12/03/2013
LEZIONE 5 MICROBIOLOGIA: HIV
PROF. BONINA
(Nds: il prof adora gli anacoluti. Parte in un modo, termina in tutt’altro. Scusate alcuni periodi senza
senso.)
PRIMA PARTE: Digressioni storiche
Quando abbiamo iniziato la nostra chiacchierata di microbiologia forse ho omesso di dirvi che il primo virus
ad essere stato scoperto è di origine vegetale: il virus del mosaico del tabacco. Cominciamo oggi con un po’
di sistematica, cioè cominciamo a vedere qualche gruppo di virus e volendo rompere il ghiaccio cominciamo
con quello più ostico, quello dei retroviridae. Allora paradossalmente così come il primo virus a essere stato
scoperto è un virus vegetale, il primo virus animale guarda caso è appartenente ai retroviridae. Agli inizi del
Novecento c’era un ricercatore che partendo dai sarcomi (tumore che colpisce più che altro la componente
fibroblastica del tessuto) dei polli faceva dei filtrati e infatti il primo termine per indicare i virus responsabili
delle malattie cosiddette virali era di “virus filtrabili”. Perché? Perché questi filtri erano delle strutture
porose che trattenevano tutti i batteri, quindi venivano usati per un meccanismo di sterilizzazione
mediante filtrazione, ma i virus ovviamente, essendo di piccole dimensioni, passavano attraverso e quindi
potevano replicare. Questo scienziato si chiamava Rous, e lui scoprì che questo sarcoma poteva trasferirsi
da un pollo a un altro attraverso la filtrazione del materiale, quindi sicuramente dedusse che non doveva
trattarsi di batteri, ma di virus filtrabili che erano in grado di generare il tumore. A distanza di anni dopo
una seria di interminabili discussioni, fu assegnato il premio Nobel a Rous.
La nascita della immunologia cellulare è avvenuta qui a Messina. (Parla di traghetti, scalinate ed edicole)…e
dietro l’edicola c’è proprio una lapide che dice che nel 1882 c’era uno scienziato di origine russa, Il’ja Il’ic
Metchnkoff, che una sera…doveva essere periodo natalizio…mentre la famiglia era al circo.. lui era solo in
casa…scoprì la fagocitosi! In pratica dette l’inizio all’era della immunologia cellulare. Quello che successe
allora dimostra sempre come nella ricerca scientifica si tratta sempre di padrini, padroni, cultura
dominante, di soldi. Cos’è che succedeva alla fine dell’Ottocento nell’ambito della ricerca scientifica? Un
tizio, che aveva a disposizione laboratori meravigliosi, Pasteur, perseguiva una strategia importante in cui
lui riusciva a dimostrava che negli umori che contenevano gli anticorpi riuscivano a proteggere nei confronti
di determinate infezioni e si poteva riuscire a stimolare l’organismo alla produzione di quell’anticorpo con
dei vaccini. La casualità volle che lo sviluppo del vaccino antirabbica fu proprio il risultato della distrazione
di un tecnico che si scordò di praticare l’iniezione su un coniglio, chiuse tutto e partì per la vacanze.
Ritornato, notò la siringa dimenticata e preso dal terrore che Pasteur potesse scotennarlo vivo, lo iniettò
nel coniglio. Si scoprì con stupore che il coniglio non moriva. Infatti la componente del sistema nervoso se si
faceva invecchiare portava a denaturazione della capacità infettiva del virus. Ovviamente il merito se lo
prese Pasteur.
