CAPITOLO 1: L`ITALIA IN GUERRA

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Paul Ginsborg Storia d'Italia dal
dopoguerra ad oggi
CAPITOLO 1: L’ITALIA IN GUERRA
Politica e guerra
La decisione di Mussolini d’entrare in guerra si dimostrò fatale per il fascismo. Le truppe furono umiliate in
Grecia e in Africa e il consenso al regime si sgretolò in seguito ai bombardamenti alleati, alla mancanza di
cibo, all’inflazione. I primi a manifestare il malcontento furono gli operai dell’industria che scioperando
avanzavano richieste economiche. Il 10 luglio’43 le truppe alleate sbarcarono in Sicilia, il 19 Roma venne
bombardata per la prima volta; il generale Ambrosio cercò di convincere Mussolini a comunicare al Fuhrer il
ritiro dalla guerra ma il duce restò in silenzio. Il re scelse allora d’agire e complottò per le dimissioni del
Duce che fu arrestato all’uscita da Villa Savoia. Il fascismo veniva distrutto da un colpo di stato dall’alto che
preservava il predominio e la libertà d’azione dei tradizionali dirigenti. Manifestazioni popolari
festeggiarono la fine del regime ma furono represse dal re e da Badoglio, determinati a mantenere una
dittatura militare.Il difficile intermezzo dei “quarantacinque giorni” ebbe termine il 3 settembre 1945 con la
firma dell’armistizio segreto tra Italia ed Alleati. Questi stavano organizzando uno sbarco aviotrasportato a
Roma ma, quando il generale Taylor incontrò Badoglio e si rese conto dell’inadeguatezza italiana decise,
con Eisenhower, di sbarcare a Salerno, rendendo pubblico l’armistizio l’8 settembre. La famiglia reale
abbandonò la capitale (senza nemmeno una macchina da scrivere) per raggiungere dapprima Pescara e poi
Brindisi, sotto la protezione alleata. L’esercito si dissolveva, i soldati abbandonavano le caserme scappando
dai tedeschi: più di mezzo milione furono fatti prigionieri e deportati in Germania. L’occupazione nazista del
nord del paese diede inizio alla prima delle 3fasi in cui è suddivisa la guerra partigiana: il rifiuto a
sottomettersi. I tedeschi, riusciti a liberare Mussolini, lo posero alla guida di una repubblica che mantenne il
governo nominale sull’Italia del Nord. Ebbe inizio la resistenza; Guido Quazza divide l’antifascismo in 3
categorie: 1- l’antifascismo tradizionale di coloro che si erano sempre opposti a Mussolini (comunisti) 2l’antifascismo spontaneo dei giovani educati sotto il regime 3- l’antifascismo dei fascisti.
Le Brigate Garibaldi contavano oltre il 70% dei partigiani, seguite dalle brigate Giustizia e Libertà del Partito
d’Azione, composto dai ceti professionali che volevano la Repubblica e nazionalizzare le industrie. I socialisti
(Psiup) non ricoprivano un ruolo notevole, così come Pli e Dc che diedero un contributo irrilevante ai primi
mesi di resistenza. Tutti i partiti antifascisti formarono a Roma, il 9 settembre, il Comitato di liberazione
nazionale e invitarono la popolazione ad unirsi alla resistenza. Le bande partigiane contavano membri
consapevoli dell’importanza storica della loro scelta, altri in fuga dalla chiamata alle armi della repubblica di
Salò, o prigionieri di guerra evasi.
La società italiana nei primi anni ‘40
Due eserciti d’occupazione e tre governi italiani (Salò, Clnai, regno del Sud) chiedevano agli italiani
obbedienza e fedeltà; i cittadini dovettero affrontare scelte morali e politiche decisive.
a) Capitale e lavoro nel Nord, 1943-44. Il cuore dell’Italia industriale era circoscritto al triangolo MilanoTorino-Genova, che patì molto durante la guerra.Le famiglie operaie di Torino avevano una struttura
nucleare, i ragazzi/e iniziavano a lavorare giovani ambendo ad un posto come operaio specializzato.
L’alimentazione era a base di minestrone e polenta, la mobilità sociale scarsa e cresceva un senso di
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solidarietà collettiva; la politica era argomento comune, gli ideali socialisti. Il fascismo penetrò con l’uso
della forza e le famiglie si richiusero in se stesse. A Milano, capitale commerciale e finanziaria, era forte la
presenza di ceti medi, di impiegati. La classe operaia, comunque numerosa, viveva in alloggi fatiscenti e
sovraffollati; (sotto il fascismo i quartieri del centro vennero abbattuti per far spazio ad uffici o
appartamenti lussuosi). A Genova- polo del settore siderurgico, della meccanica e della cantieristicacrebbe, sotto il fascismo, il settore pubblico con l’Iri che controllava l’Ansaldo. Nel 43-44 una vasta
disoccupazione colpiva tutti i settori considerati non essenziali allo sforzo bellico mentre gli operai
dell’industria pesante ritrovavano forza ed unità. Le differenze salariali erano poco significative, il
proletariato meno stratificato (per la cronica mancanza di forza lavoro specializzata impiegata in
Germania). Durante la Resistenza la ferocia delle rappresaglie tedesche incoraggiò diversi settori a
pronunciarsi in favore d’una politica di resistenza limitata nell’attesa della liberazione alleata: questo
attendismo fu combattuto dalla maggioranza del movimento di liberazione e dai comunisti che
continuarono scioperi e interruzioni della produzione. Nel marzo ’44 un’ondata di protesta dilagò per l’Italia
occupata: gli scioperanti, spesso donne ma anche impiegati di basso livello, chiedevano la pace immediata
e la fine della produzione di guerra per la Germania. La maggior parte degli industriali, preoccupati di
perder le commesse tedesche, praticò un intricato doppio gioco tra tedeschi ed alleati.
b) I mezzadri nell’Italia centrale. La mezzadria era il sistema in cui il proprietario metteva il podere e la
famiglia contadina il lavoro, dividendo spese e raccolto.Le famiglie vivevano in case coloniche, il
proprietario dirigeva l’azienda mentre il mezzadro compiva servizi a vantaggio del padrone, assicurandogli
potere. La struttura familiare era multipla e verticale, il capo famiglia comandava in modo autoritario e
patriarcale; la massaia esercitava potere sulla casa ma lavorava assai duramente anche nei campi.Tutte le
famiglie avevano sviluppato un ricco reticolo di aiuti: tipico il caso dell’aiutarella, lo scambio di lavoro tra
famiglie nei momenti cruciali del calendario agricolo. Dal 1880 le condizioni mezzadrili mutarono: diminuì la
sicurezza del possesso, la dimensione dei poderi; si susseguirono scioperi che culminarono dopo la Grande
Guerra.Il fascismo portò pace nelle regioni rurali ma con la nuova guerra contadini in cerca di lavoro
riempirono le città mentre, a partire dall’armistizio, ex soldati, evasi, ebrei, renitenti alla leva invasero le
campagne. Nel ‘43 i partigiani si accordarono coi mezzadri per pagare i prodotti di cui avevano bisogno
dichiarando la requisizione di tutte le derrate disponibili, permettendo ai mezzadri di usare il rimanente.
c) Il Sud agricolo. Nel‘36 il 59% della popolazione attiva lavorava la terra che si divideva tra un “fertile Sud
alberato” coltivato intensivamente a vigne, oliveti, e alberi da frutto, e un “Sud nudo” terra di pascolo e di
coltura estensiva di cereali. Molti contadini erano ridotti in miseria, soffrivano di malaria, privi di occasioni
di svago se non la passeggiata domenicale o il dopolavoro istituito dal regime. Forte era l’attaccamento ai
santi patroni visibile nelle feste, principali momenti di socializzazione. Il “Sud nudo” va distinto in zona
pianeggiante, collina e montagna. La pianura, minacciata da siccità e malaria, era coltivata a cereali d’estate
e tenuta a pascolo d’inverno; i grandi proprietari e i fittavoli controllavano quasi tutta la terra e i contadini,
trovavano impiego giornalmente o settimanalmente. Le zone collinari e montane si caratterizzavano per
piccoli appezzamenti, proprietà medie e latifondi dalle terre scadenti in cui si usavano tecniche agricole
primitive, contratti arretrati. Il livello di vita era bassissimo, le famiglie e gli animali vivevano in un’unica
stanza senza finestre, mentre tra i proprietari predominava l’assenteismo. I contadini avevano una filosofia
in cui si mescolavano fatalismo, solidarietà, sfiducia, religiosità pagana, competizione per il lavoro,
ossequiosità per i padroni. I continui fallimenti dell’autorità statale produssero una fede pubblica minima,
mentre dilagava il fenomeno mafioso che offriva garanzie, protezione e occasioni di mobilità sociale.
Durante il ventennio le masse rurali patirono per la tassazione eccessiva, la caduta dei prezzi agricoli, per il
sistema degli ammassi e per la battaglia del grano ma la situazione peggiorò col ‘43 quando inflazione e
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mercato nero erosero i miseri guadagni. L’arrivo alleato non migliorò la situazione: aumentò l’inflazione, il
rifornimento alimentare fu inefficiente e corrotto, la giustizia sociale lontana. Le condizioni erano disperate:
si moltiplicarono le azioni di protesta che si trasformarono in rivolta aperta, con occupazioni di terre.
d) Napoli. Napoli era la più grande città del Sud e contava un largo strato di famiglie immiserite, di poveri,
disoccupati o sottoccupati. Le famiglie vivevano nei bassi, abitazioni a pianterreno o nei seminterrati, senza
finestre; le donne fabbricavano guanti e stringhe mentre gli uomini si dedicavano alle professioni più
disparate. Quando, nel settembre ’43, i tedeschi occuparono la città avviando massicci rastrellamenti,
questa esplose in una rivolta che pose fine all’occupazione. L’arrivo alleato fu devastante: si diffusero tifo,
malattie veneree, degradazione e malessere.
CAPITOLO 2: RESISTENZA E LIBERAZIONE
Gli alleati
Dall’estate del‘43 gli Alleati, e gli inglesi in particolare, rivendicarono per sé l’Italia: il controllo del
Mediterraneo era un obiettivo strategico tradizionalmente inglese e gli americani accondiscesero al loro
desiderio; i russi furono esclusi in virtù dell’accordo che prevedeva la presenza alleata in occidente e quella
russa in Oriente. La principale preoccupazione per Churchill era difendere la proprietà dalla minaccia
comunista; egli voleva che il re restasse al suo posto, non era interessato a sradicare il fascismo e dava poca
importanza all’antifascismo. Churchill riteneva che spettasse agli italiani guadagnarsi il “biglietto di ritorno”
nel consesso delle nazioni civili e che non spettasse agli inglesi aiutarli: furono rigettati i piani americani di
sostegno alla ricostruzione industriale e fu presentata la richiesta di prolungare la tutela britannica
sull’Italia fino a quando la popolazione non avesse imparato a comportarsi in modo democratico. I limiti di
questa politica furono evidenziati dal diverso atteggiamento americano: per gli Usa il re e Badoglio non
erano i soli rappresentanti del popolo italiano, gli antifascisti meritavano considerazione e la crescita
comunista era da imputarsi alle disperate condizioni di vita. Dal settembre‘44, l’amministrazione americana
prese provvedimenti unilaterali: aprì una linea di credito, organizzò lo smistamento degli aiuti, cercò di
migliorare l’approvvigionamento alimentare.Se gli inglesi proclamavano la loro intenzione di prevenire
epidemie e disordini gli americani s’impegnavano a creare stabilità e prosperità. I partigiani erano una
minaccia all’egemonia conservatrice che i britannici intendevano esercitare sull’intero processo di
liberalizzazione; gli inglesi cercarono di minimizzare il ruolo politico partigiano e di non consentire iniziative
non controllabili.
I comunisti
Nel marzo ‘44 Togliatti tornò da Mosca e delineò la strategia che voleva adottata dal partito: sospendere
l’ostilità verso la corona e convincere le forze antifasciste a entrare nel governo monarchico a sud di
Salerno. Si trattava di lottare per la “democrazia progressiva”, una forma di stato che consentisse alle
masse di partecipare alla vita e alla gestione del paese in un modo più attivo e diretto rispetto alle
democrazie parlamentari. La strategia di Togliatti era in linea con le posizioni del Comintern e con le
necessità dell’esercito russo che aspettava l’apertura di un secondo fronte in Francia; ma le proposte erano
anche fortemente inserite nel contesto nazionale: la rivoluzione sociale era da escludere con fermezza data
la presenza alleata, era necessario del tempo per ristabilire prestigio e valore del partito dopo anni d’azione
clandestina. Togliatti, leggendo i quaderni di Gramsci, aveva acquisito la tesi secondo cui i paesi occidentali
necessitavano di una strategia diversa da quella bolscevica; i comunisti occidentali dovevano perseguire
una lunga guerra di posizione nella società civile con cui la classe operaia avrebbe imposto la sua egemonia.
Togliatti calcò la mano sulla necessità di stringere alleanze sociali e soprattutto politiche, enfatizzò la
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necessità di trasformare il partito in un partito di massa, imponendo però una struttura gerarchica e poco
democratica. L’insistenza sull’unità politica si dimostrò di incalcolabile aiuto alla lotta partigiana e pose fine
all’isolatezza del Cln. La sua strategia assicurò la legalità al Pci che concentrato sulla strategia dei due tempiprima la liberazione poi la definizione di un assetto post-bellico- disperse il potenziale di forza della
Resistenza e delle agitazioni operaie e contadine. Il risultato fu che i comunisti furono spiazzati dalle azioni
alleate e dalle forze conservatrici italiane.
La Democrazia cristiana
Il ruolo della Dc nel periodo ‘43-45 fu secondario; la Dc venne fondata a Milano nel ‘42 con un programma
basato sul richiamo di quei valori cristiani che potevano riconciliare l’antagonismo umano; la fratellanza, la
difesa e l’incoraggiamento della piccola proprietà contadina e del piccolo commercio, la partecipazione
degli operai alle aziende, la riforma del latifondo erano, almeno sulla carta, punti del programma. De
Gasperi, segretario del partito Popolare e ora guida della Dc, vide i vantaggi e la necessità di una
cooperazione con i comunisti, cooperazione che continuò sempre a considerare innaturale e forzata. La
forza della Dc derivava dall’appoggio del Vaticano: a partire dal ’43 Pio XII abbandonò il suo contegno nei
confronti della politica e cominciò a riflettere sulle relazioni tra stato e Chiesa e sulla necessità di
salvaguardare i Patti Lateranensi. Altro contributo alla Dc venne dalle numerose organizzazioni
fiancheggiatrici: Coldiretti e Acli tra le maggiori. Questi anni costituirono un’occasione irripetibile per un
cambiamento: il vecchio ordine era stato scosso, i ceti più poveri chiedevano la fine allo sfruttamento e che
si riformasse l’intero sistema agrario, gli operai avanzavano rivendicazioni sociali ed economiche; si voleva
liberare il paese ma soprattutto si voleva trasformarlo.Questo desiderio rimase largamente inascoltato: gli
inglesi non erano interessati a riformare ma a restaurare, così come lo erano il re e Badoglio, i partiti di
sinistra, troppo impegnati a perseguire l’obiettivo dell’unità politica, scelsero di giocare d’attesa.
I partiti e la politica nell’estate 1944
Il 22 aprile ‘44 i rappresentanti del Cnl entrarono nel governo Badoglio, giurarono fedeltà al re che di lì a
poco si sarebbe ritirato in favore del figlio Umberto. Il 4 giugno gli Alleati entrarono a Roma e il Cnl, con
un’azione indipendente che fece infuriare Churchill, costrinse Umberto a sostituire Badoglio con Bonomi.
