Jonathan K. Foster
Memoria
Traduzione di Chiara Barattieri di San Pietro
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Jonathan K. Foster
Memoria
Progetto grafico: studiofluo srl
Redazione: Giovanna Bova
Coordinamento produttivo: Enrico Casadei
Jonathan K. Foster
Memory
A Very Short Introduction
© Jonathan K. Foster 2009
Memory. A Very Short Introduction was originally published in English in 2008. This
translation is published by arrangement with Oxford University Press.
Memory. A Very Short Introduction è stato pubblicato in inglese nel 2008. Questa
traduzione è pubblicata in accordo con Oxford University Press.
© 2012 Codice edizioni, Torino
ISBN 978-88-7578-305-1
Tutti i diritti sono riservati
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Indice
Capitolo 1
3 Siamo ciò che ricordiamo
Capitolo 2
29 Mappare i ricordi
Capitolo 3
61 Estrarre il coniglio dal cilindro
Capitolo 4
77 Inesattezze della memoria
Capitolo 5
105 I deficit di memoria
Capitolo 6
125 Le sette età dell’uomo
Capitolo 7
141 Migliorare la memoria
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Letture di approfondimento
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Capitolo 1
Siamo ciò che ricordiamo
Sembra che nulla sia più incredibilmente incomprensibile dei poteri, delle
mancanze e delle irregolarità della memoria; tutto ciò è più misterioso di
qualunque altra attività della nostra mente.1
In questo capitolo mostreremo quanto sia importante la
memoria in tutte le cose che facciamo: senza di essa non saremmo in grado di parlare, leggere, riconoscere gli oggetti,
orientarci nell’ambiente in cui viviamo o intrattenere relazioni personali. Per illustrare meglio questo punto, presenteremo aneddoti e considerazioni di merito, accompagnate
da alcune riflessioni di importanti intellettuali dediti ad altri
tipi di studio, quali la letteratura e la filosofia.
Esamineremo poi in breve qual è stata la storia della ricerca scientifica sulla memoria, iniziata con Hermann Ebbinghaus alla fine del diciannovesimo secolo e proseguita poi negli anni trenta del ventesimo secolo con Frederic
Bartlett e i gruppi di ricerca sperimentali, condotti nell’ambito del nuovo modello di elaborazione dell’informazione.
Concluderemo con una considerazione sulla ricerca odierna e sui principi alla base di una buona progettazione degli
studi contemporanei.
1
Jane Austen, Mansfield Park, Fabbri Editore, Milano 2004.
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L’importanza della memoria
Infatti, per quale misteriosa ragione questa facoltà assolutamente innata dovrebbe fare ricordare meglio gli avvenimenti
di ieri rispetto a quelli dell’anno passato, e ancor più quelli di
un’ora fa? E perché nelle età più avanzate dovrebbero mantenersi più saldi i ricordi dei primi anni di vita? Come mai
la ripetizione di una data esperienza può servire a facilitarne
il ricordo? E perché invece certi veleni, la febbre, l’asfissia o
certi eccitanti sarebbero capaci di far vivere cose da molto
tempo dimenticate? […] queste proprietà sembrano davvero molto bizzarre e, per quanto possiamo giudicarle a priori,
potrebbero anche essere tutto l’opposto di quello che sono.
Risulta quindi evidente che questa facoltà non esiste in modo
assoluto, ma opera in certe condizioni: ed è appunto la ricerca di
queste condizioni che costituisce il compito più interessante
dello psicologo.2
William James menziona alcuni degli aspetti più interessanti della memoria: in questo capitolo parleremo anche noi
di alcune sue affascinanti caratteristiche, sebbene in questa
sede saremo in realtà solo in grado di scalfire la superficie
di quella che è da sempre una delle aree più studiate della
ricerca psicologica.
Sono stati condotti numerosi studi per rispondere al che
cosa, al perché e al come noi ricordiamo, e il motivo per
cui tutto ciò avviene ora dovrebbe essere chiaro: la memoria è un processo psicologico chiave. Come ha affermato
Michael Gazzaniga, eminente neuroscienziato cognitivista:
«Tutto nella vita è memoria, tranne il sottile confine del
presente». La memoria ci permette di ricordare compleanni, vacanze e altri eventi significativi che possono aver
2
William James, Principi di psicologia, Società Editrice Libraria, Milano 1905.
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avuto luogo ore, giorni, mesi o addirittura anni fa. La nostra memoria è personale e “interna”, tuttavia senza di essa
non saremmo in grado di compiere atti “esterni” come
sostenere una conversazione, riconoscere i volti dei nostri
amici, ricordare gli appuntamenti, elaborare nuove idee, riuscire a svolgere il nostro lavoro o addirittura imparare a
camminare.