(avete mangiato? Queste lezioni pomeridiane sono micidiali…)
Metchnkoff nel frattempo scappava dalla Russia, (tutti scappano dalla Russia, avete notato?) perché era
perseguitato dello zar, e andò a finire a Parigi, all’istituto di ricerca Pasteur. A quanto pare la moglie era
molto carina e c’era un assistente Roux (da cui il nome delle bottiglie per coltura, appunto dette bottiglie di
Roux) che si divertiva con lei. Metchnkoff per evitare lo scandalo se ne andò. A quel tempo l’università di
Messina era famosissima per mettere a disposizione delle menti di tutto il mondo (così come fa anche ora
eh!) ricchezze, laboratori, tutto quello che era necessario per portarli qui… (qua ha insegnato anche
Pascoli)… E così l’università mise a disposizione di Metchnkoff una villetta, oggi scempio edilizio (… altre
considerazioni varie sul degrado della città), bene, qui lui lavorò sulle stelle marine, isolava le larve e le
osservava al microscopio. Prendendo una spina, secondo qualcuno di rosa, secondo altri di mandarino,
causa una lesione, una noxa, e al microscopio…bingo! Si ha una reazione cellulare! La punta della spina
comincia ad essere circondata dai macrofagi. Tuttavia Metchnkoff, ogni volta che andava a parlare nei
congressi di questa scoperta, cioè di cellule del nostro stesso organismo in grado di difenderci, veniva
assalito e considerato pazzo. Fortunatamente in Germania, dove l’impostazione era più di tipo morfologico,
si apprezzarono queste scoperte e furono pubblicate. La cosa ebbe sempre più notorietà fin quando, ironia
della sorte, Metchnkoff vinse il premio Nobel proprio nel 1908, anno del terremoto di Messina.
Quindi tutto comincia col sarcoma di Rous, ma nel corso dei decenni si scoprirono numerosi altri virus con
potenzialità oncogene paurose, con capacità di generare tumori elevatissima. Questi oncoRNAviridae sono
suddivisi tra quelli che danno origine a sarcomi e quelli che danno più che altro origine a leucemia e linfomi.
Quindi da un lato tropismo per le strutture connettivali, mentre dall’altro (e sono la stragrande
maggioranza) tropismo per le cellule del sistema emopoietico, della serie bianca e del sistema linfoide. Si
mobilita così una schiera di ricercatori che comincia ad indagare su questi virus fino a che arriviamo agli
anni ’50 e un ricercatore, Robert Gallo, si incaponisce e cerca di trovare in tutti modi il virus della leucemia
dell’uomo. Pubblica un lavoro in cui sostiene di averlo isolato. Dopo qualche mese ci furono dei controlli e
dovette smentire con pubbliche scuse, perché quello non era il virus della leucemia dell’uomo (HTLV), ma
un contaminante. Siccome per coltivare le cellule noi usiamo siero di vitello, fondamentale per l’apporto di
fattori di crescita, è più facile avere contaminazioni da HTLV. In quegli anni, un oscuro ricercatore
dell’università di Kioto, Inuma, scopre che in un’area del sudest del Giappone esistevano dei linfomi che
colpivano le persone adulte, mentre generalmente i linfomi erano a caratterizzazione pediatrica. Studiando
questi soggetti riuscì a isolare un virus. Sfortunatamente però era in Giappone, non spiccicava parola di
inglese, pubblica il lavoro in giapponese e chiamò il virus ATLV (adult T-cell leukaemia virus). Questa notizia
arriva all’orecchio di Gallo che gli manda un suo assistente di origine indiana (considerazioni sulla lunghezza
dei nomi degli indiani, lunghi due righe….casa di Inuma…) che gli dice “che bello, sappiamo che hai scoperto
un virus! Noi siamo del National Institute of Health”, allora Inuma gli dà tutto, azoto liquido, congelatori
“fate tutte le ricerche e approfondimenti che volete”, dice. L’indiano si porta via tutto e dopo qualche
tempo spuntano notizie della scoperta del primo virus tumorale dell’uomo da parte del National Institute of
Health, chiamato (da Gallo) non ATLV, ma HTLV1 (human T-cell leukaemia virus) e comincia la guerra.