Quest’ultimo riuscì a rimettere in piedi l’estesa e ingombrante amministrazione centrale senza, però,
epurarne il personale; a sinistra solo il Pci godeva di forza e prestigio: né il Partito socialista né il Partito
d’Azione riuscivano a rappresentare un’alternativa credibile; gran parte dei socialisti era favorevole ad
unificarsi col Pci, rappresentante della Russia comunista, mentre il partito d’Azione era forte nella
Resistenza armata ma debole nella società.
La crescita della resistenza e la crisi invernale del 1944
Nell’estate’44 il numero di donne e uomini che erano entrati nella Resistenza aveva raggiunto,
approssimativamente, quello di 82000.In alcune zone i partigiani istaurarono delle repubbliche: quella della
Carnia nel nord-est, di Montefiorino negli Appennini, quella dell’Ossola nell’estremo nord; i partigiani
toscani ebbero un ruolo di primo piano nella liberazione di Firenze ponendo tutta la parte nord della città
sotto il loro controllo; si trattò dell’iniziativa più indipendente che la Resistenza avesse preso fino a quel
momento e nacquero scontri con gli alleati che negarono poteri non consultivi ai partigiani e imposero alla
città un prefetto. Dietro la linea gotica, sulla quale si erano assestati i tedeschi, la lotta partigiana
continuava con animosità nonostante la repressione nazista; alla fine d’agosto gli Alleati lanciarono un
offensiva ma si arenarono nel fango della Romagna; a metà ottobre una controffensiva tedesca fece cadere
tutte le repubbliche partigiane e il generale Alexander, consigliando ai partigiani di nascondersi, annunciò di
non attendere nuove controffensive alleate fino alla primavera.Nel novembre ’44 una delegazione del Clnai
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strinse con gli alleati un patto- i protocolli di Roma- con cui gli Alleati si impegnavano a garantire alla
Resistenza un sussidio di 160 milioni di lire al mese e la massima assistenza, in cambio, a liberazione
avvenuta, dell’obbedienza partigiana al comandante in capo alleato.Gli inglesi erano soddisfatti, la
Resistenza registrò una sconfitta. I negoziati coincisero con una crisi di governo che divise ulteriormente la
sinistra: Bonomi si dimise con l’intenzione di tornare al governo rafforzando gli elementi moderati, ma
consegnò le sue dimissioni al re e non al Cln. Questo comportamento irritò i socialisti e il partito d’Azione
che non presero parte al secondo governo. Mentre Bonomi non riconosceva il Clnai come governo del Nord
ma solo come organo dei partiti antifascisti nei territori occupati dal nemico, il Partito d’Azione formulò un
nuovo programma per prevenire il completo disarmo politico della Resistenza che prevedeva il
rafforzamento dei Cln e la costituzione del Clnai come governo clandestino al Nord. Comunisti e socialisti si
opposero e la proposta cadde.
La situazione del Sud, 1944-45
Al sud monarchici e liberali godevano di un forte appoggio, così come i separatisti in Sicilia, ma la scena
politica veniva dominata in misura crescente dalla Dc. I principali aspetti del Regno del Sud continuarono ad
essere miseria e repressione, ingiustizia e sofferenza. Dal luglio ‘44 il nuovo ministro dell’agricoltura cercò
di spezzare l’equilibrio nei rapporti di classe meridionali; la legislazione Gullo prevedeva la riforma dei patti
agrari in modo da garantire ai contadini almeno il 50% della produzione, il permesso d’occupare i terreni
incolti o mal coltivati, indennità per incoraggiare a consegnare i prodotti ai magazzini statali, proibizione di
ogni intermediario. Lo scopo di Gullo era quello d’incoraggiare i contadini a intrecciare strategie familiari e
azione collettiva per superare fatalismo e isolamento. Mentre Gullo agiva con decreti legge Di Vittorio,
dirigente della Cgil promuoveva una solerte strategia sindacale a favore dei braccianti, basata
sull’imponibile di manodopera, un contratto che obbligava ad assumere braccianti in modo proporzionale
alla proprietà, e il collocamento che cercava di regolare reclutamento dei disoccupati. La mobilitazione che
scaturì dai provvedimenti Gullo e Di Vittorio fu la più ampia che si fosse mai vista nelle zone meridionali ma
si scontrò con una dura opposizione dei proprietari terrieri, pronti a combattere con ogni mezzo, e con la
subordinazione dei comitati comunisti locali alla volontà nazionale del partito sempre attenta a preservare
il compromesso politico.
L’insurrezione nazionale del Nord, aprile 1945
Le condizioni di vita nelle città del Nord peggiorano lungo l’inverno 44-45: mancava il combustibile per il
riscaldamento, i negozi erano privi di merci, eccetto caldarroste e formaggio Roma, il mercato nero
prosperava a prezzi proibitivi, nelle fabbriche si lavorava con il timore che uomini e macchine venissero
trasferiti in Germania.Le agitazioni operaie, benché fossero ininterrotte e danneggiassero la produzione
bellica, non raggiunsero mai il livello del marzo 44.Come giunse la primavera del’45 fu chiaro che il
movimento partigiano era sopravvissuto, decimato ma intatto, ai terribili mesi invernali; il numero dei
partigiani crebbe destando preoccupazione tra le fila alleate che vedevano la possibilità di un’effettiva
liberazione, e pretendevano per sé soli il diritto d’accettare la resa tedesca. I partigiani rifiutavano di
accettare un ruolo secondario nella liberazione. Il 1aprile 45 gli Alleati sferrarono l’ultima offensiva contro
le linee tedesche, la resistenza fu tenace e, tra il 24 e il 26 aprile, Genova, Milano e Torino insorsero contro i
nazifascisti che avevano progettato di ritirarsi dal triangolo industriale il più velocemente possibile,
sabotando e distruggendo. A Genova il Cnl decise di anticipare la data dell’insurrezione, senza aspettare
l’arrivo partigiano; la mattina del 24 aprile i tedeschi si trovarono circondati, costretti ad arrendersi senza
condizioni. A Torino l’intervento partigiano, programmato per il 26 aprile non ebbe luogo per un
ripensamento e la popolazione si trovò sola a sostenere l’urto della battaglia; questa infuriò il 26 attorno
alle fabbriche occupate, gli operai resistettero con determinazione concentrando i tedeschi nel cuore della
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città.La gran massa di partigiani arrivò il 28 aprile e ai tedeschi non restò che arrendersi agli Alleati, il 3
maggio. A Milano la sera del 24 aprile la Terza Brigata Garibaldi prese d’assalto le caserme fasciste mentre
gli insorti si impadronivano gradualmente della città, che fu liberata il 26. All’inizio dell’insurrezione
Mussolini si trovava in città; fuggì verso la Svizzera quando il Cnl si pronunciò per la resa incondizionata ma,
camuffato da soldato tedesco, fu riconosciuto e catturato a Dongo il l 27 aprile. Entro il 1 maggio l’Italia
settentrionale era stata liberata; la gioia per la liberazione lasciò presto il passo, negli ambienti capitalistici,
alla paura di un’imminente rivoluzione sociale. Anche gli Alleati erano preoccupati ma non ebbero difficoltà
a portare a termine il piano stabilito con gli Accordi di Roma: i comunisti non erano pronti a rischiare uno
scontro anche perché questo avrebbe danneggiato la Russia. Ci si preoccupò che le condizioni economiche
non spingessero la classe operaia a protestare: venne posto il veto a qualsiasi licenziamento e si insistette
per il pagamento di regolari salari.
CAPITOLO 3: L’ASSETTO POST BELLICO, 1945-48
Nel giugno ‘45 Parri, capo della Resistenza, divenne presidente del consiglio; sembrò che la Resistenza fosse
giunta al potere ma, nei 3anni successivi, gli ideali partigiani non furono realizzati.
Il fronte capitalista
La classe imprenditoriale uscì dalla guerra con la preoccupazione che solo una prolungata permanenza
alleata potesse evitare la rivoluzione sociale; molto presto però riperse fiducia in se stessa concentrandosi
sulla riorganizzazione produttiva. Tre erano i settori dominanti: idroelettrico, tessile ed
alimentare.Attraverso la Confindustria gli imprenditori presentavano i loro obiettivi con una coesione
compatta, superando le divisioni tra conservatori e progressisti; essi pretendevano per l’imprenditore la più
competa libertà di controllo sull’impresa, che la classe capitalistica non venisse condizionata da una
pianificazione statale, rivendicavano il diritto di licenziare a proprio piacimento e chiedevano di limitare il
potere sindacale.La maggior parte degli industriali si rivolse, inizialmente, al Partito liberale, come
tradizionale rappresentante dei propri interessi ma quando questo fallì nel comprendere la necessità di un
partito di massa e di una propaganda politica si spostarono verso la Dc. La propaganda Dc era rivolta alla
classe media: artigiani, commessi, impiegati, funzionari statali disorientati dall’improvvisa caduta dei valori
fascisti. La Dc riaffermava la morale cattolica, salvaguardava la proprietà, rispettava l’iniziativa individuale e
si appellava ai valori familiari, assistendo- unitamente alla Chiesa- le famiglie provate dalla guerra. Il
programma di De Gasperi fu contestato: il Vaticano voleva un partito più esplicitamente di destra mentre la
sinistra del partito lo immaginava più evangelico, riformista e anticapitalista. La strategia di De Gasperi fu
aiutata dal declino inglese nel Mediterraneo e dall’elaborazione del piano Marshall, con lo scopo di aiutare
l’Europa nella ricostruzione e creare un mercato capitalistico, in cui l’economia americana potesse
prosperare.
Il movimento operaio
Nel corso della guerra le condizioni di vita della classe operaia erano peggiorate: molti erano rimasti senza
casa nelle città bombardate, l’inflazione aveva eroso i salari.Quando ex internati, ex combattenti e
prigionieri cominciarono a tornare a casa si scontrarono con le donne che durante il conflitto avevano
lavorato e ora volevano continuare.Nel Nord crebbero le richieste di sbarazzarsi di capireparto o
amministratori indesiderabili, e gli appelli politici su base di classe ebbero seguito; al Centro e al Sud,
invece, gli operai erano convinti che il socialismo sarebbe arrivato dall’esterno, dall’oriente. In ogni caso è
possibile rintracciare due fattori dominanti nella coscienza della classe operaia: 1- il desiderio di
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ricostruzione e 2- l’attesa di profonde riforme economiche e sociali. Il desiderio di un cambiamento nei
rapporti di forza tra capitale e lavoro era una speranza largamente condivisa, e il Pci sembrava rispondere
perfettamente a questa volontà. Purtroppo la priorità accordata da Togliatti alle intese tra partiti fece della
moderazione e dell’elettoralismo i punti cardine dell’azione comunista, lasciando inutilizzata l’arma più
potente a disposizione: l’attivismo operaio.Il Pci faticò nell’attrarre i ceti medi della società mentre un
dilemma insolubile attanagliava le forze del partito: annacquare il contenuto socialista del programma per
attirare il consenso elettorale o rifiutare ogni compromesso rischiando l’isolamento? Si registrò però una
straordinaria crescita del partito, anche grazie alle organizzazioni collaterali come l’Udi (unione donne
italiane) con cui si contrastò l’attivismo Dc sulla famiglia, proponendone un modello socialista dalla morale
rigida, con molti bambini, attenta ai diritti delle donne e alla cooperazione. Per i comunisti era difficile
presentarsi come campioni della famiglia data la favorevole visione del divorzio e la tesi di Marx e Engels
sull’abolizione del nucleo famigliare. I socialisti di Nenni, in questo periodo, non furono mai capaci di
stabilire una loro autonomia politica; vi era certamente una discussione molto più aperta e libera nel Psiup
che non nel Pci ma il dibattito era così serrato da limitare l’attenzione per tutto ciò che accadeva nel mondo
circostante. Il solo altro strumento del movimento operaio era il sindacato. La Cgil pose, nel gennaio ’45,
una serie di rivendicazioni radicali come la partecipazione operai alla gestione o la nazionalizzazione delle
principali industrie ma dato che le decisioni venivano prese di comune accordo tra comunisti, socialisti e
democristiani venne a mancare la necessaria autonomia dei partiti politici.
Parri e De Gasperi, giugno 1945-maggio 1946
a) Politica e istituzioni. Il governo Parri durò dal giugno al novembre 1945; Parri si lasciava sopraffare dalla
routine e dall’ andirivieni di delegazioni partigiane, mentre il Partito d’Azione era paralizzato dalle divisioni
e dalla carenza di quadri. Nel governo la sinistra aveva la maggioranza ma non ne fece alcun uso positivo:
De Gasperi avvertì questa disponibilità e strappò importanti concessioni, rinviando la data delle elezioni. I
Cnl divennero organismi puramente consultivi.Nel novembre ‘45 i liberali annunciarono il loro ritiro dal
governo, seguiti da De Gasperi. Parri fu costretto dimettersi e il 10 dicembre De Gasperi divenne presidente
del Consiglio ostinandosi affinché la questione istituzionale fosse decisa da un referendum.De Gasperi
voleva nascondere la divisione esistente tra l’elettorato Dc, prevalentemente monarchico, e i quadri del
partito, repubblicani. Circa la questione dei poteri da conferire all’Assemblea il democristiano si batté
affinché le decisioni venissero prese dal consiglio dei Ministri e la sinistra lasciò correre.La struttura statale
ereditata dal fascismo andava consolidandosi, l’amministrazione centrale non fu rinnovata, ci si limitò ad
una infruttuosa epurazione. L’unica effettiva epurazione fu quella contro i partigiani e gli antifascisti, entrati
nell’amministrazione statale subito dopo l’insurrezione nazionale.
b) Problemi economici e sociali. Il primo anno dopo la guerra registrò stabilità dei prezzi e un basso livello di
produzione.Mentre gli imprenditori avevano una strategia economica coerente, la sinistra suppliva la
mancanza di preparazione con dogmi desunti dagli economisti sovietici che la resero subordinata al
liberismo imprenditoriale. Se si esclude il tentativo di garantire la continuità del programma d’aiuti
alimentari, nessuna delle altre improrogabili necessità stimolò i ministri ad elaborare una qualche forma
d’intervento pianificato. Al contrario si assistette ad un processo privato di ricostruzione; le industrie tessili,
forti della crescita dell’esportazione, pretesero piena libertà d’usare valuta straniera senza controllo
ottenendo un cambio di 225 lire per dollaro e la possibilità di vendere il 50%della valuta guadagnata.Non
mantenendo un rigido controllo sul mercato dei cambi il governo incoraggiò la speculazione ma si impegnò
a colpire il processo inflattivo, limitando il denaro in circolazione con una tassa sulla ricchezza e sostituendo
100 lire vecchie con una lira nuova. Tutto finì nel nulla. La classe padronale acquisì posizioni quando, nel
gennaio ’46 la Cgil acconsentì ad una parziale rimozione del divieto di licenziare: il numero dei disoccupati
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crebbe da 750 000 a oltre un milione.Gli imprenditori raggiunsero poi un altro obiettivo: la stipula di accordi
salariali a livello nazionale che escludeva la possibilità di agitazioni locali; per la Cgil era necessario
accordare un minimo salariale su scala nazionale, scongiurando la possibilità che accordi locali
accentuassero le differenze tra Nord e Sud. Fu aumentato il periodo di vacanza, introdotte la tredicesima e
la scala mobile, un sistema d’adeguamento dei salari ai prezzi. I sindacati di fabbrica perirono rapidamente,
così come i consigli di gestione, organi di pianificazione e cooperazione tra direzione e maestranze,
eliminati dalla Confindustria.
