Stefano Gensini
Apogeo e fine di Babele
Linguaggi e lingue nella prima modernità
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ISBN 978-884674630-6
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Premessa
Questo libro illustra alcuni passaggi, a mio parere essenziali,
della storia delle idee e delle filosofie linguistiche europee, grosso
modo fra i primi decenni del XVI secolo e la metà del XVIII. L’allargamento degli orizzonti linguistici dell’Occidente, grazie alla
scoperta di nuovi mondi e nuove etnie e idiomi, l’accesso a una
visione plurale e decentrata dei linguaggi umani, ormai eccedente
quella delle tre lingue classiche (greco, latino, ebraico), il processo di laicizzazione delle teorie che ne seguì, in particolare per
quanto riguarda le tesi sull’origine del linguaggio, infine il ruolo
giocato da due pensatori di grande importanza, e per certi versi
affini, quali Leibniz e Vico, sono i temi sui quali ho cercato di
sollecitare l’attenzione dei lettori. Essi mi paiono ineludibili per
una ricerca storica sulla filosofia del linguaggio che provi a ogni
passo ad ancorare le scansioni interne delle teorie ai contesti, non
solamente speculativi, ma storico-ideologici, politici, religiosi, entro i quali maturarono ed in rapporto ai quali possono e debbono
essere interpretate.
Questi capitoli, segmenti di un discorso sostanzialmente unitario fin dal suo nascere, provengono da occasioni convegnistiche o
da miscellanee cui ho partecipato dal 2007 al 2015, ma sono stati
interamente rivisti e aggiornati per questa edizione che li riunifica
anche formalmente. Un sentito grazie agli amici e colleghi Eugenio Canone, Antonio Lamarra e Cristina Marras dell’ILIESI-Cnr,
Carlo Borghero e Anna Lisa Schino del Dipartimento di Filosofia
della Sapienza e a Rita Messori del Dipartimento di Antichistica,
Lingue, Educazione, Filosofia dell’Università di Parma, per avermi a suo tempo stimolato in queste direzioni di ricerca e per aver
acconsentito a che io riutilizzassi i materiali che ne risultarono.
Un grazie altrettanto sentito alla dottoressa Alessandra Borghini
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che, in tempi davvero difficili per l’editoria di cultura, ha accettato
di scommettere anche su questo piccolo libro e ai colleghi Adriano Fabris e Giovanni Manetti, che lo hanno amichevolmente ospitato nella loro collana.
S.G. (aprile 2016)
I capitoli di questo libro sono originariamente apparsi (in forma più o meno
diversa dalla presente) nelle seguenti sedi:
1. In Cristina Marras, Anna Lisa Schino (a cura di), Linguaggio, filosofia, fisiologia nell’età moderna. Atti del convegno di Roma, 23-25 gennaio 2014, Roma,
Iliesi-CNR 2015, pp. 193-218.
(Online: http://www.iliesi.cnr.it/pubblicazioni/Ricerche-01-Marras_Schino.
pdf)
2. In Eugenio Canone (a cura di), Per una storia del concetto di mente, vol. 2,
Firenze, Olschki 2007, pp. 193-221.
3. In Fabrizio Amerini, Rita Messori (a cura di), Sulle origini del linguaggio.
Immaginazione, espressione, simbolo, Pisa, Edizioni ETS 2012, pp. 173-190.
4.In Lexicon Philosophicum 2, 2014, pp. 189-2012.
(Online http://lexicon.cnr.it/index.php/LP/issue/view/28)
In conformità a una consuetudine informativa che si sta giustamente diffondendo, anche in sedi specialistiche, allego alla prima menzione di un autore i
relativi dati biografici. Il lettore esperto di questo periodo storico non ne sarà
disturbato più di tanto. Altri potranno, spero, trovarli di qualche utilità a fini di
un rapido inquadramento storico-cronologico.
