Attività di ricerca - Istituto Superiore di Sanità

DIABETE
In questo ambito le attività di ricerca attualmente in corso in Istituto sono finalizzate allo
studio dei meccanismi eziopatogenetici che sono alla base delle patologie endocrinometaboliche ad elevato impatto socio-sanitario, quali il diabete e le tireopatie benigne .
Per ciò che riguarda il diabete, questa è una patologia che colpisce in maniera diversa
persone di ogni età, razza e sesso. Si calcola che nel mondo vi siano circa 120 milioni di
persone affette da diabete mellito, in Europa circa 30 milioni, mentre in Italia sono più di 3
milioni i casi diagnosticati, con un’incidenza altissima in Sardegna. Esistono diverse forme
di diabete, ma le più importanti e diffuse sono il diabete Tipo 1 (a insorgenza giovanile) e il
Tipo 2 (a insorgenza nell’adulto). Il diabete tipo 1 (DM1) è una malattia caratterizzata da
una fase preclinica in cui sono riscontrabili autoanticorpi con specificità pancreatica che
rappresentano i marcatori principali di questa fase indicata come “prediabete”. Tali
marcatori permettono di tentare una predizione della malattia consentendo, almeno in
parte, di quantificare il rischio che un individuo ha di sviluppare il DM1 una volta che sia
stato trovato positivo ad uno o più anticorpi a specificità pancreatica. Attualmente però, si
è in grado di predire il DM1 con sufficiente sicurezza solo nei parenti di primo grado di
pazienti affetti da DM1, mentre il margine d’errore è ancora inaccettabile quando si vuole
predire la malattia nella popolazione generale. Risulta evidente quindi, la necessità di una
predizione esatta e sufficientemente precoce in tutti i casi di DM1, in modo da poter
prevenire lo scatenamento iniziale della risposta autoimmune diretta contro le betacellule
pancreatiche che producono l’insulina (l’ormone che regola l’utilizzo degli zuccheri
nell’organismo). Ed è proprio in quest’ottica che stiamo orientando parte dell’attività
scientifica. In particolare, attraverso ricerche mirate allo studio dei meccanismi che sono
alla base della patogenesi della malattia, gli sforzi sono rivolti all’identificazione di nuovi
marcatori di predizione del DM1 che siano in grado di predire la malattia con eguale
capacità non solo nei parenti di primo grado di pazienti affetti, ma anche in soggetti della
popolazione generale e che siano in grado di offrire informazioni sul tempo che
intercorrerà tra comparsa del marcatore e diagnosi clinica della patologia. Infatti,
l’importanza di identificare con accuratezza un individuo a rischio di diabete sta proprio
nella possibilità di effettuare una diagnosi precoce e quindi, di poter applicare una
strategia di prevenzione efficace che, si auspica, possa esser messa a disposizione in un
prossimo futuro, ritardando inoltre la comparsa delle complicanze a lungo termine del
diabete, sia di tipo 1 che di tipo 2.
Questi studi assumono particolare rilievo se si esaminano i dati della World Health
Organization che prevedono, in base all’andamento della malattia nelle due decadi
trascorse, un raddoppiamento della sua incidenza nei prossimi venti anni; tale andamento
è soprattutto a carico del diabete tipo 2, in netta associazione con il livello di
industrializzazione, lo stile di vita sedentario e l’obesità e con la problematica emergente
del diabete tipo 2 adolescenziale. Il diabete tipo 2, inoltre, è spesso presente nella
cosiddetta sindrome metabolica che comprende l’obesità addominale, l’ipertensione
arteriosa, bassi livelli di colesterolo-HDL e ipertrigliceridemia.
L’emergenza socio-sanitaria costituita dal diabete tipo 2 è essenzialmente da ricondurre
nell’osservazione che tali pazienti sono considerati dalle Linee Guida internazionali ad
elevato rischio cardiovascolare. Ciò in relazione a diverse considerazioni: presentano
alterazioni metaboliche in grado di causare danno vascolare, la diagnosi di iperglicemia è
spesso tardiva, infine l’aumento dell’aspettativa di vita di tali soggetti li rende più esposti ai
danni cronici della malattia.
