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GASTROENTEROLOGIA
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By Anonimous
MALATTIE DELL'APPARATO DIGERENTE
(corso integrato) - ore 75
Discipline attivate:
- Gastroenterologia
- Chirurgia dell'apparato digerente
Programma
LEZIONI FORMALI
Sono state previste lezioni formali sui seguenti argomenti (la partecipazione del chirurgo è contrassegnata
dagli asterischi):
**1. La Malattia Peptica (malattia da reflusso gastroesofageo, gastriti, duodeniti, ulcera gastrica e duodenale)
(2)
**2. Le lesioni precancerose e i carcinomi dell'esofago e dello stomaco (1)
3. Le diarree e la stipsi (1)
**4. Malattie infiammatorie croniche dell'intestino (IBD) (1)
**5. Le lesioni precancerose e le neoplasie del colon (1)
6. Epatiti croniche, cirrosi epatiche, complicanze delle cirrosi, e ** carcinomi del fegato (3).
**7 Calcolosi della colecisti e patologie delle vie biliari (1)
**8. Pancreatiti acute e croniche, carcinoma del pancreas (2)
ATTIVITÀ TEORICO-PRATICA
- Clinica di Gastroenterologia ed Endoscopia Digestiva
- Reparto di Chirurgia
A) Clinica di Gastroenterologia ed Endoscopia Digestiva
Per consentire l'apprendimento degli obiettivi educativi di carattere gestuale è stata prevista la frequenza
presso il reparto di gastroenterologia (20 posti letto).
L'attività di reparto sarà incentrata su:
- Visita in corsia
- Frequenza in Endoscopia, Ecografia, Manometria, Ph-Metria.
- Lettura e raccolta di anamnesi specialistica con orientamento per problemi
- Esame obiettivo dell'addome con check-list.
B) Reparto di chirurgia
- Visita in corsia
- Lettura e raccolta di anamnesi specialistica con orientamento per problemi
- Esame obiettivo dell'addome.
SINTESI FINALE (con i singoli tutori)
(Aula Via Eugubina - I piano Scala B)
Alla fine del Corso, prima dell'esame: chiarimenti e consigli.
ESAMI
È prevista la valutazione delle conoscenze e delle abilità acquisite durante le attività pratiche. Saranno
adottate le seguenti modalità d'esame:
1. Esame orale.
2. Revisione dell'anamnesi scritta raccolta da un paziente prima dell'esame con puntualizzazione dei
problemi attivi del paziente.
3. Esecuzione dell'esame obiettivo e dell'addome secondo la "check list".
Libri di testo:
P. LARIZZA, D. FURBETTA, Compendio di medicina interna e terapia, Piccin Editore, 1992
Testi di consultazione
CECIL, Trattato di medicina interna, Piccin Editore, 1993 - Capitoli relativi alle malattie dell'Apparato
Digerente e Pancreas, del Fegato e delle Vie Biliari;
HARRISON, Principles of Internal Medicine, McGraw Hill, 1991;
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L A MALATTIA PEPTICA
L’esofago ha la funzione di permettere il transito del bolo dalla cavità orale fino allo stomaco, e di prevenire
il reflusso gastro-esofageo durante gli intervalli fra le deglutizioni. Il primo compito è svolto dall’attività
peristaltica, il secondo dalla attività degli sfinteri:
Sostanze/eventi che provocano la diminuzione
della pressione del LES
UES: muscoli striati cricofaringeo e costrittore inferiore del
faringe, innervazione volontaria. E’ chiuso dal tono neurogeno
delle fibre che lo innervano, e si apre perché durante la
deglutizione i muscoli sopraioidei spostano in avanti il laringe, che
di conseguenza non offre più appoggio ai muscoli che costringono
il UES.
LES: muscolatura liscia chiusa per tono miogeno intrinseco,
modulato dalle fibre eccitatorie parasimpatiche e aperto per
l’attività delle fibre inibitorie che si attivano con la deglutizione.
Sostanze/eventi che provocano l’aumento della
pressione del LES
Agonisti M2
Alfa adrenergici
Sostanza P
PgF2
Distensione gastrica
Eruttazione
Pasti grassi
Coca – Cola, tè, caffè
Fumo di sigaretta
Nicotina
Beta adrenergici
Dopamina
Colecistochinina, secretina, VIP, adenosina,
sostanze che provocano il rilascio di NO
Neurotrasmettitore inibitorio: VIP e No
Neurotrasmettitore eccitatorio: ACH
Oltre a questi due sfinteri, esiste la crura diaframmatica, cioè i
pilastri muscolari esterni del diaframma che si affiancano al LES
per prevenire il reflusso.
1.1 SEGNI E SINTOMI GENERALI DELLA MALATTIA ESOFAGEA
Disfagia
Sintomo definito come sensazione di “blocco” del passaggio del cibo attraverso la bocca, la faringe o
l’esofago, che non riguarda l’atto deglutizione ma si manifesta dopo di essa. Può essere o no accompagnata
da dolore, nel qual caso si chiama odinofagia.
"La deglutizione è un processo composto da una fase volontaria (orale) e da una fase involontaria
(faringea ed esofagea).
La contrazione della lingua all’indietro spinge il bolo nella faringe, e innesca la fase involontaria o riflesso
della deglutizione. Nel momento in cui la lingua si spinge all’indietro, la laringe è spinta in avanti, e questo
si è detto provoca la apertura del UES. Il costrittore superiore del faringe si contrae, contro la laringe già
chiusa e il palato molle teso. L’unica via risulta l’esofago, e questo scatena un movimento peristaltico che
spinge il cibo fino a valle: le onde peristaltiche sono precedute da onde di rilassamento che provocano
l’apertura del LES.
Queste onde inibitorie sono dette inibizione deglutitiva, mentre la contrazione della muscolatura esofagea
dovuta alla deglutizione è detta peristalsi primaria. La peristalsi secondaria è di solito limitata al tratto
toracico dell’esofago, ed è innescata da residui di cibo. La peristalsi terziaria, se esiste, è un fenomeno
patologico.
Si distinguono principalmente due tipi di disfagia;
Disfagia meccanica: prodotta da un bolo di grosse dimensioni, da un restringimento o dalla compressione
esterna del lume esofageo. Nel soggetto normale la muscolatura esofagea può sopportare distensioni fino a
4cm; disfagia per i solidi se non si dilata oltre i 2,5 cm sempre presente quando c’è una dilatazione < 1,3 cm.
Le lesioni a tutta circonferenza sono quelle che più facilmente provocano disfagia, mentre quelle che
interessano un solo tratto della circonferenza di meno.
Carcinoma, stenosi peptiche ed altri restringimenti benigni
Disfagia motoria: difficoltà ad iniziare la deglutizione o anomalie della peristalsi prodotte da una
alterazione della muscolatura dell’esofago. La parte della muscolatura striata dell’esofago è presente nel
tratto cervicale e la sua disfunzione è per lo più legata a disfunzioni dell’innervazione a livello centrale o
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periferico. Invece la muscolatura liscia della parte toracica e del tratto addominale ha delle alterazioni legate
alla debolezza intrinseca della muscolatura, come nella sclerodermia, o ad alterazioni della componente
vagale.
Paralisi faringea, sclerodermia esofagea, acalasia, spasmo diffuso esofageo.
Anamnesi e dati importanti:
• Nella patologia meccanica si ha prima la disfagia per i solidi e poi anche per i liquidi; nella motoria
subito per entrambi
• Nella sclerodermia si ha disfagia per i solidi sempre, e disfagia per i liquidi solo nella posizione
supina
• La disfagia infiammatoria dura poche ore o settimane, mentre quella del carcinoma permane per
mesi
• La aspirazione di cibo durante la deglutizione è segno di paralisi del faringe
• Un forte calo ponderale, sproporzionato alla disfagia, è segno di carcinoma
Dolore esofageo
Essenzialmente come pirosi retrosternale che si propaga verso l’alto o verso il basso, e quando è grave si
estende ai lati del collo e del torace. Di solito la pirosi è sintomi di un reflusso, e si accompagna alla
sensazione di liquido caldo in gola o a rigurgito di acido.
Si accentua con la flessione in avanti del tronco e dopo i pasti, diminuisce nella posizione eretta, dopo
l’assunzione di acqua o di saliva, o antiacidi.
Per odinofagia si intende la comparsa di dolore durante l’ingestione del cibo, accompagnata da alterazioni
del transito. E’ una condizione comune nelle esofagiti, da qualsiasi causa, ma non peptiche.
Rigurgito
Comparsa, senza conati, di materiale acido, gastrico o esofageo, in bocca. Se c’è una ostruzione dell’esofago
distale, il cibo che torna in bocca è quello non digerito, associato a muco di sapore sgradevole. Se invece c’è
una incontinenza di entrambi gli sfinteri esofagei, si ha un reflusso gastrico con acido e cibo non digerito
amaro.
Questo materiale se va nella laringe provoca tosse e senso di soffocamento che svegliano il paziente la notte.
Raramente polmonite “ab ingestis”.
1.2 ALTERAZIONI MOTORIE DELL ’ESOFAGO
Paralisi faringea
Presente in diversi disturbi neuromuscolari, provoca difficoltà nella deglutizione e nell’espulsione del cibo
dalla cavità orale. Si manifesta con disfagia, rigurgito nasale, aspirazione tracheobronchiale durante la
deglutizione. Spesso è prodotta dalla paralisi dei muscoli sopraioidei, che non possono chiudere la laringe e
impediscono così l’apertura dell’UES.
Se il problema è miastenico, si ricorre al trattamento della malattia principale, mentre in caso di lesioni
neurologiche focali, il recupero avviene spontaneamente ma solo in parte. In genere si alimenta il paziente
tramite sondino, ma questo non protegge dall’aspirazione delle secrezioni salivari, e la morte sopraggiunge
alla fine per complicazioni polmonari.
Barra cricofaringea
Mancato rilassamento con la deglutizione del muscolo cricofaringeo, che determina un permanente stato di
contrazione, che in alcuni casi può dare la sensazione di permanenza di cibo in gola.
E’ spesso normale se è transitoria. Se persistente, si associa a fibrosi del muscolo cricofaringeo.
Bolo isterico
Sensazione di “nodo alla gola” in assenza di disfagia e con indici manometrici normali, di natura emotiva. Si
manifesta in genere nei soggetti che attraversano un periodo di stress. Colpisce più facilmente il sesso
femminile. In alcuni casi può essere invece associata a esofagite da reflusso e risponde favorevolmente al
trattamento di questa.
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Faringe
UES
Esofago
SUP
MED
INF
LES
Normale
Sclerodermia
Acalasia
Acalasia
Spasmo
esofageo
Paralisi
Faringea
Alterazione della muscolatura liscia dell’esofago che consiste in un aumentato tono del LES, nel suo
anormale rilasciamento con la deglutizione, e diminuzione della peristalsi nel terzo inferiore dell’esofago. Si
distingue una varietà in cui le contrazioni sono simultanee ma di bassa ampiezza (acalasia classica) e una in
cui assomigliano allo spasmo esofageo diffuso (acalasia vigorosa).
La patogenesi della malattia è legata alla perdita dei neuroni inibitori VIP dipendenti del terzo inferiore
dell’esofago. Di solito è primitiva ma può anche essere secondaria ad infiltrazione della mucosa da parte di
un carcinoma, un linfoma, o alla malattia di Chagas.
Disfagia, dolore toracico, rigurgito di grandi quantità di saliva e cibo accumulato. Ha in genere decorso
cronico per anni con disfagia progressiva e calo ponderale.
Spasmo esofageo diffuso
Alterazione motoria della muscolatura liscia dell’esofago con presenza di contrazioni spontanee multiple e
indotte dalla deglutizione, simultanee, ripetitive e di ampiezza variabile (ma comunque intense).
La patogenesi non è nota, anche se si propende per un danno della componente neuronale inibitoria come
nella acalasia.
I sintomi sono simili all’acalasia (dolore sternale e disfagia) ma il dolore è molto più intenso e si irradia
anche ai lati del torace, al dorso e ad entrambi gli arti.
Diagnosi differenziale con angina e con esofagite da reflusso, dato che le due malattie spesso coesistono.
Sclerodermia con interessamento esofageo
Componente della sclerodermia (vedi immunologia clinica Immunologia clinica.doc - _Sclerodermia),
produce una miastenia della muscolatura liscia del terzo inferiore del viscere e del LES. La parete muscolare
è atrofica, con aree diffuse di fibrosi. I pazienti lamentano disfagia per i solidi e per i liquidi in decubito
supino. I sintomi comprendono anche reflusso da incontinenza del LES.
1.3 REFLUSSO GASTROESOFAGEO
La malattia da reflusso gastroesofageo è uno degli aspetti della malattia peptica. Questa forma colpisce il
10% della popolazione.
E’ caratterizzata da lesioni della mucosa esofagea secondarie al reflusso in essa di materiale proveniente
dallo stomaco (esofagite peptica), dal duodeno (esofagite biliare o alcalina).
Epidemiologia
La malattia interessa in maniera più o meno grave il 10% della popolazione, M/F = 2:1, V decade di vita.
Incidenza 86/100000 mortalità 0.17/100000. Più frequente nei Paesi industrializzati.
Patogenesi
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Il singolo episodio di reflusso si ottiene con la alterazione dei meccanismi antirefluesso dell’esofago e con la
presenza di condizioni gastriche che lo facilitano.
Esistono i seguenti meccanismi antireflusso:
• Sfintere crurale, del diaframma, attorno allo iato esofageo
• Angolo di Heis, fra fondo gastrico e cardias
• LES
La barriera anti – reflusso così costituita sopporta pressioni di 20 – 30 mm Hg; la pressione gastrica è
normalmente superiore a quella esofagea e il reflusso si crea quando il LES ha un tono basale inferiore a 6-8
mm Hg. Le cause della malattia possono essere dipendenti quindi dalla inadeguata chiusura della barriera o
dall’aumento della pressione gastrica. Le fibre del LES non sono né adrenergiche né colinergiche, ma
rispondono al VIP e al NO
Cause esofagee:
• Ipotonia del LES (sclerodermia, fumo di sigaretta, beta adrenergici, esofagite, farmaci calcioagonisti
e colinergici.
• Inappropriato rilascio del LES (aumento del numero e della durata dei rilasciamenti)
• Manovre chirurgiche ed endoscopiche
• Diminuzione della clearence esofagea
• Esofagite e diminuzione della resistenza della mucosa
facilitano la produzione
di lesioni del LES
Cause gastriche:
• Ritardo dello svuotamento
• Reflusso duodeno – gastrico, da asincronismo della peristalsi dei due organi
• Aumento del volume gastrico (pasti abbondanti)
• Vicinanza del contenuto gastrico con la giunzione esofagea (clinostatismo)
• Aumento della pressione gastrica (obesità, gravidanza, ascite, abiti stretti)
• Ernia iatale da scivolamento (perdita della componente crurale della barriera)
Il 10% delle situazioni riconosce un carattere idiopatico.
Clinica
Gli effetti del reflusso dipendono dalla sua entità, ossia da un insieme di vari fattori come:
• frequenza e durata degli episodi (il reflusso singolo è un evento fisiologico)
• quantità del materiale refluito e sue caratteristiche
• capacità di clearence dell’esofago
• potere neutralizzante della saliva
Sintomi tipici sono la pirosi e il rigurgito (risalita nella bocca di materiale gastrico)
Sintomi invece definiti atipici sono:
• il dolore toracico non cardiaco
• singhiozzo
• l’eruttazione
• odinofagia
• la scialorrea
• bolo isterico
• alterazioni del gusto
• disfagia (indica l’evoluzione a stenosi peptica)
Complicazioni importanti della malattia da reflusso possono essere una modesta emorragia, lesioni
dell’apparato respiratorio quando il reflusso è importante e c’è aspirazione del materiale refluito.
Una importante sequela di complicazioni sono i danni alla mucosa:
• Esofagite lieve: infiltrato di cellule infiammatorie granulate, iperplasia delle cellule basali e
allungamento delle papille dermiche, in assenza di lesioni endoscopiche di rilevante evidenza.
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•
•
•
Esofagite
erosiva:
lesioni
Classificazione di Savory Miller dell’esofagite
evidenti all’endoscopia, con
iperemia
molto
evidente,
Grado I: edema con erosioni non confluenti
friabilità e ulcerazioni che
Grado II: erosioni confluenti ma non di tutta la circonferenza esofagea
provocano sanguinamento ed
Grado III: erosioni confluenti estese a tutta la circonferenza
emorragia digestiva
Grado IV: ulcerazioni e/o stenosi peptica
Stenosi peptica: danno della
mucosa secondario alla fibrosi infiammatoria, produce disfagia ed è presente nel 10% dei soggetti con un
reflusso. Le stenosi del reflusso sono lunghe pochi cm e distali (giunzione fra epitelio cilindrico cardiale
e pavimentoso esofageo.
Esofago di Barrett: progressiva sostituzione dell’epitelio pavimentoso pluristratificato dell’esofago con
epitelio metaplastico, di tipo gastrico o intestinale, comunque colonnare. Il Barrett è da considerarsi a
tutti gli effetti una lesioni displastica precancerosa, che aumenta il rischio di insorgenza di un
adenocarcinoma esofageo.
La diagnosi di Barrett era un tempo distinta in due sottogruppi (short e long Barrett) a seconda della
lunghezza della lesione (maggiore o minore di 3 cm).
I criteri oggi necessari alla diagnosi si basano invece sulla vicinanza del reperto dalla ZZL e sul tipo di
metaplasia: in anatomia patologica, una metaplasia di tipo fondo gastrico non è da considerarsi un
Barrett.
La metaplasia intestinale di Barrett è di tre tipi:
1. tipo gastrico
2. tipo cardiale
3. tipo intestinale: questa forma può evolvere in adenocarcinoma della giunzione esofago-gastrica,
che si manifesta con calo ponderale e disfagia rapidamente progressiva.
Diagnosi
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•
Anamnesi con fattori di rischio e indicazione dei sintomi tipici
Evidenza di reflusso alla radiografia. Si ha solo nelle forme molto avanzate
Registrazione del pH intramurale esofageo, con un elettrodo ingerito dal paziente, e Phmetria dinamica
nelle 24 ore. L’elettrodo viene fissato 5cm al di sopra del LES, e il test è positivo quando il pH non
cambia fra questo livello e lo stomaco, e diminuisce in seguito a manovre di compressione gastrica. I
fenomeni di reflusso sono ortostatici nel 10-33%, clinostatici 25-46%, biposizionali nel 65-75% dei casi.
Cut-off fissato a pH 4.
Esofagogramma con pasto baritato. Utile per identificare le erosioni e le stenosi peptiche, nonché
l’evidenza di un adenocarcinoma.
EGDS con prelievi bioptici multipli: diagnosi del Barrett in assenza di alterazioni radiografiche.
Evidenzia anche esofagite erosiva e stenosi peptica distale
Manometria completa: fornisce informazioni sull’attività del LES e sulla funzione motoria dell’esofago.
Test di Bernstein: infusione nell’esofago di HCL 0,1 N. Questo crea pirosi retrosternale solo nei pazienti
con esofagite. Il test è controprovato dalla ingestione di soluzione fisiologica, che non provoca bruciore
nei soggetti normali.
Test di clearance acida dell’esofago: valutazione pHmetrica del numero di deglutizioni necessarie perché
l’esofago si liberi di 10ml di soluzione di HCL 0,1 N.
Terapia
Riduce il reflusso, neutralizza l’acidità del materiale refluito, migliora la clearance esofagea, protegge la
mucosa.
