IL MISTERO DEL DIO ABBREVIATO 60° anniversario di ordinazione sacerdotale di Mons. Giuseppe Calì Vittoria – chiesa madre, 29 giugno 2013 1. Dio mendicante del sì dell’uomo Mistero è Dio, mistero è la sua identità: o Theòs agàpe estin, «Dio è amore». Mistero è tutto quello che viene da Dio; mistero è l’uomo e la donna, ciascuno di noi è mistero a se stesso e non basta un’intera vita, seppur lunga, a comprendere il mistero che noi siamo; mistero è un Dio che si “abbrevia” nel grembo di una sua creatura, che preferisce quel cielo fatto di carne di donna al cielo di una beatitudine eterna e perciò si svuota, si spoglia, si abbrevia; mistero è un Dio che si abbrevia in parole umane e si rende presente, come le scintille che si liberano da un martello che batte sull’incudine, nell’ascolto della sua Parola; mistero è un Dio che si abbrevia in un pezzo di pane. Mistero è questo Dio abbreviato. Ma mistero ancora più grande è l’Onnipotente che si rende bisognoso delle sue creature, l‘Eterno che si fa mendicante d’amore e chiede il sì di un uomo, per continuare a dirsi e a darsi nella storia, a dirsi nella Parola, a darsi nell’Eucaristia e nel sacramento della riconciliazione, questo Dio che non si vergogna di elemosinare come offerta la vita di un uomo, di una sua creatura, come non si è vergognato di attendere impaziente il sì di una donna per essere per sempre Dio con noi. Ecco, carissimi fratelli e sorelle, oggi noi celebriamo questo mistero di Dio e questo mistero del sacerdozio. Io non sono degno di essere sacerdote ed ancor meno lo sono di essere Vescovo e non è retorica, è semplice verità. P. Calì non è degno di essere sacerdote, neanche dopo sessant’anni, perché questo mistero che ci trasfigura ci trascende sempre, è sempre più grande di noi, e noi stessi, più avanziamo in questo mistero attraverso l’esercizio del ministero, più siamo portati a vivere l’esperienza di Mosè dinanzi al roveto ardente, a toglierci continuamente i calzari della presunzione, dell’orgoglio, i cal- MONITORE DIOCESANO 2, 2013 429 ATTI DEL VESCOVO · Omelie zari di quella Chiesa inamidata, di tutti i teologi di professione, i chiacchieratori di Dio che spesso non hanno fatto esperienza di Dio, perché non basta parlare di Dio e non basta essere preti per aver incontrato Dio. Si può anche essere preti, vescovi, per una vita intera, senza mai lasciarsi intercettare dal Signore; si può essere uomini del tempio, dei riti sacri, ingessati dentro le norme canoniche, liturgiche, rituali, tridentine e avere insabbiato e seppellito il proprio cuore di uomini. Preso di tra gli uomini, il prete è un uomo e, se è vero che Dio ha scelto come massima espressione per dirsi quaggiù il farsi uomo, il prete non può essere l’uomo del Tempio, l’uomo delle sacrestie, delle gestualità e dei riti, deve essere uomo fra gli uomini, anzi, con i tempi che corrono, uomo fra le donne, cioè uomo innamorato dell’umanità perché vive la stessa passione d’amore di Dio, come ha scritto un giorno, dopo la comunione, S. Teresa di Gesù Bambino: «O Signore, lasciami dire che il tuo amore per me è arrivato fino alla follia». 2. Uomo del dialogo e dell’incontro Per questo, p. Calì, non è Gesù che chiede a lei questa sera: Giuseppe, mi ami tu più di costoro? Ma è lei che, dopo sessant’anni, continua ancora, piegando le ginocchia dell’anima, a dire al Signore: mi ami tu? E lui si dichiara ancora a lei, al suo Peppino sacerdote, come quel giorno di sessant’anni fa. Quello non è stato il suo sì a Dio, ma è stato il sì di Dio che si è piegato fino a prendere volto nel suo volto, fino a prendere possesso del suo cuore e a trasformare le sue mani in mani benedicenti, mani che accarezzano senza ferire, braccia che stringono senza trattenere, sguardo che perdona senza giudicare. E ancora adesso, dopo sessant’anni, il Signore ha bisogno di lei, ha bisogno del suo cuore, ha bisogno dei suoi piedi per camminare per le strade di questa città. P. Calì ha vissuto il suo sacerdozio sempre in piena obbedienza alla Chiesa e ai suoi Pastori, ma con il coraggio di infrangere le strette norme che incatenano libertà e amore di Dio, è stato uomo del sì alla Chiesa perché prete del