L`immagine della donna come sorella Rev. Piotr Mazurkiewicz

L'immagine della donna come sorella
Rev. Piotr Mazurkiewicz
Pontificio Consiglio per la Famiglia
Dio ha creato l'uomo maschio e femmina. La differenza è qualcosa voluto da Dio e fa
parte del mistero dell’uomo. Uomini e donne sono diversi, ma entrambi uguali in
dignità. Due mondi e due modi complementari di essere persona umana. La donna
complementare all'uomo, come l'uomo è complementare alla donna: si completano
reciprocamente. Questo fa sì che le differenze nelle statistiche non sempre sono
qualcosa di negativo, che richiede un superamento o l'eliminazione. Santa Caterina da
Siena ha scritto: “Così molti doni e grazie di virtù, e d'altro spiritualmente e
corporalmente. Corporalmente dico (per le cose necessarie per la vita dell'uomo) tutte
l'o date in tanta differenzia, che non l'o poste tutte in uno, acciò che abbiate materia,
per forza, d'usare la carità l'uno con l'altro; che bene potevo fare gli uomini dotati di
ciò che bisognava, e per l'anima e per lo corpo, ma io volsi che l'uno avesse bisogno
dell'altro, e fossero miei ministri a ministrare le grazie e doni che anno ricevuti da
me. Che voglia l’uomo o no, non può fare che per forza non usi l’atto della carità”.1
La complementarietà di donne e uomini in senso fisico e psichico è relativamente
facile da vedere e accettare. L'accento, però, su questi aspetti fa sì che la differenza
sia percepita solo in termini funzionali. Ecco, quindi, la domanda: in che misura
queste "caratteristiche" sono innate (naturali), in che misura sono il risultato di un
apprendimento (socialmente costruite), e in quale misura, dunque, possono essere
“ricostruite”, modificate. Dal punto di vista del mistero dell'uomo, la
complementarità ontica gioca un ruolo più fondamentale.
Dio disse: “Non è bene che l'uomo sia solo: gli darò un aiuto simile a lui” (Genesi
2:18). Si tratta qui non solo di un aiuto nelle diverse attività (nell’“operare”) − tanto
lavoro può essere svolto anche dagli animali −, ma di un’assistenza nell’“essere”. “Il
contesto biblico – spiega Giovanni Paolo II − permette di intenderlo anche nel senso
che la donna deve «aiutare» l'uomo – e a sua volta questi deve aiutare lei – prima di
tutto a causa del loro stesso «essere persona umana»”. 2 Senza dubbio, si fa
riferimento qui all’"aiuto" reciproco, di entrambe le parti, nell’essere la persona
umana, perché solo attraverso l'integrazione di ciò che è "maschile" e di ciò che è
"femminile" l’umanità si realizza pienamente. All’uomo, per vivere pienamente la
sua umanità, manca qualcosa che ha solo la donna; alla donna, manca qualcosa che
ha solo l’uomo. L’uomo non è capace di comprendere se stesso senza cercare di
capire la donna. Non può capire né chi è in quanto uomo, né qual è la sua vera
dignità, né quale sia la sua vocazione. Anche la donna non riesce a comprendere se
stessa senza cercare di capire l'uomo. “La conoscenza dell’uomo − scrive Giovanni
Paolo II − passa attraverso la mascolinità e la femminilità, che sono come due
1
2
S. Caterina da Siena, Il Dialogo della Divina Provvidenza ovvero Libro della Divina Dottrina, VII.
Giovanni Paolo II, Mulieris dignitatem, 7.
1
“incarnazioni” della stessa metafisica solitudine, di fronte a Dio e al mondo”.3 Solo
guardando alla donna, così simile e così diversa allo stesso tempo, l'uomo comincia a
comprendere la propria differenza, il suo modo maschio di essere persona umana. È
solo nel guardare l'uomo che la donna capisce meglio se stessa e il suo modo
femminile di essere persona umana. “La femminilità ritrova, in certo senso, se stessa
di fronte alla mascolinità, mentre la mascolinità si conforma attraverso la
femminilità”. 4 L’uomo e la donna, vedendo se stessi come diversi spiritualmente,
emotivamente, psichicamente, fisicamente e sessualmente, sono entrambi pienamente
consapevoli della loro uguale dignità personale, della loro complementarità e capacità
di essere un “dono” all’altro, di entrare nella comunione. “Modello di una tale
interpretazione della persona è Dio stesso come Trinità, come comunione di Persone.