• Evitare cibi e sostanze ipotonizzanti del LES, evitare di dormire con la testa bassa, perdita di peso,
abolizione delle cause che provocano aumento della pressione addominale
• Evitare l’assunzione di liquidi abbondanti durante i pasti
• Antagonisti per i recettori H2
• Farmaci procinetici 30’ prima dei pasti e prima di dormire
• Inibitori della pompa protonica
• Dilatazione chirurgica e/o farmacologica della stenosi peptica
• Monitoraggio endoscopico dell’esofago di Barrett (evoluzione ad adenocarcinoma 8-10%).
• Trattamento chirurgico: avvolgimento del fondo gastrico attorno al LES
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•
Trattamento della malattia da reflusso biliare: neutralizzazione degli acidi biliari con colestiramina,
NaAl, sucralfato (buon citoprotettore)
1.4 GASTRITI
Fisiologia gastrica
Lo stomaco è costituito da due aree anatomo – funzionali: l’area
ghiandolare ossintica (presente in corpo e fondo) e l’area
ghiandolare pilorica (antro). La prima area è più rappresentata, e
secerne, oltre alle mucine protettive, principalmente acido
cloridrico e fattore intrinseco. L’area pilorica invece secerne per
lo più muco e gastrina.
Le cellule che compongono una ghiandola ossintica sono le
mucose, le peptiche e le parietali, mentre quelle di una ghiandola
pilorica sono le mucose e le cellule del sistema endocrino gastroentrero-pacreatico
lume
Epi te lio co lo nna re
Cellule m ucose
del collo
Cel lul e
parietali
o ssintich e
mucosa
Ce llu le
p ep ti che
Le cellule parietali secernono acido cloridrico a circa 160
mOsm, e producono nel contempo ioni bicarbonato responsabili
ghiandola gastrica ossintica
della cosiddetta onda alcalina.
Lo schema della secrezione gastrica è rappresentato nelle due figure a sinistra (vedi schema della secrezione)
gastrica. I principali stimoli sono la gastrina¸ e la secrezione colinergica del vago.
Entrambe agiscono sulle cellule ECL (enterochromaffin like cell), cioè cellule endocrine presenti assieme e
spesso a stretto contatto delle cellule parietali.
La Ach inibisce anche la liberazione di somatostatina dalle cellule D antrali.
Il più importante effetto delle cellule ECL è la liberazione di gastrina, che agisce sui recettori H 2 stimolando
la adenilciclasi, la quale attraverso un meccanismo a cascata che coinvolge una kinasi, attiva la HK Atpasi.
Oltre a questa via, le cellule parietali contengono i recettori per ACH e gastrina, che stimolano la secrezione
acida, e per la somatostatina che la inibisce assieme alle PG.
La risposta secretoria gastrica è organizzata in tre fasi: la fase cefalica, con mediatore il vago, che è scatenata
dalla visione del cibo e dal suo odore. La fase gastrica è prodotta da riflessi vago-vagali prodotti dalla
distensione gastrica, e la fase intestinale è prodotta da riflessi entero – gastrici mediati dal plesso intramurale
che produce la stimolazione delle cellule G del tratto antrale, ed è quindi una fase mediata dalla gastrina.
Oltre a questo ed indipendentemente dall’alimentazione c’è una secrezione basale di acido cloridrico che ha
l’apice a mezzanotte ed un minimo alle sette del mattino, e con tutta probabilità è mediata dal vago.
Le difese della mucosa gastrica contro un danno da erosione mediato dalla secrezione acida sono in primo
luogo la produzione di muco da parte delle cellule del colletto ghiandolare, presenti in tutto lo stomaco ma
soprattutto dove c’è una elevata produzione di acido. Il muco è presente nel succo gastrico come fase
solubile, e nella parete come gel insolubile di circa 0,2 mm di spessore. L’equilibrio di questo strato è
assicurato dalla attività delle pepsine, che lo solubilizzano e lo erodono dall’interno, e dalla continua
produzione da parte dell’epitelio. Il muco protegge le cellule anche dall’azione della pepsina.
La produzione di bicarbonato che viene riversato nello strato mucoso produce un gradiente di pH da 1-2 del
lume a quello di pH 7 che si trova vicino alla mucosa. Questo meccanismo di protezione è inibito dai FANS.
Oltre a tutti questi meccanismi esistono le giunzioni serrate dell’epitelio fra cellula e cellula.
Eziopatogenesi
Lesione diffusa della mucosa gastrica identificabile come processo infiammatorio. A seconda delle
caratteristiche cliniche, della gravità della malattia, delle caratteristiche istologiche e della eventuale atrofia
si distinguono vari tipi di classificazione. Quella clinica distingue caratteristicamente la malattia in acuta e
cronica.
Gastrite acuta
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Infiammazione della mucosa di tipo erosivo od emorragico, con infiltrato cellulare scarso o assente,
caratterizzata da angioflogosi e associata ad una manifestazione clinica significativa ed evidente,
rappresentata principalmente da:
Sanguinamento: può essere occulto e dare un’anemia Fe carenziale da stillicidio cronico, oppure
palesarsi con un’ematemesi.
All’es. endoscopico si repertano erosioni (soluzioni di continuo della mucosa, con
bordo iperemico, non oltrepassanti la muscularis mucosae), ed emorragie subepiteliali (strie rossastre
eritematose).
Lieve dolore epigastrico, tipo pirosi
Anoressia
Nausea
Vomito
Le cause della gastrite acuta sono principalmente:
• Stress
• Helicobacter ed altri agenti infettivi
• Farmaci (FANS e citostatici)
• Alcool
• Caustici
• Traumi ed agenti fisici
• Radiazioni
• Ischemia (blocco delle attività protettive della mucosa, retrodiffusione degli ioni H+)
• Gastrectomia
• Forme idiopatiche
Gastrite cronica
Infiammazione della mucosa con infiltrato costituito prevalentemente da linfociti e plasmacellule, segni
clinici poco evidenti. Possono essere distinte in forme non specifiche, primitive e che possono presentare
metaplasia intestinale, o in forme specifiche, secondarie cioè ad altre patologie.
La forma cronica della gastrite inizia come una evoluzione della gastrite superficiale: in essa le lesioni
infiammatorie sono limitate alla lamina propria della mucosa, e le ghiandole epiteliali sono separate da
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infiltrato cellulare ed edema. In questo stadio le ghiandole sono intatte e conservate, anche se si può avere
una diminuzione del numero delle cellule mucipare e della loro attività.
Successivamente, si ha una gastrite atrofica, che inizia con l’estensione in profondità dell’infiltrato, che
finisce per distruggere e separare le ghiandole fra di loro. Questo processo inizia in genere dall’antro e si
estende in senso prossimale fino a interessare fondo e corpo gastrico.
Il quadro completo è quello dell’atrofia gastrica¸con una diminuzione della mucosa, dell’infiltrato a spese
del connettivo. La parete nel complesso risulta assottigliata, e all’esame endoscopico è possibile vedere la
rete vasale sottostante.
Con l’evoluzione della malattia, si osserva una metaplasia intestinale di tipo colonnare, distinguibile in tre
gruppi:
• Tipo I, completa, tipo piccolo intestino. Cellule di Gobblet secernenti sialomucine e cellule colonnari
assorbenti neutre. Rischio di progressione a carcinoma: basso.
• Tipo II, incompleta, tipo celiaco. Cellule colonnari secernenti mucine neutre: solfomucine: alto rischio
di progressione a carcinoma. Sialomucine: rischio basso.
• Tipo III; immatura, tipo colico. Gobblet secernenti sialo o solfomucine. Epitelio colonnare di tipo colico.
Può essere associata a diversi fattori:
1 Infezione da H. Pylori: vecchia classificazione B delle gastriti, è la forma più comune di gastrite cronica
specifica. Colpisce inizialmente l’antro ma tende ad estendersi al fondo e al corpo con il passare del
tempo, circa 15-20 anni. L’incidenza è elevatissima, raggiunge il 78% nei soggetti oltre i 50 anni e
praticamente il 100% nei soggetti oltre i 70 anni. Il batterio colonizza lo stomaco, in modo proporzionale
alle lesioni incontrate, ma tende a scomparire quando si ha la progressione ad atrofia gastrica. Il reperto
infiammatorio tipico è caratterizzato da infiltrato infiammatorio nella mucosa, prodotto da PMN che
non supera la lamina propria. La malattia evolve verso gastrite atrofica multifocale, atrofia gastrica
completa, o metaplasia intestinale. Il trattamento con antiacidi inibitori H2 provoca un peggioramento del
quadro clinico. La gastrite da Helicobacter è epidemiologicamente correlata al cancro dello stomaco,
anche se non si è ancora identificato un meccanismo di azione diretto del batterio, che probabilmente
agisce in maniera indiretta con l’infiammazione. I meccanismi con cui si pensa possa agire il batterio
sono:
• Modificazioni della composizione del muco gastrico con aumento della sensibilità della mucosa
• Diminuzione della secrezione gastrica dell’acido ascorbico e favorisce la secrezione di composti
cancerogeni nitrosi
• Infiammazione della mucosa gastrica che produce iperplasia
• Sviluppo del tessuto linfatico associato alla risposta immune (aumento del rischio per MALT)
2 Autoimmunità: vecchia classificazione A delle gastriti, è una delle forme più rare, che colpisce
specificamente corpo e fondo. La gastrite atrofica autoimmune si associa spesso alla presenza di Ab
anti cellule parietali e anti fattore intrinseco, ed è alla base della anemia perniciosa di Addison Biermer.
In più del 50% dei casi di gastriti di tipo A c’è anemia perniciosa. Infatti le cellule che secernono il FI
sono le stesse che producono HCl. La secrezione di gastrina rimane invece normale perché le cellule
dell’antro sono risparmiate, e quindi secernono l’ormone in risposta all’innalzamento del pH; l’aumento
della secrezione della gastrina può produrre una iperplasia delle cellule ECL con produzione di un
tumore carcinoide.
3 Abuso di fumo-alcool
4 Reflusso duodeno-gastrico
5 Radiazioni
6 Idiopatica (eosinofila, granulomatosi, vasculiti)
Elementi distintivi delle varie forme (classificazione):
Localizzazione:
• Gastrite del corpo (tipo A)
• Gastrite dell’antro (tipo B)
• Pangastrite
Reperti endoscopici:
• Atrofica
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•
•
•
•
•
•
Emorragica
Da reflusso
Iperplastica
Eritematosa
Erosiva superficiale
Erosiva profonda
Tipo di infiltrato:
• mononucleato: fase di quiescenza
• PMN: fase attiva
Gastriti croniche specifiche
•
•
•
•
•
•
Gastrite linfocitica: infiltrato superficiale della mucosa da parte di cellule linfatiche T e di
plasmacellule che non infiltrano la mucosa. Il paziente è asintomatico, ma alla EGDS risultano delle aree
nodulari con una depressione centrale, che ricoprono ed ispessiscono le pliche gastriche. Sembra
correlata al morbo celiaco e si cura con corticosteroidi o cromoglicato sodico.
Gastrite eosinofila: infiltrato eosinofilo molto intenso, che si accompagna ad eosinofilia periferica, e
che può interessare la mucosa, la sottomucosa o lo strato muscolare, oppure estendersi a tutto lo spessore
del viscere. Si manifesta principalmente nell’antro, dove raramente si crea ispessimento della parete tale
da provocare problemi di svuotamento. Disturbo più frequente è dolore epigastrico con nausea e vomito,
e risponde bene ai glucocorticoidi.
Gastrite granulomatosa infettiva: istoplasmosi, candida, sifilide e TBC.
Gastrite granulomatosa secondaria al morbo di Crohn.
Gastrite da linfoma gastrico
Malattia di Ménétrier: Iperplasia della mucosa gastrica, di tipo foveale, limitata alle cellule superficiali
e mucose, con la distruzione delle cellule parietali e principali. Il colletto delle ghiandole si allunga e
diviene molto tortuoso, e le stesse pliche gastriche diventano più spesse e tortuose. Può esserci una
infiltrazione linfocitaria e può esserci metaplasia intestinale. La sintomatologia è ampia: c’è dolore
epigastrico, nausea e vomito. Può esserci sanguinamento gastrointestinale occulto, emorragia
conclamata rara, mentre è frequente una dispersione proteica con ipoalbuminemia. La diagnosi si pone
con la biopsia e l’osservazione delle pliche alterate; la terapia con inibitori della secrezione gastrica e con
dieta ad alto contenuto proteico.
1.5 DUODENITI
Sono condizioni infiammatorie non associate a cause specifiche .
Istologicamente sono caratterizzate dalla presenza di un infiltrato prevalentemente linfomonocitario
associato a modificazioni strutturali della mucosa (riduzione dei villi, riduzione ed appiattimento delle
cripte).
Possiamo distinguere:
• Forma idiopatica
HP positiva
infettiva
• Forma specifica
HP negativa
non infettiva
NB: l’Helicobacter Pylori si può trovare solo in caso duodenite con metaplasia gastrica.
Le forme specifiche infettive possono essere provocate da:
ÿ batteri
ÿ virus
ÿ funghi (candida)
ÿ parassiti (giardia evidenziabile nel succo duodenale e criptosporidium in pazienti con
immunodeficienza)
• Forma non specifica non infettiva
ÿ morbo celiaco (diagnosticabile tramite endoscopia che rivela atrofia duodenale o biopsia a livello delle
valvole conniventi che rivela un appiattimento con tipico aspetto a carta geografica)
ÿ morbo di Crohn
ÿ porpora di S.H.
11
ÿ morbo di Wipple
ÿ vasculiti
ÿ gastroenterite eosinofila
• duodenite da stress (quando esiste una gastrite erosivo-emorragica)
• duodenite erosivo-emorragica
Le duodeniti possono anche essere classificate in base all’estensione della lesione infiammatoria sulla
mucosa in:
v superficiale
v atrofica
v interstiziale
si può fare anche una classificazione endoscopica:
v grado 0 : mucosa indenne
v grado 1 : mucosa edematosa
v grado 2 : mucosa iperemica
v grado 3 : mucosa petecchiale
v grado 4 : erosione della mucosa
la duodenite può essere asintomatica o presentare manifestazioni cliniche che possono essere suddivise in:
ÿ simil motorie: gonfiore, meteorismo, digestione lenta e prolungata
ÿ simil ulcerativa: manifestazioni che simulano l’ulcera
la terapia è rappresentata da antisecretivi ed antiacidi.
In caso di presenza di H.P. è indicata una terapia specifica nei confronti del batterio.
1.6 ULCERA GASTRICA
Lesione profonda, penetrante anche negli strati al di sotto della muscolaris mucosae (a differenza delle
lussazioni), con contorni netti e ben definiti, un alone infiammatorio molto più esteso che nell’ulcera
duodenale. Di solito nel fondo è presente una zona di necrosi eosinofila, con epitelio non integro, su una
matrice di tessuto di granulazione circondata da quantità variabili di tessuto fibrotico. Il fondo dell’ulcera
può essere pulito o contenere una grande quantità di sangue o essudati proteici.
La maggior parte delle ulcere gastriche è localizzata nell’antro, immediatamente distale alla fine della
mucosa acido secernente del corpo stomacico (cioè in media a 2/3 della piccola curvatura). Le ulcere che si
sviluppano nel fondo gastrico sono spesso associate ad HP.
Epidemiologia ed Eziopatogenesi
Max incidenza nella sesta decade, modesta prevalenza dei maschi sulle femmine. La patogenesi della
malattia è anche qui legata, come nell’ulcera duodenale, alla secrezione peptica, ma a differenza di questa,
nella ulcera gastrica il livello secretorio è per lo più normale. Raramente, addirittura, appare acloridria vera.
Il 10% dei paziente che ha le due ulcere assieme, presenta invece livelli secretori alti, come nell’ulcera
duodenale.
C’è una correlazione importante fra ulcera gastrica e duodenale e H. Pylori. Si pensa che chi contrae una
infezione precocemente, con sviluppo di una gastrite atrofica e acloridria, abbia più possibilità di sviluppare
una gastrica.
Altre cause importanti sono i FANS, responsabili del 15-20% delle ulcere, il reflusso duodeno gastrico, che
produce ristagno di cibo e retrodiffusione degli idrogenioni, e tutte le cause di gastrite che, mantenendosi nel
tempo, possono portare all’ulcera.
Clinica
•
•
•
•
•
Dolore epigastrico: evocato o accentuato dalla ingestione di cibo. L’ingestione di antiacidi è meno
efficace nel controllarlo. Il dolore dell’ulcera gastrica è tipicamente post-prandiale, a differenza di quella
duodenale in cui è notturno.
Nausea e vomito anche in assenza di una ostruzione meccanica (nella duodenale si hanno quasi solo
nella stenosi pilorica)
Calo ponderale secondario all’anoressia e al rifiuto del cibo, causa scatenante del dolore
Emorragia in circa il 25% dei casi
Perforazione molto più frequente che nell’ulcera duodenale, a causa dell’età media più avanzata, del
ritardo diagnostico e dell’interessamento peritoneale che è esteso
12
Diagnosi
Esame radiologico con pasto bariato e EGDS. Le ulcere gastriche sono più frequentemente localizzate nella
piccola curvatura dell’antro.
Le lesioni piccole e che non compaiono nel contesto di una massa sono di solito benigne (diametro < 3cm).
Per definire con esattezza la natura si fanno 6 prelievi bioptici del fondo e dei margini.
L’acloridria, pur essendo rara, è un indice piuttosto specifico di carcinoma gastrico.
Importanti test per determinare la presenza di HP sono il test dell’ureasi su campione bioptico, il test del
respiro con urea marcata.
1.7 ULCERA DUODENALE
Più del 90% delle ulcere duodenali si trovano nella prima porzione del duodeno, ad una distanza di 3 cm dal
piloro. La prevalenza della malattia si assesta attorno al 10% nei soggetti con la malattia, ma cresce con l’età,
raggiungendo un apice di circa 50-60% nei soggetti anziani. Si osserva raramente nei soggetti < 15 anni, al
contrario della gastrica che si ha anche nei bambini di 5 anni.
Eziopatogenesi
Si tratta di uno squilibrio fra fattori protettivi (muco e bicarbonato, PG, flusso sanguigno intramucoso,
velocità di turnover cellulare di 24-36h), e fattori aggressivi (pepsina, acido).
Fattori ambientali come H. Pylori e il fumo. Il batterio produce ammoniaca che alcalinizza il pH attorno alla
colonia, ma produce a distanza idrogenioni dannosi, produce fattori chemiotattici proinfiammatori e
attivatori delle piastrine, produce proteasi e fosfolipasi che degradano il muco. Il fattore più importante
sembra però la citotossina vacuolizzante del gene Cag-A, e i ceppi che ne sono portatori sono quelli
implicati nella patogenesi dell’ulcera duodenale.
Sembrano importanti anche fattori genetici (figlio di malato: richio 3x per l’ulcera duodenale, non gastrica).
In particolare nei paziente con ulcera duodenale è stato identificato:
• Secrezione acida superiore al normale
• Transito gastrico accelerato
• Minor secrezione di bicarbonati nella mucosa duodenale
• Prevalenza di HLA-B5
Altre cause importanti possono essere:
• FANS (azione gastrolesiva diretta o effetti sistemici mediati da PG e altre citochine)
Fattori Genetici
Ceppi virulenti
Infiammazione dello stomaco
(gastrite HP relata)
^gastrina
^secrezione acida
Ulcera duodenale
Duodenite HP relata
Fumo, FANS
Infiammazione
duodenale
• Insufficienza vascolare
• Altre infezioni
• Radio / chemioterapia
Mentre il 95% dei soggetti con ulcera gastrica è HP+, solo l’80% di questi paziente risulta positivo per il
batterio. Se si eradica l’infezione, la possibilità di avere recidive diminuisce fortemente.