Inuma purtroppo non aveva lasciato nessun dato scritto in cui testimoniava la sua scoperta, nessuna
ricevuta, niente. Tuttavia la comunità scientifica internazionale si mosse in suo soccorso dal punto di vista
scientifico. Si scopre che nell’area del sudest del Giappone Inuma era riuscito a caratterizzare e osservare
dal punto di vista del pattern dei siti proteolitici, utilizzando gel di poliacrilammide e facendo il
protidogramma, ben 46 stipiti diversi del virus giapponese, del virus originale. Allora chiesero a Gallo di
mostrare il protidogramma del virus isolato ai Caraibi, Sudamerica ecc. Lui lo fece ed erano tutti un solo
protidogramma che corrispondeva a uno solo dei protidogramma di quelli giapponesi. La polemica nel
frattempo aumenta. Si arriva agli anni ottanta e scoppia la bomba dell’AIDS. Improvvisamente Gallo
dimentica la virologia oncologica e si lancia disperatamente allo studio del virus dell’AIDS. Pubblica un
lavoro e chiama questo virus HTLV3! A questo punto lui si aspettava di essere chiamato dalla Scandinavia e
ricevere il Nobel, ma questo lavoro non convinse. A Parigi in quello stesso anno portano un campione di un
bambino affetto da AIDS e un ricercatore Luc Montagnier che vede un virus MAI visto prima. In microscopia
elettronica era una particella completamente diversa da tutti gli altri oncornaviridae conosciuti, oblunga
piuttosto che rotonda. La chiama LAV e a differenza di Inuma registra questo virus nella banca dati.
Oltraggio. Gallo manda subito un collaboratore a Parigi per trattare con Montagnier. Ma la risposta di
quest’ultimo fu netta: ”Je ne comprends pas assez l’anglais!”. Fu guerra (a tipo guerra mondiale eh,
intervenne pure l’ONU!!)
Alla fine però la verità viene sempre a galla! Man mano che il virus dilagava e diffondeva, fu possibile
isolarlo e studiarlo e si scoprì che la “bestia” era effettivamente corrispondente a quella studiata da
Montagnier, si trattava di una nuova sottofamiglia dei retroviridae e la commissione internazionale stabilì
che non si dovesse parlare di HTLV3, ma neanche di LAV (il nome dato da Montagnier) quanto piuttosto di
HIV (human immunodeficiency virus). Luc Montagnier vinse il premio Nobel. Gallo pianse.
Il virus dell’HIV è un virus concretamente nuovo su cui non ci si era mai imbattuti… anche se la ricerca
scientifica è strana. A ben guardare prima dell’AIDS molti anni prima c’è stato un oscuro islandese che
descrisse una patologia virale scatenata da cugini stretti dell’HIV, il virus VISNA –MAEDI, che non sono
divinità indiane, ma hanno un significato. Visna: comportamento strano, mentre Maedi: respiro affannoso.
Anche questi appartenenti alla famiglia dei retroviridae. Purtroppo pubblicò i dati in lingua danese e quindi
nessuno capì nulla.
SECONDA PARTE: HIV
(immagine) Questo è il virione dell’HIV, che nella sua quintessenza ha un pericapside esterno, capside
interno di forma a proiettile, oblunga, tronco di cono. Mentre tutti gli altri oncornaviridae, quelli che danno
origine ai tumori, non hanno questa morfologia. Sono particelle nette, rotonde, sferiche. Il ciclo replicativo
dell’HIV sfrutta un suo recettore localizzato sulla membrana esterna, detto gp120. Questo recettore deve
riconoscere il recettore delle cellule, che si chiama invece CD4. Da ciò si determina il tropismo delle cellule
che deve infettare, che sono sia macrofagi che linfociti. Noi distinguiamo quindi due tipi di tropismi.. ve l’ho
già detto prima…uno per i macrofagi che si chiamano ceppi macrofagotropi e l’altro nei confronti dei
linfociti, ceppi linfocitotropi.
