LA GRANDE M ADRE a cura di M assimiliano Gioni Palazzo Reale, Milano — 26 agosto – 15 novembre 2015 Una mostra promossa da Comune di Milano | Cultura – Ideata e prodotta dalla Fondazione Nicola Trussardi insieme a Palazzo Reale in occasione di ExpoinCittà 2015 Segue il racconto di M assimiliano Gioni in merito alla mostra La Grande M adre. Attraverso le opere di oltre centotrenta artiste e artisti internazionali allestite nel piano nobile di Palazzo Reale, La Grande Madre analizza l’iconografia e la rappresentazione della maternità nell’arte e nella cultura visiva del Novecento, dalle avanguardie fino ai nostri giorni, delineando una storia del potere delle donne raccontata attraverso le lotte di genere, le politiche sessuali e gli scontri tra tradizione ed emancipazione. — “La Grande Madre” è una mostra che prosegue il percorso, sicuramente non lineare, della Fondazione Trussardi. La nostra caratteristica è sempre stata quella di essere un museo itinerante e di continuare ad espandere e modificare la nostra identità. Con il passare del tempo, i progetti della Fondazione si sono evoluti e così anche con questa mostra. Senza contare che “La Grande Madre” segna un impegno decisamente più istituzionale dei progetti scorsi – tra i partner ci sono la città di Milano e Palazzo Reale, una sede che è meno una riscoperta rispetto ad altre località che abbiamo utilizzato in passato. La scelta del luogo è stata dettata dal fatto che, come tutte le altre mostre organizzate dalla Fondazione, avesse uno spirito ‘temporaneo’. Non dobbiamo dimenticarci, infatti, che “La Grande Madre” è nata anche grazie all’invito che la città stessa ci ha rivolto, proprio nella metà della fase dell’EXPO, dunque ci piaceva che fosse ospitata in un luogo non solo centrale ma anche importante e riconosciuto. In molti mi hanno chiesto – e continuano a chiedere – le motivazioni della scelta di questo tema. Le ragioni sono molteplici. Assieme all’invito a proporre un progetto da sviluppare durante l’EXPO, che riguardasse l’arte contemporanea, sia io che Beatrice Trussardi abbiamo iniziato a pensare un tema che potesse relazionarsi con il concetto molto più ampio legato al “nutrimento del pianeta”. Non volevamo optare per scelte ovvie o, peggio, generiche. Volevamo andare un po’ più in profondità. Ci siamo chiesti quale potesse essere l’archetipo o l’immagine primordiale legata alla nutrizione. La risposta che ci siamo dati e che ci è parsa la più interessante è stata quella della “madre” e, più in generale, della maternità. Sviluppando il tema della madre in relazione all’atto del nutrire, approfondendo ulteriormente le ricerche, sono emersi tanti altri percorsi molto più interessanti e articolati, alcuni a volte molto tragici, altri, invece, strettamente intrecciati con la storia, la politica e il potere. Devo sottolineare fin da subito che la mostra ha poche “mammone” consolatrici che allattano eterni bambini… in realtà è una mostra che racconta la maternità come campo di battaglia. C’è un’opera di Barbara Kruger dal titolo “Your Body Is a Battleground” – “Il tuo corpo è un campo di battaglia” – che per molti versi può essere visto come uno dei temi fondamentali dell’intero progetto. E’ una mostra, dunque, che non guarda la maternità come simbolo consolatorio, così come è stato utilizzato nel corso del ‘900, ma la guarda come un terreno che è stato sottratto al diritto e ai desideri delle donne, per essere spesso manipolato dall’uomo, dallo stato, dalla religione e così via. Uno dei paradossi che sta alla base è che dal momento che si è scelto di raccontare l’iconologia, l’iconografia della maternità del ‘900, parlare di madre significa inevitabilmente parlare di padri, e spesso di padri padroni. La mostra per gradi si allarga per raccontare l’iconografia della maternità, ma soprattutto per raccontare un secolo di scontri e di processi di emancipazioni e di repressione sessisti da una parte – chi vuole imporre una certa immagine della donna e della madre – e dall’altra i tentativi, più o meno riusciti, delle