Clinica
•
•
Dolore: Il dolore è il sintomo più tipico, in sede epigastrica, acuto a carattere urente. Compare
tipicamente a 90 – 180 minuti dal pasto, ed è alleviato dall’ingestione di cibo. Compare inoltre la notte e
spesso sveglia il paziente. Il cambiamento del tipo di dolore è di solito segno di prossime complicazioni
come la perforazione
Modalità di insorgenza: la malattia è tipicamente parossistica, con accessi dolorosi che durano giorni,
settimane o mesi, dopo i quali si mantiene in remissione per periodi di tempo generalmente più lunghi. Il
paziente spesso è asintomatico, così da sottovalutare la reale prevalenza della malattia.
13
•
•
•
•
Iperalgesia epigastrica: localizzata sulla linea mediana. In caso di perforazione, addome a tavola con
Blumberg diffusamente positivo
Ulcera pilorica: è considerata come duodenale per le caratteristiche della mucosa pilorica, ed ha in
effetti gli stessi sintomi, ad eccezione del fatto che il dolore si accentua con il cibo, e in caso di stenosi
pilorica può anche accompagnarsi a vomito.
Ematemesi, melena, più raramente enterorragia nel 20-30% dei casi
In alcuni casi c’è dispepsia non ulcerosa: nausea, vomito, difficoltà digestive e senso di malessere
generale in assenza di cause dimostrabili.
Diagnosi
•
•
•
•
EGDS indispensabile nella maggior parte dei casi per la conferma dell’indagine
radiologica, e confermare il sospetto di un’ulcera come fonte di emorragia
digestiva
Radiologia (oggi non più usata)
Biopsia gastrica, per ricercare la presenza di HP. Il duodeno è troppo
sottile e la biopsia può
dare una perforazione. Inoltre l’ulcera duodenale non si associa a progressione a carcinoma, mentre
quella gastrica lo fa nel 5% dei casi, e la biopsia è più necessaria.
Diagnosi per HP:
o Biopsia + test dell’ureasi sul materiale (invasivo)
o Sierologia, Test del respiro (non invasivo)
Diagnosi differenziale con ulcera non infettiva e dispepsia non ulcerosa
Complicanze
Sanguinamento ‡ 30%
Perforazione ‡ 10%
Stenosi pilorica cicatriziale ‡10%
Cancro ‡ < 1%
Terapia
Metronidazolo, tetracicline, bismuto. Terapia triplice contro HP e citoprotettiva (bismuto). E’ l’unica
possibilità per prevenire la recidiva dell’ulcera, che è sicura se c’è la presenza del batterio.
In associazione con H2 antagonista o inibitore della pompa protonica migliora la possibilità di
cicatrizzazione.
1.7 SINDROME
DI
ZOLLINGER-
ELLISON
Ulcere nel tratto intestinale
superiore, marcata ipersecrezione
acida gastrica, secondarie alla
presenza di un tumore pancreatico
non insulare gastrina secernente.
I tumori, che sono spesso multipli e
di dimensioni variabili da 1mm a
oltre 20cm, si localizzano con
uguale facilità nella testa del
pancreas e nel duodeno. Il 90% di
queste neoplasie si trovano nel
triangolo dei gastrinomi, che è delimitato dalla giunzione coledoco cistica, dalla giunzione fra terzo medio
e inferiore del duodeno, e dal punto fra collo e testa del pancreas.
Circa 2/3 dei gastrinomi sono maligni, e un paziente su tre sviluppa metastasi, per lo più nei linfonodi
regionali e nel fegato.
Una buona metà dei casi di gastrinoma insorge nel contesto delle forme di neoplasie endocrine multiple, una
serie di malattie neoplastiche secernenti su base genetica. In effetti i pazienti con questa neoplasia hanno nel
contesto del tumore parecchi ormoni tutti però inattivi.
Gli effetti della gastrina nella parete gastrica sono un incremento ipertrofico di circa 3-6 volte la norma, e la
presenza di tumori carcinoidi provenienti probabilmente dalle cellule ECL che vengono iperstimolate.
14
In effetti tali valori sono stati trovati anche nei pazienti con anemia perniciosa e atrofia gastrica, che hanno
paragonabili valori di gastrina.
Clinica
Nelle fasi iniziali della malattia viene riscontrata una aumentata secrezione acida, con sintomi tipici
dell’ulcera peptica, ma di entità maggiore, di più lunga durata, e di difficile risoluzione con la terapia
farmacologica.
Il 75% delle ulcere hanno la tipica localizzazione antrale, ma si trovano anche nel duodeno e nel digiuno.
Meno frequentemente esistono anche steatorrea (inattivazione acida della lipasi pancreatica) e diarrea (da
irritazione del tenue). La steatorrea può anche dipendere dalla incapacità delle micelle di aggregarsi a pH
acido.
Diagnosi
La forma reattiva ad una bassa produzione di HCl, non
secondaria a gastrinoma, si può avere in corso di:
• Anemia perniciosa
• Ipo/acloridria
• Uremia
• Farmaci antisecretivi
Sospetto clinico se…
Calo ponderale, diarrea, basso pH la
mattina a digiuno (1-2), familiarità per
neoplasie
endocrine,
recidiva
dell’ulcera dopo terapia appropriata,
intrattabilità farmacologica e clinica.
I parametri principali nella forma neoplastica sono:
• Secrezione acida > di 4umol/sec, e anche sopra a 40. La secrezione basale, in assenza di cibo, di acido
supera il 60% di quella massimale.
• Elevati livelli ematici di gastrina (>200 ng/l, con valori normali attorno a 50, ma si sono trovati anche
450000, e di solito i pazienti hanno valori >1000)
Test di iniezione della secretina: quando viene iniettata, questa sostanza produce una alcalinizzazione del
dotto di Wirsung per aumento della secrezione di bicarbonato da parte delle cellule del colletto.
Normalmente non ha effetti sulla secrezione di gastrina. Il gastrinoma acquista i recettori per essa, e dopo la
infusione si trovano elevati livelli di gastrina.
Test di stimolazione con il potassio: elevato incremento della gastrina (>400 ng/l) dopo infusione di Ca++
gluconato.
Prima di fare il test con la secretina, si deve valutare se la ridotta secrezione gastrica non sia la causa
dell’aumento della gastrina in circolo.
Terapia
La terapia ideale è la rimozione del gastrinoma. I trattamenti che in genere si fanno per le ulcere non
producono grandi benefici, e c’è una grande individualità nella risposta ad essi.
15
CAP 2 I TUMORI DELL’ESOFAGO E DELLO STOMACO
Seconda causa di morte per tumore assieme alla neoplasia dell’intestino.
2.1 CANCRO DELL’ESOFAGO
Interessa prevalentemente la parte media dell’esofago (parte toracica), ha una incidenza che non è
elevatissima ma comunque estremamente variabile e una mortalità invece molto elevata. Il 50% di quelli che
lo prendono fanno un salto per aria, in altre parole tirano i cianchetti.
Epidemiologia
Aree ad alta incidenza: Fascia asiatica del carcinoma esofageo, Finlandia, Irlanda, Africa sudorientale, Iran
(dove le donne superano gli uomini), Normandia. Queste anomalie della distribuzione si spiegano male e ci
sono teorie per i vari posti.
Normandia: bevande ricavate artigianalmente dalla mele, fermentando producono nitrosamine cancerogene
Iran: cibi speziati e bevande bollenti.
In Italia la situazione è la seguente: incidenza 6/105 maschi, 1,5 femmine (più frequente al nord, 10-12 casi)
Età media di insorgenza verso la 5°-6° decade.
Eziopatogenesi
I fattori eziologicamente correlati sono molti e di varia natura. Tutte queste cause finiscono, in vario modo,
per provocare un danno infiammatorio della mucosa, che si evolve in una
Alcool
rigenerazione continua. In seguito si ha displasia, metaplasia e cancro.
Fumo
Esofago di Barrett
Ci sono due aspetti morfologici del cancro esofageo: il carcinoma, fino
Acalasia (ristagno di cibo)
a poco tempo fa considerato il 75% dei tumori di questo tipo, che si
Diverticolo
sviluppa dall’epitelio squamoso, e l’adenocarcinoma, molto più raro,
che prende origine dall’epitelio cilindrico dell’esofago distale che va Ingestione di caustici
Radiazioni
incontro al Barrett, e solo da questo perché l’esofago non ha ghiandole
S. di Plummer Wilson
mucose.
Aflatossina fungina
Gli adeno sono più simili al tumore dello stomaco e hanno una
Reflusso gastrico persistente
alterazione della p-53.
Condizioni socioeconomiche
Le forme più frequenti sono ulcerative o polipoidi, queste ultime meno
scadenti
rappresentate.
Clinica
•
Esordio: bruciore urente, disfagia progressiva inizialmente per i solidi e quindi per i liquidi, e rapido
calo ponderale. Molto spesso al momento della diagnosi la malattia si presenta in uno stadio già
inguaribile, poiché si avverte disfagia quando la stenosi supera il 60% del lume.
• Odinofagia, sensazione di corpo estraneo
• Rigurgito
• Calo ponderale
• Polmonite “ab ingestis”
In presenza di una disfagia insorta di recente, ipotizzare sempre la neoplasia, anche se spesso la causa è
benigna.
Diagnosi
Il carcinoma da segno di se quando occupa il 60% del lume, e in questo caso è regolarmente troppo tardi per
un intervento chirugico. Ogni volta che si instaura una disfagia progressiva, si deve ipotizzare la possibilità
di un carcinoma.
•
L’esame di elezione è l’EGDS con biopsie multiple, che permette di evidenziare le lesioni della mucosa
non ancora sintomatiche, che sono erosioni associate ad una profonda infiltrazione simili all’acalasia.
Particolarmente importante è l’eco-EGDS, cioè l’associazione dell’endoscopio con un ecografo in
posizione laterale: lo strumento indaga le erosioni della mucosa, e permette l’estemporanea analisi della
sottomucosa e dei tessuti sottostanti alla lesione, per evidenziare la massa della lesione, la sua
infiltrazione nell’esofago e la diffusione alle strutture circostanti. Anche perché in 1/3 dei casi le biopsie
16
risultano negative. E’ necessaria l’osservazione del fondo gastrico tramite retrovisione con la torsione
dell’endoscopio.
• La radiografia con mezzo di contrasto mette in evidenza lesioni già sintomatiche.
Altri esami utili per la stadiazione sono:
- TAC
- Broncoscopia (analisi di metastasi e perché gli stessi fattori di rischio per il carcinoma
dell’esofago sono implicati nella genesi di tumori del bronco e del collo)
- Ecografia
- RMN
- Laparoscopia (ricerca di metastasi)
Stadiazione
Sistema TNM standard
Tx: tumore non valutabile
T0: assenza
T1s: carcinoma intraepiteliale in situ
T1: invasione sottomucosa
T2: invasione muscolare
T3: invasione avventizia
T4: metastasi di organi prossimali
M0: no metastasi
M1: metastasi presenti
Ml: metastasi linfonodali a
distanza
Nx: linfonodi non valutabili
N0: no metastasi
N1: metastasi regionali
Le possibilità di diffusione del tumore sono:
• Longitudinale, lungo la mucosa esofagea
• Per contiguità interessamento dell’albero bronchiale e aorta, pericardio e a. polmonare
• Diffusione linfatica: mediastinici posteriori , addome superiore e collo.
• Diffusione ematica: polmoni e fegato. Queste metastasi non hanno in genere nessuna possibilità di
terapia risolutiva, nemmeno chirurgica.
La prognosi è così sfavorevole soprattutto perché non avendo l’esofago una sierosa, la diffusione è
immediata.
Terapia
Essendo la prognosi gravemente infausta (sopravvivenza a 5 anni <5%), molti medici preferiscono un
trattamento palliativo, ad esempio:
• endoprotesi dilatativa
• Terapia fotodinamica
• Laserterapia endoscopica
• mucosectomia endoscopica
La chirurgia è palliativa nella maggior parte dei casi, quando la forma scoperta è non localizzata. La forma
più localizzata può invece essere asportata con resezione chirurgica, ma solo nel 40% dei casi, e spesso
rimangono recidive ai margini della lesione.
Il ricorso alla chemioterapia da effetti difficilmente valutabili, spesso anche in relazione alle generali
condizioni del paziente, che sono di norma scadenti.
2.2 CANCRO DELLO STOMACO
Più frequentemente si trovano adenocarcinomi , formati dall’epitelio secernente della mucosa. Sono meno
frequenti:
• leiomiomi
• sarcomi della mucosa
• linfomi B o T della mucosa
ADENOCARCINOMA GASTRICO
17
Epidemiologia
Alta incidenza in Giappone, Cile e Finlandia. In tutto il mondo l’incidenza di questi tumori è in costante e
netta diminuzione, forse per la progressiva riduzione della contaminazione da HP. In effetti l’incidenza
sembra aumentare notevolmente nelle classi meno abbienti, e il fatto che i figli di emigranti acquistino il
rischio dell’area di arrivo sembra propendere per fattori ambientali che agiscono nell’infanzia.
Italia: 25 casi /105 abitanti
Età di insorgenza: 50-70 anni
M/F ‡ 2:1
Sopravvivenza a 5 anni: <15%
Fattori di rischio confermati sono:
• Familiarità e ambientalità
• P53
• Basso livello sociale
• Dieta povera di frutta e verdura (antiossidanti)
• Infezione da HP (oncogeno di prima categoria)
• Dieta ricca di salati, conservanti, affumicati (Finlandia e Giappone)
• Fumo di sigaretta
Patogenesi
Si ritiene che i primi agenti eziologici siano i nitriti prodotti dai batteri nitroriduttori. Gli alimenti avariati
contenenti batteri e l’HP incrementano la riduzione dei nitrati, i conservanti e il fumo di sigaretta
introducono nitrati dall’esterno. Un altro fattore che aumenta questa possibilità cancerogena è la presenza di
batteri
Altro filone eziologico è la presenza di lesioni ulcerative o erosive della mucosa, che possono portare
attraverso un processo infiammatorio a metaplasia intestinale. Come già detto (vedi), quella più pericolosa
è quella secernente solfomucine. La displasia che si ottiene può essere distinta in atipie di basso grado e di
alto grado. Quest’ultimo stadio viene considerato equivalente al carcinoma gastrico in situ.
Anatomia patologica
Endoscopicamente, le lesioni possono essere distinte in:
• Polipoidi
• A superficie ulcerata
• Infiltrative
La differenziazione cellulare appare ben differenziata, poco differenziata o con cellule a castone (tumore di
Kuchenberg).
Dal punto di vista anatomopatologico, si osservano invece queste due forme, con caratteristiche cliniche e
morfologiche diverse:
1. Adenocarcinoma gastrico di tipo diffuso: tipico dei soggetti giovani, ha una prognosi peggiore. Le
lesioni interessano tutto lo stomaco, compreso il cardias, e provocano una diminuzione della
distensibilità parietale, dando il tipico aspetto a borsa di cuoio.
2. Adenocarcinoma gastrico di tipo intestinale: soggetti anziani, aree ad alta incidenza. E’ il tipo di
carcinoma che origina dalla metaplasia intestinale secernente sialomucine. Si tratta di lesioni spesso
ulcerate, localizzate per lo più nell’antro e nel corpo, e precedute da stimoli infiammatori di lunga durata.
La prognosi è lievemente migliore.
Clinica
In genere i tumori asportabili sono asintomatici. Con il crescere della massa, inizia un senso di pienezza al
quadrante superiore dell’addome, fino ad un dolore marcato e persistente. Anoressia, sebbene molto
frequente, non è di solito un sintomo d’esordio.
A seconda della porzione interessata, l’esordio della malattia cambia:
• Fondo: interessamento del n. frenico ‡ singhiozzo
• Cardias: disfagia
18
•
•
Piloro: stenosi e vomito postprandiale
Infiltrativo: compressione e diminuzione del volume gastrico ‡ sazietà precoce, anoressia e calo
ponderale
• Ulcerativo: ematemesi ed anemia cronica
In caso di interessamento dei nervi addominali, le nevralgie specifiche sono molto dolorose. Nella metastasi
epatica, peraltro frequente, si hanno movimenti di ALP, AST, yGT.
La diffusione metastatica avviene frequentemente per continuità, al fegato, colon e pancreas. Il tumore di
Krukenberg metastatizza frequentemente all’ovaio per via transcelomatica. Può esserci metastasi ai linfonodi
addominali e sopraclaveari.
Diagnosi
CEA: di scarsa utilità nello stomaco, ma molto utile nel tumore del colon. Non è specifico, ma è utilizzato
nel follow-up dei pazienti, perché il suo elevamento può indicare la ripresa della malattia.
All’esame obiettivo, spesso normale, può evidenziarsi una massa epigastrica, epatomegalia, ascite,
cachessia Sono segni che però accompagnano un tumore nello stadio avanzato.
•
•
•
•
•
Esame radiologico: evidenzia lesioni anche piccole, ma soprattutto mette in evidenza la presenza di
diminuita distensibilità, segno abbastanza precoce
Endoscopia con biopsie multiple delle ulcere, anche se non presentano all’esame radiologico segni di
malignità. Le lesioni limitate alla mucosa e alla sottomucosa guariscono nell’80% dei casi. Le
biopsie devono essere molto profonde, a causa della necessità di individuare anche i linfomi gastrici
() che sono localizzati nella sottomucosa.
TAC spirale
Ecografia endoscopica
RMN
Stadiazione
E’ importante fare una stadiazione preoperatoria con il sistema TNM, al fine di migliorare le aspettative
dell’intervento.
Stadio
TNM
Caratteristiche
Sopravvivenza a
5 anni (%)
0
1A
TsN0M0
T1N0M0
90
59
1B
2
T2N0M0
T1N2M0
T2N1M0
T3N0M0
T2N2M0
T3N1/2M0
T4N1M0
T(1-4)N(0-2)M1
Negatività linfonodale; limitato alla mucosa
Linfonodi negativi, invasione della lamina propria o della
sottomucosa
Linfonodi negativi, invasione della tonaca moscolare
Linfonodi interessati; invasione della mucosa ma all’interno della
parete
Linfonodi negativi, estensione attraverso la parete
Linfonodi interessati, invasione della tonaca muscolare o estensione
attraverso la parete
Negatività linfonodale, aderenza al tessuto circostante
Metastasi a distanza
3A
3B
4
44
29
15
3
Terapia
Dipende dallo stadio di avanzamento del tumore. Precoce e localizzato ha successo l’asportazione chirugica,
avanzato si fa palliazione con chemioterapia, tenendo però presente che ha poca risposta. Il tumore gastrico
non risponde quasi assolutamente alla radioterapia radiante.
In genere la terapia chirugica radicale è possibile solo in un terzo dei casi, e anche qui il risultato è
sfavorevolmente influenzato da molti fattori, come:
-
grado di invasione parietale
Interessamento dei linfonodi regionali
Invasione vascolare
19
- Grado di atipia cellulare
Il resto delle terapie ha significato palliativo o comunque ottiene benefici parziali, dopo i quali una completa
remissione è rara. Si hanno recidive anche dopo 8 anni. La gastrectomia parziale è usata per una lesione
distale, mentre quella totale per una lesione prossimale e diffusa.
LINFOMA NON HODGKIN PRIMITIVO GASTRICO
E’ una delle malattie tumorali più rare, ma comunque rimane il più comune sito extralinfonodale per i
linfomi.
Assomiglia molto all’adenocarcinoma, sia nella clinica, che nell’aspetto radiologico. Spesso le biopsie
rendono difficile identificarlo perché il tumore si localizza in profondità nella mucosa o nella sottomucosa.
Anche l’aspetto endoscopico è simile a quello dell’adenocarcinoma, sia nella forma vegetante ulcerativa che
in quella diffusa.
Il tipo di linfomi è generalmente NH a cellule B, spesso di tipo MALT, altre volte a grandi cellule. Più del
60% di questi LnH sono associati all’infezione da HP. L’eradicazione dell’infezione migliora notevolmente
la prognosi del linfoma.