Gli stipiti virali macrofagotropi sono predominanti nella fase della malattia che noi definiamo come
concetto di sieropositività. Come vi ho detto il soggetto ha virus circolanti, ma è totalmente sano. E questi
sono i virus macrofagotropi. Quando invece c’è l’AIDS cominciano ad appare i ceppi linfocitotropi. Che cosa
determina questo tropismo? Questo tropismo è determinato da strutture che si trovano accanto a CD4, nel
caso dei macrofagi, che sono il recettore che Madre Natura mette sui macrofagi perchè è specifico per le
chemochine. Le chemochine sono dei fattori che noi produciamo, ancora più rapidamente e molto più
piccole dal punto di vista proteico, rispetto alle citochine. Cioè le citochine, come l’interleuchina 1,2,3,4,5..
sono veri e proprio ormoni che agiscono a distanza e regolano il nostro sistema immunocompetente. Bene,
accanto a queste ci sono delle strutture molecolari molto più piccole che danno una risposta immediata e
che servono in processi flogistici, in processi infiammatori. Tra le chemochine la più famosa di tutte è il
RANTES. Questo RANTES agisce su un recettore specifico perché serve ad attivare i macrofagi, o meglio,
deve riconoscere un recettore su questo macrofago che si chiama CC-CKR5. Il ceppo macrofagotropo
dell’HIV predilige questo corecettore per far sì che si abbia la fusione del suo envelope e la membrana del
macrofago. Invece il corecettore dei ceppi linfocitotropi utilizza una struttura che fa parte del gruppo delle
LESTR (leukocyte-expressed seven-transmembrane-domain receptor) , che è la fusina. Non sono altro che
dei recettori che servono a fare aderire la chemochina SDF, che è un fattore stromale, sono tutte le
chemochine che hanno un fattore di stimolo per il sistema connettivale. Questo recettore si chiama CX-
CKR4. Il linfocita esprime questo corecettore. L’HIV linfocitotropo riconosce questo corecettore e causa
l’infezione nel linfocita T helper. La conseguenza sarà l’AIDS per la distruzione del linfociti T helper.
(domanda di una studentessa)
Risposta: nell’aggancio tra virione e cellula, non basta soltanto la gp120 e la CD4, ma anche il gp41 e il
corecettore…..(tutto il resto incomprensibile, troppa confusione…min.43).. ma queste sono informazioni
che trovate su tutti i libri.
(da internet: le glicoproteine virali presenti sull’involucro sono la gp120 con attività recettoriale e la gp41
con attività fusogena. La gp120, ancorata non covalentemente alla gp41,sporge totalmente verso l’esterno,
mentre gran parte della gp41 si trova inserita nel doppio strato fosfolipidico)
Quindi la forma è sferica, diametro 100 nm (quindi non è tanto piccolo, ma neanche troppo grande come
virus). Il genoma (e questo è un grande mistero) è dato da 2 MOLECOLE UGUALI DI RNA MONOCATENARIO
LINEARE. Quindi attenzione! Non è un rotavirus o retrovirus, perché lì le catene sono complementari, cioè
mano destra e mano sinistra. Qui invece ci sono due mani sinistre. Infatti questo definisce che il genoma
dell’HIV è DIPLOIDE… ma come mai si porta appresso due molecole di RNA identiche? cioè tutte e due 3’>5’? Non si sa!
Peso: 4-6 X 106 Da. L’envelope ve l’ho detto, è derivato dalla membrana esterna. Il nucleocapside simmetria
elicoidale, quella a tronco di cono, perché i protomeri si organizzano intorno alla struttura dell’acido
nucleico. L’assemblaggio finale avviene a livello citoplasmatico.
Il genoma di tutti i retroviridae rappresenta una costante. 3 geni fondamentali: gag, pol, env (con questa
sequenza). L’ordine genico è invariato in tutti i retroviridae. Quindi a partire dal 5’c’è gag, pol e infine
env. (5’gag - pol - env 3’). Tutti i retroviridae sono così.
Ma che cos’è allora che dà differenza tra i retroviridae?
Dei retroviridae noi abbiamo in effetti 3 sottofamiglie: ONCOVIRIDAE che danno origine ai tumori, le
LENTIVIRIDAE (l’HIV) e infine una terza sottofamiglia ancora orfana di patologie che sono comprende gli
SPUMAVIRUS. Tutta questa complessità di classificazione però a livello genico si riduce auna assoluta
identità. La diversità nasce dai geni accessori, cioè geni che non codificano per strutture virioniche, ma che
danno l’imprinting a quella che è la fenomenologia di ogni tipo di virus.