donne, da una parte sfuggire all’equazione “donna uguale madre” e dall’altra di inventare nuovi spazi di indipendenza ed emancipazione. Questa mostra non è illustrativa, definirei “La Grande Madre” più una mostra che racconta: da una parte lo sfuggire dal ‘destino biologico’ che viene imposto alle donne all’inizio del ‘900 e, dall’altra, suggerisce un’immagine della madre in relazione al potere, sì di dare la vita e dare nutrimento, ma, d’altro canto, anche un potere che le viene negato. Spesso, soprattutto all’inizio del ‘900, alle donne è stata negata la possibilità di essere madri ‘libere’. Scrive la poetessa e saggista femminista americana Adrienne Rich: “Essere madre ha significato molto spesso lavorare per la patria o per l’esercito”. (…) In sintesi si potrebbe dire che la mostra racconta il passaggio da Freud – che ad un certo punto, all’inizio del ‘900, sostiene che “l’anatomia è destino” – frase raccapricciante, poveretto – a visioni più libere e civili. Devo sottolineare che Freud ha un ruolo importante nel percorso della mostra, anzi potrei dire che la mostra sviluppa le influenze e le emancipazioni dal filosofo nel corso del ‘900. Dai suoi ragionamenti, il percorso giunge, cinquant’anni dopo, a toccare punte di autentica ‘liberazione’ per le madri. Penso alla celebre frase scritta da Simone de Beauvoir ne Il Secondo Sesso – “Donne non si nasce, lo si diventa” – che inaugura il percorso del femminismo dal dopoguerra in poi: sostiene l’idea che la maternità, la femminilità l’essere donna siano costrutti culturali e come tali possono essere modificati e trasformati. (…) Il tema della mostra è stato trattato per aprire a continui scontri, dialoghi, tra rappresentazioni fatte dagli uomini e rappresentazioni fatte dalle donne. Anche se in realtà sono stato attento a non appiattire tutto a un confronto didascalico e banale. Non volevo fare una mostra di sole donne. Credo che sia impossibile raccontare, per la sua complessità, soprattutto nell’ultimo secolo, la storia da un solo punto di vista. E’ più interessante quando i punti di vista sono sfaccettati, soprattutto quando non si finisce per dire “essere donna è un fatto biologico”. Se avessi selezionato solo artiste donne, sarei caduto nella stessa trappola. Nella mostra “La Grande Madre” ci sono alcuni nuclei fondamentali. Uno è dedicato alle avanguardie storiche, che riguarda il Futurismo, il Dadaismo e il Surrealismo: tre esempi, o casi celebri, di avanguardie storiche, formate da artisti e intellettuali che hanno ispirato generazioni non solo per le loro idee rivoluzionarie in fatto di estetica, ma anche per le loro visioni e scelte sia politiche che esistenziali. Quindi gruppi che hanno immaginato nuove società e sistemi sociali. (…) In questa mostra abbiamo cercato di ricostruire le posizioni di queste tre avanguardie storiche rispetto alla donna e alla maternità. Penso ad esempio a Marinetti che nel Manifesto Futurista proclama il disprezzo della donna, ma da lì a qualche anno immagina una società futura in cui ci sia il libero amore e sostiene che gli uomini devono pagare una tassa per i figli nati dal libero amore; verranno educati dallo stato in asili di massa, lasciando così libere le donne dal peso e dalle incombenze della maternità. Da una parte ci sono queste visioni dall’apocalittico al libertinaggio più sfrenato, dall’altra c’è un aspetto che spero emerga forte. Ci sono tante figure femminili meno celebri come Benedetta, Regina, Rosa Rosà, Giannina Censi, Marisa Mori e tante altre, che sono figure fondamentali nella storia dell’arte del futurismo ma anche e soprattutto per le loro posizioni rispetto alla donna e alla sessualità. Altri esempi: potrei citare il manifesto della lussuria di Valentine de Saint Point o Nina Loi, artista che frequenta sia il gruppo dei Futuristi prima e in seguito i Dadaisti a New York, e che in seguito scrive un manifesto sul femminismo, che si rivela una sorta di risposta alle provocazioni di Marinetti. In questo manifesto la Loi immagina che, per porre fine alla dipendenza dalla