La Repubblica e la fine della grande coalizione, giugno 1946-maggio 1947
a) Le prime elezioni e la Costituzione.Il 2 giugno ’46 gli italiani scelsero tra monarchia e repubblica, e
elessero un’Assemblea Costituente. Vittorio Emanuele, in un ultimo tentativo per salvare la dinastia, aveva
abdicato in favore del figlio Umberto ma con il 54,2% dei voti l’Italia divenne una repubblica. Mentre il
centro e il Nord votarono per la repubblica il Sud, convinto che monarchia significasse lavoro, sussidi e
assistenza, votò per il re. Umberto chiese tempo affermando che le preferenze per la repubblica non
costituivano la maggioranza degli aventi diritto ma, di fronte all’evidenza, il 13 giugno esiliò. De Nicola
venne eletto capo provvisorio dello stato. L’elezione della Costituente vide emergere la Dc come partito più
forte, seguita da socialisti e comunisti. Gli azionisti ottennero un insignificante 1,5%, i repubblicani il 4,4%; il
fronte dell’Uomo Qualunque ottenne 30 deputati. La costituzione istituì un regime parlamentare
bicamerale. Nonostante alcune parti del testo fossero molto avanzate la loro efficacia fu vanificata dalla
Corte di Cassazione che distinse tra norme d’immediata attuazione e norme programmatiche, da realizzarsi
in futuro.Il lavoro dell’Assemblea fu segnato da 2battaglie cruciali per le libertà civili: il rapporto tra Stato e
chiesa che vide inserire, senza ritocchi, il Concordato nella Costituzione e il non inserimento d’un accenno
all’indissolubilità del matrimonio.
b) La politica e i partiti. Il 12 luglio’46 de Gasperi formò il suo secondo governo senza azionisti e liberali
mentre la sinistra riduceva i ministri. Per la forte inflazione i democristiani, incolpati dall’elettorato,
entrarono in crisi perdendo consensi. Le pressioni per una rottura con i comunisti e i socialisti crescevano
ma De Gasperi respinse i tentativi di rottura prematura. La sinistra rimase in un sostanziale immobilismo,
preoccupata di mantenere l’alleanza con la Dc e la partecipazione al governo. I comunisti avevano poi
un’altra croce, quella di Trieste: nel ’45 gli jugoslavi comunisti, appoggiati da Stalin, occuparono la Venezia
Giulia sottomettendo la popolazione ma furono costretti a ritirarsi sotto minaccia alleata. I comunisti
italiani scelsero deliberatamente di celare la natura dell’occupazione esponendosi agli attacchi
conservatori.Nel contempo i socialisti non riuscivano a trovare armonia con Saragat che fondava un nuovo
partito socialdemocratico (Psdi); la scissione subordinò il Psiup al Pci e condannò il Psdi ad un futuro sterile,
all’ombra della Dc.
c) Lotte sociali. I conflitti aumentarono nel ‘46 con una rivolta degli ex partigiani che chiedevano la revoca
dell’amnistia, la messa al bando dell’Uomo Qualunque, la fine dei licenziamenti e la creazione di nuovi posti
di lavoro. In ottobre edili romani, minacciati di licenziamento, invasero la sede della presidenza del consiglio
scontrandosi con la polizia; le agitazioni contadine raggiunsero il culmine nell’autunno, per assicurare
l’attuazione dei decreti Gullo, ma registrarono una sconfitta poiché liberali e democristiani imposero
modifiche essenziali ai decreti, fino ad infossarli. Nell’Italia centrale i mezzadri ingaggiarono una battaglia
senza precedenti per modificare i rapporti tra proprietari e contadini. L’organizzazione della protesta e la
spiegazione politica vedevano la famiglia ascoltare e partecipare.Nacquero i consigli di fattoria che
puntavano a sorvegliare i centri nevralgici delle proprietà.Le armi in uso erano la forza del numero,
l’intimidazione e la discussione: si cercava di convincere i padroni a consegnare il 60% del grano trebbiato
alla famiglia mezzadrile. Nel 1946 De Gasperi suggerì che i proprietari contribuissero per il 24% del reddito
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di un anno per riparare i danni di guerra ma che restasse la divisione del prodotto a metà e che venissero
eliminati i consigli. Le lotte dei mezzadri si conclusero così con un fallimento parziale ma innescavano una
tradizione di azione e cooperazione collettiva.
d) La cacciata delle sinistre. De Gasperi voleva le sinistre fuori dal governo e il 31 gennaio 47 rimpastò il
governo riducendo la presenza delle sinistra; l’impopolarità della Dc cresceva a causa dell’inflazione e della
firma del trattato di pace che vedeva l’Italia perdere tutte le colonie e pagare massicce riparazioni; la
maggior parte della penisola istriana passò alla Jugoslavia e Trieste divenne territorio libero sotto controllo
internazionale. De Gasperi non aveva altra scelta che muoversi in fretta, era giunto il momento della
rottura: il 13 maggio si dimise e l’incarico di primo ministro fu affidato a Nitti, che non riuscendo a creare
una maggioranza attorno alla sua candidatura, cedette il testimone a De Gasperi che annunciò la
formazione di un governo di centro, confidando nell’appoggio di tutti i partiti di destra.
Il confronto, giugno 1947-aprile 1948
a) La politica economica di Einaudi. Einaudi intervenne con decisone nell’economia per controllare
l’inflazione, ridusse drasticamente la quantità di moneta in circolazione riuscendo a controllare la grave crisi
dei cambi. Se la restrizione del credito colpì la piccola e media industria, provocando un declino degli
investimenti e licenziamenti, le classi medie urbane videro un tentativo di salvaguardare il loro livello di
vita.
b) Il Partito comunista. Alla riunione del Cominform il partito comunista italiano e quello francese vennero
pesantemente attaccati per essere stati troppo concilianti con i partiti borghesi e troppo desiderosi di
restare al governo a costo di compromettere gli interessi operai.Il periodo delle alleanze antifasciste era
finito, era cominciato quello della guerra fredda. Togliatti accolse in maniera riluttante queste istruzioni ma
quando, in autunno prese piede una nuova ondata di proteste, gli attivisti comunisti vi si posero a
capo.Esaurite le agitazioni Togliatti incanalò gli sforzi del partito in una dimensione elettoralistica,
accordandosi coi socialisti per partecipare alle elezioni unitamente come Fronte Democratico Popolare.
c) Le elezioni del 1948. I primi mesi del ’48 furono interamente dedicati alla campagna elettorale. Gli
americani misero pienamente in funzione il piano Marshall ammonendo che nel caso di una vittoria
comunista tutti gli aiuti all’Italia sarebbero stati sospesi; Usa, Inghilterra e Francia promisero che Trieste
sarebbe stata riconsegnata all’Italia e la comunità italo-americana utilizzò ogni mezzo per far propaganda
alla Dc. Di fronte a tutto ciò sovietici avevano assai poco da offrire come contro partita. Sul fronte internoi
la Dc si giovava dell’appoggio della Chiesa, impostando una campagna elettorale attenta ai ceti medi e alle
classi più poveri. Per quanto riguarda il Fronte Popolare, ai suoi raduni partecipavano masse imponenti ed
entusiaste ma il contenuto del programma era vago, poco preoccupato della realtà economica. Le elezioni
segnarono la vittoria democristiana che superò le più azzardate previsioni con il 48.5% dei voti. Il Fronte
Popolare arrivò al 31% e consolidò le sue posizioni al Sud mentre al Nord registrò perdite secche.
Poscritto
Il 14 luglio ’48 Togliatti subì un agguato e fu ferito seriamente. Le piazze si riempirono di una folla adirata
che interpretava l’attentato come un inizio d’attacco alla sinistra. Fu questo l’ultimo momento
insurrezionale del dopo guerra ma assunse grande forza e portata: i dirigenti comunisti intervenirono
rapidamente per evitare quello che ritenevano essere un tragico errore, lo scoppio della rivoluzione
socialista. Il 18 luglio De Gasperi ripartì all’offensiva con una dura repressione che mise fine al sogno
partigiano, iniziato con il ‘43.
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CAPITOLO 4: LA RIFORMA AGRARIA
Le riforme rimasero un momento fondamentale del dibattito politico: se comunisti e socialisti
sottolineavano la necessità d’attuare trasformazioni per accrescere potere e organizzazione delle forze
anticapitaliste e i seguaci di Dossetti, nelle Dc, valutavano positivamente le grandi riforme introdotte dal
governo laburista inglese, la maggioranza della Dc restava sospettosa.
Agitazioni contadine e risposta governativa
a) Il movimento contadino dai decreti Gullo alla strage di Melissa. Il nuovo ministro democristiano
dell’agricoltura, Segni, svuotò in parte la legislazione Gullo con due decreti che conferivano ai proprietari il
diritto di reclamare la terra se i contadini avessero violato le condizioni alle quali era stata concessa. Il solo
grande passo avanti fu l’impegno estensivo del DDT nella disinfestazione di aree malariche in Sardegna,
Maremma e Sicilia. Nel 1949 il movimento contadino riprese l’offensiva, continuando a rivendicare il diritto
alla terra. La maggior parte dei manifestanti e i dirigenti del movimento appartenevano al Partito
comunista, le cui sezioni, al Sud, erano dominate dai contadini più poveri. Togliatti non voleva che le
agitazioni costituissero un pretesto per spingere la Dc a nuovi provvedimenti anticomunisti su scala
nazionale, e si scontrò coi militanti meridionali del partito che non volevano placare le agitazioni.
Nell’ottobre 49 i contadini calabresi marciarono sui latifondi, segnando i confini della terra, dividendola. Un
gruppo di parlamentari della Dc richiese l’intervento della polizia: i reparti della Celere si mobilitarono. Uno
di essi arrivò a Melissa, il 28 ottobre, compiendo una strage. Sull’onda di Melissa il movimento si diffuse
ben oltre la Calabria, con occupazioni protratte in cui le donne proteggevano gli uomini dai carabinieri. La
cultura politica che si diffuse fu quella dell’uguaglianza che unificava le famiglie, le persuadeva a mettere in
comune le risorse, si appellava alla generosità e al sacrificio. In realtà all’occupazione di terre seguirono
contrasti per la coltivazione collettiva: coltivatori diretti e contadini poveri riuscivano a raggiungere
un’unità d’azione solo difficilmente. La Basilicata, gli Abruzzi e la Sicilia furono le zone a seguire, con
maggior forze, l’esempio calabrese applicando lo “sciopero alla rovescia”, una protesta basata sulla messa
in atto di lavori di miglioria. Se fu il Sud l’area di più acuto fermento nell’inverno 49-50, anche i braccianti
del Nord si impegnarono con grandi scioperi.
b) La Dc e la riforma. La Dc si trovò di fronte ad una situazione allarmante e inaspettata per la quale,
almeno inizialmente, fece poco; i magnati meridionali erano ben rappresentati nel gruppo parlamentare
democristiano e non avevano alcuna intenzione di permettere che venissero violati i loro diritti di proprietà.
Dopo Melissa, comunque, i dirigenti Dc non poterono rinviare più a lungo. Gli industriali e i dossetani
appoggiavano con forza la riforma, così come gli americani, favorevoli ad un’azione immediata nel
meridione. De Gasperi decise di formare un nuovo governo, senza i liberali, la cui opposizione alla riforma
agraria era ben nota: la strada alla riforma era libera. In realtà furono adottati una serie di provvedimenti
legislativi, misure temporanee mai convertite in riforme reali. A metà estate Segni presentò la bozza della
legge stralcio, duramente combattuta dai baroni meridionali, ma approvata in parlamento il 28 luglio 1950.
Contenuti e risultati della riforma
a) Uno sguardo d’assieme.Il provvedimento più importante delle tre leggi di riforma agraria- quella
calabrese, quella siciliana e la legge stralcio- fu l’espropriazione di una parte dei latifondi e la relativa
redistribuzione ai contadini. Furono creati due tipi di proprietà: il podere e la quota, concepita come
un’aggiunta alle piccole proprietà dei contadini poveri. Tutti dovevano pagare un piccolo affitto per
trent’anni, dopo di che la terra sarebbe diventata di proprietà. Erano i provvedimenti legislativi stessi ad
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assicurare che quasi tutta la terra espropriata fosse scadente (permettendo l’esproprio di terreni su cui non
fosse mai stata realizzata miglioria) e, cosa peggiore, tutta la terra confiscata fu insufficiente a soddisfare i
bisogni dei contadini.La riforma favorì indirettamente un aumento del prezzo della terra: i principali
proprietari, temendo nuovi espropri, gettarono sul mercato una gran quantità di terra favorendo
l’impennata dei prezzi. Gli enti di riforma furono, fin dall’inizio, solide nicchie di potere democristiano che
non comprendevano alcun rappresentante contadino e discriminavano chi aveva diretto le occupazioni o i
militanti comunisti.
b) Il caso calabrese. L’area sottoposta alla legge Sila comprendeva solo la parte orientale della regione, una
zona montana, boscosa e sfruttabile come pascolo per ovini; la campagna che dalla montagna scendeva
fino al mare godeva di un clima meno severo della zona montagnosa ma soffriva di una cronica mancanza
d’acqua: era il territorio del latifondo per eccellenza. I poderi all’interno della regione non davano alcuna
possibilità di profitto, ma furono creati per smorzare la tensione sociale e dividere il movimento contadino.
L’ente di riforma concentrò la sua azione sulle fertili pianure costiere dissodando terreni e costruendo
strade e case, senza però compiere lavori d’irrigazione.Per i primi 7 anni della riforma un generoso sistema
di credito agevolato funzionò ma i contadini, considerando i servizi dell’ente una sorta d’assistenza gratuita,
non rimborsarono i prestiti che divennero più duri.
c) Le altre aree di riforma. Ci furono aree di riforma che raggiunsero risultati migliori e altre che si
comportarono anche peggio; in Maremma un risoluto ente di riforma creò poderi con estensione media di
16 ettari e incoraggiò l’allevamento del bestiame. In Sicilia la corruzione dilagò e occupazioni di terre
continuarono anche negli anni’50.in generale le caratteristiche comuni della riforma furono il tentativo di
spostare i contadini in case coloniche isolate, una burocrazia troppo potente ed eccessiva, un
atteggiamento non democratico ma autoritario nei confronti dei contadini.
Conclusioni
La riforma agraria fu senza dubbio il primo serio tentativo nella storia dello stato unitario di modificare i
rapporti di proprietà in favore dei contadini poveri, ma si rivelò comunque limitata e malamente attuata.
Coloro che ottennero una piccola proprietà si accorsero che non vi era modo di renderla autosufficiente. I
problemi cruciali della riforma dei patti agrari, di un piano nazionale di bonifica, di migliori salari e
condizioni di lavoro non vennero né affrontati né risolti. L’approvazione della legge Fanfani che concedeva
alle organizzazioni dei lavoratori poteri solamente consultivi nelle assunzioni spostò nuovamente i rapporti
di forza a favore dei grandi proprietari. La riforma spezzò soprattutto quei tentativi d’aggregazione e
cooperazione che erano stati i motivi ispiratori delle agitazioni contadine del 1944-50.Nel dicembre 51 i
notabili meridionali avevano sollevato una solenne e pubblica protesta contro il comportamento della Dc
rivolgendosi ai partiti di estrema destra; la Dc doveva così costruire nel Sud agricolo un nuovo sistema
d’alleanze sociali basato sul controllo dello Stato. Inoltre, in risposta al tentativo comunista di unificare i
contadini attorno ad un programma di cooperazione ed egualitarismo, la Coldiretti creò un associazionismo
cattolico che esalava le famiglie contadine individualmente intese e le loro proprietà, garantendo allo
stesso tempo la protezione dello Stato. Nel 1950, il governo istituì anche la Cassa per il Mezzogiorno,
aggiungendo all’egemonia ideologica e culturale una base materiale su cui fondare il proprio consenso.