L’elevato costo sociale e sanitario del diabete e delle sue complicanze vascolari, ha
condotto all’attuazione di diversi studi epidemiologici internazionali su larga scala e di
lunga durata che si sono occupati di valutare gli effetti di diversi tipi di intervento
farmacologico sulle complicanze stesse: il Diabetes Control e Complications Trial (DCCT)
per il diabete tipo 1 e l’United Kingdom Prospective Diabetes Study (UKPDS) per il tipo 2.
Entrambi hanno evidenziato la necessità di mantenere un buon controllo metabolico al fine
di prevenire o ridurre il rischio di complicanze vascolari, ma anche che ciò non è
sufficiente, probabilmente per l’effetto del background genetico o di fattori ambientali. La
complessità di questo quadro ha ribadito, quindi, la necessità di disporre di linee guida per
l’assistenza al paziente diabetico che consentano, in base alle indicazioni della letteratura
scientifica, di assistere il malato in modo ottimale e l’importanza di approfondire la
conoscenza dei meccanismi patogenetici alla base delle complicanze croniche del
diabete.
Queste ricerche si basano sull’osservazione che gli effetti dannosi dell’iperglicemia si
osservano in tessuti in cui l’ingresso intracellulare del glucosio non è dipendente
dall’insulina e che, in condizioni in cui sia presente un aumento dei livelli di glucosio
circolante, non sono in grado di limitare il passaggio di tale zucchero. Quando è presente
un’eccessiva disponibilità di glucosio, si assiste, di conseguenza, sia ad incremento di
alcune vie metaboliche che ad attivazione di altre. In particolare si verifica, attraverso
diversi meccanismi, un’aumentata produzione di radicali liberi e di molecole modificate dal
glucosio (i cosiddetti prodotti avanzati della glicazione o AGE) e l’attivazione di una
molecola chiave nei processi di traduzione del segnale all’interno della cellula, la protein
chinasi C. Si è anche potuto osservare come le vie metaboliche attivate dal glucosio in
eccesso non sono indipendenti ma intimamente correlate e in grado di potenziarsi a
vicenda, per cui ognuna di queste può rappresentare un crocevia importante da cui le altre
originano o convergono e, quindi, un possibile punto in cui un intervento terapeutico o
preventivo potrebbe bloccare la cascata di eventi innescata dall’alto glucosio.
In particolare ciò avviene a livello delle cellule che costituiscono il vaso sanguigno,
inducendo modifiche della funzione di cellule vascolari residenti e non residenti, sul pattern
di produzione di fattori crescita, vasoattivi e della coagulazione e di molecole di adesione.
Questi mediatori influenzano profondamente il normale processo di rimodellamento del
vaso stesso, conducendo ad alterazioni del ricambio cellulare e della matrice
extracellulare, della regolazione del tono e della permeabilità vascolare e della
coagulazione.
Questo processo assume poi caratteristiche specifiche in relazione al distretto vascolare
colpito, per cui si parla di micro- o di macroangiopatia. Il distretto vascolare risulta, cioè,
colpito sia a livello dei grossi vasi, come l’aorta o l’arteria carotidea, che del piccolo circolo,
come quello che costituisce la vascolarizzazione di retina, nervi e rene, causando lesioni
progressivamente sempre più gravi che possono condurre all’infarto, alla insufficienza
renale e alla cecità .
Tra gli elementi cellulari che costituiscono il vaso sanguigni, gli studi di patogenesi si sono
incentrati in particolare sulle cellule endoteliali, in quanto le alterazioni della loro funzione
rappresentano l’evento centrale in grado di innescare tutte le alterazioni vascolari tipiche
della vasculopatia diabetica, ma anche di altre vasculopatie su base sclerotica.