Dire che l'uomo è creato a immagine e somiglianza di questo Dio vuol dire anche che
l'uomo è chiamato ad esistere «per» gli altri, a diventare un dono”.5
Il tentativo di offuscare la differenza ontica contribuisce ad un impoverimento
significativo dell’esperienza dell’essere umano. «L'uomo e la donna – sottolinea
Giovanni Paolo II - sono chiamati sin dall'inizio non solo ad esistere “uno accanto
all'altra” oppure “insieme”, ma sono anche chiamati ad esistere reciprocamente “l'uno
per l'altro”».6 «La donna è “aiuto” per l'uomo, come l'uomo è “aiuto” per la donna!»:
nel loro incontro si realizza una concezione unitaria della persona umana, basata non
sulla logica dell'egocentrismo e dell'autoaffermazione, ma su quella dell'amore e della
solidarietà. 7 Un incontro con una persona del sesso opposto suscita curiosità e
meraviglia, rende la persona capace di auto-trascendenza, di dimenticare di se a causa
di altra persona, così simile e così diversa allo stesso tempo.
«L'uomo – come insegna il Concilio - il quale in terra è la sola creatura che Dio abbia
voluto per se stesso, non possa ritrovarsi pienamente se non attraverso un dono
sincero di sé».8 La castità permette all’uomo e alla donna di scoprire tutta la verità su
l'altra persona e di goderla. Questo consente di percepire la bellezza dell’altra persona
che trascende la dimensione fisica e accettare l'altro come una persona. L’impara a
godere dell'altro come d’un uomo, che il Creatore «ha voluto per se stesso». Forse
troppo debole è la consapevolezza come radicalmente il cristianesimo ha trasformato
il mondo dell'antichità pagana, portando ad esso l’idea della pari dignità dell'uomo e
della donna. Questo si è rivelato, tra l'altro, in divieto di uccidere le ragazze
"straordinarie", usanza comune nella cultura romana, così come nell’esigenza della
castità indirizzata ai uomini che in precedenza obbligava solo le donne.9 La donna,
3
4
5
Giovanni Paolo II, Udienza generale, 21 Novembre 1979, 1.
Ibidem.
Giovanni Paolo II, Mulieris dignitatem, 7.
6
Giovanni Paolo II, Mulieris dignitatem, 7.
Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, 147.
8
Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, 24.
7
9
Cf. M. Geach, Marriage: Arguing to a First Principle in Sexual Ethics, [w:] L. Gormally (ed.), Moral Truth and Moral Tradition, Four Courts Press
1994, s. 178; „(…) à Rome la patria potestas, le pouvoir du père, était absolu, sur la famille et notamment sur les enfants à leur naissance ; tous les
juristes – écrit Régine Pernoud – ont relevé ce qu'on appelle la "disparition forcée des cadettes"; en effet, si le père était tenu de conserver à la
naissance les enfants mâles en raison des besoins militaires (sauf s'ils étaient mal formés ou jugés trop chétifs), il ne gardait en général qu'une seule
fille, l'aînée ; c'est tout à fait exceptionnellement qu'on voit mention de deux filles dans une famille romaine. Et il est significatif que chacun des
garçons reçoive un praenomen (prénom), tandis que la fille, l'aînée généralement, ne porte qu'un nom, celui de la famille paternelle ; ainsi, dans la
gens Cornelia, la fille s'appelle Cornelia, ses frères sont Publius Cornelius, Gaïus Cornelius, etc. Pas de nom personnel donc pour la fille, mais
2
nel cristianesimo, è posta al fianco dell’uomo, come il suo secondo "io", come il suo
interlocutore e “un aiuto simile”. Il principio di reciprocità - in aiuto dell'un all'altro,
ma anche nella reciproca sottomissione in amore – è caratteristica del pensiero di
Giovanni Paolo II sul rapporto tra un uomo e una donna. Il «dominio» dell’uomo
sopra la donna – scrive Giovanni Paolo II – «indica il turbamento e la perdita della
stabilità di quella fondamentale eguaglianza, che nell’“unità dei due” possiedono
l'uomo e la donna: e ciò è soprattutto a sfavore della donna, mentre soltanto
l'eguaglianza, risultante dalla dignità di ambedue come persone, può dare ai reciproci
rapporti il carattere di un'autentica “communio persona rum”. Se la violazione di
questa eguaglianza (…) comporta un elemento a sfavore della donna, nello stesso
tempo essa diminuisce anche la vera dignità dell'uomo.»10
Nella vita dell’uomo, la donna appare come “un’efficace ispirazione al bene”.11
Egli entra nel suo mondo come la madre, moglie, figlia o sorella. Nella vita del
sacerdote – scrive Giovanni Paolo II – «la presenza della donna riveste un carattere
peculiare ed esige un'analisi specifica».12 Non soltanto le vocazioni al matrimonio,
ma anche quelle al sacerdozio e alla vita consacrata nascono, implicano e richiedono
l'ambiente di vita umana, composto di uomini e di donne. 13 Non si tratta solo di
essere "tra" uomini e donne. Si parla qui dell'esperienza di incontro con i coetanei
dello stesso sesso e del sesso opposto, quando l’uomo si impara a riconoscere le
somiglianze e le differenze nelle costruzione psichica dei esseri umani, a
comprendere diversi modi di percepire il mondo, a rispettare anche quello che non si
capisce.