La memoria nella vita di tutti i giorni
La memoria è molto più che il semplice ricordare informazioni o episodi in cui ci siamo imbattuti in un qualche momento del passato. Ogniqualvolta l’esperienza di un evento
ci condiziona in un momento successivo, questa influenza
è un riflesso della memoria di quello che è accaduto.
Con il seguente esempio possiamo illustrare bene i
capricci della memoria. Nel corso della nostra vita avremo senza dubbio visto migliaia di monete, ma riflettiamo
sull’accuratezza con cui riusciamo a ricordarne una di quelle che in genere teniamo in tasca. Senza guardarla, dedichiamo qualche minuto a disegnarla a memoria. Confrontiamo ora il nostro disegno con la moneta: quanto era accurato il nostro ricordo? Per esempio, il volto è rivolto nella
direzione giusta, quante parole siamo riusciti a ricordare (se
ce ne siamo ricordati) e le abbiamo posizionate nel giusto
ordine?
Negli anni settanta e ottanta sono stati condotti vari studi proprio su questo argomento. I ricercatori hanno scoperto che la maggior parte delle persone, in realtà, possiede
dei ricordi piuttosto scarsi per oggetti molto familiari come
le monete, un tipo di memoria che invece tendiamo a dare
per scontata (ma che in un certo senso non esiste proprio!).
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Proviamo con altri oggetti che conosciamo molto bene
come i francobolli o cerchiamo di ricordare come si vestano di solito i nostri colleghi di lavoro o gli amici e i conoscenti: il punto è che tendiamo a ricordare le informazioni
più salienti e a noi utili. Potremmo essere molto più bravi a
ricordare le misure standard, le dimensioni o il colore delle
monete, piuttosto che la direzione del volto o il testo inciso su di esse, in quanto misure, dimensioni e colore per
noi potrebbero essere ben più importanti nel maneggiare
i soldi (ovvero per l’utilizzo primario per il quale il denaro è stato creato, il pagamento e lo scambio). Allo stesso
modo, quando ricordiamo le persone, in genere ci tornano
alla mente i loro volti e quelle caratteristiche distintive che
rimangono relativamente invariate (e che sono, quindi, le
più utili per identificarli), piuttosto che cose che possono
cambiare (come i loro vestiti).
Invece di pensare alle monete e agli abiti, per la maggior
parte di noi è forse più pratico considerare il ruolo della
memoria nel caso di uno studente che segue le lezioni e che
al momento dell’esame è in grado di ricordare ciò che è stato spiegato, un tipo di “memoria” a tutti nota sin dai tempi
della scuola. Tuttavia, potrebbe essere meno ovvio il fatto
che per lo studente la memoria svolga di fatto una funzione
importante anche quando egli non “ricorda” la lezione o
l’informazione di per sé, ma la utilizza, invece, in maniera
più generale, cioè senza pensare alla lezione stessa o richiamando alla memoria l’informazione presentata in quel contesto: questo è ciò che chiamiamo memoria episodica.
In quest’ultimo caso, ci riferiamo a quest’informazione
come entrata a far parte della memoria semantica, vagamente
simile a ciò che chiamiamo anche conoscenza generale. Inoltre, se in seguito lo studente dovesse sviluppare un interesse
(o un marcato disinteresse) per l’argomento in questione,
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Figura 1. In genere, il ricordo di oggetti molto noti, come le monete, è di
gran lunga peggiore di quanto potremmo credere.
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esso potrebbe essere un riflesso del ricordo della prima lezione, anche se questi potrebbe non ricordare di averne
mai seguita una.
Allo stesso modo, la memoria ricopre sempre un ruolo
nell’ambito dell’apprendimento, che si abbia o meno intenzione di imparare. In realtà, solo una parte relativamente
piccola della nostra vita viene utilizzata per “registrare” gli
eventi, affinché essi possano essere ricordati in seguito, cosa
che avviene invece nello studio convenzionale. Al contrario, per la maggior parte del tempo semplicemente viviamo. Tuttavia se nel corso della quotidianità accade qualcosa
di saliente (che nel nostro passato evolutivo di Homo sapiens
poteva essere associato a una minaccia o una ricompensa),
allora si innescano dei processi fisiologici e psicologici prestabiliti che in genere ricordiamo piuttosto bene.
La maggior parte di noi, almeno una volta nella vita,
si sarà per esempio dimenticata dove aveva posteggiato
l’automobile, magari all’interno di un grande parcheggio.
Tuttavia se la nostra vettura fosse rimasta implicata in un
incidente o avesse subito un danno e/o a subirlo fosse stata
quella parcheggiata accanto alla nostra, si sarebbero innescati dei meccanismi specifici del tipo “combatti, spaventa o scappa”, che in genere ci fanno ricordare molto bene
questi episodi (oltre alla posizione della nostra automobile)!