sì agli uomini, poveri e ricchi, dai detenuti ai pastori delle nostre campagne, dai non credenti ai fratelli comunisti che ci tiravano le pietre quando an- 430 MONITORE DIOCESANO 2, 2013 Il mistero del Dio abbreviato davamo in giro all’inizio per le strade della parrocchia del Rosario. E ha saputo cogliere e accogliere, comprendere e avvicinare l’uomo nel suo mistero, senza pretendere conversione o atti di devozione inutili e appariscenti. Quindi p. Calì è uomo dell’essenziale ed è uomo delle case – dai tuguri ai salotti, senza distinzioni – e uomo della piazza perché ha saputo e sa abitare l’agorà, l’agorà del dialogo nel rispetto. Il prete è l’uomo del dialogo, l’uomo che, nelle situazioni drammatiche o gioiose delle famiglie, dei credenti o dei non credenti, sa essere lì con il cuore attento e con la mano pronta a benedire o semplicemente ad accarezzare, con una parola buona da dire, come era solito dire don Bosco, una parola buona da sussurrare all’orecchio della gente. 3. Uomo di preghiera Ma p. Calì ha vissuto il suo sacerdozio in questa dimensione tipica dell’incarnazione di Dio in Cristo, cioè nella logica di una umanità piena, liberante, riconciliante, rasserenante, perché è stato ed è profondamente un uomo di preghiera. Tutt’ora, se non è in piazza o nelle strade ad incontrare la gente, lo trovate qui con il suo breviario, i suoi libri di meditazione, come noi lo trovavamo da bambini, sempre davanti al Santissimo. Prega e le sue solitudini si popolano di volti, di storie da affidare al Signore, di lacrime e di slanci, per un terreno tutto da dissodare. Quella preghiera gli ha dato e gli dà la forza per vincere ogni contrarietà, ogni ostacolo, ogni opposizione, ogni freddezza, ogni persecuzione, ma soprattutto gli ha dato e gli dà la forza per vincere le sue fragilità e le sue debolezze, per dire con Paolo: «Tutto posso in Colui che mi dà la forza». Ecco, il mistero del sacerdote, come afferma S. Paolo, è un mistero di abnegazione, rinnegazione, trasfigurazione continua: «Non sono più io che vivo, è Dio che vive in me». Il sacerdote può dire questo perché le sue mani, anche se sono infangate dal peccato, diventano la culla di Dio che scende sull’altare in obbedienza ad un prete, a un peccatore. E anche se le labbra di un prete sono impure, da quelle labbra escono le parole consolanti: «Io ti assolvo da tutti i tuoi peccati, vai in pace… Prendete e mangiate, questo è il mio corpo dato per voi». MONITORE DIOCESANO 2, 2013 431 ATTI DEL VESCOVO · Omelie E nel vulcano dei tanti sentimenti che albergano nel mio cuore in questo momento, vorrei concludere consegnando a p. Calì, tre persone: Pietro, Paolo e Maria Santissima. Pietro che, con i suoi slanci e le sue cadute, riesce ad intuire il cuore di Gesù e a dire: «Tu sei il Cristo» e, anche se un giorno lo rinnegherà, quando il Signore gli chiede: agapàs me, “mi ami come ama Dio? Mi ami con il cuore di Dio?” dice: Kyrie, filò se, “Signore, ti voglio bene, ti sono amico, non arrivo ad amarti come tu mi chiedi, ma ti sono amico”. Paolo, l’orgoglioso, l’organizzatore, l’apostolo appassionato, ma anche l’apostolo che ha sacrificato l’amicizia con Barnaba, che ha fatto terra bruciata attorno a sé, che scriverà che l’amore tutto scusa, tutto crede, tutto sopporta, perché la fede finirà, la speranza finirà, solo l’amore rimarrà, come dice S. Giovanni della Croce: «Alla fine della nostra vita saremo giudicati sull’amore». Ecco, p. Calì, alla fine della sua vita, che speriamo ancora lunga, resterà tutto l’amore che avrà dato. Il Signore non guarda il peccato: “Se anche il tuo cuore ti rimprovera qualcosa, Dio è più grande del tuo cuore”, guarda quanto amore quel cuore ha saputo pompare, quante persone hanno potuto ritrovare il senso della vita grazie al suo ministero. E saranno tutti i poveri, i ricchi poveri nel cuore e i poveri mendicanti di un pezzo di pane, tutti quei poveri che lei ha cercato, consolato, aiutato, che lì, con Maria Santissima, le schiuderanno le porte del cielo per cantare per sempre il Magnificat di un Dio che ha abbassato i potenti dai troni e ha innalzato gli umili. Sia lodato Gesù Cristo! 432 MONITORE DIOCESANO 2, 2013