Il linfoma gastrico risponde alla terapia molto meglio dell’adenocarcinoma, da qui la necessità di una
diagnosi differenziale in fase precoce.
Il 50% dei pazienti va incontro a remissione del linfoma dopo terapia antibiotica contro HP. Oggi la chemio
si configura come una alternativa valida alla terapia chirugica.
CARCINOMA GASTRICO PRECOCE
Si da questo nome alla neoplasia gastrica che non oltrepassa la sottomucosa. Esso ha un trattamento diverso
dalle forme più infiltrate di tumore, e una prognosi favorevole nel 90% dei casi. Si identificano tre aspetti
morfologici di questi tumori:
• Tipo I: protrudente
• Tipo II: superficiale
• 2a elevato
• 2b piatto
• 2c depresso
• Tipo III: escavato
SARCOMA GASTRICO NON LINFATICO
L’1-3% di tutti i tumori dello stomaco sono leiomiosarcomi. Interessano spesso le pareti anteriori e posteriori
del fondo gastrico, e sono caratterizzate da ulcere sanguinanti. In genere non metastatizzano per contiguità né
per via linfatica, ma giungono per via ematica al fegato e ai polmoni.
L’aspetto istologico può trarre in inganno, e anche lesioni benigne possono avere comportamento maligno.
Trattamento di scelta, terapia chirurgica. La chemio combinata è indicata nei pazienti con metastasi.
20
CAP3 L A DIARREA E LA STIPSI
Il bilancio dei liquidi intestinali vede ogni giorno implicati 9 litri di acqua, come indicato nella tabella.
Il riassorbimento di acqua nell’intestino segue il riassorbimento del sodio, che a sua volta influenza e
permette
l’assorbimento
dei
principali
nutrienti,
con
meccanismi
Ingestione
litri
Riassorbimento
litri
differenti
nei
vari
distretti
Diretta di bevande
2
Tenue
5
intestinali:
Saliva
1
Digiuno
3
• Tenue: assieme al cloro e al
Succhi gastrici
2
Colon
0,8
glucosio. Il meccanismo di sinporto
Bile, secrezioni intestinali
4
con quest’ultimo è il più importante
Totale
9
8,8
Giornalmente l’esecrezione di acqua con le feci è di circa 200 ml.
• Ileo terminale: assieme ai sali
biliari
• Colon: canali sodio dipendenti e meccanismo analogo a quello del tenue (meccanismo elettrogenico).
L’escrezione di acqua segue invece meccanismi legati al cloro, che viene secreto e si trascina dietro sodio,
potassio e acqua.
Item
La regolazione di questi processi di trasporto e quindi della
secrezione e del riassorbimento intestinale è secondaria ad una Frequenza
grande quantità di neurotrasmettitori, di riflessi locali e del Peso
SNA. La normalità dell’alvo viene indicata in tabella come un Contenuto di H 2O
range compreso fra 3 volte al giorno e una volta ogni tre giorni.
valore
0,3 – 3/ die
< 200g
60 – 85%
3.1 DIARREA
La definizione di diarrea indica una serie di criteri oggettivi e soggettivi.
Criteri oggettivi:
• Aumento della massa fecale al di sopra di 200 grammi
• Aumento della frequenza delle evacuazioni oltre 3 in 24h
• Diminuzione della consistenza delle feci (liquide o poco formate)
Criteri soggettivi
• Urgenza evacuativa
• Tenesmo rettale
• Incontinenza
La diarrea vera deve essere distinta dalla pseudodiarrea, in all’aumento del numero delle scariche non si
accompagna un aumento complessivo della massa fecale. Questa si verifica in malattie come la S. del colon
irritabile, la proctite e l’ipertiroidismo.
L’incontinenza fecale, invece, è la perdita involontaria di feci dall’ano, in caso soprattutto di lesioni o
anomalie della muscolatura anale.
Si definisce acuta se dura meno di 7-14 giorni, cronica se supera le tre settimane
Classificazione
Dal punto di vista patogenetico, la diarrea può essere distinta in 4 tipi a seconda del meccanismo con il quale
si instaura:
• Secretoria: aumento della secrezione di ioni idrogeno e acqua, con o senza inibizione del normale
assorbimento intestinale (prototipo: colera)
• Osmotica: accumulo di sostanze attive nel lume, che richiamano acqua o sodio. Si verifica
nell’intolleranza al lattosio, nell’accumulo di Mg (lassativi osmotici), caramelle che contengono
sorbitolo.
• Essudativa: alterazione infiammatoria della parete intestinale
o Presenza di sangue o pus nel lume
o Processi infiammatori della mucosa (S. dell’intestino irritabile)
o Stimolo alla produzione di PG
• Altre cause
Alcuni semplici criteri oggettivi permettono di distinguere fra questi tipi di diarrea:
21
Aspetto clinico
Aspetto clinico
Volume fecale
Tenesmo rettale
Disidratazione
Anemia
Equilibrio acido – base
Test del digiuno
Secretoria
Acquosa
>1000 ml
++
Acidosi
-
Osmotica
Acquosa
<1000
Normale
+
Infiammatoria
Emorragica
<500
+
+
+
Alcalosi
-
Il test del digiuno consiste nel mantenere il paziente a digiuno per 24 ore. Solo nella diarrea osmotica, esaurita la carica osmotica del
prodotto che si è accumulato, la diarrea passa
DIARREA INFETTIVA
E’ una patologia correlata principalmente alle Nazioni povere, ma anche negli Usa è causa di molte spese nel
SSN. La maggior parte delle diarree infettive viene contratta tramite il ciclo oro-fecale, per la
contaminazione delle fonti acquifere, delle superfici su cui vengono preparati gli alimenti, il contatto con
materiale fecale per l’inadeguato smaltimento di rifiuti. A rischio sono i viaggiatori in Paesi in via di
sviluppo, le prostitute, i tossicodipendenti (EV), i malati di AIDS, i consumatori di molluschi, gli
omosessuali maschi (Gay Bowel Disease).
Agenti infettivi
•
•
•
•
Diarrea acquosa semplice: Rotavirus, Giardia, V. Colerae, ETEC, virus Norwalk, Rotavirus (questi
ultimi due virus agiscono anche per contatto inalatorio), Isospora diareae non invasivo. Sono diarree
secretorie secondarie ad infezioni del tenue.
Diarrea, febbre e crampi: Yersinia, Salmonella
Dissenteria & febbre: Shigella, Campylobacter, EHEC, CMV, Enthamoeba Histolytica. Agiscono nel
colon e nel sigma.
Diarrea & tenesmo rettale: Gonococco, HSV, CMV. Agiscono nel retto
Patogenesi
Come fanno fisiologicamente VIP, STH, ACH, PGE, le tossine di E.Coli, Yersinia, Shigella, Rotavirus,
Colera aumentano l’amp ciclico e incrementano il normale processo di secrezione di cloro intestinale.
Altri microrganismi agiscono diminuendo il normale riassorbimento di liquidi, altri attraverso una flogosi
infiammatoria.
Clinica
Gli elementi del quadro classico di una infezione sono nausea, vomito, crampi addominali, febbre e diarrea
con caratteristiche acquose o sanguinolente a seconda dell’agente eziologico che l’ha causata.
In caso di intossicazione da prodotti avariati, invece, i sintomi prevalenti sono la nausea, il vomito e la
diarrea, ma il dolore e la febbre sono scarsi.
Il dolore è direttamente proporzionale al grado di interessamento della mucosa, colonizzata di più dai ceppi
invasivi, e alla quantità di liquido che distende la parete addominale.
Pochi ceppi di batteri producono enterotossine e sono contemporaneamente in grado di colonizzare la
mucosa (Campylobacter e Shigella hanno alcune specie fra questi) e quindi danno diarrea acquosa seguita
dopo 1-2 giorni da dissenteria.
Associazioni con sintomi sistemici
- Shigella e EHEC ‡ S. uremico-emolitica
- Yersinia ‡ Sindrome di Reiter (artrite, uretrite e congiuntivite)
COLITE PSEUDOMEMBRANOSA
Malattia da antibiotici, assunti per via IM fino da due settimane prima, o per via orale di recente. Alcuni
antibiotici, fra cui in testa c’è la CLINDAMICINA (ma anche Vancomicina, Cefalosporine, Aminoglicosidi,
Penicillina) possono modificare la flora batterica intestinale aerobica, uccidendola a spese di quella
anaerobica. Essa è prevalentemente rappresentata dal C. difficilis, che vive nel colon normalmente in
competizione con i batteri commensali. Il colon si infiamma e produce delle membrane di fibrina ed altri
22
essudati, da cui il nome della malattia. Le membrane si osservano bene alla colonscopia, e ciò unito alla
coprocultura è sufficiente a fare una diagnosi, fortemente indicata anche dalla sola anamnesi.
La terapia specifica non è sempre necessaria, in quanto basta spesso sospendere la terapia antibiotica per
ottenere la guarigione.
ALTRE CAUSE DI DIARREA ACUTA
Cause endocrine:
• Ipertiroidismo
• Addison
• Feocromocitoma
• Diabete mellito
Postchirurgiche:
• Colecistectomia
• Gastro resezione
• Resezione intestinale
Malassormìbimento degli acidi biliari
Alcool
Praticamente tutti i farmaci (malox)
La Steatorrea è caratterizzata da feci pallide,
abbondanti e lucenti. Sono di norma untuose e
appiccicose, con una caratteristica viscosità, schiumose
e maleodoranti.
Indicano un accumulo di grassi fecali maggiore della
norma (6-7 nelle 24h), secondarie ad una insufficienza
pancreatica
DIARREA CRONICA
E’ quella che meglio segue la classificazione in osmotica, infiammatoria e secretoria, aggiungendosi ad essa
la forma da dismotilità intestinale, o S. dell’intestino irritabile.
Diarrea infiammatoria
Febbre, intenso dolore addominale, sangue e leucociti nelle feci, con alterazioni infiammatorie della mucosa
intestinale visibili alla biopsia.
Nei pazienti con malattie sistemiche contemporaneamente associate, il primo sospetto è di una IBD, mentre
quando non siano presenti sintomi sistemici e c’è sanguinamento, si deve sospettare il cancro del colon o la
proctite ulcerosa.
I processi infiammatori danneggiano la mucosa e stimolano la liberazione di sostanze secretogeniche, prime
fra tutte le PG. Altre condizioni sono la terapia radiante, la gastrite eosinofila, la malattia di Behçet e la
GVHD.
Diarrea osmotica
Può manifestarsi in seguito ad un carico esogeno di sostanze osmoticamente attive, oppure al
malassorbimento di esse. In questo caso, i sintomi sono caratteristicamente diversi a seconda della malattia di
base. In particolare si ha steatorrea nel deficit di assorbimento di grassi.
Molti di questi quadri sono secondari ad affezioni a carico del pancreas, come:
• Pancreatiti croniche da qc.
• Ostruzione duttale pancreatica
• Fibrosi cistica
• S. di Scwachman
• Somatostatinoma (raro)
Oppure da affezioni epatiche o da ostruzione delle vie biliari.
Altre condizioni frequenti di diarrea osmotica da cause endogene sono:
• Deficit di lattasi con intolleranza al lattosio
• Malattia celiaca da glutine
• Linfangectasia (ostruzione postmucosa dei linfatici, con incapacità di assorbire grassi e proteine ‡
enteropatia protidodisperdente con steatorrea)
• Resezione intestinale
Diarrea secretoria
•
Tumori carcinoidi gastrointestinali metastatici che secernono peptidi attivi
23
•
•
•
Sindrome di Zollinger-Ellison (vedi)
Altri adenomi pancreatici non beta
Carcinoma midollare della tiroide
SINDROME DEL COLON IRRITABILE
Detta anche sindrome dell’intestino irritabile, è una delle patologie dell’alvo più frequente. La malattia pur
avendo del tutto benigna, può essere estremamente fastidiosa per il paziente. Non riconosce in genere una
causa organica, biochimica od infettiva, ma è praticamente una alterazione funzionale.
Principalmente, si osservano disturbi alternati dell’alvo, diarrea e stipsi, e una bassa soglia di stimolazione
intestinale. Tipicamente, in questi soggetti, basta un catetere da 50cc con aria insufflata nell’intestino, mentre
normalmente ce ne vogliono 200-250.
Altri criteri per la diagnosi sono:
• Dolore o fastidio addominale, alleviato dalla defecazione e accentuato dal cambio di tipo di disturbo
(stipsi ÁË diarrea)
• Cambio della frequenza dell’alvo
• Cambio della consistenza delle feci
• Distensione addominale
• Tenesmo e sensazione di evacuazione incompleta
• Feci mucose
• I pazienti con questa malattia possono presentare altri sintomi extraintestinali, ginecologici o della
minzione, bolo isterico o difficoltà della deglutizione
Epidemiologia e eziopatogenesi
F>M 2:1
Prevalenza nel 20-30% della popolazione
Età media: 20-30 anni
Stress, ansia, ereditarietà
Si pensa che la noxa patogena sia una alterazione della sensibilità intestinale e del resto dell’apparato
gastroenterico; sebbene lo stress in molti individui possa determinare una riacutizzazione della malattia, non
c’è alcuna prova che sia la causa di essa. Esiste poi, in altri gruppi di pazienti, l’evidenza di disturbi della
motilità del colon
Con ogni probabilità la malattia contiene una serie di disturbi sensitivi e motori che ne danno un aspetto
variegato. I due aspetti evidenziati restano comunque quelli principali.
Il ruolo dei disturbi psichici nei pazienti con S. da intestino irritabile è controverso: molti dei malati che
giungono dal medico hanno una storia di ansia, depressione, isteria e somatizzazione, mentre quelli che non
vanno dal medico pur avendo la sindrome in genere non presentano disturbi psichiatrici. Molti malati hanno
una storia di una patologia remota nell’infanzia, stress emotivi e a volte anche storie di abusi sessuali. Di
sicuro la presenza di sintomi psichiatrici influenza la gravità dei sintomi intestinali e la soggettività con cui
vengono vissuti e riferiti.
Clinica
Presenza dei sintomi principali descritti sopra, che in genere insorgono in maniera progressiva, e
prevalentemente in età giovanile. I sintomi sono costanti in tipo e gravità, e un cambio improvviso ed
importante della sintomatologia deve essere indagato.
I sintomi durano per più di 2 anni, e sono assenti durante il sonno notturno, non trattandosi di una diarrea che
sveglia il paziente. Mancano inoltre i segni di malattia sistemica (calo ponderale, febbre, sanguinamento
intestinale, anemia).
Diagnosi
Di solito si tratta di una diagnosi per esclusione, ma questo modo di procedere risulta dannoso perché
aumenta l’ansia del paziente, invasivo e costoso. Per questo si cercano i criteri diagnostici sopra elencati,
detti criteri di Manning
L’anamnesi con dettagliata descrizione dei sintomi è un momento fondamentale. Si devono ricercare
Stipsi
Diarrea
24
accuratamente le caratteristiche della stipsi e della diarrea:
Alcune caratteristiche del dolore sono invece importanti per la diagnosi della malattia:
• Dolore che si attenua con la defecazione
• Le feci sono più molli in concomitanza dell’insorgenza del dolore
• La defecazione, stitica o diarroica, è più frequente quando insorge il dolore
• Il dolore si accentua in concomitanza del cambio di disturbo dell’alvo
All’anamnesi va richiesto il consumo di farmaci, il consumo eccessivo di bevande con caffeina, di cibi o
bevande con sorbitolo, fruttosio o altre sostanze che danno dolore, gonfiore e crampi addominali. Eseguire
una dieta di 3 settimane priva di lattosio per escludere l’intolleranza ad esso.
Escludere fattori psicosociali che possano provocare i disturbi addominali.
Importante, per la diagnosi differenziale con il cancro del colon, la colonscopia totale, la ricerca del sangue
occulto delle feci e del CEA.
Terapia
Sebbene non esista una cura specifica, ci sono molte possibilità di migliorare la sintomatologia, e la prognosi
a lungo termine è eccellente. Il medico deve impostare il rapporto con il paziente sulla rassicurazione e sulla
fiducia. Il miglior approccio è la modificazione dietetica, evitando caffeina, latte e derivati, sorbitolo e
fruttosio, e di cibi che possano favorire il meteorismo come i legumi. Si traggono benefici anche da una
assunzione di fibre maggiore.
Il trattamento farmacologico deve essere mirato al sintomo che si presenta, diarrea, stipsi, gonfiore,
distensione, eccetera, e non è un intervento risolutivo.
Possono essere utili anche antidepressivi e ansiolitici.
ALTRE CAUSE DI DIARREA CRONICA
1)
a)
b)
c)
d)
e)
f)
g)
h)
patologie endocrine:
ipertiroidismo
insufficienza surrenalica
diabete mellito
sindrome da carcinoide
carcinoma midollare della tiroide
gastrinoma
tumori pancreatici ormonesecernenti
vipomi
2) sindrome da malassorbimento (caratterizzato da steatorrea = feci con contenuto di grassi > 7
g/die)
a) resezione chirurgica
b) deficit di disaccaridasi (intolleranza al alttosio)
c) insufficienza pancreatica
d) enterite ischemica
e) contaminazione batterica del tenue
f) fecalomi
g) alterata motilità (sindrome del colon irritabile)
h) farmaci ed esotossici
3) farmaci
a) antibiotici
b) lassativi
Esami utili nella diagnosi della diarrea cronica
c) antiacidi
÷ Esame delle feci
d) teofillina
a) Chimico convenzionale (ricerca del sangue occulto) o
e) oppiacei
specialistico (ricerca di amido, grassi ecc.)
f) abuso di alcol
b) Microbiologico : coprocoltura
g) FANS
c) Microscopico : ricerca dei leucociti presenti nelle
4) Infiammazioni
forme
infiammatorie
invasive
ma
non
a) Morbo di Crohn
nell’avvelenamento da cibo e nelle enteriti da virus e
25
b) Colite ulcerosa
c) Diverticolite
d) Ascessi
5) Infezioni
a) Giardia Lamblia
b) Entamoeba Histolityca
c) Tubercolosi
d) Clostridium Difficile
6) Neoplasie
a) Adenoma villoso del retto
b) Carcinoma del colon
Terapia
In caso di disidratazione o compromissione generale viene somministrata una terapia di sostegno con
soluzioni reidratanti orali a base di Na+ e zucchero (in quanto il glucosio facilita il riassorbimento del sodio).
Gli oppiacei vengono somministrati per ridurre il volume e la frequenza delle scariche diarroiche,gli
anticolinergici agiscono riducendo la peristalsi intestinale (?).
La terapia delle forme parassitarie si basa sul metronidazolo e di quelle batteriche sui probiotici (fermenti
lattici).
La forme enterocolitica della Salmonellosi viene trattata con ciprofloxacina tranne che nei bambini, nei
vecchi, nei pazienti immunodepressi o con batteriemia cronica o infezione extraintestinale.
3.2 LA STIPSI
Anche qui dipende da una combinazione di criteri soggettivi ed oggettivi.
Oggettivi: scariche <2 evacuazioni alla settimana
Soggettivi:
- feci dure o caprine
- Sensazione di evacuazione incompleta
- Notevole sforzo evacuativo
- Manovre per facilitare l’evacuazione
Eziopatogenesi
Stipsi cronica idiopatica: riconosce alterazioni della motilità del colon e dell’ano-retto. In genere si tratta di
una malattia che colpisce gli adulti (8-20% della popolazione) e ha una prevalenza nelle donne F>M 4:1. Nei
bambini, invece, M>F 2:1. E’ favorita da fattori come sedentarietà, sindromi depressiva, scarsa asssunzione
di liquidi e7o fibre durante i pasti, eccessiva inibizione o differimento dello stimolo defecatorio.
