'-G ↓ AATTC-3' 3'-CTTAA ↑ G-5’ Generando estremità coesive (sticky) sporgenti al 3' Es. PstI 5'-CTGCA ↓ G-3' 3'-G ↑ ACGTC-5'