(immagine). Qua c’ è il CD4 e qua c’è il CCR5, quindi se c’è CCR5 è un virus macrofagotropo. La gp120
esterna del virione sta appoggiata a mò di gambo sulla gp41 transmembrana. La gp120 riconosce il CD4,
scivola e immediatamente esce fuori la gp41 che interagisce con l’altro corecettore e avviene la fusione
della membrana e il virione entra dentro la cellula. Quindi ci vogliono tutti e due i recettori, altrimenti il
matrimonio non avviene.
Una volta che il virus entra dentro la cellula è importante che si sveli la sua vera natura, perché all’interno
del virione esiste un enzima, detto virionico, che dà il nome all’intera famiglia. Si chiamano retroviridae
perché la trascrittasi inversa, quindi l’enzima virionico, prende a stampo l’RNA genomico e fabbrica un DNA
complementare che va a livello del nucleo e attraverso l’azione di altri enzimi virionici, che si chiamano
integrasi, fa sì che questo DNA si inserisca nel DNA della cellula ospita. Dal momento che questo, che
chiameremo provirus, entra all’interno del linfocita o del macrofago, può rimanere così in eterno, cioè nello
stato di provirus e replicarsi in linea verticale, cioè si moltiplica quando si moltiplica la cellula. Le cose non
stanno così perché nel caso dell’HIV invece c’è un’attiva replicazione. L’attiva replicazione è dovuta al fatto
che a differenza dei suoi cugini, gli oncoviridae, lui presenta un gene accessorio che si chiama gene Tat. Il
Tat non è altro che il produttore di un enzima transattivatore, fa sì che non dorma il genoma quando si
inserisce, ma che venga subito espresso fenotipicamente. E in effetti questo gene è stato preso di mira per
la possibilità di sviluppare un vaccino contro l’AIDS.
Ricapitoliamo: ingresso del virione, trascrittasi inversa, creazione del DNA complementare all’RNA
genomico del virione, integrasi che agisce e attenzione ora succede un fatto strano! Nell’espressione
fenotipica partono degli mRNA che cominciano a creare poliproteine, cioè sistemi complessi che una volta
nel citoplasma devono subire un processo di clivaggio, cioè devono agire delle proteasi. Ma non sono
proteasi qualunque. Sono delle proteasi virus specifiche, perché devono riconoscere quella precisa
struttura virionica e cominciano a tagliare. E allora si dividono gli elementi del capside, quelli dell’envelope
ecc.. Le proteasi sono quindi codificate dal genoma virale, tutto dal genoma virale. Perché vi dico questo?
Perché noi abbiamo la più grossa batteria di farmaci antivirali proprio contro l’HIV. Non esiste altro virus al
mondo che abbia una così potente batteria di azione contro di esso, perché abbiamo a disposizione dei
bersagli unici. Uno dei problemi della chemioterapia antivirale è che è così mescolata ai nostri processi
biomolecolari che è difficile trovare un chemioterapico antivirale che non faccia male all’organismo. Il
primo farmaco impiegato contro l’HIV è stato l’AZT che va ad inibire la trascrittasi inversa. Tuttavia ci si rese
conto che non basta inibire la trascrittasi e in una prima fase furono individuati degli inibitori specifici per le
proteasi virali. Quindi questi enzimi che alla fine del processo maturativo devono fare azione di clivaggio
proprio per permettere la maturazione del virus. Allora fu escogitato un cocktail di somministrazione che
prende il nome di HAART che prevede l’uso combinato di farmaci anti-trascrittasi inversa e inibitori delle
proteasi. Bingo! Perché noi abbiamo quindi sostanze che permettono di inibire sia l’una che l’altra. In
questo modo siamo riusciti a delimitare notevolmente l’infezione ed abbassare il carico virale.