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CAPITOLO 5. LA DEMOCRAZIA CRISTIANA, LO STATO, LA SOCIETA’
Le elezioni del 1953
L’inerzia del partito, e la sua incapacità di rispettare le promesse di giustizia sociale, costarono un a perdita
di consensi in tutto il paese. A livello governativo si prospettava lo spettacolo di una Dc tesa alla ricerca
d’alleati politici, al centro ma anche a destra e sinistra.Si sarebbero formate e repentinamente sciolte
instanbili coalizioni; De Gasperi cercò d’evitare una simile prospettiva cambiando le regole del gioco con la
legge truffa. L’opposizione ingaggiò contro la legge una lotta gagliarda ma vana. La campagna elettorale
vide i partiti di centro- Dc, Pli, Psdi e Pri- formare un’alleanza mentre un piccolo gruppo di dissidenti,
guidato da Parri e Calamandrei formò un nuovo raggruppamento “Unità popolare”.Le elezioni videro la
coalizione fallire l’obiettivo della maggioranza per un margine strettissimo; la principale vincitrice fu
l’estrema destra ma anche la sinistra migliorò. Il confronto elettorale segnò la fine della carriera di De
Gasperi e l’emergere dei neofascisti del Msi come una forza stabile:il 5% di voti ottenuti ricordarono che
autoritarismo e nazionalismo potevano ancora esercitare un richiamo tra classi povere, studenti e piccola
borghesia.
La Democrazia cristiana e lo Stato
Dopo il fallimento della legge truffa la Dc mantenne il potere per i 5 anni successivi, grazie a governi basati
sui voti dei partiti di centro e di destra. In alcuni casi la Dc formò il governo da sola, in altri insieme a
socialdemocratici e liberali ma i risultati non furono mai soddisfacenti.
a)L’eredità pre-repubblicana. Lo stato ereditato dalla DC era accentratore e il desiderio di cerare un’unica
nazione con tradizioni e leggi uniformi, portò alla crescita della sua oppressività e dell’invadenza. Ogni
azione condotta in nome dello stato veniva inserita nella cornice della legge amministrativa che favorì la
promulgazione di leggi, statuti e direttive interne che promossero uno stato lento ed inefficiente, terreno di
coltura del clientelismo. L’amministrazione pubblica era stata da sempre dominata dai settentrionali; fu con
la crescita dell’industrializzazione che i giovani del centro-nord cercarono lavoro nel privato, lasciando
spazio ai colleghi del Sud. L’amministrazione era, infine, caratterizzata dalle burocrazie parallele, istituzioni
semi-indipendenti, con la propria burocrazia, gelose dei propri poteri e delle proprie sfere d’influenza.
b) Lo stato repubblicano. Per alcuni anni dopo la guerra l’esercito rimase una forza simbolica ma, con
l’evolversi della dottrina Truman si creò un nuovo ruolo: l’Italia entrò nella Nato nel ‘49 e l’esercito fu
riequipaggiato dagli Usa.Nella magistratura- casta chiusa e risentita per i bassi stipendi-era difficile trovare
qualche eco degli aspetti democratici e innovatori della Costituzione; pur proclamando la sua natura
apolitica i giudizi riflettevano un continuo anticomunismo e la mancanza di comprensione per la classe
operaia. La burocrazia, dal canto suo, non agiva sulla base dell’imparziale esecuzione dei propri compiti ma
su un potere discrezionale. L’intero sistema era destinato a generare ritardi e mancanze. Le aziende
autonome che amministravano ferrovie, telefoni, poste e monopoli dello Stato, formavano un gruppo
separato con dirigenti, c.d.a e bilanci propri, ma i ministri competenti restavano responsabili della politica
complessiva. L’Iri, che concentrava il suo intervento nei settori siderurgico e meccanico, nella cantieristica,
nelle compagnie di navigazione e nella telefonia, fu adattato ad un nuovo corso che ne rilanciava le
attività.Gli enti parastatali, Inps, Inam e Inail, che godevano d’autonomia finanziaria e amministrativa ma
restavano sotto la supervisione statale, disponevano d’ospedali e infrastrutture proprie. Infine, le
amministrazioni provinciali avevano poteri limitati e dipendevano finanziariamente dal Tesoro mentre il
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comune era competente per la sanità, i trasporti, il censimento, la vigilanza urbana, e in parte per i servizi
sociali.
c) La strategia della democrazia cristiana. La detenzione ininterrotta del potere fin dal 1947 ha prodotto la
fusione tra partito democristiano e Stato repubblicano; la strategia sviluppata negli anni ’50 è stata
caratterizzata da tensioni e conflitti costanti a tre livelli: ideologico, rappresentanza d’interessi e
organizzazione interna; sul piano ideologico la dottrina cattolica convisse con l’individualismo liberale:
mentre si appoggiavano, a parole, i temi della carità, dell’associazionismo e dell’assistenza ai ceti più deboli
e alla famiglia, si abbracciava la causa della modernizzazione, in contrasto con la morale cristiana. Altro
motivo di tensione era l’interclassismo di un partito che cercava di rappresentare gli interessi del grande
capitale, quelli dei ceti medi urbani e quelli dei lavoratori cattolici.Ultima insidia era quella delle correnti
interne al partito, ben radicate e desiderose di riscuotere la propria quota di potere governativo.Inoltre il
governo Dc, governo di coalizion, portava i piccoli partiti, dopo aver assicurato la maggioranza in
parlamento, a ritagliarsi le loro nicchie di potere. Fu così che la Dc incrementò la frammentazione dello
stato istaurando un governo caratterizzato da forte correntismo e dall’uso delle risorse statali come mezzo
per soddisfare i propri bisogni;il potere indipendente dei ministri e dei presidenti degli enti autonomi
ridusse il ruolo del consiglio dei ministri e del parlamento mentre, a livello più basso, i governi locali videro i
loro limitati poteri messi in ombra dagli enti speciali. Quanto al rapporto col mondo capitalista si cercò di
rendere la Dc uno dei principali centri di potere economico con l’espansione dell’intervento statale, la
crescita del controllo sul sistema bancario e lo sviluppo del settore pubblico dell’industria. Nessuna di
queste iniziative fu accolta con favore dai settori più arretrati dell’industria privata, consapevoli della
minaccia alla posizione di gruppo d’interesse privilegiato.E’ bene sottolineare che la strategia Dc non fu
sistematica: il partito era troppo frammentato perché ciò potesse aver luogo e, a prova di questo, rimane
l’autonomia mantenuta dalla Banca d’Italia, inconcepibile nel quadro di un controllo globale dell’economia.
d) Lo stato italiano nel contesto internazionale. La scelta di uno stretto rapporto con gli Usa venne
rafforzata dalla guerra fredda e dagli aiuti americani alla Dc durante la campagna elettorale del ’48. Il
pensiero cattolico sulle questioni internazionali era fortemente intriso di pacifismo e neutralismo ma la
rapida polarizzazione in due blocchi e la crescita dei sentimenti anticomunisti rafforzarono le pressioni per
inserire l’Italia nell’Alleanza Atlantica: l’ingresso fu approvato nel marzo ’49.Una volta nella Nato l’Italia
seguì fedelmente le direttive americane mentre in campo economico non si instaurò un rapporto comandoobbedienza, come dimostra il controllo americano limitato sull’uso dei fondi Erp. Se non v’è dubbio che gli
Usa esercitarono pressioni sui governi per spingerli ad una maggior cooperazione economica e militare,
l’impegno di De Gasperi in favore dell’unità politica europea andò al di là del semplice desiderio di
accondiscendere gli americani: De Gasperi caldeggiò una federazione politica di stati europei per
promuovere la pace e risolvere i problemi strutturali dell’economia italiana, attraverso al cooperazione con
l’Europa del Nord.Quando vide la luce la Ceca il governo premette per un’immediata partecipazione italiana
che si riconfermò, nel dicembre ’53, con la creazione della Comunità europea di difesa.
e) Le innovazioni degli anni ’50. I funzionari pubblici costituivano una casta chiusa, fortemente irritata
dall’ingerenza politica democristiana e per questo puntigliosa nel rispetto di regolamenti e procedure che
rallentavano la realizzazione delle decisioni politiche; la Dc sembrava incapace e riluttante a modificare
questo stato di cose: gli aspetti gerarchici del servizio vennero accentuati, gli interessi settoriali e individuali
assunsero un rilievo fondamentale a scapito del potere corporativo, la frammentazione del sistema
prosperò.La vera innovazione avvenne, invece,negli enti speciali: vennero creati gli enti di riforma agraria,
la cassa per il Mezzogiorno, l’Eni; la Dc scelse di puntare su un vasto programma di opere pubbliche
concentrate nelle aree agricole: bonifica, irrigazione, costruzione di strade, acquedotti.. L’intero arco dei
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suoi interventi si contraddistinse per la preoccupazione d’alleggerire le tensioni sociali e per la crescita di
una nuova classe dirigente che riceveva i fondi governativi e mediava con le comunità locali. L’Eni questo
nacque dalla lotta intrapresa da Enrico Mattei contro gli imprenditori privati per il diritto di sfruttare le
risorse energetiche della Val Padana; Mattei costruì oleodotti e gasdotti rapidamente, con indifferenza
verso le autorità locali e l’ente diversificò presto il proprio intervento in un gran numero di attività:
petrolchimica, motel, autostrade, gomma sintetica, nucleare, ricerca scientifica, tubi d’acciaio. L’Italia
venne modificata dalle attività Eni, un feudo privato di Mattei che usò ed abusò del potere statale a sua
disposizione. Nel campo bancario la Dc poté esercitare faciolemente un controllo delle attività dato che i
direttori di quasi tutte le banche erano scelti dal governo. Infine occorre ricordare il tentativo di dare un
piano globale all’economia italiana: il piano Vanoni. Questo aveva tre obiettivi principali: la piena
occupazione, la graduale riduzione dello squilibrio economico Nord-Sud e l’eliminazione del deficit della
bilancia dei pagamenti. Scopo di Vanoni era incoraggiare la crescita, correggendone squilibri ma il suo piano
non venne mai realizzato: mentre il progetto orientava l’economia in una direzione, la creazione del
Mercato Comune la spingeva in un’altra, favorendo l’esportazione di beni di consumo di massa; inoltre
l’idea di un piano economico decennale si scontrava con le necessità di un partito che voleva costruire il
proprio potere all’interno dello stato e venir incontro alle esigenze dei diversi settori del suo elettorato.
f)Conclusioni. A livello internazionale l’impegno verso l’America e l’Europa fece dell’Italia il paese più
integrato nelle strutture politiche e militari dell’Occidente; a livello di controllo sociale si compì con
successo l’opera di consolidamento dello status quo e, a livello d’élite, la Dc spostò l’equilibrio di potere tra
i rappresentanti politici e i baroni dell’economia a favore dei primi; il settore pubblico dell’economia si
sviluppò brillantemente ma il rapporto deformato fra cittadini e stato, l’inefficienza dell’amministrazione e
il potere discrezionale permisero un progressivo deterioramento della situazione e la crescita di una rete di
centri di potere semi-autonomi che tendeva a servire i vari orientamenti di corrente e non le direttive del
governo.
La Democrazia cristiana e la società civile
a) Fanfani e il nuovo partito. Divenuto segretario nel ’54 Fanfani cominciò a rivitalizzare il partito lanciando
impetuose campagne di tesseramento; le adesioni crebbero soprattutto al Sud ma il fenomeno fu montato
ad arte per aumentare la rappresentanza nazionale di alcune correnti interne.
b) la Chiesa cattolica nella società italiana. Nonostante gli sforzi di rendere la Dc meno dipendente dalla
chiesa il tentativo di Fanfani di costruire un partito di massa non mascherò il fatto che la Dc continuasse a
far affidamento sulla profonda penetrazione della Chiesa nella società e sul suo esplicito appoggio politico
in tempo d’elezioni.La penetrazione della chiesa nella società aveva molti e diversi canali, primo tra tutti la
parrocchia, centro propulsore privo di riscontri in qualsiasi organizzazione laica similare, rafforzato dalle
organizzazioni dell’azione cattolica che, promovendo attività religiose e sociali, favorivano la
socializzazione. Esisteva poi una robusta rete di cooperative cattoliche, soprattutto agricole ed edili, sparse,
soprattutto in Lombardia e Veneto ma anche in Sicilia, Emilia, e in Sardegna. L’educazione religiosa
obbligatoria era poi uno strumento d’incomparabile efficacia per entrare in contatto con la massa di giovani
che frequentava le scuole; infine, la chiesa poteva far affidamento sugli ospedali, le case di cura o di riposo
per anziani da lei stessa istituite che contribuivano a rinsaldare quell’esercito disciplinato di credenti a lei
unito.
c)Le organizzazioni collaterali della Dc. La Dc aveva sviluppato una serie d’organizzazioni collaterali, per la
verità più cattoliche che democristiane. La più potente riuscita era la Coldiretti, fondata da Bonomi nel ’44.
Essa possedeva una vivace stampa e aveva scuole di formazione per agricoltori. L’ideologia della Coldiretti
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era rudimentale ma efficace: grande importanza al modello di famiglia contadina, necessità di una crociata
anticomunista nelle campagne. Le ragioni del successo di quest’organizzazione stanno nei servizi offerti e
nei privilegi che riusciva ad ottenere per i suoi iscritti, grazie all’influenza nell’apparato statale: per esempio
che il governo approvasse una speciale legislazione per gli agricoltori con l’istituzione delle casse mutue. Le
Acli e la Cisl erano le organizzazioni cattoliche per gli operai. Le Acli avevano il compito d’assicurare che i
lavoratori si presentassero nella vita del sindacato con una coscienza già formata secondo i principi della
dottrina cristiana. Con la scissione della Cgil del’48 il ruolo delle Acli dovette essere riconsiderato: la nascita
della Cisl spostò l’impegno Acli verso le attività sociali e l’educazione morale dei lavoratori. La Cisl sviluppò,
invece, una linea sindacale che non metteva in discussione il diritto di proprietà e di decisione degli
imprenditori, ma poneva l’accento sulla contrattazione di fabbrica e sulla richiesta di un salario più elevato.
d) La famiglia cristiana. La dottrina cattolica asseriva a chiare lettere la priorità della famiglia sulla società
civile essendo la società un mezzo per assicurare alla famiglia ciò che è indispensabile per raggiungere il
proprio fine. Nei rapporti famiglia-stato l’enfasi era posta sul bisogno di proteggere la famiglia da un
controllo esterno: solo se si falliva nella missione lo Stato poteva intervenire. I doveri della famiglia erano
prevalentemente interni e basati sull’indissolubilità del matrimonio, sulla devozione, sulla capacità dei
genitori d’educare i figli. Un corretto rapporto famiglia-chiesa doveva necessariamente precedere quello
con la società per permettere di superare l’isolamento e l’inserimento in una sub-cultura avvolgente.
e) La Democrazia cristiana nel nord e nel sud Italia. Il Veneto era la regione in cui la Dc aveva guadagnato
più voti: il quadrilatero bianco- Verona, Vicenza, Treviso e Padova-ne era la roccaforte; in queste zone la Dc
era solo un elemento di un mondo cattolico dominato dalla gerarchia ecclesiastica; le famiglie erano
attratte in una realtà totalizzante in cui ogni attività sociale ruotava attorno alla parrocchia e alle
associazioni ad essa collegate. Al Sud la Dc seppe, invece, costruirsi una base di massa attraverso l’uso
clientelare delle risorse pubbliche. I democristiani acquisirono il controllo totale degli enti di governo locale
che venivano utilizzati per scopi come la gestione dei flussi di spesa, il controllo sull’erogazione del credito;
potere discrezionale si esercitava sulla concessione di licenze, nella velocizzazione delle pratiche, nella
prassi delle raccomandazioni. La struttura del partito vedeva in cima i leader delle diverse correnti
nazionali, figure come Moro, Andreotti, Fanfani; immediatamente dopo venivano i notabili- senatori,
deputati, ministri, sottosegretari, direttori di enti speciali;il gruppo successivo era quello dei “grandi
elettori”:influenti personaggi locali capaci di raggiungere più di un gruppo sociale. A un gradino più basso
stavano i “ capi-elettori”, attivisti di un unico settore che contavano sulle parentele per costruirsi un
affidabile pacchetto di voti. Infine vi era la gente comune che assicurava il voto di preferenza alle elezioni.