L’endotelio normale, infatti, costituisce una barriera al passaggio di macromolecole e
cellule, contribuisce a regolare la pressione arteriosa e il flusso sanguigno, modula la
coagulazione e la fibrinolisi e partecipa al rimodellamento vascolare. Un endotelio sano,
quindi, tende a determinare vasodilatazione, bassa permeabilità, attività anticoagulante e
anti-aggregante, inibizione della proliferazione cellulare e dell’accumulo di matrice.
Nell’endotelio aterogeno, al contrario, prevalgono vasocostrizione, elevata permeabilità,
pattern pro-coagulante e pro-aggregante e stimolo alla proliferazione cellulare e
all’accumulo di matrice In corso di vasculopatia diabetica sono presenti tutte queste
alterazioni, e le alterazioni della funzione di barriera sono le più precoci ad apparire e si
manifestano sia clinicamente, ad esempio con il passaggio di proteine nelle urine, che
sperimentalmente mediante l’incremento della deposizione di macromolecole nella parete
vascolare. L’osservazione clinica dell’aumento della permeabilità vascolare ha condotto a
studi in modelli animali di diabete sperimentale che hanno consentito di dimostrare che
tale alterazione è correlata all’iperglicemia; infatti in animali resi diabetici o infusi con
glucosio si osserva un aumentato stravaso di albumina marcata, in misura proporzionale
ai livelli glicemici e tale alterazione è reversibile con il trattamento insulinico; inoltre, tale
fenomeno è presente soprattutto negli organi bersaglio delle complicanze tardive del
diabete.
Queste osservazioni hanno suggerito l’opportunità di studiare le alterazioni dei
meccanismi di regolazione della permeabilità endoteliale correlate all’iperglicemia.
Gli studi condotti nel nostro Reparto sono, in particolare, indirizzati alla comprensione di
alcuni dei meccanismi coinvolti nella patogenesi della disfunzione endoteliale diabetica, tra
cui lo stress ossidativo e la formazione di prodotti avanzati della glicazione, e il loro ruolo
delle alterazione della funzione del vaso stesso. Questi studi sono condotti su modelli
cellulari ed animali, in cui si riproduce, in vario modo, l’ambiente diabetico o le alterazioni
da esso determinate e si valutano parametri di funzione endoteliale, quali molecole di
adesione, fattori chemiotattici su cellule circolanti, fattori ad attività permeabilizzante,
radicali liberi e AGE.
Un altro aspetto del diabete tipo 2 è quello riguardante la sua frequente presenza nella
cosiddetta sindrome metabolica, in cui si associa con l’obesità di vario grado, facendo
ipotizzare l’azione di meccanismi patogenetici comuni.
Tra le numerose ipotesi riguardanti la patogenesi dell’obesità essenziale, sono chiamati in
causa fattori genetici, metabolici, nutrizionali sociali e culturali che conducono ad
alterazioni del bilancio energetico in senso positivo. Comunque, dal punto di vista
patogenetico, l’eccessivo accumulo di adipe è la risultante di un alterato rimodellamento
tissutale, che, fisiologicamente rappresenta un meccanismo ubiquitario alla base della
morfologia e della funzione di ogni organo e tessuto, e che patologicamente può
sbilanciarsi determinando alterazioni nella composizione del tessuto stesso.
A livello del tessuto adiposo, tale processo coinvolge essenzialmente il comparto cellulare,
costituto costituito dagli adipociti maturi e dalla loro forma non differenziata, i preadipociti.
Il contributo di questo comparto al determinismo del volume di massa grassa può
riguardare, quindi, sia il reclutamento dei preadipociti e il conseguente differenziamento in
adipociti maturi che l’ipertrofia degli adipociti preesistenti per incremento del deposito
lipidico. I processi alla base del rimodellamento del tessuto adiposo assumono, quindi, un
rilievo particolarmente importante e, perciò, sono stati di recente oggetto di numerosi studi
tesi a chiarire e approfondire sia le tappe cruciali che i marker specifici e i mediatori
coinvolti in tale meccanismo
Gli studi che stiamo attualmente conducendo si basano sull’osservazione che il diabete è
in grado di alterare parametri che regolano il rimodellamento tissutale attivi anche a livello
del tessuto adiposo e potrebbe, così, contribuire al determinismo della massa grassa..