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Capitolo 1
Apogeo e crisi di Babele:
le lingue e il nuovo mondo
0.Premessa
Il mito di Babele, uno dei più resistenti della tradizione cristiana, viene narrato nell’undicesimo capitolo della Genesi, il primo
libro della Bibbia. Esso offre una spiegazione in chiave teologica
dell’origine delle differenze linguistiche nell’umanità postdiluviana, costituita dalle generazioni discendenti dai figli di Noè: Sem,
Cam e Jafet. Veniva così preso di petto un dato dell’esperienza
centrale nella cultura del mondo antico, destinato a riflettersi variamente nell’esorcizzazione greca (onde vennero definiti barbaroi, cioè incomprensibili, tutti gli alloglotti) e nella politica linguistica di Roma (tanto tollerante verso le parlate dei popoli via via
sottomessi, quanto gelosa del prestigio e dei privilegi connessi allo
status, anche linguistico, del civis romanus). Val la pena rileggere
in apertura questo passo strategico del pensiero linguistico occidentale:
Erat autem terra labii unius, & sermonum eorundem. Cum proficiscerentur de Oriente, invenerunt campum in terra Sennaar, & habitaverunt in
eo. Dixitque alter ad proximum suum: venite, faciamus lateres, & coquamus
eos igni. Habuerunt lateres pro saxis, & bitum pro cemento, er dixerunt: venite, faciamus nobis civitatem et turrim, cujus culmen pertingat ad coelum;
et celebremus nomen nostrum antequam dividamus in universam terram.
Descendit autem Dominus, ut videret civitatem & turrim, quam aedificabant filii Adam, ex dixit: Ecce, unus est populus, & unum labium
omnibus. Coeperunt hoc facere, nec desistent a cogitationibus suis, donec eas opere compleant. Venite, igitur, descendamus, & confundamus ibi
linguam eorum, ut non audiat unusquisque vocem proximi sui. Atque ita
divisit eos Dominus ex illo loco in universas terras, & cessaverunt aedificare civitatem. Et idcirco vocatum est nomen ejus Babel, quia ibi confusum
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est labium universae terrae; et inde dispersit eos Dominus super faciem
cunctarum regionum (1630: 6)1.
Già al tempo della stesura della Genesi (VI-V sec. a.C.?), tuttavia,
l’ipotesi che la diversificazione delle lingue dipendesse da un atto di
insubordinazione a Dio e dalla conseguente punizione doveva convivere con una diversa spiegazione, esposta nel capitolo precedente,
il decimo, dello stesso libro. Lì la formazione di lingue differenti da quella primeva (l’ebraico, secondo la narrazione tradizionale) veniva fatta risalire a cause puramente storiche, intrecciandosi
all’avvicendarsi delle generazioni nel tempo e al lento separarsi delle
etnie, andate a occupare ciascuna una parte dello spazio geografico
disponibile:
Ab his divisae sunt insulae gentium in regionibus suis, unusquisque secundum linguam suam et familias suas in nationibus suis (ibid.).
è degno della massima attenzione il fatto che idee così diverse
intorno allo stesso fenomeno convivessero, l’una accanto all’altra,
nel testo biblico. Non compete a queste pagine spiegare come ciò
sia potuto accadere; mentre è importante osservare fin d’ora che
questo alternarsi di scenari e di argomenti (dedotti in un caso da
cause esterne, trascendenti, e in un altro da ragioni empiriche, come
in una sorta di arcaica antropologia) accompagnerà tutto il nostro
percorso, che prende le mosse grosso modo dalla seconda metà del
Cinquecento e giunge, con Giambattista Vico (1668-1744), fin quasi
alla metà del secolo XVIII.
Delle due spiegazioni, comprensibilmente, fu quella babelica,
per lunghissimo tratto, la più autorevole e fortunata. Spostiamoci dunque in avanti di molti secoli, fino a raggiungere quella fase,
fondamentale per la storia moderna, in cui l’orizzonte linguistico
delle persone colte si apre a includere, oltre alle lingue classiche,
greco e latino, e all’ebraico delle Scritture, una gamma inaudita di
lingue vernacolari messe per la prima volta in grammatica e, caso
nuovissimo, una quantità di idiomi finora sconosciuti, di cui giunge
notizia dalle terre lontane, per la prima volta toccate e esplorate
dagli occidentali.
1 Riprendo la citazione da un’edizione d’epoca, esemplata su quella vaticana del
1592, sotto papa Sisto V. La punteggiatura è stata modernizzata a fini di maggiore leggibilità.
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Indice
Premessa
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Capitolo 1
Apogeo e crisi di Babele: le lingue e il nuovo mondo
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Capitolo 2
Bruti o comunicatori? La scoperta dei linguaggi animali
35
Capitolo 3
Alle origini del linguaggio: Leibniz apre una nuova via
67
Capitolo 4
Vico e la diversità delle lingue: la fine di Babele
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Appendice109
Riferimenti bibliografici
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Indice dei nomi
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Finito di stampare nel mese di dicembre 2016
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