INCONTRI “Io, Guido Chiesa, e il mio film su Maria, madre nella libertà” Foto: A. Belhadi Nato a Torino nel 1959, sposato e con tre figli, Guido Chiesa ha lavorato dal 1983 al 1990 negli Stati Uniti come assistente di regia e produzione. Dopo il suo primo lungometraggio, Il caso Martello, ha ottenuto riconoscimenti al Festival di Venezia nel 2000 con Il partigiano Johnny e nel 2004 con Lavorare con lentezza. Nel 2010 il regista è ritornato nelle sale con Io sono con te. Quest’ultimo film, realizzato in collaborazione con la moglie Nicoletta Micheli in un percorso di «avvicinamento alla religione», scava nei Vangeli dell’infanzia con laica libertà, ma anche con rispetto e delicatezza. 24 G uido Chiesa, lei ha raccontato che l’idea del suo ultimo film è nata da una conversazione di sua moglie con una conoscente che le aveva parlato di Maria di Nazaret «come nessuno aveva mai fatto prima». Ne è emersa la Maria di Io sono con te: una ragazza che respinge alcune norme sociali del suo tempo ed educa Gesù nella libertà. Per alcuni è un ritratto «un po’ femminista». Concorda, dissente? «Dobbiamo intenderci. Se per femminismo intendiamo un movimento iniziato più o meno un secolo fa, prima per il voto e poi per le “libere scelte” delle donne, no, non sono d’accordo. Da che mondo è mondo le donne sono impegnate a difendere con le modalità più diverse la loro identità profonda, la loro autonomia. Alcuni ci hanno accusati di guardare alla vicenda di Maria con gli occhi della modernità...». In effetti... «No, sono loro a farlo. Vede, noi “Come rappresentare non raccontiamo di una donna che il sacro oggi? rivendica, che so, il diritto alla pillola Una luce di taglio o all’aborto, ma di una che ha scelto o la folata di vento che apre liberamente di subordinare la una finestra non ha la forza propria vita o, meglio, di viverla nella di un bambino che nasce. prospettiva di un progetto di Malgrado tutte le scoperte maternità che sentiva come la della scienza, volontà di Dio. Al centro di Io sono con te c’è una donna che dice: “Noi nella nascita rimane dobbiamo obbedire solo al Signore”. un nocciolo di mistero” Più che una presunta modernità, volevamo esprimere una visione che definirei antropologica: la libertà che trova la sua perfezione in Gesù di Nazaret nasce dall’aver avuto un’infanzia di un certo tipo, una madre e un padre di un certo tipo». E qui entriamo in un grande tema che le sta a cuore, quello educativo. Ma l’ipotesi che, stando alle sue parole, Gesù sia il frutto di una pedagogia non rischia di essere un’interpretazione riduttiva del Figlio di Dio? «Non credo che questo sia in contraddizione col progetto divino: un progetto divino che ha cercato nell’essere umano, nel corpo umano, il suo centro, il suo veicolo (appunto Maria, quella persona e non un’altra) e il suo punto d’arrivo (appunto Gesù)». Facendo riferimento agli studi della psicoterapeuta inglese Sue Gerhardt di Perché si devono amare i bambini (Cortina 2006) e della psicologa polacca di origine ebraica Alice Miller (1923-2010), lei e sua moglie ponete al centro del vostro ideale educativo l’amore e il rispetto. Ma che cosa significa amare veramente in educazione? «Il primo amore è quello che lega una madre al suo bambino: il profeta Isaia lo ha scelto per esprimere l’amore di Dio per l’uomo. Quel modello di amore deve informare tutto l’amore. Anche Gesù di Nazaret citerà spesso Isaia...». Come si può, secondo lei che è padre, educare «con amore» nella scuola, il nostro ambito di riferimento come rivista? «Per un certo periodo ho insegnato anch’io, mia madre era maestra, so quali sono i problemi che incontra un insegnante. Io credo che, cristiani o non cristiani, o poniamo l’essere umano al centro come una persona che va Foto: A. Belhadi rispettata e amata perché è il nostro prossimo, oppure in lui vediamo una materia da modificare, costruire, correggere, e questo per me è un errore». I suoi figli non sono ancora adolescenti. Ma... si è già chiesto come potrebbero essere declinati rispetto e amore in vista dell’“età critica” e dei suoi problemi? «Negli adolescenti l’identità personale è ormai molto strutturata. Ciò che possiamo offrire loro è, io credo, la testimonianza. Forse non c’è altro. Gliela diamo sempre: facendo loro vedere che vince chi sa “farsi valere” e “urla più forte”, oppure offrendo ascolto, empatia, nongiudizio. È un altro grande bivio, oggi». E