Le alterazioni metaboliche indotte dal diabete potrebbero, cioè, avere un ruolo nella
regolazione del grado di adiposità attraverso gli stessi meccanismi operanti in corso di
vasculopatia diabetica. Gli studi in corso su un modello cellulare hanno già dato risultati
preliminari che avvalorano questo legame, facendo supporre un possibile effetto sinergico
di due patologie così strettamente interrelate.
In definitiva, gli studi dedicati alla comprensione dei meccanismi operanti nell’insorgenza
del diabete, dell’obesità e delle complicanze correlate hanno lo scopo di aprire nuove
strade per la prevenzione e il trattamento di una patologia così invalidante per il paziente
ed onerosa per il sistema sanitario.
Oltre al diabete anche le tireopatie, in particolare le tireopatie benigne, rivestono notevole
rilevanza non solo per il fatto che non vi è cellula, tessuto o sistema che si sottragga
all’influenza degli ormoni tiroidei, con il conseguente coinvolgimento di tutti i processi
metabolici, ma anche per l’elevata frequenza con cui si manifestano nella popolazione
generale e soprattutto nelle donne. E’ stato stimato, ad esempio, che l’incidenza di
ipotiroidismo, escluse le cause iatrogene, è di 3 nuovi casi per 1000 donne per anno,
mentre negli uomini è di circa 1 caso per 1000 per anno. Tale incidenza aumenta di 10
volte se si considerano le forme subcliniche di tale tireopatia. Poiché la ghiandola tiroidea
dipende dall’ambiente esterno per l’apporto di iodio (il componente essenziale per la sintesi
degli ormoni tiroidei), è facile comprendere come un insufficiente apporto nutrizionale di
questo microelemento possa influenzare fortemente la normale funzione ghiandolare. Nel
nostro Paese la massima parte del territorio nazionale è, sia pure con un’ampia variabilità
da zona a zona, tuttora caratterizzata da carenza iodica e praticamente tutta la popolazione
italiana è esposta agli effetti dell’insufficiente apporto iodico ambientale. Sicuramente il
“gozzo” (iperplasia e ipertrofia diffusa della tiroide a seguito della cronica stimolazione della
ghiandola da parte dell’ormone ipofisario tireotropo) rappresenta la più frequente
manifestazione morbosa conseguente al deficit nutrizionale di iodio. E’ stato ormai
accertato però, che lo iodio non è l’unico fattore ambientale in grado di influenzare la
normale funzione tiroidea. Esistono infatti alcuni agenti chimici rilasciati nell’ambiente,
soprattutto attraverso l’impiego di pesticidi o come risultato dell’attività industriale, in grado
di interferire con il sistema endocrino: i così detti Interferenti Endocrini. La tiroide
rappresenta sicuramente uno dei principali bersagli degli effetti di alcuni Interferenti
Endocrini soprattutto durante lo sviluppo pre- e peri-natale, come è stato dimostrato dai
numerosi studi su modelli sperimentali realizzati fino ad oggi. Tuttavia, sebbene siano stati
individuati numerosi Interferenti Endocrini ad azione tireostatica, pochi sono gli studi
fino ad ora condotti per accertare sull’uomo gli effetti tireostatici dell’esposizione ambientale
a tali sostanze. Ed è proprio in quest’ottica che la nostra attività di ricerca si è orientata
dando vita ad una serie di ricerche sia su modello sperimentale che sull’uomo, con
l’obiettivo di accertare l’impatto sulla salute umana di esposizioni a Interferenti Endocrini ad
azione tireostatica, non trascurando la verifica di un eventuale “effetto cumulativo” sulla
funzione tiroidea dovuto all’insufficiente apporto iodico ambientale associato all’esposizione
di tale tipo di sostanze.