donna, bisognerebbe procedere alla rimozione della verginità in modo sistematico. In modo che non sia più un valore, ma uno strumento di emancipazione. (…) Nel nucleo in mostra dedicato alle avanguardie storiche troviamo tante figure femminili che emergono sia come bravissime artiste che come donne che hanno vissuto sulla loro pelle tali idee politiche e prese di posizione in fatto di identità sessuale. Ci sono tante storie di donne che hanno dovuto abbandonare la famiglia per diventare artiste, storie come quella di Hannah Höch – fidanzata di Raoul Hausmann – che ha creduto nel libero amore ma si è legata ad un uomo che non ha mai lasciato la moglie, anzi, ha continuato a metterla incinta perché si rifiutava di utilizzare i metodi anticoncezionali… di storie di questo tipo ce ne sono tantissime. Per certi versi la mostra è una sorta di grande album di famiglia (magari disfunzionale), dove ci sono tante di queste storie che raccontano come negli anni ’20, ’30 e ’40… accedere al mondo dell’arte per gli uomini era molto più facile rispetto alla donne, e comportava molti meno sacrifici. (…) Il secondo nucleo tematico che si percorre attraverso tutta la mostra è quello dell’archetipo delle “grande madre”. Un concetto ovviamente da utilizzare con le pinze. Cos’è l’archetipo? Secondo Jung è un’immagine così primordiale, così profonda che vive nell’inconscio collettivo e che ritorna con delle forme universali in tante culture e momenti storici diversi. In merito a questo, anche lo stesso titolo della mostra l’ho preso da un libro di Erich Neumann che si intitola, appunto, “La Grande Madre”. Questo testo si presenta come una vasta indagine iconografica di immagini di donne madri possenti… aspetto che, per molti versi, ricorre in tutta la mostra a Palazzo Reale, in quanto tema che ha affascinato e affascina gli artisti. Nelle nostre ricerche più volte siamo giunti alla considerazione che, per molti versi, la storia dell’arte inizia con la rappresentazione di donne madri, basti pensare alla Venere di Willendorf, che per fattezze è sicuramente un esempio di donna madre. Se si guarda ai primi dipinti rupestri di solito ritraggono animali a eccezione di presenze umane che sono per lo più donne. (…) Questi e tanti altri temi, sulle origine dell’iconografia della “grande madre”, ritornano nell’opera di tanti artisti, sia uomini che donne. Esempio eccellente è l’archivio di Olga Fröbe–Kapteyn che ha raccolto centinaia di immagini provenienti da tutto il mondo che ritraggono madri possenti, ma lo si ritrova anche nelle opere di Ana Mendieta, di Louise Bourgeois … ritorna molto prima anche nelle opere di artiste surrealiste. Se c’è un passato più o meno mitico di matriarcato fatto di donne potenti, allora quel passato può essere ricostruito, può essere riconquistato e così molte artiste degli anni ’60 si rimpossessano, anche visivamente, della figura della donna madre e della donna guerriera. Il terzo snodo importante presente in mostra è quello dedicato al femminismo più canonico (dagli anni ’60 e ’70) e di come questo movimento complesso ed eterogeneo vada poi a sfociare in una condizione di genere o in un modo di vivere il genere che non è necessariamente biologico ma è più semplicemente costrutto culturale. Si tocca poi il femminismo degli anni ’90, in cui l’immagine della donna diventa più ‘ragazza arrabbiata’ o comunque prende avvio l’immaginario di una donna che non esclude una cerca carica di seduzione o femminilità. Questi e molti altri sono aspetti che si intrecciano nel lavori di molte artisti degli anni novanta e di oggi. All’interno di questi grandi nuclei ci sono poi molti altri aspetti; abbiamo molta documentazione inedita, dai poster di varie campagne sull’aborto, o comunque di rivolte e contestazioni femminili, e di tante altre associazioni degli anni ’70. Abbiamo cercato dunque di raccogliere non solo la produzione artistica in relazione al tema, ma anche molti altri aspetti del mondo femminile in molte e diverse sfaccettature. Il focus è soprattutto arte, ma ci sono molti aspetti