L’Italia della Democrazia cristiana
Cattolicesimo, americanismo, fordismo crearono una formidabile base per l’ideologia dominante. Il partito
cercò sempre di accrescere il suo potere economico e la sua capacità d’intervento nella società.
L’interclassismo Dc non fu un’illusione: nessun settore fu più corteggiato dei ceti medi ma anche settori
tradizionali come quelli di artigiani e negozianti ottennero numerosi vantaggi. I funzionari statali accolsero
di buon grado la sicurezza del posto di lavoro mentre ingegneri, architetti, avvocati e ragionieri poterono
guardare con gioia ad anni di lucrose attività e di posizioni influenti. Il proletariato del triangolo industriale
continuò a costituire lo zoccolo duro del consenso a sinistra ma gli operai cattolici votarono compatti per la
Dc. Era tuttavia difficile pervenire alla conclusione che la Dc fosse realmente egemone nella società.
Soprattutto al sud essa veniva considerata come uno strumento da usare e non come il rappresentante di
valori in cui credere, che non riuscì a creare un’immagine dello stato con cui la gente si potesse identificare.
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CAPITOLO 6: LA SINISTRA E IL MOVIMENTO OPERAIO NEGLI ANNI ’50
La politica deflazionistica imposta da Einaudi venne abbandonata nel 1950 e gli aiuti del piano Marshall
indirizzati verso le principali aziende per rilanciarle; la domanda interna venne stimolata dai programmi di
spesa delle nuove istituzioni pubbliche mentre gli imprenditori mossero un prolungato attacco al potere
sindacale con licenziamenti di massa e assunzioni di giovani. Le piccole fabbriche furono più libere
nell’imporre le loro condizioni poiché prive di controllo sindacale. Il peggioramento delle condizioni dei
salariati apparve evidente, la disoccupazione diffusa sia nei tradizionali settori meridionali sia nel
settentrione industriale.
La Cgil e le lotte operaie.
a) Il Piano del Lavoro.La Cgil cercò di rispondere al binomio disoccupazione-miseria con una strategia
lungimirante sintetizzata in un programma d’occupazione basato su 3progetti: la nazionalizzazione
dell’industria elettrica e la costruzione di centrali e bacini idroelettrici, l’avvio di un programma di bonifica e
irrigazione, un piano edilizio per far fronte alla carenza di case, scuole, ospedali.Il finanziamento del piano,
che non metteva in discussione il sistema capitalistico, sarebbe avvenuto attraverso una tassazione
fortemente progressiva. Malgrado i meriti, il Piano del Lavoro si risolse in un fallimento sia perché il
governo non era propenso ad accettare collaborazione da sinistra, sia perché la Cgil non riuscì a mobilitare
la classe operaia nel sostegno al progetto. Inoltre gli obiettivi agricoli erano arretrati rispetto all’insieme del
movimento contadino, troppo moderati per i conflitti di classe che infuriavano nelle campagne.
b) Le lotte difensive al Nord e al centro. Nel settore dell’industria pesante gli imprenditori, dopo aver
annunciato licenziamenti di massa che la Cgil rifiutò d’accogliere, fecero ricorso alla serrata.Gli operai
risposero occupando le fabbriche e continuando la produzione, guadagnandosi così l’appoggio della
popolazione urbana. Tutte le lotte prolungate si risolsero in sconfitte: la determinazione degli imprenditori,
l’ostilità della polizia, la divisione tra Cgil, Cisl e Uil pesarono contro le occupazioni e gli scioperi. La Cgil
riuscì a unificare la classe operaia chiamando allo sciopero su temi politici ma sul terreno dell’analisi
economica fu più impreparata e le sue risposte limitate; elemento ideologico che limitò la Cgil fu la
subordinazione al modello russo basato sull’idea che fosse la produzione e non il controllo l’essenza del
socialismo.
c) Sconfitta e autocritica. Gli operai cominciavano a stancarsi di appelli rituali alla solidarietà politica, il loro
senso d’impotenza cresceva dinanzi alle sconfitte e i padroni riconquistarono potere e autorità; i
rappresentati degli operai persero terreno di fronte ai capireparto. L’interesse e l’interferenza americana
per la situazione delle aziende raggiunse livelli notevoli: le critiche, congiunte all’offensiva padronale
portarono la Cgil a perdere la maggioranza assoluta all’interno della Fiat. Dopo un lungo e ampio dibattito il
sindacato decise un cambiamento di linea: dalla contrattazione centralizzata si passò a quella articolata,
con accordi decisi settorialmente, azienda per azienda. Gli imprenditori si opposero, ci vollero anni per
imporla come pratica consolidata.
I partiti della sinistra.
a) Il Psi, 1949-55. Dopo la sconfitta del ’48 i socialisti vissero un’ibernazione politica, rinnovando
annualmente il patto d’unità- in realtà subordinazione- con i comunisti. Solamente nel 1955 si cominciò a
discutere della possibilità di cambiare linea di condotta; Nenni lanciò la possibilità di una nuova
cooperazione: quella tra socialisti e democristiani. Riferendosi al piano Vanoni, Nenni sosteneva la
possibilità di un’alleanza e quando il piano venne abbandonato non si scoraggiò, determinato a porre fine
all’immobilismo del suo partito.
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b) La cultura politica del Pci. Dopo la sconfitta politica della Dc nelle elezioni del ’53 la dirigenza comunista
si sentì più sicura e gli iscritti al partito crebbero; si svilupparono organismi che legarono tra loro gli iscritti:
le Case del popolo divennero i punti centrali della vita comunitaria, vi si organizzavano assemblee, si
proiettavano film, si organizzavano attività sportive e giochi. Molte case del Popolo erano edifici presi dalle
sezioni del partito fascista; nel ’52 il ministro delle Finanze decise che questi stabili erano di proprietà
governativa e molte case del Popolo furono chiuse;gli attivisti raccolsero sottoscrizioni per nuovi edifici che
si impegnarono a costruire. Forte componente della cultura comunista furono le Feste dell’Unità, spesso il
più importante momento nelle attività delle sezioni locali. Grazie all’aiuto di organizzazioni collaterali come
l’Udi o l’Anpi (associazione nazionale partigiani) il partito sviluppò una subcultura forte. Vi erano comunque
zone di silenzio: la famiglia era una di queste; la propaganda del Pci sulla famiglia si fondava su
argomentazioni semplici che esaltavano le virtù del nucleo famigliare sovietico, fondato sulla monogamia,
su un rigido moralismo e sul sacrificio per il bene della collettività. Vero era, però, che l’iperattivismo
politico del comunista poneva seriamente a repentaglio la vita famigliare. Un’altra zona di silenzio, o meglio
di mistificazione, era quella dell’atteggiamento verso l’Urss: stalinismo, adulazione servile di Stalin,
idealizzazione della società russa ne erano i cardini.Si diffuse l’abitudine di citare gli scritti dei dirigenti
storici del partito come fossero testi biblici e, ancor peggio, si diffuse l’uso della menzogna politica. Ultimo
aspetto che il Pci raccolse dall’Urss fu l’organizzazione gerarchica e non democratica del partito che
proibiva ogni opposizione interna organizzata.
c) Togliatti e Secchia. Nel natale del ’50 Stalin chiese di assumere la guida del Cominform a Togliatti che,
non essendo d’accordo temporeggiò demandando la decisone alla direzione del Pci; quest’ultima approvò a
maggioranza la partenza ma Togliatti riuscì ad abbandonare Mosca declinando la proposta. In quegli anni si
delineò il cosiddetto “affare Secchia”, uno dei principali dirigenti comunisti;egli desiderava un partito
organizzato più fortemente, un partito leninista, con una maggiore attenzione alla classe operaia quale
anima del Pci. Entrato in forte contrasto con Togliatti per la diversità di vedute sembrò contendergli il
potere fino a quando, un suo stretto collaboratore, Seniga, scomparve portando con sé denaro e
documenti confidenziali. Il risultato fu la caduta in disgrazia di Secchia e la riconferma di Togliatti a leader
incontestato del partito.
d) Il Pci a livello locale: l’Emilia Romagna. Dalla fine della guerra i comunisti governavano incontrastati
l’Emilia Romagna dove prevalevano le piccole aziende, gli artigiani, i mezzadri e i braccianti. Dopo che il
fascismo ebbe distrutto le organizzazioni rurali e urbane del movimento operaio i comunisti presero il posto
dei socialisti. L’impegno comunista nella lotta dei mezzadri fu un momento cruciale della loro politica; lo
stesso può dirsi per l’attenzione rivolta ai contadini dell’Appennino e del tentativo di controllo sul
movimento cooperativistico; quest’ultimo vide i comunisti impegnati per migliorare la sua organizzazione,
non senza sottolineare i limiti politici della cooperazione e l’inadeguatezza come alternativa al capitalismo.
Furono le donne le principali responsabili di iniziative che ottennero grande risonanza a livello nazionale:
offrirono ospitalità ai bambini poveri di Roma, Napoli e della stessa Emilia e quando il Polesine fu vittima
d’inondazioni ne offrirono anche agli sfollati. Bologna divenne la vetrina del governo comunista degli enti
locali: il consiglio comunale non si espose mai al deficit, fu estremamente onesto ed efficiente.
Il 1956.
Il 1956 fu un anno di cambiamenti radicali per la sinistra italiana. Il punto di partenza fu il XX congresso del
Pcus e la relazione presentatavi da Chruscev con cui si richiamava la possibilità che i paesi arrivassero al
socialismo con mezzi alternativi e, soprattutto, si denunciavano gli orrori commessi da Stalin. Il Pci reagì
inizialmente con estrema reticenza mentre Togliatti cercò di minimizzare le rivelazioni. Il rapporto Chruscev
diede la possibilità di aumentare la libertà d’azione dei singoli partiti e Togliatti non perse occasione per
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affermare che il movimento socialista internazionale doveva assumere un carattere policentrico. I fatti di
Polonia e Ungheria resero ancora più agitate le acque all’interno del partito: molti attivisti abbandonarono
sull’onda della repressione armata sovietica della rivolta ungherese mentre, tra chi rimaneva, si scatenò un
furibondo dibattito su cause e responsabilità della tragedia ma anche sui problemi fondamentali della
democrazia, dell’indipendenza nazionale e del ruolo dell’ Urss. In dicembre si tenne 8°congresso del partito.
Il momento più drammatico fu quello dei discorsi di chi dissentiva con la linea del partito; i dissidenti non
erano forti e fu facile per la direzione ottenere il consenso della maggioranza dei delegati, che rimase
compatta. Nel corso dell’anno il Pci rivendicò la propria autonomia dal sistema internazionale, non
considerandosi più un semplice avamposto dell’Occidente e divenendo più eurocentrico. Si avviò un lento e
graduale spostamento nelle posizioni del partito circa il rapporto tra democrazia borghese e democrazia
socialista: si accettò il valore permanente delle libertà civili e politiche racchiuse nella democrazia
parlamentare che non furono più solo approvate ai fini di un’utilità tattica. La pedanteria, la chiusura e il
moralismo degli anni dello stalinismo lasciarono spazio ad un atteggiamento più tollerante, l’anziana
generazione di dirigenti fu sostituita da uomini più giovani promotori di un partito centralizzato e aperto al
mondo esterno. Nel contempo, sul versante opposto, la strategica soggezione socialista al Pci giunse al
termine: Nenni rifiutò di rinnovare il patto d’unità d’azione e il Psi prese a comportarsi come un soggetto
autonomo.
CAPITOLO 8: IL CENTRO-SINISTRA,1958-68
1.Le elezioni del 1958, la nascita dei dorotei, il governo Tambroni, il luglio 1960.
Nelle elezioni del 58 nessun partito perse o guadagnò più di 3punti; all’interno della Dc Fanfani diveniva
sempre più potente e impopolare, assumendo congiuntamente la carica di Presidente del consiglio e di
ministro degli esteri. Fanfani sosteneva che la Dc avrebbe dovuto “aprire a sinistra” e coinvolgere i socialisti
nel governo ma, la destra democristiana, la gerarchia ecclesiastica, l’Azione cattolica erano preoccupati di
una simile ambizione politica.Nel gennaio 59 Fanfani cadde e una nuova corrente, quella dei dorotei,
divenne dominante nel partito.Per i dorotei non era ancora venuto il momento d’aprire a sinistra e la
nomina del loro più alto rappresentante, Moro, a segretario contribuì ad allontanare ogni cambio
d’indirizzo politico. Nel 60 Tambroni formò il nuovo governo;egli era in buoni rapporti sia con i dirigenti del
Psi sia con quelli del Msi e fu solo grazie all’appoggio di questi ultimi che ottenne fiducia. I dirigenti missini,
più sicuri e meno prudenti, annunciarono la partecipazione al loro congresso dell’ultimo prefetto di Genova
durante la repubblica di Salò. La risposta della popolazione non si fece attendere e Genova si mostrò pronta
all’insurrezione.Il congresso fu rinviato e Tambroni decise di riaffermare la sua autorità autorizzando la
polizia a sparare contro manifestanti antifascisti e antigovernativi. A seguito d’uccisioni e ferimenti la Cgil
proclamò uno sciopero nazionale che ottenne un’adesione massiccia; la Dc allarmata, cercò di sostituire
Tambroni rapidamente chiamando Fanfani a costituire un governo ad interim. Gli eventi dimostrarono che
l’antifascismo era divenuto parte integrante dell’ideologia egemone e che ogni tentativo di svolta
autoritaria, o d’attacco alle libertà costituzionali avrebbe incontrato l’opposizione di un movimento
grandioso e incontrollabile.
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2. Le basi del centro-sinistra.
La Dc non poteva sperare di governare con l’appoggio del Msi o dei monarchici; la strada verso destra era
definitivamente chiusa mentre quella a sinistra si apriva. I primi esperimenti di centro-sinistra furono
attuati a livello locale a Milano, Genova, Firenze e Venezia.
a) Gli Usa e il centro-sinistra. Con Kennedy i peggiori eccessi della guerra fredda giunsero al termine anche
in Italia; l’inviato americano Harriman presentò il centro-sinistra come l’unica soluzione possibile: opporsi o
restare neutrali avrebbe sospinto il Psi tra le braccia comuniste.La diplomazia americana non
mantenne,comunque, una posizione univoca: il dipartimento di stato rimase scettico, l’ambasciata
fortemente contraria ad ogni apertura a sinistra.Nel giugno 61 Fanfani ricevette da Kennedy un primo,
timido appoggio Usa nel proseguire con l’apertura a sinistra.
b) Giovanni XXIII e la Chiesa negli anni ’60. Se per tutto il pontificato di Pio XII la chiesa non si era mai
astenuta dalla partecipazione politica, Giovanni XXIII impresse un carattere diverso; riuscendo a mantenere
la sua grande semplicità e umiltà, il Papa concepì il suo ruolo perlopiù in senso pastorale; pur essendo un
convinto tradizionalista aveva un’acuta consapevolezza di quanto il mondo stesse cambiando e di quanto
fosse importante per la Chiesa adattarsi al cambiamento. Nel biennio 1960-61 mantenne la sua opposizione
al centro-sinistra per poi riconsiderare l’atteggiamento tenuto, guardando con simpatia all’apertura a
sinistra. Giovanni XXIII cercò d’inserire la Chiesa in una nuova direzione: respingeva il libero gioco delle
forze di mercato, promuoveva maggior giustizia sociale, rivendicava l’integrazione degli emarginati.