Poiché in Cristo siamo tutti fratelli e sorelle, nella vita del sacerdote appare "accanto
alla figura della madre, quella della sorella".14 La figura di una “donna-sorella” si fa
vedere sulle pagine del Nuovo Testamento. San Paolo scrive: «Non abbiamo noi
podestà di menare attorno una donna sorella, come ancora gli altri apostoli, e i fratelli
del Signore, e Cefa?» (1 Cor 9,5; Diodati).15 Al suo discepolo Timoteo, tuttavia, ha
dato consiglio molto specifico per il trattamento delle «donne anziane come madri e
(delle) più giovani come sorelle, in tutta purezza» (1 Tm 5, 1-2). "L’aiuto" da parte
delle donne è così importante per un uomo per l’esperienza della sua umanità, eppure
è così facile di sbagliarsi in questo settore delicato. Perciò, «per vivere nel celibato in
seulement celui du père. (...) Ce n'est que vers l'an 390, à la fin du IVe siècle, que la loi civile retire au père de famille le droit de vie et de mort sur ses
enfants. Avec la diffusion de l'Evangile, disparaissait la première et la plus décisive des discriminations entre les sexes: le droit de vivre accordé aussi
bien aux filles qu'aux garçons” (R. Pernoud, La femme au temps des cathédrales, Stock, Évreux 1980, p. 22-23); La relazione del Parlamento europeo
da 2012 sul tema "Gendercide: the missing women?" mostra che, dove ci manca un riferimento chiaro all’antropologia cristiana, questo problema non
appartiene al passato (PE510.639v01-00; 2012/2273(INI)).
10
Giovanni Paolo II, Mulieris dignitatem, 10; Vale la pena citare su questa tema un passaggio del trattato dell'XI secolo „ L’amicizia spirituale”: „E
la divina bontà non formò questo aiuto con una materia simile o uguale, ma per esprimere in modo più chiaro la sua intenzione di favorire la carità e
l’amicizia, creò la donna dalla stessa sostanza dell’uomo. È bello che il secondo essere umano venga tolto dal fianco del primo: così la natura vuole
insegnarci che tutti gli esseri umani sono uguali, quasi collaterali, e che nelle cose umane non c’è né superiore né inferiore, il che costituisce l’essenza
stessa dell’amicizia” (Aelredo di Rievaulx, L’amicizia spirituale, I, 57).
11
Giovanni Paolo II, Lettera ai sacerdoti in occasione del Giovedì Santo 1995, 2.
12
Ibidem.
13
Cf. ibidem, 4.
14
Ibidem, 3.
15
μὴ οὐ κ ἔ χομεν ἐ ξουσί αν ἀ δελφὴ ν γυναῖ κα περιά γειν, ὡς καὶ οἱ λοιποὶ ἀ πό στολοι καὶ οἱ ἀ δελφοὶ τοῦ κυρί ου καὶ Κηφᾶ ς. La
traduzione corretta di questa frase pone alcune difficoltà.
