COME PULA, SCHIUMA E FUMO La speranza dell ’em pio è come pul a port ata dal vento, come schiuma legg era sospinta d alla tempesta, come fumo dis perso dal vento, si dilegua come il ricordo d i un ospite di un sol giorno. ( Sapienza 5 ,14) Ecco quat tro i mmagini di gra nd e f ra gr anza poetica: la pula arida che volte ggia ed è disper sa nell ’aria (anche il Salmista im maginava i malvagi «come pula che il ve nto disperde» 1,4); la bufera che solleva le onde del mare, agitandone le creste schiumo se; il fumo piegat o i n ogni direzione e dissolto da l vento; e infine il passaggio di un ospite in un albergo la cui tracci a rimane solo in un r eg istro. È con questa sequenza di simboli ch e l’autore del libro della S apienza, forse un ebreo di lingua greca abitante ad Alessan d ria d’Egitto, alle sogl ie dell ’era cristiana , d escr ive il destino ultimo della folla dei perve rsi e dei prepotenti. Essi hanno dominato la storia , convin ti che i loro troni fossero inamovibili e le loro imprese indi menticabili, ed ecco, invece, l’amara sorpresa finale. Tutto si dissolve , si dissipa, svapora. È interessante seg uir e i versetti che precedono il frammento da no i citato, perché l’ arcobaleno delle immagin i di vu oto e vanità s’allarga in una sequenza molto vigorosa e incisiva (5,9-13). Ricchezza, pote re, superbia svaniscono come un’ombra o una notizia che dura lo spazio di un mattin o. Hanno la consistenza e la permanenza della scia impressa dalla carena di una nave nelle onde: una volt a passata l’imbar cazione, quella ferita si cancella e l’acqua ritorn a piatta e calma. Oppure è «come quando un uccello squarcia l’aria senza lasciare nessun a traccia del suo volo: l’aria leggera, per cossa dal battito delle ali e divisa dalla forza dello slancio, è attraversat a dalle ali in mo vime nt o, m a subito dopo non si ha nessun seg no di quel passaggi o». L’ autore sacro cont inua evocando il sibilo della corsa di una freccia, il cui tragitto ne ll ’aria non lascia nessun a t raccia visibile. E la conclusione è amara per quest i u om ini arroganti, convinti di godere di una fa ma e di una presenza imperitura: «Appena nat i, siamo già scomparsi […], ci siamo consumati nella nostra malvagi tà». È significativa quest a auto-condanna: giunti davanti al giu dizio divino, essi stessi confessano la loro miseria, il loro fallimento, riconoscendo il vuoto che si celava dietro l a superficie dorata de l p ot er e, della ricchezza e del piacere. C’è, dun que , una voce della coscienza che non si p uò m ai sp egnere, anche se la si ignora e la si zittisce per anni. Queste righe poetiche dell’ant ico sap iente ebreo diventano, allora, una lezion e destinata a tut ti e che potremmo far echeggiare in modo nuovo attraverso l’appello d i Cristo a cercare t esori che non siano consum ati da ruggine o rapinati da ladri ( Matte o 6,19-21) . S on o quei valori permanent i che si chiamano amore, giustizia, verità, be n e: realtà trascendenti ed eterne, che Dio iscr ive per sempre nel gran libro della vita che e g li tiene davanti a sé e ove ognuno di no i ha la su a pagina. Sì, l’acqua scorre, le passioni si dissolvono, ma l’ amore rimane in eter no per ché «Dio è amore». -1-