Nell’estate del ‘62 s’inaugurò il Concilio Vaticano II e nel ’63il papa promulgò l’enciclica Pacem in Terris, un
invito alla conciliazione internazionale basato sulla neutralità.
c) Il Psi e la Dc tra il 1960 e il 1962. Al 34° Congresso del Psi Nenni e i fautori d’un alleanza di governo con la
Dc riportarono una significativa vittoria e si dichiararono a favore della Nato.Per Nenni la sua strategia non
smarriva il senso della diversità tra democrazia borghese e socialista poiché era volta a creare gli strumenti
civili della conquista della democrazia, e non a inserirsi nella società borghese. Questo discorso trovò
l’opposizione degli autonomisti, contrari alla coalizione con la Dc che non avrebbe portato a riforme di
struttura ma al semplice inserimento del Psi nel sistema politico. La Dc, dal canto suo, considerava
l’alleanza una via per dare stabilità alla maggioranza, facilitare l’organizzazione del consenso, dividendo la
sinistra. Nel congresso Dc del ’62 Moro tenne un discorso pro alleanza di centro-sinistra che fu appoggiato
dall’80%dei delegati.
d) Il ceto imprenditoriale e il centro-sinistra. Nei primi anni ’60 alcuni settori del ceto imprenditoriale si
convertirono al centro sinistra soprattutto perché la programmazione economica sembrava favorire i loro
settori e perché si riteneva che la presenza socialista al governo avrebbe smorzato le tensioni nelle
fabbriche. Il settore pubblico dell’industria era favorevole all’apertura a sinistra mentre la Confindustria,
saldamente nelle mani dei monopoli dell’elettricità, offrì un’intransigente opposizione alla coalizione,
voltando le spalle alle politiche progressiste.
3. Riforme e riformismo.
Quale sarebbe stato il contenuto concerto del programma di riforma della nuova coalizione?
1- Secondo i riformisti,La Malfa, Saraceno e Fanfani bisognava correggere distorsioni e squilibri dello
sviluppo capitalistico con riforme correttive per affrontare i problemi dell’Italia come povertà e
arretratezza agricola. Occorreva rendere efficiente la burocrazia, dar vita alle regioni,riorganizzare gli enti
locali, modernizzare il sistema educativo e creare un servizio sanitario nazionale.
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2- Secondo i principali esponenti del Pci e del Psi era necessario attuare riforme strutturali come passo
avanti nella strada verso il socialismo; le riforme non dovevano aiutare il capitalismo ma metterlo in
discussione, dovevano costituire la fase intermedia di un processo verso il socialismo. I fautori di questa
posizione non riuscivano però a spiegare come sarebbe avvenuta la transizione dalle riforme correttive alle
riforme di struttura; non vi era alcun rapporto automatico tra le due e lo spazio per riforme strutturali era
ristretto. La transizione graduale al socialismo era una chimera.
3- I minimalisti approvavano l’idea delle riforme correttive ma non fino al punto che il fervore modernista
indebolisse l’unità della Dc e il suo controllo delle leve statali. Il centro-sinistra doveva trasformare il partito
socialista, cooptandolo nel governo senza minacciare il dominio Dc.
4. Il primo governo di centro sinistra, 1962-63.
Nel marzo ’62 Fanfani formò il primo governo di centro-sinistra con democristiani, socialdemocratici e
repubblicani. Il Psi si astenne dal voto di fiducia e questa forma d’appoggio sarebbe continuata purché
venissero attuate la nazionalizzazione dell’industria elettrica, la scuola media unica e le regioni;l’elevato
tasso di sviluppo dell’economia doveva fornire la base per la realizzazione di servizi sociali efficienti. Il
primo evento politico significativo per il nuovo governo fu la scelta del PdR: comunisti, socialisti,
repubblicani e socialdemocratici votarono per Saragat mentre una parte della Dc era restia ad appoggiare il
candidato ufficiale del partito, Segni. Dopo nove ballottaggi fu quest’ultimo a spuntarla, grazie
all’ostinazione di Moro che desiderava un PdR diffidente verso il governo di centro-sinistra.Il governo
procedette comunque alla nazionalizzazione dell’industria elettrica, una riforma correttiva che avrebbe
distrutto quell’agglomerato di potere conservatore italiano. La nuova società nazionale dell’elettricità,
l’Enel, cominciò massicci investimenti ma non riuscì a ridurre il costo dell’elettricità. Si passò poi alla
creazione della scuola media unificata e all’elevamento dell’obbligo scolastico a 14 anni: solo dopo un lungo
ostruzionismo destrista le leggi passarono. Con la fine del ’62 le spinte riformatrici del governo si
arenarono: un eccesso di domanda di forza-lavoro, la crescita eccessiva dei salari comportarono difficoltà
finanziarie per le piccole imprese che non riuscivano a fronteggiare i costi; l’inflazione divenne un problema
significativo, gli investimenti diminuirono provocando il crollo della borsa e la Dc sbarrò la strada delle
riforme. Moro mise gli interessi del partito al primo posto e congelò l’istituzione delle regioni e la
pianificazione urbanistica. Il 28 aprile‘63 gli italiani andarono alle urne: la Dc scese per la prima volta sotto il
40%, i liberali guadagnarono; i monarchici scomparirono, il Msi salì appena. Il Psdi guadagnò ma, a sinistra, i
vincitori furono i comunisti.
5. Il primo governo Moro, 1963-64.
Nonostante la Dc fosse stata penalizzata dall’apertura a sinistra Moro e i dorotei decisero che l’esperimento
doveva continuare in forma più moderata. Fu Moro a formare il nuovo governo che doveva includere,
questa volta, anche i socialisti. Questi entrarono nel governo nel dicembre ’63, dopo opposizioni e battute
d’arresto concernenti, per lo più, la riforma urbanistica. Il programma Moro era vasto:istituzione delle
regioni, assoluta priorità della riforma scolastica, riforma edilizia, revisione dell’agricoltura, riequilibrio tra
Nord e Sud, riforma del fisco e delle pensioni, legge urbanistica e quella anti-monopolio. L’ingresso nel
governo Moro fu per i socialisti un tragedia: la sinistra del partito rifiutò la fiducia al governo e si staccò dal
Psi per formare il Psiup. Il partito conosceva una nuova scissione che indebolì il già limitato potere
contrattuale di fronte alla Dc. La politica deflazionistica fece crescere la disoccupazione, compresse i
consumi, diminuì il potere contrattuale dei lavoratori permettendo il rimando del programma di riforme
che si sarebbe ripreso solo dopo aver ridato vigore all’economia. Nenni si trovò in difficoltà: non poteva
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dimettersi per protesta perché così avrebbe riconosciuto la ragione degli scissionisti ma non poteva
tollerare l’abbandono della strategia riformista. I socialisti rimasero al governo che nel giugno ’64 si dimise.
6. L’affare De Lorenzo e il secondo governo Moro, 1964-66.
Nell’estate ’64 vi fu un tentativo di sovvertire l’ordinamento democratico: il 15 luglio Segni convocò il
comandante dei carabinieri, De Lorenzo. Quest’avvenimento creò subbuglio soprattutto in considerazione
del fatto che si erano appena rotti in negoziati tra i partiti di centro-sinistra. De Lorenzo aveva preparato il
piano Solo che si presentava come antiinsurrezionale ma era esso stesso sovversivo.Il piano prevedeva la
redazione di liste di persone pericolose per la pubblica sicurezza da arrestare; non v’è dubbio che tra
queste vi fossero i leader comunisti, socialisti e sindacali. Nello stesso momento sarebbero state occupate
le prefetture, le stazioni radio-televisive, le centrali telefoniche e le direzioni di alcuni partiti. Secondo il
piano, i carabinieri dovevano agire da soli, senza informare il resto delle forze armate. Una prova di forza di
simile portata avrebbe rappresentato la crisi più grave della storia repubblicana e i socialisti cercarono di
evitarla ritirando ogni obiezione contro un loro reingresso in un governo Moro. La possibilità di una crisi
delle istituzioni era stata scongiurata. Non si è mai appurato quanto Segni conoscesse del piano; egli non
era certamente interessato ad un colpo di stato ma cercava seriamente di porre fine al centro-sinistra
puntando ad un governo di tecnici e aumentando la risposta dello stato ai problemi di ordine pubblico.
Probabilmente Segni pensava d’usare De Lorenzo e le sue forze per questo scopo. Il programma del nuovo
governo risultò più moderato di quello precedente ma continuò a perseguire la politica dei “due tempi”,
mentre il Psi cambiava le proprie priorità puntando, prima di tutto, sulla sopravvivenza del centro-sinistra e
sulla possibile riunificazione tra Psi e Psdi (Nenni e Saragat). La cooperazione tra i due ricevette una spinta
sostanziale con l’elezione di Saragat a PdR nel ’64.
7. Il terzo governo Moro, 1966-68.
Nel febbraio ’66 cadde il secondo governo Moro, immediatamente sostituito dal terzo, anch’esso immobile.
In luglio palazzi costruiti fuori dal piano regolatore ad Agrigento crollarono creando grande scalpore,
fomentato dalle alluvioni di Firenze e Venezia. Queste calamità avrebbero potuto essere evitate se si fosse
approvata la legge sulla pianificazione urbanistica; il governo scelse di prendere l’ennesimo provvedimento
tampone, in attesa di una riforma organica che non avrebbe mai visto la luce. Nel giugno ’66 Psi e Psdi si
unirono con il nome di Psu. La dottrina minimalista delle riforme aveva trionfato: poche erano quelle
realizzate e quasi sempre parzialmente; l’industria elettrica era stata nazionalizzata ma gli ex-monopoli
detenevano largo potere, la scuola media era un fatto compiuto ma l’istruzione superiore e universitaria
non erano state toccate. La riforma fiscale e burocratica non erano state attuate, il sistema sanitario
nazionale e l’attuazione delle regioni rimandate. Forte era la confusione a sinistra: se il Pci non era disposto
ad appoggiare direttamente un piano di riforme correttive anche i socialisti restavano confusi;dichiarare
che la priorità era rimanere al governo permise che la pressione per le riforme scemasse. A questo si
aggiungevano quei gruppi, esterni al Parlamento, contrari alle riforme- Confindustria, ex monopoli elettrici,
speculatori edili- che fecero di tutto per indebolire il centro-sinistra.
8. Lo stato negli anni ’60.
a) Il declino dell’impresa pubblica. L’impresa pubblica aveva dato un buon esito ma i principali progetti
stavano per essere conclusi senza che vi fosse alcuna indicazione strategica per il futuro;nel periodo 196372 l’industria di stato entrò in perdita mentre potere politico e direzione industriale si intrecciavano sempre
più, con risultati disastrosi. La lottizzazione tra partiti degli incarichi direttivi nel settore pubblico divenne la
norma. Si insediò una nuova generazione d’imprenditori e amministratori pubblici, legata ai partiti politici
dominanti, come Eugenio Cefis che succedette a Mattei alla guida dell’Eni. Cefis, che godette dell’appoggio
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di Fanfani e dei potenti dorotei, aveva messo gli occhi sulla Montedison di cui cominciò, segretamente, a
comprare azioni con i soldi Eni. Il minimalismo dei dorotei combaciò così con l’atteggiamento dei più
influenti manager pubblici.
b) La paralisi dell’amministrazione pubblica. Il 95% dei funzionari di grado superiore era entrato in servizio
prima del ‘43; per loro la democrazia non era congeniale, le riserve sul suffragio universale elevate. La rigida
applicazione delle competenze e dei ruoli frammentava ogni processo decisionale, la preparazione tecnica
delle leggi dava luogo a costruzioni barocche che dovevano venir reinterpretate o riformulate.
L’amministrazione statale applicava solo le norme di diritto incorporate nell’ordinamento nazionale; i
regolamenti comunitari, per essere applicati, dovevano essere ratificati dal Parlamento che li trasformava
in leggi dello stato.
c) Il rafforzamento del clientelismo in Meridione. Nel Sud il decennio dei dorotei marcò una fase di sviluppo
del clientelismo legato a4 fonti economiche: boom edilizio, nuovi poli di sviluppo industriale, risorse
finanziarie degli enti locali e distribuzione di fondi governativi. La cresciuta mostruosa di Napoli e Palermo
fu l’effetto della collaborazione tra speculatori edili, proprietari e amministrazioni locali. L’industria delle
costruzioni e i mercati generali divennero le roccaforti mafiose, mentre la Dc si assicurava un modo per
conquistare consensi in tutti gli strati della popolazione. Lo spazio per manovre clientelari era ridotto con le
industrie più grandi, dalle solide basi tecnocratiche e manageriali, ma era esteso nella piccole. Altra risorsa
a disposizione era la continua espansione delle spese degli enti locali, nonché l’impiego in questi. Ultima
fonte di sovvenzionamento erano gli stanziamenti governativi ad alcuni ristretti gruppi della società civile;
le pensioni ebbero un posto privilegiato in questo senso.
9.Il Partito comunista italiano negli anni ’60.
Nel decennio Doroteo il Pci visse un periodo di declino, relegato al ruolo d’oppositore immobile.Il
progressivo invecchiamento delle sue file non minò, però, l’organizzazione che restava integra.
a)La morte di Togliatti. Il 21 agosto ’64 Togliatti morì in Urss; il Pci perdeva una guida estremamente valida,
capace di riconoscere gli errori e adeguare la linea del partito al mutare delle circostanze. L’esperienza
come luogotenente di Stalin influenzò l’azione politica di Togliatti con tratti autoritari, gerarchici e non
democratici. Il perno della strategia di Togliatti era la realizzazione di riforme radicali che non potevano
però essere realizzate. Il Pci s’integrava progressivamente nel sistema politico e perdeva la sua forza nel
fissare gli obiettivi della lotta.
b) Amendola e Ingrao. Alla morte di Togliatti divenne segretario del partito Longo; sotto di lui la sinistra e la
destra del partito si scontrarono nella più dura battaglia interna che contrappose Amendola e Napolitano a
Ingrao, leader della sinistra. Per Amendola l’apertura a sinistra era stata un fallimento poiché non vi erano
state riforme;inoltre,una nuova crisi imminente avrebbe permesso al Pci di guadagnare consensi e di
attrarre i socialisti verso una nuova cooperazione per costituire una reale alleanza riformista nel paese. Per
Ingrao, invece, il Pci correva il pericolo di scivolare gradualmente verso posizioni socialdemocratiche. I
comunisti dovevano organizzare battaglie di massa per le riforme di struttura e guidare le nuove agitazioni
nelle fabbriche per creare una rete di poteri locali e centri di democrazia diretta. Ingrao criticava la natura
gerarchica del partito e auspicava una più ampia democrazia interna ma sulle principali questioni fu
pesantemente sconfitto.
c) L’Emilia Romagna negli anni ’60. Le regioni rosse furono il solo luogo in cui i comunisti potessero
esercitare un potere reale; le principali città lungo la via Emilia registrarono un forte incremento di forzalavoro e le piccole aziende presero il sopravvento. Il capitale monopolistico esercitava un controllo
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paralizzante sull’economia: controllava i prezzi, il credito e il rifornimento di materie prime e macchinari;
esistevano quindi le condizioni per un’alleanza tra datori di lavoro e operai, contro il capitale monopolistico.
A Bologna l’amministrazione comunale lavorò per dotare la città di un’eccellente rete di servizi sociali, di un
trasporto pubblico efficiente e poco costoso; si riteneva necessario sostenere con sussidi e facilitazioni
l’industria locale e i ceti medi in generale. La maggioranza dei cittadini mostrava d’apprezzare la qualità dei
servizi e il tentativo di non esiliare la classe operaia nell’estrema periferia.Gli obiettivi del centro-sinistra,
mai pienamente realizzati a livello nazionale furono attuati nel contesto locale dai comunisti.