Molti farmaci poi sono indicati come concause:
¸ preparati contenenti Fe++ o Ca++
¸ anticolinegici
¸ Levodopa e antiparkinsoniani in generale
¸ Antidepressivi e antipsicotici
Stipsi secondaria a numerose cause:
- Disturbo motorio primitivo
- Ostruzione del colon – retto
- Malattie sistemiche
- Malattie muscolari
- Lesioni neurologiche
- Farmaci
- Disturbi psichici
- Neoplasie
- Stenosi postischemiche
- Spasmo dello sfintere anale dovuto a ragadi o emorroidi
- Sindrome dell’intestino irritabile
•
Cause endocrine: Ipertiroidismo, diabete, ipercalcemia, gravidanza
26
•
Cause metaboliche: Disidratazione, cachessia, porfiria acuta intermittente
Diagnosi
•
•
•
•
•
•
•
•
Periodo di insorgenza: se è l’infanzia probabilmente è una stipsi congenita. L’insorgenza improvvisa va
indagata alla ricerca di una neoplasia
Domandare l’eventuale uso di farmaci e lassativi
Valutazione della presenza di stress emotivi e fattori psichici
Esame neurologico con la valutazione delle funzioni vegetative
Esame addominale e rettale per evidenziare cicatrici chirurgiche e malformazioni congenite
Colonscopia e sigmoidoscopia, possono evidenziare melanosi colica da uso di lassativi antrachinonici,
ostruzioni e alterazioni della mucosa
Clisma opaco
Studio del transito colico, con pezzetti di plastica o markers radioattivi. Il tempo di eliminazione
dell’80% di essi deve essere al massimo di 70 ore.
Diagnosi differenziale: con la pseudodiarrea, in cui il paziente pur andando di intestino fino a 10 volte al
giorno non riesce ad eliminare una massa fecale normale, perché elimina sangue e muco, e con il Soiring, un
grosso fecaloma che dilata lo sfintere anale.
Terapia
La migliore è la terapia dietetica, con modificazione delle
abitudini alimentari. Introduzione di 10-30g di fibre
alimentari (crusca) con abbondanti liquidi.
La crusca è più efficace della frutta fresca e della verdura
nell’aumentare il peso fecale.
I lassativi consigliati sono quelli osmotici, e quelli
formanti massa.
L’unica indicazione alla terapia chirurgica è la malattia di
Hirschsprung, cioè l’assenza congenita di gangli nel SNA
e del plesso mioenterico in un segmento del colon.
Esiste anche il biofeedback, che è una rieducazione
dell’atto evacuativo.
Lassativi formanti massa: azione simile alle
fibre, polisaccaridi sintetici o
naturali,
derivati della cellulosa.
Emollienti: oli minerali, sali di docusato,
surfattanti anionici
Agenti iperosmolari: sorbitolo, lattulosio,
magnesio, glicole polietilenico, sale inglese.
Agenti stimolanti: olio di ricino,
antrachinonici, difenilmetani.
27
CAP 4 DIVERTICOLOSI DEL COLON
Un diverticolo è una protrusione della parete intestinale che forma una canale a fondo cieco, lungo da pochi
mm a diversi cm, il diverticolo appunto. Si distinguono due forme di diverticoli, quelli veri, in cui la
protrusione è di tutta la parete, e quelli falsi, in cui la protrusione è della sola mucosa che crea un canale a
fondo cieco nello spessore della parete intestinale.
La diverticolosi è un processo di senescenza, legato alla debolezza progressiva della parete intestinale, ma
può anche essere congenita, ad esempio per la pervietà del dotto vitellino, oppure essere legato all’aumento
cronico della pressione endoluminale, ad esempio a monte di una stenosi.
I diverticoli del colon sono in genere erniazioni della parete nei punti in cui essa è attraversata da un vaso,
che interrompe la continuità della parete muscolare. La loro incidenza aumenta dopo i 50 anni, raggiungendo
il 20-30% della popolazione.
La patogenesi è legata a questo meccanismo: la muscolatura australe con il tempo e nei soggetti predisposti
si ispessisce, provocando delle stenosi segmentali che aumentano la pressione a monte. Nei soggetti anziani,
questo si assomma alla debolezza della parete.
La genesi del diverticolo è legata a fattori come:
• Età
• Predisposizione individuale
• Dieta povera di fibre e scorie
• Sedentarietà
I diverticoli sono di solito asintomatici, nel 60% dei casi vengono scoperti accidentalmente durante un altro
esame intestinale. La sintomatologia che possono dare è quella di disturbi dell’alvo e occasionale dolore
(15%).
Le complicazioni, che riguardano solo il 35% dei diverticoli, possono essere:
• Emorragia
• Perforazione
• Ascesso pericolico
• Infiammazione (diverticolite): la massa di materiale fecale e di batteri accumulata forma un residuo
duro, detto coprolito, che comprime i vasi sanguigni. La parete diverticolare è sottile, essendo
formata solo dalla mucosa e dall’avventizia, e può essere invasa dai batteri. Da qui si può andare
all’ascesso pericolico fino alla peritonite batterica.
28
CAP 5. MALATTIE INFIAMMATORIE INTESTINALI (IBD)
Con questa dizione ci si riferisce a due malattie infiammatorie dell’intestino ad eziologia ignota, la colite
ulcerosa e il morbo di Crohn, accomunate da una serie di ipotesi patogenetiche comuni e distinte da poche
ma specifiche differenze di comportamento clinico.
5.1 COLITE ULCEROSA
È una malattia infiammatoria cronica che colpisce la mucosa del colon.
L’incidenza è di 35-100 su 100000 ed è ultimamente in aumento.
Sono colpite prevalentemente donne.
La prevalenza è maggiore nei non fumatori al contrario del morbo di Crohn.
I tassi maggiori di incidenza si osservano tra i 30 ed i 60 anni.
Eziopatogenesi
La reale eziologia della malattia è sconosciuta ma sono state proposte diverse teorie eziologiche:
• infettiva
• immunologica
• alimentare
• vascolare
• allergica
• psicologica
Il riscontro di un aumento della prevalenza nei familiari di persone affette da C.U. suggerisce la presenza di
una predisposizione genetica.
L’associazione della colite ulcerativa a uveite, eritema nodoso, artrite reumatoide e ad anemia autoimmune
suggerisce un meccanismo patogenetico di tipo autoimmune.
Probabilmente la patogenesi della malattia si basa su una abnorme risposta immunologica ad agenti normali
determinata da:
v alterazione della barriera mucosale
v alterazione dell’immunoregolazione
v risposta autoimmune causata dalla crossreazione tra antigeni esogeni (microbi o tossine) ed endogeni
Nella colite ulcerativa la risposta immunologica è prevalentemente Th2 mediata, a differenza del morbo di
Crohn in cui è Th1 mediata. Inoltre nella RCU il rischio epidemiologico diminuisce nei fumatori, mentre
aumenta nel morbo di Crohn.
Un modo di vedere i rapporti fra patogenesi infettiva e immunitaria è esemplificato da queste tre teorie:
• Agente infettivo + risposta immune normale
• Agente batterico commensale + risposta immune eccessiva
• Agente batterico commensale + alterazione della permeabilità della mucosa
• Risposta autoimmune agli antigeni dell’ospite
Anatomia patologica
Nella colite ulcerosa c’è una infiammazione della sola mucosa del colon, che si presenta iperemica,
sanguinante e cosparsa di ulcere. Questo interessamento della mucosa è caratteristico perché è uniforme e
continuo, cioè non ci sono aree di mucosa sana intervallate ad aree malate, e nel 95% dei casi
l’interessamento è del colon.
Un altro aspetto caratteristico è la formazione di infiltrati di neutrofili nelle ghiandole criptiche dell’intestino,
che può portare alla formazione di ascessi in loco (ascessi criptici) e alla distruzione della ghiandole stesse.
A differenza del Crohn, gli strati più profondi della parete del colon non sono di solito interessati, e questo
rende ragione del diverso rischio fra le due malattie di perforazione intestinale.
Si ha la presenza di ulcerazioni multiple della mucosa, più spesso superficiali, a volte confluenti.
La mucosa coinvolta si presenta intensamente iperemica e facilmente sanguinante.
Le zone di mucosa non erosa o in rigenerazione tendono a sostituire la mucosa erosa creando i cosiddetti
pseudopolipi di natura infiammatoria che possono rappresentare una lesione precancerogena, potendo
insorgere un cancro nella regione circostante.
In effetti quando la malattia dura da molto tempo non è infrequente l’individuazione di una displasia.
Classificazione e clinica
29
I sintomi principali della malattia sono diarrea ematica e dolore addominale, nei casi più gravi con febbre
e calo ponderale, che si accompagnano ad un esame obiettivo di solito aspecifico ed a variabile
interessamento extraintestinale.
• diarrea acquosa dovuta alla perdita della funzione assorbente nei confronti di acqua ed elettroliti da parte
della mucosa lesa, la frequenza della scariche e l’entità del fenomeno diarroico sono in rapporto
all’estensione del danno e contribuiscono a quantificarne la gravità
Per questo motivo, sono utili dei criteri classificativi clinici.
RCU severa:
• Diarrea francamente sanguinante > 6 volte al giorno
• Febbre > 37,5°C che dura almeno 3-4 giorni
• Tachicardia > 90
• Anemia <= 7,5
• VES >30
• Tenesmo, anoressia, dimagrimento, affaticabilità
RCU moderata:
• Sintomi intermedi fra le altre due forme
Nella RCU il decorso e la presentazione
dei sintomi possono essere variabili:
Forma acuta fulminante: 8%
Cronica intermittente: 64,4%
Cronica continua: 7,2%
Un solo attacco: 18%
Necessita colectomia al primo attacco:
0,8%
Morte al primo attacco: 0,4%
L’andamento tipico, quello cronico
intermittente, è caratterizzato da una
RCU lieve:
sintomatologia lieve sempre presente,
• Diarrea 2-3 scariche al giorno con sangue
che si riacutizza in genere ad intervalli
• VES <30
di qualche mese – un anno. In genere,
• No anemia
maggiore è l’estensione della malattia,
• No perdita di peso
maggiore è la gravità dei sintomi.
• No febbre
Complessivamente, un 85% dei
pazienti riesce a vivere senza la
Esiste poi una forma fulminante, in cui i sintomi sistemici sono predominanti, c’è ipotensione acuta e
necessità di essere periodicamente
perforazione intestinale.
ospedalizzato.
Complicazioni
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
Varietà emorragica: una delle complicazioni della RCU è una vasculite necrotizzante della mucosa, e
in questi casi può essere indispensabile la colectomia
Megacolon tossico: atonia del colon con dilatazione dovuta ad interessamento della parte muscolare
della parete con danneggiamento del plesso nervoso, che causa una dilatazione del colon stesso nota
come megacolon tossico.
Perforazione del colon: peritonite fecale estremamente grave.
Stomatite aftosa
Episclerite
Uveite
più caratteristiche del Crohn
Eritema nodoso
Artropatia
Pustola gangrenosa
Carcinoma del colon: il rischio di questa complicazione aumenta proporzionalmente alla durata della
malattia. Le neoplasie che insorgono in corso di RCU sono spesso multifocali, piatte e difficili da
diagnosticare. Inoltre metastatizzano in maniera molto rapida. Dopo un certo numero di anni, è indicato
effettuare delle colonscopie preventive, anche se il paziente è asintomatico, con biopsie multiple ogni 1520 cm.
Pericolangite (infiammazione degli spazi portobiliari e flogosi concentrica attorno ai dotti biliari
intraepatici) con assenza di manifestazioni cliniche e innalzamento della ALP.
Colangite sclerosante, infiammazione cronica ad eziologia ignota, che interessa i dotti intra ed extra
epatici (infatti alcuni ritengono la pericolangite la forma intraepatica della colangite sclerosante), che non
risponde a terapia cortisonica e che anzi aumenta il rischio di insorgenza di colangiocarcinoma.
Diagnosi
30
Si basa normalmente sulla sintomatologia e sul quadro anatomopatologico macroscopico evidenziabile
tramite l’endoscopia.
All’endoscopia la mucosa si rivela edematosa ed iperemica.
La parete intestinale che normalmente sanguina soltanto se lesa dallo strumento endoscopico a causa di
manovre molto brusche, a causa dell’iperemia e delle ulcerazioni sanguina spontaneamente o in seguito allo
strofinio di un tampone. Altri aspetti caratteristici dell’endoscopia sono la perdita della trama vascolare,
l’iperemia, la friabilità della mucosa e l’essudato costituito da muco, sangue e pus. Importante anche
l’aspetto continuativo delle lesioni.
Spesso nella prima fase diagnostica della malattia si esegue la sola sigmoidoscopia, per evidenziare la sola
natura del processo infiammatorio senza apporre eccessivo fastidio al paziente.
Per avere ulteriori informazioni importanti per la diagnosi differenziale vengono fatti prelievi di tipo
bioptico. Anche se sono un reperto costante gli pseudopolipi infiammatori non sono lesioni pre-cancerose:
queste ultime interessano la mucosa ulcerata.)
La radiografia dell’addome senza mezzo di contrasto è utile soprattutto nei casi più gravi e può evidenziare
la perdita delle normali austrature del colon e la sua dilatazione o nel megacolon tossico la presenza di gas
all’interno della parete con aspetto a doppio contorno.
Il clisma opaco è utile nella diagnosi differenziale con il morbo di Crohn.
• Esame radiologico con doppio mezzo di contrasto (bario e aria) permette la visione dettagliata delle
lesioni già in fase precoce, ed è molto più sensibile del clisma opaco
È importante la diagnosi differenziale della forma moderata e grave con le altre cause di diarrea
sanguinolenta o la altre forme che possono dare ulcerazioni:
• colite ischemica
• colite da radiazioni
• colite da antibiotici
• colite infettiva
• morbo di Crohn
La forma lieve si può facilmente confondere con la sindrome del colon irritabile,la diagnosi differenziale si
basa sulle alterazioni morfologiche rivelate dall’endoscopia.
Marker importante è il CA 19,9
Importanti sono anche i criteri riportati nella tabella per la diagnosi differenziale con il morbo di Crohn:
Colite ulcerosa
Morbo di Crohn
ASPETTI ANATOMO- PATOLOGICI
Interessamento segmentario
Interessamento transmurale
Interessamento della mucosa
Granulomi
Fibrosi
Fissurazioni e fistole
Interessamento del grasso mesenterico e dei linfonodi
0 (ulcere continue e
piccole)
+/a 360°
0
+
+/0
++ (ulcere a tratti non
continui, grandi e
scavate)
++
non completo
+/++
++
++
++
++
++
+
0
+/+
++
+
++
++
++
++
++
+/- ( ileite da reflusso)
95%
+
+
++ (ileite terminale)
50%
+/+
+/-
MANIFESTAZIONI CLINICHE
Diarrea
Proctorragia
Dolore addominale
Massa palpabile
Fistole
Granulomi
Stenosi
Interessamento del tenue
Interessamento rettale
Megacolon tossico
Recidiva dopo colectomia
Neoplasia nelle forme di lunga durata
31
Complicanze extracoliche
+
+
La colite ulcerosa ha una maggiore frequenza a destra, nel colon sigma e nel retto, mentre il morbo di Crohn
è più frequente a sinistra, nel cieco e nell’ultimo tratto dell’ileo (ileite terminale), con contemporaneo
interessamento del colon. I nomi “rettocolite ulcerosa” e “ileite terminale” aiutano a ricordare questa
importante differenza clinica.
Terapia
Sebbene il trattamento della RCU e del Crohn segua gli stessi principi generali, in genere è bene distinguere
fra le due forme. Comunque, l’approccio medico è
il primo, seguito poi, se ci sono le indicazioni, da
Paziente con colite diffusa: dopo 7-10 anni
quello chirurgico.
Paziente con colite a sinistra: dopo 15-20 anni
"Il primo approccio è di solito la terapia
alimentare: il paziente arriva a ricoverarsi spesso
sorveglianza colonscopica
per gli esiti di una fase acuta, quando qualsiasi
alimento provoca l’irritazione del colon e spesso si
osservano quadri di disidratazione e scompenso
DISPLASIA BASSO
DISPLASIA AD
NEGATIVA
RISCHIO
ALTO
RISHIO
elettrolitico. Il primo passo è in genere la
|
|
ricompensazione idroelettrolitica, poi si può
V
V
instaurare uno specifico regime dietetico e, se non
SORVEGLIANZA
CONFERMA DOPO
è possibile la nutrizione per os, ricorrere a quella
STRETTA
1-2 MESI
|
endovena. Questo procedimento può anche essere
|
applicato a quei pazienti che sopportano
V
l’alimentazione per bocca, allo scopo di mantenere
TERAPIA CHIRURGICA
minimo il volume fecale.
"La terapia farmacologica indicata è quella con agenti come la MESALAZINA e i glucocorticoidi. La
mesalazina è un composto della classe delle sulfasalazine, composte da una sulfonamide e un salicilato, che è
il composto attivo, che interferisce con la sintesi delle PG. La mesalazina è il 5-aminosalicilato. La terapia
con questo farmaco ha molti effetti collaterali, come dispepsia, anoressia, cefalea, allergia, effetti letargici,
diminuzione della fertilità maschile, varie e gravi reazioni tossiche.
I glucocorticoidi sono più efficaci nella fase acuta e possono essere utilizzati per un trattamento di attacco
delle forme aggressive, ma sono meno indicati nella prevenzione di recidive, e una volta superata la fase
acuta, il loro dosaggio deve essere ridotto progressivamente fino alla sospensione.
Una volta sospesi gli steroidi, e ripresa l’alimentazione orale, può essere introdotta la sulfasalazina.
Nei casi di steroido-resistenza della malattia può essere effettuata una terapia con immunosoppressori come
l’azatioprina, o addirittura l’idrossiurea, con possibilità di gravi complicazioni a livello dei comparti
proliferanti (cute, mucose, midollo).
" La terapia chirurgica viene solitamente indicata in quei pazienti che hanno una malattia grave e
debilitante, e non rispondono in alcun modo alla terapia farmacologica, in quelli che presentano i segni di
complicazioni derivate dalla terapia cronica con steroidi, e infine in quelli che, durante la sorveglianza
endoscopica, presentano una displasia di grado elevato.
5.1 MORBO DI CROHN
Anatomia patologica
La malattia di Crohn, a differenza della colite ulcerosa, è caratterizzata dalla presenza di una infiammazione
a tutto spessore con interessamento del mesentere e dei linfonodi locoregionali.
Può colpire sia il colon che l’ultimo segmento dell’ileo, con quadri molto variegati, anche perché pur
essendo solitamente una malattia monofocale, questa non è la regola.
Con il progredire della malattia, la parte colpita (più spesso i vari tratti colpiti) presentano un ispessimento e
una fibrosi che può interessare anche il mesentere, e si accompagna a vari gradi di ostruzione intestinale. Il
mesentere, ispessito ed edematoso, si estende fino alla sierosa con caratteristiche digitazioni.
In netto contrasto con la RCU, l’aspetto della mucosa può facilmente essere normale; quando ci sono
alterazioni, però, esse sono caratteristiche, e la mucosa assume l’aspetto così detto ad acciottolato, per via
dell’edema sottomucoso e la presenza di ulcere lineari, disposte lungo l’asse maggiore dell’intestino, e
confluenti, anche nella sottomucosa. Queste ulcere scavano una fitta rete di canali che provocano
32
frequentemente delle fistole fra l’intestino e i visceri vicini (la perforazione, invece, a causa
dell’ispessimento mucoso, è una evenienza rara).
