La Francia, la laicità e le vignette su Maometto - Limes

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La Francia, la laicità e le vignette su
Maometto - Limes
Riccardo Pennisi
La diffusione del film L’innocenza dei musulmani ha scatenato
da subito sanguinose proteste in molti Stati del mondo islamico.
Qualche giorno più tardi, la tensione è cresciuta anche in Francia:
la pubblicazione di vignette satiriche su Maometto da parte di un
settimanale ha surriscaldato gli animi e fatto temere reazioni
violente. Il paese è tornato a interrogarsi sulle qualità e i limiti del
proprio modello di laicità, e sulla sua attualità, oltre cent’anni dopo
la sua codificazione.
Dalla redazione della rivista Charlie Hebdo giurano che non era
questo lo scopo: eppure le caricature del Profeta hanno avuto
l’effetto immediato di raddoppiarne la tiratura. Allo stesso tempo,
però, l’affaire ha rivelato uno stato di palese inquietudine in Francia.
Oltre alla paura per le rappresaglie – sedi diplomatiche e scuole in
una ventina di paesi considerati “sensibili” sono state chiuse, le
manifestazioni in patria vietate – l’evento ha riaperto il complicato
dibattito sulla condizione della minoranza musulmana.
È un tema ormai stabilmente presente nell’arena politica, ma
anche rilevante a livello emotivo, dopo le stragi compiute a marzo
da Mohammed Merah nel nome dell’islam; un tema fondamentale
per definire le regole di convivenza in un paese multiculturale come
la Francia.
Il principio di laicità, nel senso di distinzione tra religione e
società civile, è infatti un pilastro della Repubblica francese a
partire dalla legge del 1905 detta della “separazione delle Chiese e
dello Stato”. I legislatori di inizio Novecento erano soprattutto
preoccupati di limitare l’influenza del cattolicesimo sulla vita
pubblica: n è risultato un regime di separazione così netta da non
avere praticamente eguali in Europa (solo in alcuni periodi
post-rivoluzionari qualcuno l’ha imitato: l’Italia tra il 1871 e il 1929,
la Spagna del 1936 e pochi altri).
La Francia non riconosce né finanzia in modo diretto alcun
culto. Ne garantisce soltanto l’esercizio, in nome della libertà di
coscienza. Dato che statistiche su base religiosa non vengono
pubblicate, il peso della minoranza musulmana più grande
d’Europa può essere solo stimato: si tratta di 6-7 milioni di persone,
circa il 10% della popolazione.
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I motivi di tensione si sono moltiplicati nell’ultimo decennio.
L’organismo di rappresentanza creato dall’alto dallo Stato, il
Consiglio francese del culto musulmano, si è rivelato incapace di
intessere rapporti significativi con la base dei credenti. Per questo
motivo non è stato capace di influire su alcuni processi che hanno
interessato la fede musulmana in Francia: la politicizzazione dei
temi legati alla religione e la radicalizzazione di una parte
(minoritaria) dei praticanti.
Per Charlie Hebdo, quella attuale non è certo la prima accusa
di blasfemia: era il 2006 quando il settimanale riprodusse le
vignette su Maometto apparse su un foglio satirico danese. La
rivista fu denunciata da alcune associazioni musulmane e
naturalmente il principio della libertà di stampa prevalse. La
redazione, composta di scrittori e disegnatori di tendenza radicale e
libertaria, pubblicò poi un manifesto in cui indicava l’islamismo
come una minaccia globale per la libertà di espressione al pari del
nazifascismo e dello stalinismo. Infine, nel novembre dello scorso
anno, la sede del settimanale venne data alle fiamme – e la pagina
della versione online rimpiazzata da una foto della Mecca – dopo
l’uscita di un numero intitolato Sharia Hebdo: in copertina Maometto
festeggiava la vittoria elettorale dei fondamentalisti in Tunisia.
Come nelle altre occasioni, anche stavolta la rivista satirica ha
goduto della solidarietà dell’intero mondo politico, benchè
l’opportunismo e il cattivo gusto delle vignette sia stato
stigmatizzato da molti. Nei fatti, la risposta della politica francese ha
preso due direzioni diverse.