CAPITOLO 10: CRISI, COMPROMESSO, “ANNI DI PIOMBO”, 1973-80
1.La Dc e il referendum sul divorzio.
Durante gli anni ’60 e i primi anni ’70 il voto della Dc era rimasto stabile ma all’interno del partito la fine del
predominio Doroteo aveva portato ad una proliferazione di correnti. Il partito aveva un carattere ancora
spiccatamente meridionale, vi era scarsa mobilità nelle èlites e le organizzazioni fiancheggiatrici avevano
perso il loro ruolo vitale.L’aspetto peggiore era, però, la mancanza di strategia. All’inizio del ‘74 il partito si
registrarono 2grandi scandali: il primo vedeva compagnie petrolifere versare soldi a democristiani in
cambio di misure governative favorevoli, il secondo vedeva emergere l’esistenza di un organizzazione
neofascista- Rosa dei venti- che coordinava azioni terroristiche in previsione di un colpo di stato,
collaborando con esponenti delle forze armate e dei servizi segreti. Tornò alla ribalta il referendum sul
divorzio, deciso per il 12 maggio. La Dc, lanciando una violenta campagna contro la legge, dichiarò che col
divorzio si metteva in discussione la sopravvivenza della famiglia; molti dirigenti Cisl si dichiararono però a
favore così come la maggior parte dei gruppi cattolici di base. A favore del divorzio si schieravano
apertamente socialisti e partiti laici mentre i comunisti ebbero qualche timore poiché esposti nuovamente
all’accusa d’indebolire l’istituto famigliare. La legge sul divorzio trionfò con il 59,1% dei voti.
2. La crisi economica.
A partire dall’autunno ’73 i paesi capitalisti si trovarono coinvolti in una grave crisi economica che li espose
alla recessione; causa della crisi fu la decisone dei paesi dell’Opec di aumentare del 70% il prezzo del
greggio, inducendo ricadute sui costi della produzione e, conseguentemente, sul prodotto finito; a partire
dal ‘75 le economia registrarono brevi miglioramenti seguiti da forti ricadute: il fenomeno prevalente era
quello della stagflazione- inflazione e stagnazione- accompagnato da aumento della disoccupazione e
diminuzione degli scambi con l’estero. L’inflazione italiana rimase la più alta del mondo occidentale per
tutti gli anni ’70, la svalutazione continua della lira mantenne competitive le merci ma aumentò il costo
delle importazioni; il governo fu costretto a contrarre prestiti internazionali mentre la Banca d’Italia avviava
una rigida politica deflazionistica e restringeva il credito. Si assistette anche all’incremento del settore
“nero” dell’economia che vedeva per lo più impiegate donne e giovani.La spesa pubblica crebbe
soprattutto per i settori sanità, educazione, assistenza, cassa integrazione.
3. Il compromesso storico.
In questi anni di crisi la più importante iniziativa politica venne dal Pci che, tramite il suo segretario
Berlinguer, aveva compreso che l’immobilismo dignitoso non poteva più continuare; si lanciò l’idea del
compromesso storico fra i tre principali partiti: Pci, Psi e Dc. A fronte del costante pericolo di spaccare in
due il paese Berlinguer propose una nuova grande alleanza e sottolineò l’importanza cruciale di una
collaborazione, a livello sociale, tra operai e ceti medi, per sottrarre questi da ogni tentazione reazionaria.
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Secondo il segretario comunista la solidarietà predicata dai cattolici poteva combinarsi con la tradizione
comunista di azione e lotta collettiva a dare un nuovo ordinamento politico, dato che Pci e Dc avevano un
comune interesse a preservare l’Italia dal degrado morale del tardo capitalismo.Un po’ alla volta il
compromesso storico avrebbe messo in crisi i gruppi dirigenti conservatori e sarebbe emerso un nuovo
blocco storico egemonizzato dagli operai e dal loro partito. Il progetto di Berlinguer conteneva, però, alcuni
vizi di fondo: in primis un’erronea valutazione della Dc che, in realtà, era cresciuta come partito
conservatore e capitalista ponendosi, quindi in antitesi al progetto; inoltre l’appello per una società più
giusta, collettivista e austera era in scarsa sintonia con le trasformazioni avvenute nella società italiana,
molto più sensibile a materialità e consumismo che ad austerità. Considerando, infine, i rapporti tra Pci e Dc
ci si accorge di come i partiti non brillassero per democrazia interna e tolleranza.
4. Lotte operaie, gruppi rivoluzionari, movimenti sociali, 1973-76.
a)Il movimento sindacale.tra il ’73 e il’76 i sindacati attraversarono un difficile momento; molte aziende
cessarono la loro attività e si annunciarono milioni di ore di cassa integrazione a cui gli operi risposero con
l’occupazione delle fabbriche e scioperi di solidarietà. Sotto la pressione della crisi economica il potere
passò di nuovo nelle mani dei datori di lavoro che reintrodussero un tradizionale modello a direzione
centralizzata. Le direzioni sindacali guardavano ormai apertamente all’intervento delle forze politiche come
il mezzo migliore per risolvere i gravi problemi del momento; malgrado questi sviluppi al nord il movimento
operaio rimase forte e praticò l’autoriduzione, il rifiuto sistematico di pagare gli aumenti tariffari, che, dopo
aver conosciuto un boom di diffusione si ridusse drasticamente verso il ’75.
b) I gruppi rivoluzionari. Il crescente carattere difensivo degli operai pose notevoli problemi ai gruppi
rivoluzionari che non potevano più presentare la rivoluzione come imminente. Bisognava individuare nuove
prospettive che prendessero in considerazione il ruolo di questi gruppi nel più ampio contesto della politica
italiana ma non vi fu risposta convincente,; i gruppi crebbero in autoritarismo e gerarchizzazione, non
persero la loro influenza concentrandosi soprattutto nella periferia milanese. Se il movimento universitario
non riacquistò mai la forza del ’68 quello delle scuole secondarie raggiunse il suo momento culminante;
anche l’esercito rafforzò la sua attività, sulla scia del colpo di stato in Cile.
c) Il terrorismo rosso: origini e attività iniziale. Il 20 ottobre ’70 le Br annunciarono la loro costituzione
esplicitando la decisione di mettere al primo posto la lotta armata e scavalcare la lotta legale finora
praticata che si era rivelata senza sbocchi. I modelli dei terroristi rossi furono i movimenti sudamericani di
guerriglia urbana e il movimento partigiano. Molti degli attivisti Br erano da tempo abituati a convivere con
la violenza a causa degli scontri frequenti che, in una città come Milano, si ripetevano tra rivoluzionari,
fascisti e forze dell’ordine.Se i gruppi rivoluzionari compresero che per cambiare la società bisognava agire
in profondità all’interno della società civile stessa, cercando di costituirne un movimento di massa i
terroristi, al contrario, scelsero clandestinità e violenza e agirono nell’incapacità di valutare i probabili
effetti delle loro azioni. Le prime azioni Br furono azioni di propaganda armata come il rapimento, nel
marzo’72,di un dirigente della Sit Siemens che restò nelle mani dei terroristi per circa 20 minuti. Dall’inizio
del ’74 le Br cambiarono metodo: il 18 aprile sequestrarono il giudice di Genova, Sossi che restò nelle loro
mani 35 giorni permettendo all’organizzazione di acquisire rilievo nazionale. Il reclutamento terrorista
cominciò a diffondersi: Potere Operaio si sciolse e una parte dei membri scelse la clandestinità, così come
una parte dei Nap, nuclei armati proletari.
d) I movimenti sociali nel Meridione. Durante l’autunno caldo la protesta urbana meridionale ebbe un
carattere municipalista e corporativo che, a partire dal ’73, si cercò d’abbandonare. Napoli fu l’esempio più
sorprendente di questa nuova realtà: la città, che aveva uno dei peggiori primati di disoccupazione, vide
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svilupparsi il movimento dei disoccupati organizzati che compilò una lista dei disoccupati e, organizzandosi
su base democratica, ottenne il riconoscimento dai sindacati. La forma più consueta di protesta del
movimento fu la manifestazione che bloccava il traffico ma ci furono anche occupazioni d’uffici municipali,
scioperi a rovescio in cui i manifestanti andavano a lavoro assieme a chi era stato regolarmente assunto.Il
movimento ebbe, comunque, punti deboli come la rigida discriminazione delle donne disoccupate o la
diffusione della corruzione. Palermo non vide una simile mobilitazione ma la solida presa della Dc e della
mafia sembrò vacillare con la costituzione del movimento per la casa che non durò a lungo.
e) Il femminismo. Il femminismo in Italia venne dopo il ‘68 ma andò oltre;la presenza femminile nel mondo
del lavoro aumentò ma i salari restavano mediamente più bassi di quelli degli uomini e le occupazioni più
misere; i sindacati erano maschilisti ma le donne, per la difficoltà di far quadrare i bilanci famigliari e la
riduzione della possibilità di lavoro part-time o a domicilio, furono sempre più coinvolte nelle lotte sociali. A
partire dal ’70 si assistette alla crescita dei gruppi femministi che si formavano nelle grandi città e vedevano
le donne della classe media analizzare la propria sessualità e l’oppressione maschile; i gruppi femminili
italiani avanzarono diverse richieste: Rivolta femminile denunciò il matrimonio e la famiglia come il luogo
della dominazione maschile, Lotta femminista lanciò lo slogan “salario alle casalinghe”, il Mld- movimento
di liberazione delle donne italiane- unì alle richieste d’uguaglianza quelle che avrebbero rafforzato
l’autonomia. I contrasti interni al movimento furono completamente abbandonati quando si trattò di
combattere per la legge sull’aborto: furono raccolte 800 mila firme per indire un referendum che solo la
convocazione di elezioni politiche riuscì a impedire.
5. Partiti, riforme ed elezioni, 1974-76.
La crisi economica e quella democristiana lasciarono poco spazio alla legislazione sociale; nel ’75 venne
riformato il diritto di famiglia che stabiliva la parità tra i coniugi e il dovere, per i genitori, di mantenere,
istruire, educare i figli tenendo conto delle loro capacità e dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni. Si
aboliva inoltre ogni discriminazione giuridica verso i figli nati fuori dal matrimonio. In ambito scolastico, nel
tentativo di democratizzare le strutture educative, si introdussero organi elettivi con poteri consultivi,
dando una rappresentanza a studenti, genitori e professori. Fanfani, nonostante la sconfitta al referendum
sul divorzio, restò alla testa del partito e affrontò il clima d’estrema violenza che caratterizzò la campagna
elettorale del ’75, presentando il suo partito come l’unico in grado d’assicurare legge e ordine. Il Pci
intraprese una campagna elettorale assai efficace puntando il dito sulla corruzione e sul caos che regnava
nelle giunte locali controllate dalla Dc. Le elezioni segnarono una grande avanzata del Pci ma anche i
socialisti andarono bene. La Dc perse il 2% e nelle grandi città, ad esclusione di Palermo e Bari, si formarono
giunte di sinistra. La Dc reagì dimissionando Fanfani ed eleggendo Zaccagnini che fu, però, subito travolto
da uno scandalo che implicava ministri democristiani nella riscossione di tangenti in cambio della
concessione di commesse d’aerei. Nel ’76 i partiti, per evitare il referendum sull’aborto, cercarono di
raggiungere un accordo per riformare la legge esistente: la Dc presentò una proposta in cui l’interruzione
volontaria di gravidanza era considerata un crimine; questa proposta passò alla camera e il Psi ritirò
immediatamente l’appoggio al governo, rendendo le politiche inevitabili.La campagna elettorale che seguì
fu combattuta con estremo impegno e occupò un posto rilevante a livello internazionale: gli americani
annunciarono la loro opposizione all’ingresso del Pci nel governo che avrebbe creato una basilare
contraddizione nel cuore della Nato; Berlinguer fece del suo meglio per contrastare l’atteggiamento
americano dichiarando che se i comunisti avessero vinto le elezioni non avrebbero spinto l’Italia fuori dalla
Nato. I risultati delle elezioni videro il Pci migliorare ancora rispetto all’anno precedente, l’elettorato Dc
mantenersi stabile mentre tutti gli altri partiti registravano delle perdite.
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6. I governi di solidarietà nazionale, 1976-78.
a) Il tempo delle decisioni. Berlinguer era più che mai convinto che tutta l’energia e la forza del partito
dovevano essere indirizzate a favorire un compromesso con la Dc; la crisi italiana era, epr lui, troppo
profonda per tentare una rischiosa avventura delle sinistre. Bisognava tener conto dell’ostilità Usa,
dell’instabilità economica, della violenza, occorreva difendere la democrazia. Gli oppositori di questa
strategia argomentavano, invece, che il paese aveva un assoluto bisogno di cambiamento e di riforme per
rispondere alla crisi italiana. L’alternativa di sinistra si presentava allo stesso tempo come un rischio e una
necessità; nel 1976 Craxi fu scelto come segretario del Psi e decise che per prosperare il partito necessitava
di più autonomia e di essere meno filocomunista.
b) Gli obiettivi della Dc e del Pci. L’11 agosto 76 un nuovo governo, guidato da Andreotti, ottenne la fiducia;
comunisti e socialisti, che non ne facevano parte, erano d’accordo nel non provocarne la caduta. Il governo
Andreotti resse fino al gennaio ‘78 quando si dimise per formare immediatamente un altro esecutivo che
vide avvicinarsi i comunisti. La Dc, con Moro che tesseva le fila, sperava di compiere gradualmente col Pci la
stessa operazione attuata col Psi negli anni ’60: l’intenzione era smussare le obiezioni comuniste al
governo.
7. Anni di piombo.
a) Terrorismo e disperazione. Il governo dovette dedicare quasi tutta la sua attenzione alla lotta al
terrorismo che crebbe per 3fattori: crisi dei gruppi rivoluzionari che dissolvendosi videro molti membri
imboccare la strada della lotta armata, frattura tra Pci e ceto giovanile urbano e universitario e difesa delle
tradizionali misure di legge e ordine a scapito dei diritti civili. Si generò il paradosso di un partito comunista
che voleva prevenire l’espandersi della violenza ma che con la sua politica autoritaria creava terreno fertile
ai terroristi.
b) Il movimento del ’77. La disoccupazione crescente, le università affollate di studenti privi di possibilità
d’impiego portarono il movimento giovanile, disarmato dalla politica tradizionale, a desiderare soprattutto
di divertirsi; a Milano alcuni giovani occuparono edifici per trasformarli in centri sociali dove tenere
concerti, proiettare film, impartire lezioni di yoga, fotografia e aprire consultori, centri di
disoccupazione.Nel febbraio ’77 gli studenti occuparono l’università di Roma per protestare contro i
propositi di riforma del ministro dell’istruzione ma il controllo della lotta cadde nelle mani di Autonomia
Operaia. Da Roma il movimento si spostò a Bologna; qui fu organizzato un convegno sulla repressione nella
società italiana, con enfasi particolare sul ruolo svolto dal Pci, che si rivelò un fiasco.Da allora il movimento
cominciò a spegnersi rapidamente senza aver ottenuto risultati.
c) Le Brigate Rosse e il rapimento Moro, marzo 1978.Tra il ’76 e il ’77 i gruppi terroristici intensificarono le
loro azioni per terrorizzare interi settori delle classi dominanti e impedire il regolare funzionamento dello
stato. Le Br uccisero 8persone e ne ferirono seriamente 16nel ‘76 mentre ne assassinarono 7e ne ferirono
40nel ’77.La mattina del 16 marzo ’78 la macchina di Moro e quella della scorta caddero in un imboscata in
via Fani. Per 54 giorni le Br, capeggiate da Mario Moretti, tennero prigioniero Moro mentre il mondo
politico si tormentava dinanzi ad un dilemma: trattare con i rapitori per salvare la vita di Moro o scegliere la
via della fermezza? I socialisti erano favorevoli a trattare mentre i comunisti vedevano ogni arrendevolezza
come un incoraggiamento a compiere nuove azioni; i democristiani erano divisi ma scelsero la strada di
non trattare. Moro fu ucciso dalle Br il 9maggio ’78 e tra l’opinione pubblica si diffuse un ampio dissenso
per quanto era stato fatto; i terroristi si isolarono sempre più mentre aumentavano le defezioni,
incoraggiate anche dalla nuova legge per i pentiti. E’, infine, importante ricordare che in questo stesso
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periodo ebbero luogo pericolose violazioni dei diritti civili, con le autorità statali eccessivamente propense
ad organizzare cacce alle streghe e distribuire condanne.
