Ciascuno esamini la propria condotta… (Gal 6,4): alla scuola dell’essere discernimento di Paolo L’esperienza che ogni singolo credente, è chiamato a sperimentare e vivere nel suo itinerario di cristificazione, è quella di portate a compimento in ogni suo “qui ed ora” il rivestirsi del Cristo, che vive in lui fino a giungere alla Sua propria e perfetta maturità (cf Ef 4,13). Questa esperienza profonda di immedesimazione e di trasformazione della persona credente nella Persona del Signore Gesù si caratterizza fondamentalmente nel rivestirsi della mente di Cristo, che è tutto proteso e rivolto nelle cose del Padre, perché secondo quando ci ricorda Giovanni 8,29: Lui “compie sempre quello che piace al Padre”. Questa dinamica costituisce l’itinerario, che l’apostolo Paolo delinea come quel processo spirituale, che permette ad ogni singolo battezzato di passare dall’essere uomo naturale a divenire un uomo spirituale: “L’uomo naturale non comprende le cose dello Spirito di Dio; sono follia per lui, e non è capace di intenderle perché se ne giudica solo per mezzo dello Spirito. L’uomo spirituale invece giudica ogni cosa, senza essere giudicato da nessuno. Chi, infatti, conobbe la mente del Signore da poterlo dirigere? Ora noi abbiamo la mente di Cristo” (1 Cor 2,14-16). Paolo mutua nella sua originalità personale la struttura antropologica essenziale biblica. L’uomo biblico, da un punto di vista fondamentalmente soteriologico, è visto e considerato essenzialmente come essere carnale, venduto al peccato ed essere spirituale, animato dal dinamismo divino della vita soprannaturale. La definizione paolina dell’uomo rispecchia ed incarna nella originalità di Paolo il pensiero dell’antropologia biblica. L’uomo, maschio e femmina, è costituito dal nefesh (l’anima), che lo rende un essere vivente; dalla basar ( la carne), che lo fa un soggetto mondano, caduco e mortale; dal ruach (lo spirito), che lo costituisce persona dotata di una scintilla divina vitale. Queste tre componenti sono inserite in maniera armonica nel soma (il corpo), l’Io ontologicamente in relazione con Dio, con gli Altri, con il Mondo. L’uomo spirituale per Paolo (ànthropos pneumatikòs) è un uomo conquistato da Gesù Cristo: “Noi tutti che a viso scoperto, riflettiamo come uno specchio la gloria del Signore siamo trasformati in questa stessa immagine, sempre più gloriosa, come conviene all’azione del Signore, che è Spirito” (2 Cor 3,18) Riflettere come in uno specchio la gloria del Signore e venire trasformati ( trasfigurati, il verbo di Paolo è metamorphéo, quella della trasfigurazione di Gesù nei sinottici) significa davvero divenire nella propria integralità un uomo spirituale perché cristificato “Sono stato crocifisso insieme a Cristo; vivo, però non più io, ma vive in me Cristo. La vita che ora io vivo nella carne, la vivo nella fede, quella del Figlio di Dio che mi amò e diede se stesso per me” (Gal 2,19b-20) E perché cristificato avere la mente ed il pensiero di Cristo non essendo più un corpo naturale ma un corpo spirituale (cf 1 Cor 15,44) Avere “la mente di Cristo” è allora spogliarsi dell’uomo vecchio per rivestirsi del nuovo creato secondo Dio nella giustizia e nella santità vera 2 “Ma voi non così avete imparato a conoscere Cristo se proprio gli avete dato ascolto e in lui siete stati istruiti, secondo la verità che è Cristo, per la quale dovete deporre l’uomo vecchio con la condotta di prima, l’uomo che si corrompe dietro le passioni ingannatrici, e dovete rinnovarvi nello spirito della vostra mente e rivestire l’uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella santità vera” (Ef 4,20-24) “Vi siete spogliati dell’uomo vecchio con le sue azioni e avete rivestito il nuovo, che si rinnova, per una piena conoscenza, ad immagine del suo Creatore” (Col 9b-10) Spogliarsi dell’uomo vecchio significa entrare per vivere il metodo dell’integralità paolina nella logica purificante e trasfigurante della circoncisione del cuore, e quindi della mente e della volontà. “Ma Giudeo è colui che lo è interiormente e la circoncisione è quella del cuore nello Spirito e non nella lettera” (Rom 2,29; cf 2 Cor 3,6) E rivestirsi di Cristo nell’uomo nuovo significa accogliere ancora l’invito di Paolo ai Colossessi: “Rivestitivi come amati di Dio, santi e diletti di sentimenti di misericordia, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di pazienza” (Col 3, 12-13). Questo itinerario porta, alla scuola dell’esperienza spirituale di Paolo, il credente ad entrare nella logica operativa di trasformare e trasfigurare la propria mente nella mente del Cristo e divenire ed essere permanente discernimento del “più dell’Amore”, che è il meglio della volontà di Dio in ogni frammento circostanziato esistenziale di ogni “qui ed ora”. Ci sono molti passi e pericopi significativi, dove Paolo ci consegna questa esperienza magistrale per vivere questa risposta esistenziale alla chiamata a rivestirsi del Dio “che discerne i nostri cuori” (1Ts 2, 4a). Prendiamo come oggetto del nostro studio contemplativo il brano di 1Ts 5, 1622. 