di cultura visiva che diventano parti complementari nel percorso espositivo. Il mio obbiettivo è quello di raccontare una storia più grande. Ad esempio, quando si approfondisce il Dadaismo in relazione al tema della mostra, si scopre che quello che sta succedendo a New York tra Duchamp e i Dadaisti è parallelo alle marce delle Suffragette o alla prima critica di assistenza del controllo delle nascite. Solitamente si pensa che la storia dell’arte sia una storia molto chiusa su se stessa, in realtà, nell’approfondire un determinato tema si scopre come sia un materiale estremamente fluido ed eterogeneo, permeabile. (…) La mostra parte – e questo è un aspetto fondamentale – dalla maternità come il ‘luogo’ nel quale si incarnano in maniera più esplicita le trasformazioni della nostra concezioni di desiderio, sessualità, di genere… e della nostra percezione del corpo nel corso del ‘900. Questo è il tema fondamentale della mostra: come cambiano idee di genere, come cambia la nostra esperienza del corpo nel corso del secolo scorso. Ovviamente è un tema gigante, analizzato attraverso figure individuali piuttosto che una sorta di storia onnicomprensiva. (…) Ad un certo punto, Harald Szeemann, dopo aver fatto la mostra “Le macchine Celibi” nel ’75, progetta di fare una mostra che si intitola “La Mamma”, che voleva realizzata alla Biennale di Venezia (progetto che non è mai stato realizzato). Una mostra su donne che non diventavano mamme e che non erano artiste, cioè che la loro creatività veniva espressa in altri modi che non fossero strettamente artistici. Dunque c’è anche questa grande mostra mai realizzata – forse perché troppo vasta – di cui esistono documenti e appunti …e che raccontiamo in catalogo. Nella “Grande madre” compiamo un tributo a questo progetto. Una mostra dentro alla mostra. — Artisti in mostra: Magdalena Abakanowicz, Carla Accardi, Paweł Althamer, Ida Applebroog, Diane Arbus, Associazione delle Madri di Plaza de Mayo, Roland Barthes, Thomas Bayrle, Hans Bellmer, Benedetta, Lynda Benglis, Umberto Boccioni, Oscar Bony, Louise Bourgeois, Constantin Brancusi, André Breton, Louise Joy Brown, Claude Cahun, Leonora Carrington, Maurizio Cattelan, Giannina Censi, Judy Chicago, Larry Clark, Controllo delle nascite, Salvador Dalí, Gino De Dominicis, Niki de Saint Phalle, Valentine de Saint-Point, Vittorio De Sica, Rineke Dijkstra, Nathalie Djurberg, Marcel Duchamp, Suzanne Duchamp, Marlene Dumas, Keith Edmier, Nicole Eisenman, Maria “Nusch” Éluard, Max Ernst, Fascismo, Federico Fellini, Femminismo, Leonor Fini, Lucio Fontana, Sigmund Freud, Katharina Fritsch, Olga FröbeKapteyn, Robert Gober, Alice Guy-Blaché, David Hammons, Rachel Harrison, Emmy Hennings, Camille Henrot, Eva Hesse, Alfred Hitchcock, Hannah Höch, Valentine Hugo, Dorothy Iannone, Joan Jonas, Birgit Jürgenssen, Franz Kafka, Frida Kahlo, Gertrude Käsebier, Mary Kelly, Ragnar Kjartansson, Konrad Klapheck, Käthe Kollwitz, Jeff Koons, Barbara Kruger, Alfred Kubin, Emma Kunz, Yayoi Kusama, Ketty La Rocca, Dorothea Lange, Maria Lassnig, Sherrie Levine, Mina Loy, Lee Lozano, Sarah Lucas, Dora Maar, Anna Maria Maiolino, Alina Marazzi Hoepli, Filippo Tommaso Marinetti, Ana Mendieta, Marisa Merz, Annette Messager, Lee Miller, Marisa Mori, Matt Mullican, Edvard Munch, Alice Neel, Lennart Nilsson, Nicholas Nixon, Violette Nozières, Lorraine O’Grady, Roman Ondák, Yoko Ono, Catherine Opie, Meret Oppenheim, Pier Paolo Pasolini, Valentine Penrose, Francis Picabia, Pillola anticoncezionale, Carol Rama, Man Ray, Regina, La Révolution Surréaliste, Pipilotti Rist, Enif Robert, Rosa Rosà, Martha Rosler, Suzanne Santoro, Carolee Schneemann, Jean-Frédéric Schnyder, Thomas Schütte, Cindy Sherman, Kiki Smith, Nancy Spero, Sturtevant, Suffragette, Alina Szapocznikow, Sophie Taeuber-Arp, Dorothea Tanning, Toyen, Rosemarie Trockel, Andra Ursuta, VALIE EXPORT, Remedios Varo, Elsa von Freytag-Loringhoven, Kara Walker, Nari Ward, Andy Warhol, Gillian Wearing, Mary Wigman, Hannah Wilke, Cathy Wilkes, Virginia Woolf, Růžena Zátková, Unica Zürn.