La memoria non dipende dunque dall’intenzione di
ricordare gli eventi passati ed è sufficiente che questi influenzino i nostri pensieri, sentimenti o comportamenti (come nell’esempio dello studente che segue le lezioni)
per provare la sua esistenza. Inoltre, la memoria interviene a prescindere dalla nostra intenzione di ricordare o utilizzare determinati ricordi: gran parte della sua influenza
non è intenzionale e un ricordo può “tornare in mente”
in maniera inaspettata. Il ricordo di alcune informazioni
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potrebbe addirittura giocare a nostro svantaggio, come ha
mostrato il lavoro condotto dai ricercatori negli ultimi decenni, una questione che di recente ha assunto una grande
importanza in fenomeni come la rievocazione di ricordi
post-traumatici.
Modelli e meccanismi della memoria
Fin dall’epoca classica sono stati proposti vari modelli del
funzionamento mnemonico. Platone, per esempio, considerava la memoria come una tavoletta di cera su cui le
impressioni venivano incise o codificate e poi immagazzinate, in modo tale da potere in seguito ritornare ad esse
(ovvero ai ricordi) e richiamarle alla memoria. Questa distinzione tripartita tra codifica, immagazzinamento e recupero è
stata mantenuta dagli scienziati fino al giorno d’oggi. Altri
filosofi appartenenti all’epoca classica hanno paragonato i
ricordi agli uccelli in una voliera o ai libri in una biblioteca,
sostenendo quanto fosse difficile recuperare le informazioni
una volta immagazzinate, ovvero afferrare l’uccello giusto o
localizzare il libro appropriato.
I teorici contemporanei sono giunti alla conclusione che
la memoria è un processo selettivo e interpretativo o, in
altre parole, che essa è molto più del semplice immagazzinamento passivo dell’informazione.
Inoltre, dopo aver imparato e immagazzinato nuove informazioni, possiamo selezionarle, interpretarle e integrarle
insieme, così da fare un uso migliore di ciò che apprendiamo e ricordiamo.
Questo è verosimilmente il motivo per cui i giocatori
di scacchi esperti ricordano con più facilità la posizione dei
pezzi su una scacchiera e gli appassionati di calcio riescono
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Figura 2. Uccelli in una voliera: recuperare il corretto ricordo è stato equiparato all’acchiappare l’uccello giusto in una voliera piena di suoi simili.
con altrettanta facilità a ricordare ogni punteggio delle partite giocate nel fine settimana, il tutto infatti è reso possibile
grazie alla loro estesa conoscenza e alle interconnessioni esistenti tra i diversi elementi.
Al tempo stesso, però, la nostra memoria è ben lontana
dall’essere perfetta. Come ha riassunto lo scrittore e filosofo
Clive Staples Lewis:
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Cinque sensi, un intelletto inguaribilmente astratto, una memoria che seleziona alla rinfusa, un bagaglio di preconcetti
e di assunti così numerosi che non posso mai esaminarne se
non un piccolo numero – mai aver coscienza di tutti. Una
macchina simile quanta realtà può lasciar passare?3
Tuttavia, ci sono cose che dobbiamo ricordare per potere
stare al mondo in maniera efficace e altre di cui non abbiamo bisogno. Come abbiamo già notato, ciò che dobbiamo
ricordare ha spesso un significato evolutivo: in situazioni di
“minaccia” o “ricompensa” (siano esse reali o percepite),
i meccanismi cognitivi e cerebrali si attivano per aiutarci a
ricordare meglio. In base a queste considerazioni, numerosi ricercatori contemporanei hanno concluso che è meglio descrivere i meccanismi alla base della memoria come
un’attività dinamica o un processo, piuttosto che come un’entità statica o una cosa.
La tradizione di Ebbinghaus
Sebbene osservazioni e aneddoti personali sulla memoria
possano essere illuminanti e simpatici, spesso hanno origine
dall’esperienza di un singolo individuo e rimane pertanto
da capire fino a che punto siano obiettivamente “reali” e
possano essere attribuiti a tutte le persone. Alla fine del diciannovesimo secolo Hermann Ebbinghaus condusse alcune ricerche classiche su memoria e oblio. Ebbinghaus imparò 169 diversi elenchi composti da 13 sillabe: ogni sillaba
consisteva in un trigramma “senza senso” di consonantevocale-consonante (ad esempio, pel) e dopo avere fatto pas3
C.S. Lewis, Diario di un dolore, Piccola Biblioteca Adelphi, Milano 1990.
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sare un intervallo di tempo che andava dai 21 minuti ai 31
giorni, egli li ri-studiò uno a uno. Lo psicologo era in particolar modo interessato alla quantità di materiale dimenticato in questo lasso di tempo, e per calcolarla utilizzò come
misura il “punteggio di risparmio”, ovvero il tempo che gli
era necessario per ri-imparare l’elenco.