1Tessalonicesi 5,16-22: La chiamata ad essere discernimento spirituale Nel quinto capitolo della prima lettera ai Tessalonicesi Paolo urla esistenzialmente: “esaminate ogni cosa, tenete ciò che è buono, astenetevi da ciò che è male”: “Siate sempre lieti, pregare senza interruzione, rendete grazie in ogni cosa: questa è la volontà di Dio a vostro riguardo in Gesù Cristo. Non spegnete lo Spirito, non disprezzate le profezie, esaminate ogni cosa, ritenete ciò che è buono, astenetevi da ogni sorta di male. Il Dio della pace vi santifichi fino alla perfezione, e tutto quello che è vostro spirito, anima e corpo, si conservi irreprensibile per la venuta del Signore nostro Gesù Cristo. Colui che vi chiama è fedele e farà tutto questo!” (1Ts 5,16-24) La prima lettera ai Tessalonicesi è il primo scritto paolino, ma anche il primo scritto del Nuovo Testamento. Siamo molto vicini alla morte e risurrezione di Gesù. Sono passati una ventina di anni se, come si pensa, Gesù è morto il 7 aprile del 30, e questa lettera è del 50-51. Paolo, quindi, con ancora nell’aria l’odore quasi fisico di Gesù, da poco risuscitato, comunica ai Tessalonicesi, fra le cose più importanti, la necessità di 3 discernere la volontà di Dio, come un servizio e un dono profondamente intriso d’amore. Per vivere ed incarnare questa “sensibilità spirituale” (cf Fil 1, 9-10) l’apostolo delinea tre “elementi fondamentali”, che costituiscono quasi l’ambiente vitale per essere permanentemente nel discernimento della volontà personale del Padre in ogni “qui ed ora” del proprio pellegrinaggio umano e spirituale. Essere nella gioia (v.16). La gioia, che non è la gioia che viene dal di fuori: da fattori contingenti, ma la gioia, che Paolo delinea come il secondo frutto dello Spirito nella lettera ai Galati (cf Gal 5,22); è la gioia del “Chaire”:“rallegrati”, rivolto da Gabriele a Maria nell’annunciazione (cf Lc 1,28); è la gioia profonda nell’essere nel cuore di Dio, perché niente e nessuno ci separerà mai dal suo amore (cf Rm 8,35): la gioia che nessuno ci può togliere (cf Gv 15,23). Essere preghiera incessante (v.17). La preghiera come stato permanente di capacità contemplativa nell’azione, che significa cercare e trovare Dio in tutte le cose, “perché tutto è Cristo” (cf Col 2,17): la realtà è Cristo. Cercare e trovare Dio in tutte le cose, soprattutto cercare e trovare Dio in tutte le mie cose, perché con Gesù io possa dire che devo occuparmi delle cose del Padre mio (cf Lc 2,49). Non è una contemplazione asettica, non è nemmeno una speculazione intellettualoide, ma è cercare e trovare - da spirito incarnato quale sono - la presenza personale ed appellativa di Dio in ogni “qui ed ora”, che la Trinità mi regala e mi propone attraverso gli eventi, le circostanze e le persone, che mi mette dentro ed accanto, e che permettono al mio cuore di avere quelle risonanze profonde, quei moti dell’anima, che sono chiamato a riconoscere se vengono dallo spirito buono o dallo spirito cattivo. Una preghiera ed una contemplazione nell’azione, quindi, per discernere e scegliere sempre, nel Cristo che vive in me e cresce in me fino alla sua piena maturità (cf Gal 2,20 e Ef 4,13), il meglio, il “più dell’amore”: “e per questo prego: che il vostro amore cresca sempre più in conoscenza e ogni delicato sentimento affinché apprezziate le cose migliori” (Fil 1,9-10). “Rendere grazie in ogni cosa” (v.18a). Essere, cioè, sempre Eucarestia e permettere alla Trinità, rendendo sempre grazie per ogni cosa, di donarci sempre di più il Tutto del suo Amore. Noi, infatti, rendendo grazie riceviamo Colui, che è la volontà del Padre, ed il nostro essere nel Padre è sempre in riferimento a Cristo. Paolo questo lo dice sempre: “questa è la volontà di Dio a vostro riguardo in Cristo” (v.18b). Quindi, tutto quello che noi chiediamo, cerchiamo, otteniamo, verifichiamo del frammento della volontà di Dio in noi, è in rapporto a Cristo: il Padre ce lo dona in rapporto a Cristo, ed in nessun altro modo, se non in rapporto al Cristo che vive in me, perché il Cristo che vive in me è anche il Cristo che io ricevo, contemplo, e di cui mi nutro. Dopo aver delineato l’ambiente vitale dei