“Non ci si può prendere gioco della Repubblica”: con queste
parole, il capo del governo Jean-Marc Ayrault ha espresso la linea
di estrema fermezza dell’esecutivo. La proibizione della protesta
organizzata da alcune associazioni musulmane davanti alla Grande
Moschea di Parigi è infatti un evento eccezionale,
costituzionalmente giustificabile con una situazione di grave timore
per l’ordine pubblico. In questo caso, chi scendesse in piazza
commetterebbe un reato penale: le temute manifestazioni non
autorizzate, però, non ci sono state, e il comportamento della
comunità musulmana è stato composto e indifferente.
François Hollande, durante una commemorazione delle vittime
francesi della Shoah, ha poi ribadito la vigilanza estrema contro il
fanatismo e l’intenzione di introdurre nelle scuole dei corsi
obbligatori di “morale laica”. Dunque, il pacchetto presidenziale
offre rafforzamento dell’esistente e investimento sul futuro
attraverso un’operazione culturale sulle nuove generazioni. Il
rafforzamento dei principi contenuti nella legge del 1905 spiccava
già nel programma elettorale di Hollande.
Dall’altra parte, Marine Le Pen ha colto l’occasione per una
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grande offensiva mediatica, che bissa quella, efficacissima,
condotta poco dopo la morte di Merah. A suo dire, il patto del 1905
si è rotto – per l’incapacità dei musulmani di rispettarlo – e quindi la
Repubblica deve riassumere l’iniziativa: proibire i simboli religiosi
nei luoghi pubblici (la kippah o il velo, ad esempio), espellere i
predicatori integralisti, cancellare dalla scuola i corsi di lingua e
cultura non francese. La leader del Front National prova quindi a
proporsi come paladina della laicità, senza trascurare i temi e i toni
classici dell’estrema destra transalpina. Le sue proposte hanno
provocato, a parole, lo sdegno degli altri partiti, ma colgono alcune
tendenze latenti nella politica e nella società francese.
In effetti anche le misure restrittive decise dal governo dopo la
pubblicazione delle vignette, più che il desiderio di difendere la
libertà di stampa, hanno mostrato l’esistenza di una paura a priori
delle reazioni di chi poteva sentirsi offeso: l’ordine pubblico è stato
sì salvaguardato, ma a discapito di un’altra libertà fondamentale,
quella di manifestare.
Il principale partito di destra, l’Ump, è inesorabilmente attratto
dalla rendita elettorale che sembrano promettere le posizioni più
estreme: insieme al Front National, sta preparando una durissima
opposizione al progetto di legge per l’estensione del diritto di voto
agli stranieri, tre milioni dei quali di religione musulmana.
I sondaggi dicono che in due anni i contrari al provvedimento
sono passati dal 42 al 63% della cittadinanza. Data l’assoluta
separazione e il fallimento degli organismi intermedi, lo Stato
francese non ha alcun controllo sull’attività delle moschee, spesso
finanziate da paesi musulmani, e degli imam (il 60% di loro non
parla correttamente francese): la storia di Merah, terrorista
cresciuto e politicamente maturato nelle banlieue, nei loro centri
islamici e poi nelle carceri locali, ha impressionato l’opinione
pubblica e condizionato una tale evoluzione.
Le due correnti principali della politica francese, allo scopo di
rispondere al malessere crescente tra la cittadinanza, interpretano
ognuna a proprio modo soltanto il principio più restrittivo della legge
del 1905: quello che offre allo Stato la capacità di escludere la
religione dalla vita pubblica.
La visione della laicità come libertà di coscienza, al contrario,
perde peso e attrattiva. Eppure proprio quest’ultima potrebbe
adattarsi meglio alle dinamiche di un paese che non vede più lo
Stato nell’obbligo di difendersi dallo strapotere di una grande
religione, ma nella necessità di offrire una condizione di convivenza
civile a una società multiculturale. Nel frattempo, le fratture
socioculturali in Francia sono sempre più evidenti e non sembrano
destinate a rimarginarsi in un breve periodo.
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