Nelle fasi iniziali compaiono piccoli granulomi simil sarcoidosici non caseificanti nelle sottomucosa e nella
lamina propria che sono presenti solo nel 40-50% dei casi ma specifici, è presente infiltrazione di monociti e
macrofagi a livello dei linfonodi regionali, nelle placche del Pejer, nella sierosa e nel mesentere adiacente.
Nelle fasi più avanzate di malattia gli infiltrati aumentano e compaiono ulcerazioni profonde e fibrosi.
Le ulcere sono aftoidi o stellate o longitudinali o bottone di camicia.
Si ha presenza di pseudopolipi giganti che si differenziano da quelli della colite ulcerosa che sono più
localizzati e più vicini.
Spesso l’interessamento della mucosa avviene in modo discontinuo, a differenza della RCU; inoltre, il fatto
che il processo interessi la parete a tutto spessore provoca la presenza di noduli infiammatori che
coinvolgono anche la sierosa e il mesentere. Come conseguenza della infiammazione sierosa, le anse
intestinali tendono ad aderire fra loro, formando a volte una massa palpabile in fossa iliaca di destra.
Microscopicamente, il tipo di infiammazione è granulomatosa. Quando sono presenti, i granulomi sono un
elemento caratteristico del Crohn, utile nella diagnosi differenziale soprattutto della RCU. Nel 30% colpisce
la parte terminale dell’ileo, nel 30% il solo colon, nel 40% si ha una localizzazione ileocolica. In alcuni casi
molto meno frequenti, l’interessamento è soltanto del tenue, e altre volte non è possibile fare una diagnosi
differenziale con la RCU.
Clinica
Sebbene dal punto di vista anatomopatologico il quadro sia lo stesso sia che ci sia un interessamento del
tenue che del colon, la clinica, e in una certa misura il decorso, cambiano molto se c’è un interessamento
dell’uno o dell’altro settore intestinale. I principali sintomi sono:
• Diarrea non sanguinolenta
• Febbre
• Dolore addominale
• Astenia
• Calo ponderale (rarissimo nella RCU, elemento per diagnosi differenziale)
• Ascessi anali
Diarrea e dolore sono i sintomi predominanti nelle forma coliche, dove non è influenzato l’assorbimento
intestinale.
La malattia di Crohn si presenta in tre forme
Il sanguinamento e soprattutto la proctorragia sono
molto rari, perché la malattia interessa la parte profonda
• ULCERATIVA
della parete e non la mucosa.
• INFIAMMATORIA
Le complicanze ano-rettali, come le fistole, le ragadi, gli
• STENOSANTE (SEGNO DEL FILO)
ascessi, devono sempre sollevare il sospetto di Crohn
Le prime due forme rispondono meglio alla
perché spesso si verificano prima che si evidenzino i
terapia antinfiammatoria.
sintomi classici.
Nella forma ileale ci possono essere anche dei sintomi aggiuntivi:
• Giovani adulti con una storia di dolore, febbre e calo ponderale intenso, fastidio in fossa iliaca destra e
diarrea.
• Eventualmente febbricola, anoressia, nausea e vomito
• Diarrea modesta
• Massa palpabile in fossa iliaca destra
• Lieve anemia
• Segno radiologico del filo: un’ansa intestinale stenosata può apparire come un filo teso fra la valvola
ileocecale e il resto dell’ileo.
Le manifestazioni del Crohn ileale possono essere decisamente atipiche e diventa difficile la diagnosi
differenziale con condizioni come l’appendicite acuta, le neoplasie, ecc.
In altri quadri, alcune complicazioni possono essere la manifestazione d’esordio. Queste sono in genere
fistole, che possono avere molteplici localizzazioni:
• Fistole ano - rettali, con ascessi perianali
33
•
•
•
•
•
•
•
Fistole ano – vescicali, con copruria e pneumuria, ed eventualmente sepsi delle vie urinarie
Fistole entero - enteriche
Fistole entero – peritoneali
Fistole entero - vaginali
Compressione dell’uretere con idronefrosi a causa della massa infiammatoria colica
Ostruzione intestinale, frequente (nel 20-30% dei pazienti), in genere dovuta ad infiammazione acuta, ma
anche conseguenza della fibrosi cronica.
Sebbene rara, perché il processo infiammatorio determina ispessimento della parete, può esservi anche
perforazione intestinale.
Manifestazioni extraintestinali
• Ulcere aftose
• Ulcera peptica del duodeno, che può anche progredire a stenosi pilorica
• Calcolosi della colecisti, dovuta ad una diminuzione del riassorbimento della bile e aumento della sua
litogenicità. Possono anche verificarsi calcoli di ossalato, sia per la disidratazione secondaria alla diarrea,
sia per il maggior riassorbimento di ossalato stesso.
÷ artrite
÷ eritema nodoso
÷ pioderma gangrenoso
÷ irite ed episclerite
÷ nefrolitiasi (30%)
raramente si ha interessamento epatico a differenza della colite ulcerosa.
Classificazione clinica di attività (SCORING)
- N° di evacuazioni settimanali
(2X)
- Dolore addominale 1,2,3
(5X)
- Necessità di oppiacei
(30X)
- Massa addominale 0,2,5
(10X)
- Ematocrito
(6X)
- Condizioni generali scadenti
(20X)
- Complicazioni
(20X)
La malattia è considerata grave con uno score maggiore di 450, in remissione con uno score <150.
Diagnosi
Si avvale di numerose indagini:
v esami di laboratorio: sono aspecifici e valutano l’attività del processo infiammatorio, il deficit
nutrizionale secondario al malassorbimento ed il coinvolgimento di altri organi
v Rx addome rivela anse intestinali dilatate a causa della subocclusione e patere intestinale con impronta
di pollice, segno di infiltrazione e di edema transmurale
v Clisma a doppio contrasto evidenzia le tipiche alterazioni della malattia quali fistole, stenosi e
profonde ulcerazioni lineari alternate a zone di mucosa integra (aspetto ad acciottolato), anche se
talvolta il reflusso di bario attraverso la valvola ileocecale permette di valutare l’estensione del
processo patologico a livello dell’ileo terminale, normalmente a tal fine bisogna eseguire un clisma
opaco del tenue
v Endoscopia è fondamentale per valutare l’estensione del processo patologico ed evidenzia il
caratteristico aspetto ad acciottolato
v Biopsia intestinale fatta durante l’endoscopia
Terapia
In alcuni casi è indicata la terapia operatoria.
La recidiva post-operatoria è maggiore rispetto alla colite ulcerativa che è localizzata esclusivamente a
livello del colon (asportando quello non si ha più recidiva) perciò è preferibile il trattamento farmacologico.
Il morbo di Crohn è una malattia medica,l’intervento chirurgico è l’ultima ratio, il trattamento farmacologico
va continuato anche dopo l’operazione.
Il trattamento del morbo di Crohn dipende strettamente dal grado di attività della malattia.
34
z
z
z
z
z
z
Alimentazione enterale o parenterale
Immunomodulanti
Cortisonici (Prednisone)
Salazopiridina SAST che presenta però una tossicità legata alla dose o idiosincrasia a livello di diversi
organi ed è stata sostituita dall’acido 5-aminosalicinico o mesalazina somministrata a dosi di 2-4 g/dl
in diverse preparazioni : topica cioè rettale o orale in caso di localizzazione colica-ileale (il clistere
arriva fino al sigma); questi 2 farmaci sono entrambi antiinfiammatori che agiscono riducendo la
produzione di LT4 e prostaglandine (inibizione di lipoossgenasi e cicloosigenasi). La sulfalazina ad
alte dosi è tossica per il fegato e le cellule del sangue.
Azatioprina
Antibiotici soprattutto in caso di localizzazione anale (metronidazolo, ciclofloxacina)
La mesalazina (5 amino salicilato) è data come tale nel trattamento topico, e
come sulfasalazina nel trattamento per bocca, ha una azione completa nel
metabolismo dell’acido arachidonico:
ACIDO ARACHIDONICO
FOSFOLIPIDI
PLA2
LT
PG
MESALAZINA
CORTISONICO
35
CAP 6 T UMORI DELL’INTESTINO CRASSO
6.1 POLIPOSI
à il polipo per definizione è una massa che protrude nel lume.
Può essere:
ÿPeduncolato (asse fibrovascolare)
ÿSessile (larga base d’impianto)
Adenomi (90%)
veri
Polipi iperplastici
(10%)
Polipi
Amartomi
Falsi
(non neoplastici)
Polipi
infiammatori
I polipi iperplastici sono alterazioni benigne con scarsa o nulla tendenza alla trasformazione in cancro del
colon, al contrario dei polipi adenomatosi. La distribuzione dei polipi nell’intestino segue una probabilità che
è inversamente proporzionale alla distanza dall’ano. Comunque, non si deve mai escludere la possibilità di
avere un polipo nel cieco, e si deve sempre eseguire una colonscopia totale.
Circa il 30% della popolazione sviluppa una poliposi adenomatosa del colon, ma di questi solo 1 su 100 si
trasformano in carcinoma. Ciò nonostante, i polipi sono la causa più frequente di insorgenza di un carcinoma
del colon. La tendenza alla trasformazione maligna è collegata a:
• Diametro del polipo
• % di componente villosa (villoso > tubolare)
• Morfologia (sessile > peduncolato)
Il processo che conduce dalla poliposi del colon alla trasformazione a carcinoma è ben noto, ed è
schematizzabile nelle seguenti tappe:
• Mutazione puntiforme del protoncogene K-ras
• Ipometilazione del DNA, con attivazione genica anomala
• Perdita di DNA (perdita allelica di un oncosoppressore come APC, DCC, p-53)
• Iperplasia
• Displasia
• Polipi che contengono nello spessore cellule carcinomatose (carcinoma in situ)
Chi ha un polipo adenomatoso ha la possibilità del 30-50% di averne un altro, e deve essere accuratamente
sorvegliato. La colonscopia di sorveglianza non ha senso se ripetuta prima di 3 anni, a causa del lento ritmo
di crescita degli adenomi.
Clinica
•
•
•
•
Rettorragia da torsione dell’asse vascolare del polipo, facilmente confondibile con le emorroidi
Anemia ferrocarenziale da sanguinamento cronico. Il sanguinamento è spesso occulto, e viene la
diagnosi di poliposi viene posta solitamente durante un occasionale controllo del sangue occulto nelle
feci.
Ematochezia
Raramente, negli adenomi di grandi dimensioni, si può avere diarrea acquosa
Diagnosi
Colonscopia totale e sorveglianza colonscopica nei soggetti predisosti
36
Terapia
Endoscopica. Se il polipo è sessile, si fanno manovre per costituire un asse fittizio su cui poter operare la
resezione. L’intervento chirurgico può rendersi necessario quando ci siano forme infiltranti o la parete
intestinale sia in franca degenerazione.
6.2 CANCRO DEL COLON
Il cancro del colon è una patologia molto frequente, seconda solo alla neoplasia del polmone, e causa le
morte di oltre 50.000 pazienti all’anno solo negli USA. L’incidenza si aggira attorno a 300-400 casi /10 5 .
Tale valore cresce con l’avanzare dell’età, raggiungendo un picco di incidenza attorno a 75-84 anni. I
maschi, andando avanti con l’età, assumono un rischio moderatamente maggiore.
Eziologia
I fattori di rischio sono molteplici e tutti attentamente studiati, a causa della frequenza con cui questa
patologia si presenta e della sua sfavorevole prognosi.
Dieta: Nella maggior parte dei casi è il fattore ambientale che aumenta il rischio di incidenza di questa
malattia, tanto che il max di incidenza si ha nei Paesi occidentali e nelle aree urbane. Così come accade per
le patologie cardiovascolari, esiste una relazione diretta fra il cancro del colon e numero di calorie, grassi
animali, proteine nella carne e oli. I fattori genetici non sono in questo caso influenti, dato che i gruppi
migranti acquistano il rischio delle popolazioni ospiti.
La dieta occidentale contiene più grassi animali, che probabilmente determinano un aumento della flora
batterica intestinale anaerobica, che converte i sali biliari in cancerogeni, e inoltre è povera di fibre, con
conseguente rallentamento del transito intestinale, ristagno di cibo e accumulo di cancerogeni nella mucosa.
Soprattutto l’elevata introduzione di grassi animali sembra il principale fattore non ereditario, associato alla
scarsa introduzione di vitamine antiossidanti come A,C,E
Poliposi del colon: la poliposi del colon è una condizione ereditaria rara caratterizzata dall’insorgenza di
migliaia di polipi in tutto l’intestino crasso. La mutazione si trasmette come carattere autosomico dominante,
ed è caratterizzata da una delezione del braccio lungo del cromosoma 5, con perdita degli oncosoppressori
implicati nella trasformazione maligna dei polipi adenomatosi. I pazienti affetti cominciano a sviluppare
polipi entro il 25° anno di età, e se non trattati praticamente tutti hanno un carcinoma del colon. Una volta
identificati questi pazienti devono essere trattati con colectomia totale. I figli di soggetti malati devono essere
controllati fino al trentacinquesimo anno di vita, e per farlo basta la sigmoscopia in quanto i polipi si
distribuiscono uniformemente in tutto il crasso.
Cancro familiare non poliposico del colon: detta anche malattia di Lynch, è una condizione ereditaria
autosomico-recessiva, caratterizzata da un’aumentata incidenza all’interno del gruppo familiare del cancro
del colon. A differenza della poliposi, la frequenza di insorgenza del carcinoma è massima nella porzione
prossimale del colon, e l’età di insorgenza è più bassa che nella popolazione generale. Spesso i pazienti
hanno in associazione altre condizioni di neoplasie associate
Malattia infiammatoria intestinale: come altrove messo in evidenza, esiste una stretta associazione, che si
rafforza con il tempo, fra la RCU e l’insorgenza di una neoplasia del colon-retto.
Altre condizioni ad alto rischio sono:
• Streptococcus Bovis, per ragioni non note, si associa ad un aumento dell’incidenza del tumore quando
sostiene una batteriemia o una sepsi intestinale
• Fumo di sigaretta
Anatomia patologica
Colon SX:
1. stenosanti
2. scirrose
3. polipoidi – ulcerative
Colon DX:
37
1. vegetanti o a cavolfiore
Origine: x lo + dalle ghiandole mucose. Trattasi quindi di adenocarcinomi nel 95% dei casi. Negli ultimi anni
la localizzazione a destra è aumentata.
Colon SX
Colon DX
Sanguinamento
rosso vivo
assente (sangue occulto)
Variazioni dell’alvo
+++ (falsa diarrea o stipsi)
-----Ostruzione
+
+/Anemizzazione
+/++
Una variazione dell’alvo improvvisa in un paziente di mezza età deve indicare un allarme per un possibile
carcinoma. Le variazioni dell’alvo non si manifestano molto se il tumore è localizzato a destra, perché le feci
sono liquide quando arrivano dall’ileo, e quindi non vengono ostacolate dalla presenza del carcinoma. A
sinistra si osservano anche crampi addominali, occasionale ostruzione e persino perforazione. Invece a destra
c’è più spesso sanguinamento, che può essere anche così intenso da dare anemia acuta, tachicardia e
palpitazioni, perché le lesioni carcinomatose spesso si ulcerano.
I carcinomi del retto, che spesso si associano a ematochezia o proctorragia, danno regolarmente tenesmo, e
basta l’esplorazione rettale per differenziarle da un carcinoma del colon.
Diagnosi, prevenzione e screening
• Storia clinica
• Esame obiettivo
• CEA
• Clisma opaco con doppio mezzo di contrasto
• Colonscopia con biopsie multiple
• TAC
• RMN
L’identificazione di neoplasie piccole, non infiltranti e in individui asintomatici migliora di gran lunga la
terapia chirurgica, e questo è sufficiente a giustificare i programmi di screening in soggetti predisposti, ma
anche nell’intera popolazione sopra i 50 anni. Di solito si fanno sui parenti di primo grado di malati.
Inoltre più del 60% delle lesioni sono localizzate nel retto-sigma, e quindi facilmente accessibili.
I protocolli per lo screening dei soggetti a rischio sono i seguenti:
Screening a 50 anni
Screening a 40 anni
Sangue occulto nelle feci
Esplorazione rettale
Esplorazione rettale
Retto-sigma-scopia
Colonscopia 4-5 anni totale
Staging
Nei pazienti con il cancro del colon la prognosi dipende dal grado di penetrazione della parete e
dall’interessamento linfonodale, e dalla presenza di metastasi a distanza. E’ stata quindi costituita la
stadiazione di DUKES, equiparata al TNM, come riportato di seguito.
Dukes
Sopravvivenza
a 5 anni
Neoplasia limitata alla mucosa e alla sottomucosa
A
T1N0M0
1
>90
Neoplasia
estesa
alla
muscolare
B1
T2N0M0
2
85
Estesa alla sierosa o oltre essa
B2
T3N0M0
2
70-80
Interessamento dei linfonodi regionali
C
TxN1M0
3
35-65
Metastasi a distanza
D
TxNxM1
4
5
La maggior parte delle recidive si hanno dopo 4 anni, e la sopravvivenza a 5 anni diventa un indicatore di
guarigione abbastanza attendibile.
Terapia
TNM
Numerica
Descrizione
38
Rimozione chirurgica radicale, con particolare attenzione alla presenza di metastasi a distanza. Il CEA è un
prezioso aiuto per la prevenzione delle recidive, e il dosaggio semestrale dell’antigene deve essere effettuato
per almeno 5 anni dopo l’intervento.
Anche la periodica (ogni 3 anni) sorveglianza endoscopica e/o radiologica del colon è un elemento
importante.
In condizioni di tumori particolarmente estesi o infiltrati, è consigliabile la radioterapia preoperatoria. La
chemio che di solito si fa con 5fluorouracile resta ancora poco efficace nel trattamento della malattia
direttamente, ma può essere utile nel post-operatorio.
39
APPROCCIO AL PAZIENTE CON MALATTIA EPATICA
La valutazione di pochi semplici aspetti deve aiutare il clinico a orientarsi sulle diverse possibili affezioni
(epatocellulari o colestatiche) e sulla gravità del danno.
Anamnesi: un dolore importante riferito all’ipocondrio SX e disturbi digestivi pregressi orienta verso una
patologia delle vie biliari, mentre un disturbo vago e persistente, mal definito suggerisce una malattia
epatocellulare o infiltrativa associate ad epatomegalia che distende la glissoniana. Altri dati importanti sono
la presenza di prurito, ittero, anoressia e febbre, tendenza al facile sanguinamento e confusione mentale.
Da tenere in considerazione anche la presenza in famiglia di casi analoghi o l’esposizione nel lavoro ad
agenti ritenuti epatotossici come il cloruro di vinile, il berillio e il tetracloruro di carbonio, e l’eventuale
abuso di alcool, il contatto intimo (leggi: sessuale) con persone itteriche che possono aver trasmesso
un’epatite virale.
Per quanto riguarda l’insorgenza, un esordio acuto, con nausea, vomito, anoressia e avversione per il fumo di
sigaretta fa propendere per un’epatite virale; l’insorgenza graduale di ittero, al limite accompagnato da urine
scure e feci acoliche suggerisce una colestasi, in particolare se c’è febbre è probabile una colangite, se c’è
calo ponderale un carcinoma della testa del pancreas.
L’aumento della circonferenza addominale è indice di ascite, che può essere la prima subdola manifestazione
di una cirrosi in fase avanzata o di una neoplasia.
Es. obiettivo: si ricerca la presenza (sub)ittero a livello sclerale, il pallore anemico delle mucose (‡ emolisi,
cirrosi, neoplasie, quest’ultima possibilità soprattutto se è presente cachessia degli arti). L’esame della cute
permette di rilevare ecchimosi dovute a deficit di protrombina o a porpora trombocitopenica.
In corso di colestasi cronica i pz. presentano lesioni da grattamento, ippocratismo digitale e xantomi palmari
e tendinei.