8. La tentata riforma.
a)Lo stato. L’iniziativa più importante portata avanti dal Pci nei confronti dello Stato fu la lotta che sostenne
per trasmettere alle regioni poteri reali; un gran numero di “enti inutili” venne abolito e le regioni
ottennero la necessaria autonomia finanziaria e compiti di piena responsabilità in aree come sanità e
pianificazione territoriale.in altri settori il Pci perse terreno: rivendicò solo a parole la riforma carceraria, il
controllo della polizia, l’accelerazione dei tempi dei processi e si lasciò coinvolgere nella pratica consolidata
delle lottizzazioni.
b) La politica economica. Il Pci sembrava ansioso di collaborare a salvare l’economia in modo tradizionale e
molti imprenditori pensarono di poterlo usare per spegnere le fiammate di attivismo operaio; la
collaborazione imprenditori-comunisti ebbe l’appoggio Cgil e portò l’economia ad un miglioramento,
stimolata anche dalla svalutazione della lira. Le confederazioni accettarono una parziale sterilizzazione della
scala mobile, un contenimento delle ore di sciopero e sottoscrissero accordi aziendali sulla mobilità e
produttività;in cambio i sindacati ottennero che il prezzo di alcuni beni di consumo salisse più lentamente
ma la disoccupazione non diminuì.Il risultato fu una perdita di potere, per il partito e per la Cgil, che
indebolirono le loro posizioni.
c) Edilizia e urbanistica. Tre furono le leggi di rilievo approvate in questo periodo: la legge sull’edificabilità
dei suoli secondo cui ogni permesso edilizio comportava l’obbligo a contribuire alla spese d’urbanizzazione
e ogni comune doveva rispettare il proprio piano regolatore, la legge sull’equo canone che fissava una serie
di norme per la valutazione del valore delle abitazioni, assicurava agli inquilini la casa per 4anni, e il piano
decennale per l’edilizia residenziale e pubblica che prevedeva la costruzione di 100'000 abitazioni l’anno.
d) La salute. Nel maggio ’78 venne promulgata la legge Basaglia che, cercando di restituire dignità umana ai
malati mentali decise di restituire la libertà al paziente e di reinserirlo in famiglia e nella società. I manicomi
vennero chiusi ma le nuove strutture territoriali create per occuparsi dei malati di mente furono del tutto
insufficienti.il 23 dicembre 78 venne istituito il Sistema Sanitario nazionale con la Usl, organismo
responsabile dell’assistenza sanitaria su tutto il territorio nazionale e con sedi distaccate in ogni comune. Le
Usl mostrarono grande debolezza, incapacità d’assicurare un servizio rapido ed efficiente e si prestarono
ben presto ad una lottizzazione interna.
e) L’aborto.Il decreto sull’aborto divenne legge il 22 maggio ’78; la Dc accettò di ritirare ogni clausola che
caratterizzasse l’aborto come un crimine e il Pci fece infuriare il movimento femminista accettando che
venissero posti dei limiti alla libertà di scelta della donna che dovevano consultarsi con un medico e un
assistente sociale prima di decidere.
f) Un bilancio. Forte era la distanza tra l’obiettivo dichiarato delle riforme strutturali e la realtà di quanto si
era ottenuto: molte leggi rappresentarono seri tentativi d’attuare riforme correttive ma altrettante
vennero vanificate, disattese e ignorate. Alla fine degli anni ’70 l’Italia aveva si uno stato sociale ma i partiti
invadevano la società civile, facendo ben poco per migliorare l’immagine o il funzionamento dello Stato.
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9. L’esperienza delle giunte rosse, 1975-80.
A livello nazionale il Pci riuscì a condizionare la attività della Dc ma non si rapportò ad essa sullo stesso
piano; a livello comunale, invece, dopo il ’75 divenne il partito più forte di tutte le giunte.
a)Bologna. A partire dal ’73 la vita dei governi locali si era fatta più difficile per via di una norma che
proibiva ai comuni d’imporre tasse ai residenti.nel ’72 Zangheri, sindaco di Bologna, introdusse un piano
per il traffico che limitava il trasporto privato e potenziava i trasporti pubblici a basso costo; nelle scuole fu
potenziato il tempo pieno, i portatori di handicap vennero inseriti nel mondo del lavoro, furono istituiti
centri d’igiene mentale e fu introdotto il piano per l’edilizia economica e popolare.In quegli anni la struttura
industriale della regione stava accentuando il suo grado di polverizzazione e Pci e Cgil rimanevano
impotenti. Nel ’77 il Pci perdeva terreno nel rapporto con importanti settori della popolazione, l’età media
degli iscritti era sempre più alta, i giovani uscivano dall’area d’influenza del partito.
b)Napoli.in quetsa città il controllo delle leve statali era saldamente in mano agli oppositori del Pci, ai
democristiani e ai clan mafiosi. Risultò quasi impossibile rovesciare una situazione che aveva acquisito
saldamente una propria fisionomia nei precedenti trent’anni e il consiglio comunale, a maggioranza di
sinistra, riuscì solo a fare qualche passo avanti. Fu eliminata parte della corruzione ma il desiderio di non
alienarsi la Dc spinse la giunta ad un atteggiamento sospettose e talvolta avverso ai movimenti sociali.
c) Torino. Il governo di sinistra si rivelò una delusione poiché l’equilibrio tra governo e lotta si spostò
nettamente a favore del primo. I consigli di quartiere, sorti spontaneamente e vivacemente, dovevano
essere istituzionalizzati attraverso l’elezione diretta che non ebbe, però, luogo. I seggi furono assegnati in
base alla rappresentatività numerica dei partiti e i valori della partitocrazia prevalsero su tutti gli altri, senza
che i comunisti riuscissero a spezzare tale modello.
10. Alcune conclusioni.
Il compromesso storico non riuscì a realizzare neppure l’obiettivo dell’attuazione di un programma di
riforme correttive; i comunisti cercarono di imporre le riforme da un posizione subordinata, rispetto alla Dc,
e si lasciarono cullare e deviare dalla superiore capacità di governo di quest’ultima.il movimento di
protesta, principale responsabile di quel riformismo che aveva preso piede dopo il 69 fu distrutto, il
terrorismo porta con sé una gran parte della responsabilità ma anche la mancanza di mediazione politica
offerta dai partiti di sinistra e dai sindacati non deve essere dimenticata. Inoltre, nella sua ricerca di
un’alleanza duratura con la Dc Berlinguer trascurò e sottovalutò i socialisti messi da parte dal Pci.
11. La fine di un’epoca.
Il 31 gennaio ’79 il governo Andreotti diede le dimissioni e i comunisti dichiararono apertamente che
sarebbero passati all’opposizione; Andreotti formò un nuovo governo ma non ottenne la fiducia e si arrivò
a nuove elezioni. I risultati videro il Pci perdere voti, il Psi aumentare di poco e la Dc calare appena.
Berlinguer annunciò la fine del compromesso storico e la nuova strategia d’alternativa democratica:
un’alleanza tra Pci e Psi, ormai però determinato a proseguire per la sua strada, verso una nuova riedizione
del centro- sinistra. Nello stesso tempo gli imprenditori si prepararono ad uno scontro decisivo col
movimento operaio che produsse moltissimi licenziamenti, in particolar modo alla Fiat dove furono colpiti
gli attivisti sindacali;la reazione fu uno sciopero ad oltranza e il blocco totale delle fabbriche Fiat che
registrò un iniziale adesione entusiastica. Quando la Fiat annunciò la sospensione di tutti i licenziamenti e la
concessione di soli 3 mesi di cassa integrazione per i 24mila operai i lavoratori si divisero: la minaccia di un
licenziamento immediato era stata revocata e parecchi operai non erano più disposti a scendere in
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sciopero. L’unità dei lavoratori cominciò a vacillare fino alla definitiva capitolazione dei sindacati che
firmarono l’accordo con la direzione.
CAPITOLO 11: L’ITALIA NEGLI ANNI ‘80
1. La società italiana negli anni ’80.
a) L’economia. I primi anni ’80 furono caratterizzati dal persistere di un clima recessivo: l’inflazione
raggiunse il picco di 21,1% e la crescita economica non fu lineare. Gli anni successivi videro una rapida e
intensa crescita in tutti i settori, favorita dalla caduta del prezzo del petrolio. Dopo che nell’85 un
referendum confermò la decisone di congelare parzialmente la scala mobile, gli imprenditori si sentirono
più tranquilli, anche per il declino del terrorismo e la stabilità politica. Le aziende italiane registrarono netti
miglioramenti e compirono una massiccia ristrutturazione produttiva; risultati altrettanto buoni vennero
fatti registrare da settori quali metalmeccanica, abbigliamento e calzature. Il mercato interno andava bene,
la compravendita d’azioni divenne un fenomeno di massa e l’industria pubblica registrò un’inversione di
rotta con L’Iri che, per la prima volta dagli anni ’60, chiudeva in pareggio. A questo quadro ottimistico
occorre, però, guardare con qualche riserva: il deficit del settore pubblico crebbe per tutti gli anni ’80
mentre l’inefficienza e lo spreco si accumulavano alle nuove esigenze dello stato sociale, specie nel settore
salariato e pensionistico, producendo una spirale di debiti. Rimangono dei dubbi sulla fragilità di
un’economia basata sulla conversione di materie prime importate in beni di consumo da esportare.E’
altresì dubbio in che modo i settori esportatori, specialmente quello tessile, fronteggeranno la concorrenza
asiatica; infine, rimane irrisolto l’eterno problema del Mezzogiorno.
b) Le classi sociali. Le tendenze più recenti vedono una costante e marcata diminuzione dell’occupazione
nell’agricoltura, un lento declino dell’industria e una crescita veloce del terziario; il livello d’occupazione
femminile è aumentato, un buon numero di famiglie gode di due stipendi mentre al Sud la popolazione
dipendente continua a salire. Il lavoro temporaneo, part-time, nero riguarda tutto il paese. L’istituzione
delle regioni ha portato ad una crescente presenza di professionisti, tecnici e intellettuali nel pubblico
impiego mentre i settori tradizionali dei ceti medi urbani- artigiani e commercianti- hanno mantenuto il loro
peso numerico relativo. Il peso della classe operaia è calato mentre i dipendenti del settore dei servizi sono
cresciuti; la classe operaia si è arroccata su posizioni difensive e subordinate, la protesta è frammentaria e
settoriale, l’egemonia dei grandi sindacati minacciata dal fiorire di organismi autonomi di base. Cresce il
numero degli immigrati, occupati soprattutto in lavori irregolari e mal retribuiti.
c) La famiglia. Il declino dei valori collettivi e la vigorosa ricerca del benessere materiale ha portato ad una
ripresa del familismo accompagnato, però, dal fiorire del volontariato, delle associazioni ricreative, della
cooperazione e da casi di famiglie che si associano pubblicamente per affrontare problemi di natura
privata. La famiglia ha continuato a contrarsi, il tasso di natalità è sceso in misura avvertibile. La famiglia ha
oggi più successo che non nel passato in tutte le sue attività economiche, i ragazzi rimangono a casa fino
all’età adulta e oltre, le donne hanno ridefinito il proprio ruolo e le responsabilità nei confronti dei
congiunti. Le famiglie dell’Italia nord-occidentale sono più prospere e di dimensioni ridotte, godono di un
buon numero di servizi pubblici, quali asili, assistenza medica, impianti per la ricreazione e l’attività
sportiva; le nuove tendenze si caratterizzano per vacanze all’estero, cene al ristorante, seconda macchina,
vestiti firmati ecc. Nel centro e nel Nord-est si trovano molti aspetti ed atteggiamenti simili: i servizi pubblici
sono diffusi, la qualità della vita migliore del Nord metropolitano; esiste un’etica del lavoro volta a costruire
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il benessere della famiglia e la sua prosperità. Al Sud, invece, la maggioranza delle famiglie deve affrontare
gravi problemi quotidiani e la dimensione dei nuclei è di gran lunga superiore alla media; spesso il
capofamiglia non ha lavoro fisso, i figli abbandonano la scuola e cercano impieghi nel settore dei servizi. I
servizi offerti dallo stato sono molto meno efficienti che al Nord, il forte esodo dalle campagne e la
persistente frammentazione della proprietà hanno stimolato un abbandono dell’agricoltura mentre il
sistema d’assistenza - sussidi, pensioni, assistenza- si è evoluto.
2. Politica e ideologia negli anni ’80.
a) Un sistema politico bloccato. Gli anni ’80 sono stati anni di grande continuità politica dominata
dall’alleanza tra Dc e Psi. L’elezione, nel ’79, di Pertini a PdR si caratterizzò per la difesa dei valori
democratici, la costante rievocazione della giovinezza antifascista e l’attenzione ai giovani scolari. Fu Pertini
che nell’81 incaricò Spadolini di formare il governo: per la prima volta un esponente di un partito diverso
dalla Dc guidava il paese. Le elezioni dell’ 83 segnarono un crollo Dc e la possibilità per Craxi di diventare il
primo presidente socialista. A causa dei rapporti tra Dc e Psi, lacerarti dal sospetto reciproco, dalla rivalità
personale, da giochi di potere, il riformismo degli anni’80 fu meno consistente di quello degli anni ‘70 e solo
due sono le misure degne di nota: il tentativo di far pagare le tasse ai commercianti e la legge Galasso che
obbligava ogni regione a stilare un piano regionale paesaggistico per difendere la fascia costiera e gli altri
ambienti dal degrado. La morte di Berlinguer nell’84 privò i comunisti dell’unica personalità con l’abilità
politica e la statura internazionale per guidare il Pci. Quest’ultimo entrò in declino, favorendo il blocco del
sistema politico, privo di un’alternativa all’alleanza Dc- Psi, poco fruttuosa.
b) Il cittadino e lo Stato. Dal 1970 lo stato è intervenuto con maggiore efficienza in aiuto del cittadino,
allargando quantità e qualità dei servizi sociali, ma molti dei problemi cronici restano irrisolti: il rapporto
deformato tra stato e cittadini è costante , l’inefficienza dei servizi pubblici elevata. Il futuro del paese
rischia di venir compromesso dai continui rinvii d’ogni rinnovamento dei servizi e dei programmi di studio
della scuola e dell’università. Altra inefficienza è l’incapacità della pubblica amministrazione di garantire
una rapida attuazione dei decreti legislativi già approvati; infine, bisogna rivelare che in alcune zone
l’autorità dello stato democratico è ancora dubbia: se terrorismo e strategia della tensione sono scemate,
la mafia è sopravvissuta al venir meno delle sue basi rurali, spostando le attività sui mercati urbani come la
droga.
3. Il cambiamento dei valori.
I valori tradizionali della famiglia si sono spostati a quelli della democrazia parlamentare e del consumismo
capitalista; questi valori sono divenuti dominanti in ogni settore della società, che si è adattata al modello
di modernità emerso per la prima volta all’epoca del miracolo economico. Non c’è ragione di credere che la
forte tradizione d’azione collettiva nella recente, e meno recente, storia d’Italia sia morta improvvisamente;
resta da vedere se i valori degli anni ’80 saranno duraturi o se visini alternative potranno avere ancora un
ruolo nella storia della Repubblica.
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