In particolare gli studi attualmente in corso sono mirati alla
valutazione di effetti dovuti ad esposizioni professionali ad alcuni pesticidi e alla verifica di
eventuali effetti sulla popolazione generale dovuti ad esposizione alimentare. Per ciò che
riguarda il modello sperimentale, dato il ruolo centrale che la tiroide svolge nello sviluppo
del sistema nervoso nelle prime fasi della vita, si sta verificando l’ipotesi che alcuni effetti a
carico del sistema nervoso dovuti all’esposizione a tali sostanze possano, almeno in parte,
essere mediati da un’ipofunzione tiroidea. Come già accennato infatti, la ghiandola tiroidea
per molte di queste sostanze rappresenta un bersaglio d’elezione.
Le più frequenti tireopatie sono, comunque, quelle ad eziopatogenesi autoimmune.
Queste sono patologie multifattoriali e colpiscono circa il 2-3% della popolazione generale.
Sono rappresentate prevalentemente dal Morbo di Graves’, la causa più comune di
tireotossicosi, e dalla Tiroidite di Hashimoto che porta ad ipotiroidismo. Le tireopatie
autoimmuni sono caratterizzate dalla presenza in circolo di elevati livelli di autoanticorpi
diretti contro antigeni tiroidei. L’autoantigene implicato nella malattia di Graves’ è il
recettore dell’ormone tireotropo (TSHr) mentre gli antigeni prevalentemente implicati nella
tiroidite di Hashimoto sono la Tireoglobulina (Tg) e la perossidasi tiroidea (TPO, thyroid
peroxidase). Nel Morbo di Graves’ l’eccessiva produzione di anticorpi anti-TSHr, in grado di
mimare l’azione del TSH stesso, induce un aumento della crescita cellulare tiroidea e della
secrezione ormonale (tireotossicosi). Al contrario, la Tiroidite di Hashimoto può portare ad
ipotiroidismo e ciò è dovuto alla distruzione della normale architettura tissutale tiroidea ad
opera dei complessi processi infiammatori che si determinano a carico della ghiandola.
Nelle tiroiditi infatti, fattori diversi dagli autoanticorpi, quali la citotossicità linfocitaria, la
produzione di citochine infiammatorie, i meccanismi di attivazione del complemento (solo in
minima parte mediati dagli autoanticorpi anti-TPO) e i processi apoptotici a carico delle
cellule tiroidee giocano un ruolo fondamentale nella genesi della distruzione dei tireociti. Il
titolo anticorpale, quindi, seppure di grande utilità per la diagnosi del processo autoimmune
e, in alcuni casi, per la gestione clinica del processo autoimmunitario viene esclusivamente
considerato un marcatore di patologia. Per cui, ad esclusione degli anticorpi anti-TSHr che,
come è stato detto svolgono un ruolo di stimolo sulla tiroide, per le altre specificità antitiroide non è stato ancora dimostrato un ruolo patogenetico. Bisogna aggiungere inoltre,
che la presenza in circolo di autoanticorpi tiroide-specifici non sempre indica la presenza di
una tireopatia autoimmune in corso. E’ stato stimato infatti, che circa il 10% della
popolazione generale (di cui solo l’1-2% uomini) è portatore di autoanticorpi a specificità
tiroidea senza che questi soggetti abbiano manifestazioni cliniche di patologia tiroidea in
atto. Sebbene la presenza in circolo di autoanticorpi anti-tiroide costituisca un fattore di
rischio importante, soltanto una minima parte di questi soggetti svilupperà una tireopatia
autoimmune. E proprio con l’obiettivo di comprendere meglio il ruolo degli autoanticorpi a
specificità tiroidea nella storia naturale della tiroidite, intesa come modello di endocrinopatia
autoimmune, sono attualmente in corso studi mirati all’approfondimento delle conoscenze
sulla possibile relazione tra autoanticorpi organo-specifici e citochine immunosoppressive
nell’uomo, così come è già stato dimostrato su modelli sperimentali. In particolare
l’attenzione è rivolta allo studio del Transforming Growth Factor β1 (TGFb1), una citochina
pluripotente che nelle patologie autoimmuni svolge, tra le sue numerose funzioni, un
importante ruolo immunomodulante dal momento che la sua forma biologicamente attiva è
in grado di sopprimere sia la risposta umorale che citotossica.