(Domanda di una studentessa. Risposta incomprensibile. Delirio generale.)
La diminuzione della carica virale non vuol dire che il soggetto non sia contagioso! Andiamoci piano!! Non è
che adesso siamo sotto terapie e facciamo iuu iuu.
Agli inibitori sopradetti si sono anche aggiunti quelli inibitori della integrasi. Quindi più bersagliato di così si
muore. Com’è che il virus si fa beffa di no? Perché noi non possiamo fare un vaccino?
Ultimo concetto e vi lascio. Quando affronteremo il problema dell’influenza, vedremo come la strategia che
usa il virus influenzale è quella di modificare se stesso nella sua componente peplomerica, per cui viene
fuori un virus diverso e quindi ci dobbiamo vaccinare ogni anno. Stiamo attenti: quello che il virus
influenzale fa nell’ambito della popolazione e nell’arco di un anno, l’HIV lo fa all’interno dello stesso
individuo e nell’arco di giorni. Qua siamo proprio al parossismo della raffinatezza della coevoluzione. E che
fa? Sfrutta un difetto. Il difetto è che la trascrittasi inversa nel copiare l’RNA in DNA commette degli errori
di punteggiatura: una base la salta, una la sostituisce ecc. e non c’è un meccanismo di proofreading. Negli
organismi superiori quando noi facciamo un lavoro di polimerizzazione di acidi nucleici c’è sempre una
correzione parallelamente alla replicazione. C’è un correttore che verifica che ciò che si sta copiando sia
perfettamente aderente all’originale. Ciò rende estremamente rara una mutazione. Bene, nei retroviridae
questo è frequentissimo! In una curva gaussiana di distribuzione avremo forme perfettamente aderenti,
che saranno x percentuale e forme che man mano si allontanano dall’originale fino ad arrivare a mutanti,
alcuni dei quali non teleonomici, cioè non più in grado di replicare se stessi, quindi non è più infettivi. Ma a
noi interessa quelli teleonomici che continuano ad essere infettivi. Allora se il virus che mi ha infettato è
“xy”, il mio sistema immunocompetente comincerà a produrre anticorpi contro xy. Ma che succede? Che il
giorno dopo, man mano che si moltiplicano, questi xy diventano xz e i miei anticorpi contro xy non li
riconoscono più! nello stesso individuo! E poi succede una cosa stranissima. Nelle prime fasi dell’infezione
di un virus su un organismo superiore registriamo una cosa paradossale: ipergammaglobulinemia. Se
andiamo a testarli in vitro sono tutti anti-HIV! E perché non lo neutralizzano? L’HIV cambia di abito di ora in
ora, di giorno in giorno evadendo il sistema immunocompetente, “serpeggia” nel vero senso della parola!
(invito alla lettura di Gulliver)
Questo va di pari passo col discorso del vaccino, perché se è vero che i nostri anticorpi contro i virus che ci
sta infettando non ci proteggono, se noi dovessimo prendere la gp120 che ci vacciniamo a fare? Il virus che
ci infetterà sarà completamente diverso da quello usato come ceppo per stimolare gli anticorpi che
eventualmente dobbiamo usare, non serve a nulla. Allora si è pensato di non pensare al virione e ai suoi
mutamenti, perché c’è la componente più interna, piccola.. che vi avevo detto, transattivazione… che ha il
vantaggio di non essere virionica, cioè non è che la Tat si trova nel virione, il Tat esiste come gene, ma non
si esprime fenotipicamente nel virione, ma si esprime fenotipicamente nelle cellule infettate. Noi
dovremmo riusciare a neutralizzare la Tat, cioè a creare un vaccino che riesca a creare anticorpi in modo
che appena inizia l’infezione il virus ,che comincia a produrre Tat per stimolare se stesso, immediatamente
lo inibiamo. Bè, devo dire che ci stiamo lavorando…così avrete occasione di vaccinarvi e appena ci sarà il
vaccino potrete uscire tutti dall’isolamento e fare iuuuu.
Antonella Spatola