Ebbinghaus notò che il tasso di oblio seguiva un andamento tendenzialmente esponenziale, per cui constatò che
all’inizio (ovvero subito dopo avere appreso qualcosa) si dimenticava con rapidità, ma che questa velocità diminuiva
in maniera graduale: l’oblio è quindi logaritmico, piuttosto
che lineare.
Questa osservazione è stata ritenuta valida per molto
tempo, e la si è applicata a un’ampia gamma di materiali
e condizioni differenti di apprendimento. Se interrompete
gli studi di una lingua straniera con la fine della scuola, nei
primi 12 mesi il vostro vocabolario, per esempio di francese, mostrerà un rapido declino, ma la velocità con cui ne
dimenticherete le parole con il passare del tempo tenderà
a diminuire in maniera graduale. Se riprendete a studiare
la lingua 5 o 10 anni dopo, potreste sorprendervi di quanto
in effetti avete conservato (rispetto a quanto vi ricordavate
qualche anno prima).
Un’altra interessante caratteristica della memoria osservata da Ebbinghaus è che, pur avendo “perso” dei dati,
come ad esempio parte del vostro vocabolario di francese,
sarete in grado di ri-impararli molto più velocemente di
qualcuno che non abbia mai studiato questa lingua (secondo il concetto del “risparmio”). Questa scoperta implica
l’esistenza di una traccia residuale di informazione “dispersa” nel cervello. Ciò dimostra anche un altro aspetto importante, relativo all’opposizione di conoscenza cosciente e
non cosciente, che prenderemo in considerazione nei prossi-
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mi capitoli: ovviamente non siamo consapevoli dell’esistenza di questo vocabolario francese “perduto”, ma i risultati
delle ricerche indicano che a livello inconscio dev’esserci
una qualche conservazione della registrazione mnemonica.
L’eminente psicologo Burrhus Frederic Skinner ha sollevato una buona obiezione riguardo a quanto stiamo dicendo
e ha scritto che «la cultura è ciò che rimane quando ciò che
è stato appreso viene dimenticato», e a cui potremmo aggiungere «[…] coscientemente dimenticato, ma mantenuto
in qualche altra forma residuale».
Nel 1885 fu pubblicato On memory (Sulla memoria), un
volume fondamentale in cui Ebbinghaus ha raccolto i risultati della sua ricerca sulla memoria, molti rivelatesi duraturi,
tra cui quelli sulle sillabe prive di significato, l’identificazione del tasso esponenziale di oblio e il concetto del risparmio (oltre ai diversi problemi mnemonici su cui l’autore
lavorò in modo sistematico nel corso delle sue ricerche,
come gli effetti della ripetizione, la curva dell’oblio e il paragone tra l’apprendimento di poesie e quello di sillabe senza significato). Il grande vantaggio della metodologia sperimentale adottata da Ebbinghaus è che essa controlla molti
fattori esterni (fonte di potenziale distorsione) che possono
influenzare la memoria.
Ebbinghaus descrisse le sue sillabe prive di significato
come «uniformemente non associate», considerandolo un
un punto di forza di questo approccio. Lo si potrebbe, tuttavia, criticare per non aver utilizzato del materiale mnemonico più significativo: alcuni colleghi hanno sostenuto
che questo approccio tende a iper-semplificare la memoria,
riducendo le sue sottigliezze a una serie di componenti artificiali e matematici.
Sebbene stiamo procedendo con rigore scientifico, grazie al quale siamo in grado di ripartire i meccanismi del-
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Memoria
Ritenzione mnemonica (%)
100
80
60
40
20
2 4 6 8 10
15
20
25
Tempo trascorso (giorni)
31
Figura 3. Ebbinghaus osservò che il tasso di oblio dei trigrammi consonantevocale-consonante che aveva imparato era tendenzialmente esponenziale (ovvero, all’inizio si dimentica in fretta, ma la velocità a cui l’informazione viene
dimenticata diminuisce in maniera graduale).
la memoria in elementi facilmente osservabili, il rischio è
che così facendo potremmo eliminare quegli aspetti più intrinseci e decisivi della memoria umana. Quella che segue
è quindi una domanda fondamentale: fino a che punto è
possibile estendere i risultati di Ebbinghaus alla memoria
dell’uomo considerata nel suo complesso?
La tradizione di Bartlett
Il secondo grande filone di ricerca sulla memoria è rappresentato dal lavoro condotto da Frederic Bartlett nella prima metà del ventesimo secolo, parecchi decenni dopo Ebbinghaus. Nel suo Remembering (La memoria), pubblicato nel
1932, Bartlett mise in discussione le idee di Ebbinghaus che
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