3
modo maturo e sereno, sembra essere particolarmente importante che il sacerdote
sviluppi profondamente in sé l'immagine della donna come sorella.»16
«La figura della donna-sorella riveste notevole importanza nella nostra civiltà
cristiana, dove innumerevoli donne sono diventate sorelle in modo universale, grazie
al tipico atteggiamento da esse assunto verso il prossimo, specialmente verso quello
più bisognoso. Una “sorella” è garanzia di gratuità: nella scuola, nell'ospedale, nel
carcere e in altri settori dei servizi sociali. Quando una donna rimane nubile, nel suo
“donarsi come sorella” mediante l'impegno apostolico o la generosa dedizione al
prossimo, sviluppa una peculiare maternità spirituale».17 Ci sono due caratteristiche
di figura della “sorella” sottolineate da Giovanni Paolo II. «Senza dubbio “la sorella”
rappresenta una specifica manifestazione della bellezza spirituale della donna; ma
essa è, al tempo stesso, rivelazione di una sua “intangibilità”».18 Chi ha sperimentato
l'amore dalla propria sorella, capisce perfettamente la differenza tra quell’amore che
questa donna può riversare su di lui, e la sensazione di esclusività che conferisce al
marito. La castità nel rapporto fratello-sorella non è limitata all’integrità del regno
fisico, ma esige anche di non invadere la zona di intimità spirituale riservata alle
relazioni moglie - marito.
La castità accresce la fiducia. Giovanni Paolo II sottolinea che «ogni prete ha dunque
la grande responsabilità di sviluppare in sé un autentico atteggiamento di fratello nei
riguardi della donna, un atteggiamento che non ammette ambiguità».19 «Quando nel
rapporto con una donna venissero esposti a pericolo il dono e la scelta del celibato, il
sacerdote non potrebbe non lottare per mantenersi fedele alla propria vocazione. Una
simile difesa non significherebbe che il matrimonio in sé stesso sia qualcosa di male,
ma che per lui la strada è un'altra». 20 Il Santo Padre sottolinea, da un lato, una
responsabilità particolare dalla parte del sacerdote, d'altro lato, come l’aiuto è un vero
aiuto solo quando veramente serve a crescere nella santità attraverso la propria
vocazione. Non c'è una "terza via" tra il matrimonio e il celibato.
In realtà, anche i santi devono crescere nella santità. Il corretto rapporto tra l’uomo e
donna, anche nella vita di persone dedicate a Dio, non avviene senza sforzo. La
preghiera e la messa a fuoco nello sguardo su Cristo − come mostra l'esempio di
Santa Teresa d'Avila − è senza dubbio lo strumento più efficace su questa strada. «La
visione di Gesù Cristo mi lasciò impressa la sua incomparabile bellezza che ho
sempre davanti. (…) A maggior ragione, quindi, avendolo visto tante volte, quante il
Signore ha voluto farmi la grazia. Ne trassi un vantaggio grandissimo di cui ora
parlerò. Avevo un difetto assai grave da cui mi erano venuti danni enormi, ed era
questo: quando mi accorgevo che una persona mi voleva bene, se mi andava a genio,
mi affezionavo tanto ad essa da averla sempre nella mente. Non già che avessi
l’intenzione di offendere Dio, ma godevo di vederla e di pensare a lei e alle buone
16
Giovanni Paolo II, Lettera ai sacerdoti in occasione del Giovedì Santo 1995, 4.
Ibidem, 5.
18
Ibidem, 5.
19
Ibidem, 5.
20
Ibidem, 5.
17
4
qualità che io le trovavo. Ciò mi procurava tanto danno da farmi perdere totalmente
l’anima. Ma, dopo aver visto la gran bellezza del Signore, non trovai più nessuno che
al suo confronto mi piacesse né mi occupasse la mente. Mi bastava gettare
mentalmente lo sguardo sull’immagine che di lui portavo scolpita nell’anima, per
sentirmi così libera da questa tentazione, che da quel momento in poi tutto ciò che
vedo mi sembra ripugnante in confronto all’eccellenza e alle attrattive del Signore.
(…) Ritengo, quindi, impossibile, a meno che il Signore, in castigo dei miei peccati,
non permetta che io ne perda la memoria, che alcun altro possa occuparla in modo
tale che, tornando a ricordarmi di lui anche solo per un attimo, non resti libera da
altro pensiero».21 Chi vive in amicizia con le Persone Divine, gode della libertà nei
rapporti con le persone umane.
21
S. Teresa d'Avila, Libro della vita, XXXVII, 4.
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