Un colorito grigio ardesia di tutto il corpo invece è altamente indicativo di emocromatosi.
Confusione mentale, scadimento dell’intelletto e asterixis invece sono indicative di encefalopatia portosistemica.
L’esame obiettivo del fegato può evidenziare una diminuzione del volume dell’organo (cirrosi o necrosi
epatocitaria massiva) o un’epatomegalia (fegato da stasi, steatosi, epatite alcolica neoplasie) con margine
acuto +- dolorante e regolare.
La presenza di una colecisti distesa (segno di Courvoisier-Terrier) è indice di ittero ostruttivo, mentre il
segno di Murphy di una colecistite/colelitiasi.
Una splenomegalia, caput medusae con ronzio venoso e murmure vascolare a livello dei noduli epatici
rigeneranti si associano tipicamente a cirrosi (avanzata).
TEST DI FUNZIONALITÀ EPATICA
⇒ Bilirubina: le determinazioni spettrofotometriche sono in grado di misurare distintamente sia la frazione
diretta (coniugata-idrosolubile) che quella indiretta (liposolubile). Le [] normali di bilirubina totale sono
< 1mg/dl ,con meno di 0.25 mg/dl della forma a reazione di Van Den Bergh indiretta. Se aumenta solo la
forma indiretta c’è un’insufficienza assoluta (come in alcune alterazioni ereditarie – S. di Gilbert, DubinJohnes, Chrigler-Najar) o relativa (ittero emolitico) dei processi di coniugazione, mentre un aumento di
pari livello sia della forma diretta che indiretta indica una compromissione della capacità di secrezione
della bilirubina nella bile. E’ possibile misurare anche la bilirubinuria, che compare precocemente anche
prima dell’evidenza clinica di ittero.
⇒ Enzimi sierici: sono usati per differenziare un’alterazione parenchimale da un’ostruzione delle vie biliari.
Nessuno degli enzimi dosati comunque ha una sensibilità o specificità del 100%, inoltre possono
muoversi anche in corso di stati morbosi extraepatici.
♦ Aminotrasferasi (transaminasi): Ast, Alt, SGot, SGpt sono stati proposti come indici di danno
epatocellulare. L’Alt è l’enzima + epatospecifico ed è quasi esclusivamente citosolico, mentre l’Alt è
contenuto in diversi altri tessuti ed è sia citosolico che mitocondriale. I loro valori aumentano in quasi
tutte le epatopatie, ma soprattutto in condizioni che causano un’estesa necrosi epatocellulare, come le
epatiti virali acute, tossiche e il collasso circolatorio prolungato. N.B.: elevati valori indicano
sicuramente un danno cellulare in atto ma non sono correlati alla gravità di una lasione sottostante; ad
es. il loro valore può essere normale o addirittura diminuito nelle epatiti croniche, nella cirrosi w nelle
metastasi epatiche, quando la massa epatica sia notevolmente ridotta. In genere l’aumento dei livelli di
Ast e Alt va di pari passo, con poche eccezioni: nell’epatite alcolica il rapporto Ast/Alt può essere > di
2 a causa del danno mitocondriale indotto dall’alcool e della diminuzione del contenuto di Alt in
40
conseguenza del deficit del cofattore piridossina 5P. Nelle donne in gravidanza con steatosi questo
rapporto è ancora >1 mentre in tutte le altre condizioni è <1.
♦ Fosfatasi alcalina: di questo enzima esistono diverse isoforme, ossea, placentare, linfocitaria,
intestinale ed epatica. In assenza di interessamento di uno degli organi succitati, un suo aumento
dipende da alterazioni a livello delle vie biliari e dipende da un’aumentata sintesi dell’enzima piuttosto
che da rigurgito dovuto all’ostruzione. Un aumento leggero c’è in tutte le patologie epatiche, essendo +
marcato negli stati morbosi infiltrativi ma aumenti anche di 10 volte si riscontrano solo nella colestasi
(intra- o extra-epatica). In particolare, i valori si innalzano, anche se di meno quando l’ostruzione
biliare è incompleta o interessa un solo dotto, condizioni in cui la bilirubina è normale. Per valori
elevati vanno cercati anche malattie ossee (Paget osseo, metastasi, osteomalacia).
♦ 5’ – nucleotidasi: sebbene abbia una distribuzione tessutale diffusa, è un considerato un marcatore di
malattia epatobiliare, utile soprattutto per confermare l’origine epatica di elevati livelli di ALP in
bambini, donne in gravidanza e pz con concomitante malattia ossea.
♦ Gamma Glutammil Trasferasi: è diffusamente presente nel sistema epatobiliare e i suoi livelli sono +correlati a quelli di ALP, rispetto alla quale però ha > sensibilità e < specificità (può dipendere da
malattie cardiache, pancreatiche, renali, polmonari oltre al diabete e l’alcolismo.
⇒ Proteine sieriche: Contrariamente agli enzimi sierici, la loro concentrazione diminuisce frequentemente
nel corso delle epatopatie perché riflette le capacita sintetiche dell’organo piuttosto che un danno
cellulare. Quindi in generale non sono indici precoci o sensibili di un’epatopatia, vista l’emivita +- lunga
e la notevole riserva funzionale d’organo; sono di scarsa utilità per fare DD e inoltre una loro
diminuzione non è detto che dipende solo dal fegato.
♦ Albumina e globuline: le [] normali
CAP 7 EPATITI CRONICHE
Serie di patologie infiammatorie del fegato in cui la necrosi, l’infiammazione e i movimenti enzimatici
durano per oltre 6 mesi. Il problema epatite cronica è alle nostre latitudini di grande rilievo a causa della
prevalenza dell’HCV, che nel nostro Paese infetta 4 milioni di persone. Per questo virus, fino al 1990, non
esisteva nemmeno la possibilità di un vaccino. L’epatite virale HCV porta regolarmente la cronicizzazione,
spesso la cirrosi, e abbastanza frequente è l’evoluzione a carcinoma epatico.
Dal punto di vista clinico la definizione di epatite cronica è una elevazione delle GOT e GPT per oltre 6
mesi.
Classificazione
La vecchia classificazione di Attiva, Lobulare e Persistente (vedi) è stata oggi sostituita da una
classificazione clinica basata sulla somma di una stadiazione e di una gradazione, e da una classificazione
eziologica.
Epatite (A) , (B+C)
A = agente eziologico
• Autoimmune
• Virale cronica
o B
o C
o B + Delta
o Altri virus
• Da farmaci
• Criptogenetica
• Ibrida (autoimmune + PBC; autoimmune +PSC)
B = grading
Il grading classifica il danno epatico osservato alla biopsia sulla base di:
• Entità della infiltrazione periportale: fra lo spazio portale e gli epatociti esiste una lamina di
tessuto connettivale detta lamina limitante. Quando l’infiltrato infiammatorio supera questa lamina,
il reperto istologico corrisponde ad una forma di epatite più grave. (cosiddetta “necrosi piecemall”)
41
•
Entità della necrosi periportale: durante i processi infiammatori necrotici del fegato, la necrosi che
colpisce gli spazi periportali si evolve secondo una progressione nota:
o Necrosi che unisce due strutture vascolari
o Necrosi che unisce due spazi portali
o Necrosi che unisce lo spazio portale con la vena centrolobulare
• Entità della infiammazione lobulare e della fibrosi
• Entità della necrosi lobulare
Assegnando un punteggio ad ognuno di questi 4 item, si ottiene una gradazione definita indice di attività
istologica (vedi)
Il grading definisce il grado di attività della malattia, indicando con questo cioè la rapidità di
progressione della malattia verso la degenerazione epatica e la cirrosi. In genere maggiore è il numero di
linfociti nel reperto bioptico, maggiore è il grado della malattia.
C = staging
Lo staging indica lo stadio della progressione della malattia, indipendentemente dalla rapidità con cui
questo si è raggiunto e dal fatto che la malattia stia attualmente progredendo o no. In genere c’è
corrispondenza fra un grado avanzato e uno stadio avanzato.
Il livello di progressione della malattia è basato sull’entità della fibrosi:
0 = assenza di fibrosi
1 = fibrosi lieve
2 = fibrosi moderata
3 = fibrosi grave, compresa la fibrosi a ponte
4 = cirrosi
La somma delle classificazioni di stadio e di grado viene indicata con la somma della terminologia clinica
Minima, Lieve, Moderata e Severa, basandosi sia sul grading che sullo staging
Le rosette, dette anche peripolesis,
sono un gruppo di epatociti
accerchiati da linfociti che li
aggrediscono. Sono un segno di
rigenerazione epatica nodulare, ed
un
elemento
indicante
la
progressione a cirrosi.
Clinica comune
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
Anoressia 63%
Astenia 67%
Ittero 48-98%
Epatosplenomegalia 50%
Spider nevi 53%
Dolore addominale 12-40%
Acne 21%
Rash 9%
Encefalopatia 0-9%
Ascite – edemi 9-27%
Varici esofagee 27%
Irsutismo 6-25%
Cushing 5%
C’era una volta la medicina....
La vecchia classificazione delle epatiti era divisa in tre categorie.
L’epatite cronica persistente , la meno grave, era caratterizzata da un
infiltrato di cellule mononucleate che rimaneva all’interno degli spazi
limitanti periportali e assenza di cirrosi. Questo tipo di epatite è soprattutto
autoimmune, o rappresenta uno stadio precoce di una cronica virale. Di
solito, a meno che sia virale, non progredisce ad altri stadi. Oggi si
classifica come una minima con fibrosi assente.
L’epatite cronica lobulare indica infiammazione portale entro la lamina
limitante, ma anche necrosi focale nel lobulo epatico. E’ molto simile
all’epatite cronica persistente, anche nella scarsa tendenza all’evoluzione,
con in più una componente lobulare. E’ un grado lieve o moderato, con
fibrosi assente.
L’epatite cronica attiva, la forma più grave di tutte, ha un denso infiltrato
infiammatorio di cellule mononucleate che si espande a tutto il lobulo,
necrosi coagulativa di singoli epatociti, fibrosi abbastanza estesa, ed
episodi di rigenerazione epatocitaria, sottoforma di “rosette” o noduli. Un
elemento particolarmente sfavorevole è la presenza di necrosi a ponte,
cioè la morte degli epatociti che attraversa, come una striscia, il lobulo,
unendo due spazi portali, o lo spazio portale e la vena centrolobulare,
Questo provoca un collasso della trama del lobulo, che viene poi
disgregato dalla fibrosi. A questo punto, la rigenerazione avviene
necessariamente secondo una trama disorganizzata, e questa è
l’anticamera della cirrosi. E’ difficile classificare la cronica attiva secondo
i criteri moderni, ma comunque appena evolve diventa subito una epatite
severa con fibrosi grave.
Il danno epatico di norma provoca
dei movimenti enzimatici. Questi
possono essere provocati e dagli
epatociti, e dalle cellule delle vie biliari. Nel primo caso, saranno GOT e GPT ad essere alterati, mentre nel
secondo saranno ALP e gammaGT.
42
Altri indici importanti di funzionalità epatica sono il tasso di albumina sierica e il TPT. Questi infatti sono
parametri che riguardano due sostanze prodotte dagli epatociti. In particolare il TPT è più affidabile, perché
la protrombina ha una emivita di poche ore, e quindi la sua funzionalità è direttamente correlata alla
produzione epatica.
I valori normali di bilirubina sono di 1mg/dl , di cui il 40% è diretta, il 60% indiretta. Quella diretta è non
coniugata. L’ittero franco si ha con valori al di sopra di 3 mg/dl, mentre fra 1 e 3 si parla di subittero.
7.2 EPATITE CRONICA AUTOIMMUNE
Malattia non frequente, caratterizzata da continua necrosi epatocellulare e infiammazione di solito con
fibrosi, che tende a progredire verso la fibrosi e l’insufficienza epatica, a volte anche in modo molto rapido,
essendo responsabile della morte del 40% dei pazienti nei primi 6 mesi di malattia.
Patogenesi
Non c’è certezza che tutte le epatiti di questo tipo siano dovute alla attività immunitaria, ma molti dati
sembrano indicarlo. In particolare:
• Tutte le lesioni epatiche sono sostenute da cloni di T4 e T8 attivati, e da plasmacellule.
• E’ frequente il riscontro di autoanticorpi circolanti nei pazienti e di altre malattie autoimmuni, sia nei
malati che nei loro familiari.
• Spesso questi pazienti hanno antigeni MHC tipici di patologie immuni.
• Questo tipo di epatite risponde alla terapia immunosoppressiva.
Gli anticorpi diretti contro strutture autologhe che si ritrovano con maggior frequenza, e che hanno una
rilevanza diagnostica, sono in genere di tre tipi:
• ANA (antinucleo)
• SMA (anti muscolatura liscia)
• anti LKM (microsomi epatici)
• Altre proteine della membrana epatocitaria
Un ruolo patogenetico importante ce l’ha anche l’immunità cellulomediata, soprattutto per la genesi delle
artralgie, vasculiti cutanee e glomerulonefriti da immunocomplessi.
Clinica
Sebbene possa assomigliare ad una epatite acuta virale per il suo esordio improvviso, in genere la malattia è
caratterizzata da un procedere con fasi alterne di remissione e riacutizzazione.
In genere le condizioni meglio caratterizzate sono quelle di un gruppo di pazienti donne di mezza età (30-40
anni), in cui la frequenza di epatite è 4 volte quella dei maschi. Queste donne hanno un alto ed importante
titolo di Ab ANA, ed una estesa serie di manifestazioni extraepatiche e autoimmuni, come:
• Rash
• Artriti e artralgie
• Colite ulcerosa
• Pseudo-pericardite
• GN cronica
• Diabete mellito
• Miocarditi
• Tiroiditi
• Cirrosi epatica, indici di epatite e relative complicanze.
In molte di queste pazienti ALP, globuline, bilirubina sono nella norma e le GOT e GPT sono solo
moderatamente aumentate. Invece il TPT è spesso alterato, soprattutto nelle fasi avanzate della malattia.
Esistono 4 forme cliniche di epatite autoimmuni:
Tipo 1
Tipo 2a
Tipo 2b
Autoanticorpi tipici
ANA, SMA, pLKM2, anti p450, anti LKM, anti p450
ANCA
anti citosol epatico
Antigeni
?
p450 IID6
p450 IID6
Overlapping con HCV
11%
44-86%
Tipo 3
anti SLA
Citoscheletro
0%
43
Paziente
70%F, di mezza età, Di solito bambini, nell’area mediterranea, una 90%F,
caratteristiche
con caratteristiche forma associata ad HCV che invece interessa simili a quelle del
lupoidi
pazienti di età più avanzata
gruppo 1
Diagnosi
I criteri diagnostici si dividono in criteri di certezza e di probabilità
Criteri di certezza
• Assenza di markers di infezioni virali
• Assenza di fattori di rischio di contagio per via parenterale
• No assunzione di alcool o farmaci
• IgG >= 1,5 x valori normali
• ANA, SMA, anti-LKM: titolo almeno 1:80
• GOT, GPT aumentate di 4-6 volte
• Necrosi periportale
• Assenza di lesioni biliari, granulomi, siderosi, depositi di rame. In questi casi è invece probabile una
sindrome da overlapping. Queste purtroppo sono molto comuni e confondono la diagnosi.
• HLAB8, DR3, DR4
Criteri di probabilità
• Aumenti più contenuti di IgG, autoanticorpi
• Anticorpi anti SLA, ASGP-R (asialoglicoproteine – Recettore)
• HLA B8DR3/DR4 (criterio necessario)
• Sesso F
Terapia
La terapia è basata sui glucocorticoidi, che migliorano la sopravvivenza dei pazienti, il quadro clinico e
biochimico, ma non sembra possano intervenire con efficacia nella prevenzione della cirrosi.
E’ importantissimo stabilire se la malattia è o no ad impronta virale, a causa del fatto che il trattamento con
glucocorticoidi abbassa le difese immunitarie, e il trattamento della patologia virale con INF aggrava
enormemente la patologia immunitaria.
Nella malattia di tipo II-b, con elevata sovrapposizione di HCV, la terapia è molto difficile.
Prednisone (metabolita epatico del prednisolone): 30-40 mg la settimana per circa due mesi, in seguito
scalare di circa 5-10 mg a settimana). Spesso viene dato in combinazione con azatioprina, che riduce le
complicanze della terapia steroidea.
EPATITI VIRALI CRONICHE
Ambedue le epatiti trasmesse per via enterica si risolvono spontaneamente (tranne rare segnalazioni in cui
HAV sarebbe risultato la causa scatenante di un’epatite cronica attiva autoimmune in pazienti geneticamente
predisposti.
La storia delle epatiti croniche di rilievo è quella delle B, delle delta-B, e delle C. Fino al 1975 non si
conosceva altra forma di epatite trasmissibile per via parenterale che non fosse la B. Questo è stato
problematico fino al 1989. Infatti si parlava in quegli anni di una forma di epatite detta “non A non B” che si
trasmetteva con le trasfusioni, ma non esistevano test per identificarla.
L’HCV, scoperto nel 1989, è tutt’ora privo di un vaccino efficace, e l’epidemiologia ad esso correlata è
molto estesa. Si calcola che nel mondo ci siano 400 milioni di persone infette. Data la tendenza alla
cronicizzazione e alla progressione a cirrosi, questo dato è allarmante.
Il 10% delle non A non B è dovuto ad un’altra serie di agenti virali, E, F ed ultimamente anche G. Le ultime
due non sono incluse nei test sierologici di routine nelle donazioni di sangue.
Aspetti patogenetici
Epatite B: L’epaDNAvirus di tipo 1 è un mantellato a dna di 42 nm con un genoma di 3200 pdb. Produce 4
proteine principali codificate da 4 geni sovrapposti (S,C,P,X). La replicazione avviene solo nel fegato, ma il
virus si trova anche in altri parenchimi. Ha una dna polimerasi endogena, in grado di agire anche da rna
44
polimerasi, e da transcriptasi inversa. Quindi a partire da un intermedio rna-, la dna-pol del virus sintetizza
una copia di dna+, con un meccanismo identico a quello dei retrovirus.
Le proteine virali invece vengono codificate sull’intermedio rna-.
Gli antigeni principali sono:
• HBS - Antigene, prodotto del gene S, corrispondente alle proteine di superficie del virione
• HBC – Antigene, prodotto del gene C, corrisponde invece al core nucleo capsidico del virione, non
si isola mai nel siero, ma solo in coltura, in quanto rimane contenuto dentro l’epatocita o si trova
associato alle proteine di superficie
• HBE – Antigene, proteina solubile prodotta dal gene C, ma con un sito trascrizionale diverso. E’ in
pratica la forma solubile del gene C, ed è il marker più attendibile di infezione da virus HBV.
Il paziente risulta contagioso nella condizione di una sierologia positiva per i due antigeni HBS e HBE,
mentre si considera superatala malattia quando scompare l’HBE – Antigene, e si trovano invece anticorpi
contro di esso. La sierologia dei marker dell’epatite B prevede la rapida scomparsa dell’antigene S (entro 3
mesi, se no è sintomo di probabile cronicizzazione, che avviene quando la persistenza degli antigeni è di
oltre 6 mesi), seguita dalla comparsa dei relativi anticorpi. Questi due eventi sono intervallati da un periodo
di pari concentrazione di antigene e anticorpo, in cui nessuno dei due è dosabile perché si trovano
completamente come Immunocomplessi (periodo finestra). L’HBE antigene, che ha un periodo di comparsa
intermedio fra antigene S e anticorpo S, è un indice di elevata replicazione virale e indica la massima
contagiosità, quando la concentrazione di particelle virali raggiunge anche 10000 particelle per ml.
Attualmente l’HBV è la seconda causa di epatite virale, anche per via della prevenzione e della vaccinazione.