se dovesse presentare Maria di Nazaret a dei ragazzi, che cosa direbbe? «Come figlio (lo siamo stati tutti) mi sentirei di dire che Maria è la madre che tutti avremmo voluto avere. Che tutti dovrebbero avere». Io sono con te si pone all’interno di un filone che vede in Gesù (e in sua madre) una radicale alterità rispetto al giudaismo: dalla sceneggiatura emerge una critica severa nei confronti della “violenza” della circoncisione, ma anche dei sacrifici cruenti al Tempio di Gerusalemme, delle norme sull’impurità, per non parlare della rigida osservanza della Legge. Come risponde a chi vede invece in Gesù di Nazaret, con solidi argomenti, un “ebreo fino in fondo”? «Non penso che le due visioni siano in contraddizione. Che cosa significa essere “ebreo fino in fondo”? Prendiamo ad esempio la duplice anima dell’Antico Testamento, dove troviamo il Dio che fa l’uomo a sua immagine, ma poi gli idolatri li vuole Nadia Khlifi nel ruolo di Maria in Io sono con te. tutti morti. Anche nello stesso Isaia c’è il Dio amorevole come una madre e il Dio degli eserciti che punisce. Gesù è il perfetto ebreo che ha il coraggio e la libertà di andare contro un certo ebraismo, è il Figlio di Dio che viene a rivelare il vero volto di Dio, al quale gli uomini hanno sovrapposto identità e volti distanti dall’autentico progetto divino. Del resto, le religioni contemporanee all’ebraismo facevano di peggio, molto di peggio. Se gli ebrei del tempo di Cristo avevano tutta una serie di problemi, avevano anche a portata di mano la chiave per la soluzione. La liberazione è iniziata da loro». In una conferenza al centro del Santo Volto di Torino lei si è ribellato all’idea che il cristianesimo oggi diventi «mito o favola». Può spiegare? «Avendo avuto la sfortuna di essermi allontanato dal cristianesimo per lunghi anni, so che cosa c’è fuori di esso: viene vissuto come un insieme di credenze irrazionali. Purtroppo penso che ciò sia alimentato da molti cristiani che, assediati dalla modernità, hanno sempre più timore a confrontarsi con essa, rifugiandosi nel misticismo e nello spiritualismo e perdendo di vista l’antropologia. Il rischio è grosso, se non si recupera il discorso sulla “carne”, sulla concretezza e sulla materialità del “IO SONO CON cristianesimo. È stata TE”: IL DVD l’incarnazione a rendere La versione Dvd veramente comprensibile ciò del film Io sono che leggiamo all’inizio della con te (Multimedia Genesi: “a sua immagine Sanpaolo 2011, e somiglianza”; e lo diceva € 9,90) è disponibile Edith Stein: il cristianesimo dal mese di aprile. prima di essere una teologia è un’antropologia, perché parla dell’uomo. Ma se trascuriamo tutto questo, riduciamo il cristianesimo a una religione come tante altre nel supermercato delle fedi». Lei ha fatto riferimento anche al rapporto tra fede e ragione caro a Benedetto XVI. «Penso che l’attuale papa stia facendo qualcosa di veramente interessante e utile, sostenendo la ragionevolezza del cristianesimo. Non a caso ha delineato la necessità di fondare un’antropologia cristiana. E nell’insistere sul valore della ragione ha tutte le... ragioni. Il cristianesimo non a caso si è unito al pensiero greco. È merito del cristianesimo se abbiamo avuto la modernità, l’illuminismo e anche il marxismo. Se il cristianesimo dimentica che è stato lui a generare queste cose, se dimentica la sua ragionevolezza, rischia di smarrire la propria identità, presentandosi come un discorso favolistico nel confronto con la modernità». Ancora una domanda, questa volta al professionista dell’immagine: come si rappresenta il sacro oggi? Lei ha detto che non le basta nemmeno una luce di taglio, o la folata di vento che apre una finestra... «Sì, non hanno la forza di un bambino che nasce. Malgrado tutte le scoperte della scienza, nella nascita rimane un nocciolo di mistero. Io penso che oggi il sacro debba essere rappresentato come facevano i grandi pittori umanisti, che lo cercavano nell’uomo. È la sfida di ieri e di oggi. Il cinema ci ha deluso, illudendosi di poterlo rappresentare con gli effetti speciali. Ma almeno il sacro cristiano è nell’uomo, nel miracolo dell’umano, in un Dio che si è fatto uomo». GIOVANNI GODIO Nel prossimo numero Nel n. 1 settembre-ottobre 2011-2012, la rubrica «Strumenti cinema» sarà dedicata a un’analisi del film Io sono con te (a cura di Fabio Ferrario). INSEGNARE RELIGIONE • Maggio-Giugno 2011 25