costituenti necessari per essere nel discernimento della volontà personale di Dio, Paolo delinea ora i tre “imperativi operativi” per incarnare tale orientamento deliberativo per il Cristo, che vive in noi e cresce nel “più dell’amore”. “Non spegnete lo Spirito” (v.19). Il termine e la tematica relativa allo Spirito ricopre, sicuramente, un ruolo preminente all’interno dell’intera Scrittura. Nell’epistolario paolino troviamo “spirito” nelle varie forme e nei vari sensi usato 120 volte nelle lettere autentiche (nelle 13 lettere 146 volte), delle quali cinque nella nostra lettera delle quali quattro volte in riferimento allo Spirito Santo. Si va dal ruolo dello Spirito nella predicazione in 1,5 e 6, alla sua presenza come principio di vita santa in 4, 8 al trinomio “spirito– anima – corpo” di 5,23, di complessa interpretazione. Qui nel nostro testo, alla luce del pensiero paolino, possiamo affermare che l’azione dello Spirito, da non spegnere, è legata alla sua potenzialità di manifestare al 4 cristiano in genere, o attraverso dei carismi in particolare, una particolare ispirazione in vista ed in funzione del bene comune. Lo Spirito, quindi, è Colui che mi dà, mi dona il meglio di Sé del Figlio Gesù, che vive in me, e diviene slancio operativo, orientamento fondamentale di vita. Questo è lo Spirito che dà la vita (cf 2 Cor 3,6). “Non disprezzate le profezie” (v.20). Bisogna entrare in quella logica di trovare nell’ascolto contemplativo e orante del mistero dell’incarnazione nel cuore dei fratelli e delle sorelle una parola di Dio per il mio cuore e per la mia vita. La Parola di Dio non è solo quella scritta nella Bibbia, ma c’è anche una Parola di Dio concreta, attualizzata nelle circostanze, nelle persone, negli eventi. Non disprezzare le profezie, non annullare le profezie significa, allora, essere persone, che mettono in pratica la certezza che nel Battesimo, oltre a me, anche gli altri hanno ricevuto lo spiritico profetico, cioè lo Spirito per parlare in nome di Dio. il profeta è, infatti, colui che parla in nome di Dio, non sostituendosi a Dio, ma portando l’originalità della propria vocazione personale. Allora bisogna ascoltarsi per discernere davvero, perché l’altra, l’altro sono il luogo santo dell’incarnazione della parola esistenziale del mio Signore. Uno dei profeti per eccellenza, Mosè, davanti al roveto ardente che lo chiama, si toglie i sandali perché quel luogo è santo (cf Es 3,5). Allora è necessario ascoltare l’altro, come ascolto la Parola di Dio per riconoscere attraverso l’originalità di ciascuno quel frammento di volontà personale di Dio nel “qui ed ora” della mia storia, della mia comunità, della mia chiesa, della mia città. “Esaminate ogni cosa” (v.21a). Il verbo usato qui da Paolo è il verbo “tecnico” del discernimento, “dokimàzein”. Paolo delle 22 volte, che il Nuovo Testamento usa questo verbo, lo usa per ben 17: quindi è un verbo suo tipico. Qui nel primo scritto neo testamentario, a venti anni dalla morte e risurrezione di Gesù, Paolo usa questo verbo. Discernete, saggiate, purificate, esaminate ogni cosa! Niente può entrare nella mia vita e in quella degli altri se non attraverso un rigoroso ed attento giudizio esistenziale e prudenziale. Bisogna discernere tutto nel discernimento di Cristo, perché l’uomo spirituale discerne ogni cosa perché ha il pensiero di Cristo (cf 1 Cor 2,15-16), quindi tutto va fatto passare nel “crogiuolo”. Paolo usando il verbo “dokimàzein” lo mutua dalla versione della Bibbia ebraica tradotta in greco, la Settanta, che traduce con questo cinque verbi che nei salmi, nei libri sapienziali e profetici rendono il concetto di purificazione dei metalli attraverso il crogiuolo portato ad alte temperature: “scrutami, hai conosciuto il mio cuore, i miei reni” (cf sal 26 (25); 139 (138); ecc.). Tutto va “fatto bollire”, discreto dallo Spirito ardente, quello da non spengere e da tenere alto per giungere al “più dell’amore”: il meglio di me e del Figlio in me, di cui il Padre si compiace. “tenete ciò che è buono, astenetevi da ogni sorta di male” (vv.21b-22). Ecco la fine di questa nostra pericope. Paolo nel testo greco dice letteralmente: “tenete ciò che è bello”. Il bene, il mio bene, il bene degli altri, è tò kalòn, il bello. Giovanni nel suo vangelo definendo Gesù come il Pastore lo chiama kalòs, “bello” (cf Gv 10). Allora il bello è il bello del Gesù che vive in me, del Gesù, che vive negli altri Ritenere non solo ciò che è bello, ma il bello! Il Cristo che vive in noi, quello è da tenere, e da rigettare è il non bello, il male, che si riveste da “angelo di luce” (cf 2 Cor 11,14).