Infine, per ciò che riguarda l’età evolutiva, l’Ipotiroidismo Congenito (IC) rappresenta la
più frequente endocrinopatia dell’infanzia ed è una delle più comuni cause di ritardo
mentale se non trattato precocemente. Nel nostro Paese 1 bambino su circa 3000 nati vivi
è colpito da questa patologia causata, nella maggior parte dei casi, da alterazioni
nell’embriogenesi della tiroide associata molte volte ad altre malformazioni congenite
extratiroidee. La disgenesia tiroidea può essere rappresentata da agenesia, ipoplasia, o
dalla presenza di abbozzi tiroidei in sede ectopica (ectopia), generalmente insufficienti ad
assicurare un normale apporto di ormoni tiroidei. Più raramente l'IC è provocato da un
deficit geneticamente determinato di enzimi deputati alla sintesi degli ormoni tiroidei.
Recentemente alcuni casi di disgenesia tiroidea sono stati associati a mutazioni nei geni
codificanti per fattori di trascrizione coinvolti nello sviluppo delle cellule follicolari tiroidee
quali TTF1, TTF2, PAX8 e per il recettore del TSH. Tuttavia queste alterazioni molecolari
possono spiegare solo il 5% dei casi di disgenesia tiroidea, per cui ad oggi si è ancora
lontani dal chiarire le basi molecolari delle forme disgenetiche di IC. All’ISS è affidato, fin
dal 1987, il coordinamento del Registro Nazionale degli Ipotiroidei Congeniti che ha il
compito di raccogliere, conservare ed elaborare i dati relativi alla popolazione italiana dei
bambini affetti da IC che, ad oggi, è rappresentata da circa 2600 soggetti. Il Registro negli
anni si è rivelato non solo un efficace strumento di sorveglianza della patologia sul
territorio, ma anche un potente strumento di ricerca. Attualmente sono in corso studi
multicentrici mirati all’individuazione dei più importanti fattori di rischio, familiari e
ambientali, per l’ipotiroidismo congenito e studi su gemelli ipotiroidei.In particolare, data
l’elevata morbidità che caratterizza le gravidanze gemellari, l’obiettivo principale è quello di
stabilire l’incidenza di ipotiroidismo congenito nelle gravidanze multiple rispetto alle
gravidanze singole e, attraverso la stima della concordanza per la patologia, stabilire il
ruolo della componente genetica e ambientale nell’eziologia della patologia. Inoltre, grazie
alla recente attivazione di una banca del DNA associata al Registro, sono attualmente in
corso studi molecolari mirati alla individuazione di nuovi geni coinvolti nelle forme
disgenetiche di ipotiroidismo.
Attualmente sono in corso i seguenti progetti di ricerca:
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Progetto ISS: “Endocrinopatie: studio di meccanismi di progressione di malattia e di
sistemi protettivi endogeni”
Progetto finalizzato Min. Sanità. Unità Operativa: “Modificazioni dei livelli sierici di
Transforming Growth Factor beta1 (TGFβ1) nella patogenesi del diabete tipo 1”
Progetto finalizzato Min. Sanità. Unità Operativa “Studio dell’influenza del diabete
sui meccanismi di rimodellamento della massa adiposa”.
Progetto ISS: “Prevenzione della patologia aterosclerotica nella sindrome metabolica:
studio dei meccanismi cellulari e molecolari”.
Progetto finalizzato Min. Sanità. Unità Operativa: “Studio su gemelli affetti da
Ipotiroidismo Congenito: ruolo della componente genetica e ambientale nell’eziologia
dell’ipotiroidismo”