Epatite D: Particella virale difettiva a rna- (1,7 Kbp) di 35 nm, che necessita della contemporanea infezione
epatica da parte del virus B (o di un altro epaDNAvirus), per comporsi correttamente ed entrare nella cellula.
Infatti un virione D completo comprende un core D, diverso da quello di HBV, e un mantello identico
all’HBS antigene.
L’antigene delta si esprime quasi esclusivamente nel nucleo, e la sua infezione non può naturalmente durare
più a lungo di quella da virus B. Il virione D non aumenta la possibilità della B di cronicizzare, ma può
permettere il passaggio da una forma lieve di B cronica a una molto più grave
Epatite C: Il virus C è un virus simile ai flavivirus, a rna- a singola elica. (9,5 Kbp). Codifica per una sola
proteina da 3000 aa.
Il virus ha una alta capacità di mutare: in effetti l’infezione produce anticorpi in parte neutralizzanti (e
questo ne limita la diffusione ai familiari), ma questi sono di breve durata, e non sono protettivi né nei
confronti di una seconda infezione da parte dello stesso sierotipo, e né da parte di altri virus.
Si conoscono 6 sierotipi di virus C: 1a, 1b,1c, 2a, 2b, 2c (1a/b e 2a/b sono quelli presenti in Italia). Il tipo 1
appare essere più resistente all’interferone. Ancora oggi è difficile identificare il virus C. I metodi di
elezione, la PCR e l’ibridazione con sonde di DNA rimangono costosi e complessi.
Epatite E: Simile all’HAV, è un virus a rna+ a singola elica, di 32 nm, a trasmissione enterica, presente in
Asia, Africa e America centrale. Per molte caratteristiche appartiene agli alfavirus, ma è sierologicamente
diverso da ogni altro. Non è ancora disponibile un test di routine per lo screening. Il virus non ha una
mortalità elevata, ma inspiegabilmente essa raggiunge il 20% nelle donne incinte.
Epatite G: Flavivirus a rna da 9,4 Kbp con trasmissione parenterale scoperto nel 1960. Piuttosto raro,
sebbene identificabile solo con la PCR, sembra che non sia in grado di dare una infezione clinicamente
evidente se non in associazione con l’HCV.
In condizioni normali, nessuno dei virus elencati sembra in grado di dare un effetto citopatico diretto:
soprattutto per l’HBV, il più studiato, non è rara la presenza di soggetti asintomatici che sembrano
dimostrare l’incapacità del virione di dare danni alle cellule epatiche.
Si propende perciò verso la teoria del danno immuno-mediato. In effetti la presenza di un infiltrato
infiammatorio di T attorno alle aree di necrosi, e la tendenza alla cronicizzazione soprattutto in pazienti con
disordini immunitari sembrano confermare questa teoria.
Si ritiene che gli antigeni ai quali i T siano più reattivi sono quelli del capside virale (HBC e HBE Antigene).
Dall’altra parte, la presenza di un quadro clinico diverso a seconda del tipo di virus, l’enorme aggravamento
della clinica dell’epatite B nella infezione delta, la possibilità, nei pazienti HBV+, di danno al fegato
45
trapiantato durante la terapia immunosoppressiva post-trapianto indicano che la partecipazione diretta del
virus al danno non è trascurabile.
Nei bambini nati da madre infetta, l’infezione si protrae per tutta la vita in modo praticamente asintomatico,
cosa che depone per una tolleranza.
Epatite B
La probabilità di sviluppare una cronicizzazione dipende dall’età in cui è stata contratta l’infezione:
generalmente questa nei bambini produce un’infezione acuta clinicamente silente che sfocia al 90% in una
infezione cronica. Al contrario negli adulti la % di cronicizzazione è del 20% e la > parte di questi casi si
associa a infezioni acute di scarsa/nulla evidenza clinica. Il danno epatico (e anche la prognosi) vanno da
nessuno (portatore asintomatico), lieve (ep cronica persistente) a grave (ep cronica attiva). In un follow-up di
13 anni si è visto che + di _ dei pz con ep. persistente progredisce verso la cirrosi. Più importante forse, ai
fini del calcolo del rischio di insufficienza epatica, è il grado di replicazione dell’HBV: l’ep cronica cronica
in fase replicativa (presenza di HbeAg e HBV-DNA nel siero, Ag nucleocapsidici come HbcAg
intraepatocitari, alta infettività e danno epatico) tende essere significativamente più grave.
CLINICA : si va dall’asintomaticità a una malattia debilitante con sintomi classici innanzi descritti, fino
all’insufficienza epatica terminale, preceduta da esacerbazioni passeggere. Spesso la diagnosi viene fatta
quando compaiono i sintomi classici della cirrosi. I dati di laboratorio consistono in un’ipertransaminasemia
(che può fluttuare tra 100 e 1000), con l’Alt > dell’Ast – il rapporto si inverte nella cirrosi. L’ALP non è
indicativa e gli altri valori (bilirubina, PT, protidemia) si alterano solo nelle fasi terminali.
TERAPIA : i candidati migliori per l’avvio di una terapia antivirale sono pz. Immunocompetenti, con ep B ben
compensata in fase replicativa, meglio se acquisita in età adulta e la cui durata sia + bassa possibile (<1,5
anni). La terapia si fa con IFNα e consiste in un ciclo di 4 mesi di iniezioni giornaliere sottocutanee di ca. 5
milioni di unità; essa produce una sieroconversione verso la fase non replicativa nel 40% dei casi. Un buon
risultato si accompagna anche a un’elevazione delle transaminasi, per l’effetto potenziante dell’IFN
sull’attività citotossica diretta contro gli epatociti infettati. Le recidive dopo la sieroconversione sono molto
rare (1-2%).
Complicanze: sintomi flu-like, insufficienza midollare, labilità emotiva e tiroidite autoimmune irreversibile,
+ altri sintomi collaterali quali rash cutaneo, alopecia, diarrea e formicolio alle estremità
Un’alternativa all’IFN sono i corticosteroidi, che usati a lungo sono sicuramente deleteri ma se sono
somministrati brevemente inducono un aumento dell’espressione degli Ag virali sulla membrana degli
epatociti di modo che i L.T, una volta riacquistate le capacità pretrattamento potrebbero aggredire con +
efficacia le cellule infette.
Nei portatori asintomatici la terapia peggiora la malattia e aumenta l’entità del danno epatico mentre nelle
forme croniche terminali l’unica opzione valida è il trapianto di fegato.
Epatite D
Il virus difettivo δ, sia che coinfetti o sovrainfetti con l’HBV, aumenta la gravità dell’epatite B ma non la
probabilità di progressione verso la cronicità. In presenza di epatite cronica B-δ – relata, la forma attiva con
o senza cirrosi è la regola, mentre la forma persistente è l’eccezione. Un aspetto sierologico particolare è la
presenza di Ab anti-LKM (Liver-Kidney Microsomes), denominati anti-LKM3 per distinguerli da quelli
dell’epatite autoimmune.
TERAPIA : l’IFNa può produrre remissioni durature e prolungata riduzione della replicazione virale ma sono
necessarie dosi molto alte e a lungo. Pz in fase terminale rispondono positivamente al trapianto e solitamente
solo il virus d recidiva nel fegato nuovo con < conseguenze.
Epatite C
Indipendentemente da come lo si prende, l’HCV cronicizza in un % che va dal 50 al 70 e la progressione
verso la cirrosi avviene nel 20% dei casi e può interessare anche pz con forma lieve o portatori asintomatici.
Ciononostante la prognosi a lungo termine di pz HCV+ politrasfusi non è tanto diversa da una popolazione di
controllo sana, poiché l’epatite cronica C-relata tende a progredire molto lentamente anche se con esito quasi
sempre grave. La progressione può essere + rapida in individui geneticamente predisposti, con alti livelli di
HCV-RNA nel sangue o con epatopatie concomitanti o deficit di α1 – antitripsina.
CLINICA : simile a quella dell’HB; l’astenia è il sintomo + frequente, l’ittero è raro e le manifestazioni extraepatiche sono più rare ad eccezione della crioglobulinemia mista (o essenziale). Comunque sono possibili
46
anche qui danni da IMC come la Sindrome di Sjogren e la porfiria cutanea tarda. I valori delle transaminasi
tendono a oscillare ma comunque sono bassi nella malattia di vecchia data. Un aspetto interessante è la
presenza di Ab anti-LKM1 analoghi a quelli dell’epatite autoimmune, diretti contro una seq di 33
amminoacidi del P450 IID6 forse per una parziale omologia con la poliproteina dell’HCV. Inoltre in alcuni
pz questo reperto suggerisce una possibile componente autoimmunitaria nella patogenesi.
TERAPIA : IFNa 3 milioni di unità per via sottocutanea 3 volte alla settimana per 6 mesi. Questo regime
produce una normalizzazione dell’Alt o una riduzione fino a rientrare entro 1 volta e mezzo il limite
massimo nel 50% dei pazienti. Al contrario dell’ep. B, nella C una risposta favorevole non si accompagna a
un movimento delle transaminasi. Tuttavia la risposta prolungata si riduce al 25% dei soggetti o anche meno.
I pz che recidivano rispondono comunque a un secondo ciclo di terapia, tranne quelli che hanno un aumento
delle transaminasi, forse per la comparsa di Ab anti-IFN.
La negativizzazione dei livelli di HCV-RNA non esclude la possibilità di recidiva. Paradossalmente i
pazienti che hanno una malattia lieve con scarso rischio di progressione nel tempo sono quelli che
rispondono meglio.
Alcuni studi clinici su piccolo campione indicano una > efficacia dell’IFN se somministrato insieme una
analogo nucleosidico come la ribavirina.
La terapia non è applicata ai pz con malattia lieve o asintomatica e nemmeno a quelli con cirrosi
scompensata (‡trapianto), con qualche rara eccezione se è presente crioglobulinemia sintomatica.
7.4 EPATITI CRONICHE DA FARMACI
Le sostanze tossiche che possono dare un danno epatico diretto e prolungato sono moltissime. Per questo
motivo, ogni paziente che arriva con ittero ed interessamento epatico deve essere attentamente valutato con
anamnesi e screening vari sulla possibilità di un contatto professionale, medico o ambientale con le seguenti
categorie di composti:
• Sostanze di provenienza industriale: tetracloruro di carbonio, fosforo giallo, tricloroetilene.
• Octapeptidi biciclici: avvelenamento epatico da funghi (amanita e galerina)
• Vari farmaci comuni: paracetamolo, metildopa, isoniazide, sodio valproato, alotano, fenitoina,
clorpromazina, amiodarone, eritromicina, contraeccettivi orali, steroidi anabolizzanti, trimetoprim.
Le sostanze tossiche elencate agiscono spesso come tossina diretta o come effetto dei metaboliti epatici
prodotti in loco. Gli effetti sul fegato sono dose-dipendenti e sono prevedibili sulla base dell’esposizione.
Questo non vale nel caso di reazioni idiosincrasiche a farmaci, quando l’effetto è imprevedibile e
indipendente dalla dose. Tali reazioni sono giustificate sulla base di una reattività immunologica e anche
sulla personale capacità metabolizzante del DMES, del P-450 e sulla capacità detossificante dei sistemi
microsomiali.
Vengono di seguiti descritti i meccanismi di azione di alcuni dei composti più importanti.
Paracetamolo: Danno epatico diretto, necrosi centrolobulare. Dose letale a 25g, danno epatico clinicamente
manifesto a 10-15g. Dopo 4-12 ore dall’ingestione si verificano nausea, vomito, diarrea e shock, che
successivamente si attenuano e compaiono i segni di tossicità epatica. Le transaminasi possono arrivare a
10.000. Il danno è sostenuto da un metabolita tossico prodotto dal P-450, che è inattivato tramite
coniugazione con i glutatione. Quando è in eccesso, si lega covalentemente a molte molecole intracellulari.
Alotano: Reazione idiosincrasica a questo composto usato prevalentemente nella pratica anestetica, e
strutturalmente simile al cloroformio. Abbastanza rara. Succede per lo più nelle donne, e si manifesta dopo
7-10 giorni con febbre, leucocitosi ed ittero. C’è necrosi epatica massiva come per l’epatite virale.
Metildopa: Lievi reazioni con modeste alterazioni della funzionalità epatica nell’1-5% dei pazienti in
terapia, che di solito scompaiono da soli senza bisogno di sospendere la terapia. A volte però c’è necrosi a
ponte simile all’epatite virale, che di solito si risolve alla sospensione della terapia.
Isoniazide: Questo farmaco antitubercolare produce nel 10% dei pazienti un innalzamento delle transaminasi
a valori di solito inferiori alle 200 unità. Nei soggetti più anziani, c’è però la possibilità di un danno più
grave, simile all’epatite virale, che ha una mortalità del 10%. Questa tossicità diretta viene potenziata
dall’alcool e dall’assunzione della rifampicina.
47
Eritromicina: L’effetto più importante è la reazione colestatica, per altro rara, che si ha nelle prime 2-3
settimane di trattamento. La malattia ricorda una colica biliare acuta, e alla biopsia si osserva infiltrato
periportale che provoca la stasi. E’ una reazione idiosincrasica infiammatoria.
Altri composti che danno la reazione colestatica sono i contraccettivi orali, alcuni antibiotici e gli steroidi
anabolizzanti
EPATOPATIA E C IRROSI ALCOLICA
Esiste una stretta correlazione tra alcol ed epatopatia (in genere cirrosi).
La cirrosi alcolica (storicamente denominata “di Laennec”) è la forma + diffusa nel Nord America e
in molte aree dell’Europa.
Eziologia
Alcuni fattori predispongono o possono contribuire allo sviluppo della malattia:
v Caratteristiche dei bevitori : esiste una estreme variabilità tra quantità di alcol assunto e
sviluppo della malattia, in genere si considera pericoloso un consumo di alcol superiore a
60g/die nell’uomo e 40g/die nella donna, è molto importante anche la durata dell’abuso
alcolico calcolata di circa 10-15 anni per l’insorgenza di cirrosi alcolica, inoltre il danno
epatico non dipende dal tipo di bevanda alcolica consumata ma unicamente della quantità di
alcol in essa contenuta. Il tempo di latenza è inversamente proporzionale al consumo.
v Sesso : il sesso femminile è più sensibile al danno epatico da alcol per un ridotto volume di
distribuzione rispetto all’uomo e per una minore capacità di metabolismo dell’etanolo, ciò è
dimostrato dal riscontro di livelli di alcolemia più alti rispetto all’uomo dopo asssunzione di
una analoga dose do alcol inoltre la donna sviluppa un danno cronico evolvente in cirrosi
anche dopo la sospensione dell’alcol
v Fattori genetici : la differente capacità di metabolizzazione ed eliminazione dell’alcol dipende
dal polimirfismo genetico dei 2 sistemi enzimatici deputati al metabolismo dell’alcol : MEOS
(microsomal enzyme oxidative system) e ADH (acetaldeide deidrogenasi)
v Fattori nutrizionali : la malnutrizione promuove gli effetti tossici dell’alcol tramite la
deplezione degli aminoacidi e degli enzimi epatici
v Fattori immunologici, sintesi di collageno e rigenerazione peatocellulare
Eziopatogenesi
Un individuo sano può metabolizzare fino a 160-180 g/die di alcol anche se tale quantità può essere
superata per un fenomeno di induzione da parte dell’alcol stesso sulle sue vie metaboliche.
Un grammo di alcol produce circa 7 calorie perciò il suo consumo limita l’apporto nutrizionale di
altre sostanze in particolare di proteine.
L’alcol viene metabolizzate da due vie enzimatiche l’ADH (lattico-deidrogenasi) situata nel citosol
e MEOS localizzato nei microsomi ed in particolare nel citocromo P-450 che ha anche affinità per il
paracetamolo e per alcuni carcinogeni (ciò spiega l’elevata incidenza di epatiti acute da
paracetamolo e epatocarcinoma in soggetti alcolisti).
L’acetaldeide è il principale prodotto di ossidazione peatica dell’etanolo ed è una molecola
estremamente reattiva capace di legarsi ai fosfolipidi e ai gruppi sulfidrilici .egli aminoacidi.
L’aumento della concentrazione delle proteine del citoplasma legate all’acetaldeide determina un
incremento dell’acqua intracellulare con rigonfiamnto cellulare
L’amento del rapporto NADH/NAD dovuto all’incremento dell’atticvità ossidativa determina
profonde alterazioni metaboliche:
i Riduzione della gluconeogenesi
i Aumento dell’acido lattico (lattosi)
i Aumento della produzione di corpi chetonici (chetosi)
i Riduzione dell’escrezione di acido urico ? (iperuricemia)
i Riduzione dell’osssidazione degli acidi grassi che si accumulano in vacuoli
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etanolo
ADH
NAD-NADH
MEOS
NADP-NADPH
acetaldeide
idrogenioni
acetato
piruvato
lattato
Utilizzo degli acidi
grassi per l’energia
Aumento lattacidemia
Aumento acidi grassi
Acidosi renale
Aumento trigliceridi
Aumento uricuria
gotta
Steatosi
epatica
iperlipidemia
Le alterazioni morfologiche del parenchima epatico indotte dall’alcol sono la steatosi epatica, l’epatite
alcolica e la cirrosi, ciascuna di queste può presentarsi come evento isolato o può coesistere nello stesso
paziente.
] Steatosi epatica è il reperto più frequente, è caratterizzata da accumulo di lipidi prevalentemente
localizzati negli peatociti della zona centrolobulare,il fegato è aumentato di volume ma con consistenza
normale, il paziente si presenta generlmente asintomatico ed i test biochimici si presentano solo
lievemente alterati, la sospensione dll’alcol porta ad una progressiva risoluzione del quadro clinico con
scomparsa degli accumuli lipidici.
] Epatite alcolica è caratterizzata da necrosi ialina degli epatociti e rapida evoluzione verso la fibrosi e la
cirrosi, la lesione istopatologica consiste nella triade: ialinosi,infiltrazione di leucociti
polimorfonucleati e sclerosi delle vene centrolobulari, il quadro clinico è più grave e progredisce verso
l’insufficienza epatica e gli esami biochimici rivelano una alterazione della funzionalità epatica, la
prognosi è peggiore della steatosi e nella maggior parte dei casi si ha progressione verso la cirrosi (la
mortalità e dell’80% a causa delle alterazioni metaboliche)
] Cirrosi alcolica è del tutto sintomatica nel 10% dei pazienti ed è riscontrabile in associazione all’epatite
alcolica,nella maggior parte dei casi è di tipo micronodulare, il quadroclinico ed i test di laboratorio
sono quelli corrispondenti ai diversi stadi propri della cirrosi
Abuso di alcol
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steatosi
Epatite alcolica
acuta
Quadro
subclinico
C I R R O S I
Clinica
Il quadro clinico di insufficienza epatica si accompagna anche a sintomi che denotano il coinvolgimento
multisistemico:
i ipertrofia delle parotidi
i ipoglicemia
i ulcera peptica
i pancreatite cronica
i malnutrizione
i malassorbimento
i alterazioni del SNC come il delirium tremens che si verifica quando viene sospeso il consumo di alcol
(da non confondere con l’encefalopatia portositemica)
i scadimento intellettivo
i atassia (da danni al cervelletto)
i atroifa cerebrale
i cardiomiopatia alcolica
i disturbi ematologici come anemia megaloblastica dovuta sia a ridotto assorbimento di vitamina b12
che a danno midollare
i miopatia dovuta a neuropatia
i danni sistemici sono dovuti alla produzione di acetaldeide che va incircolo.
CAP 8 CIRROSI EPATICA
‡DEF. : malattia cronica del fegato caratterizzata da un completo sovvertimento della normale architettura
epatica per la necrosi con successiva formazione di noduli di rigenerazione (che mancano della normale
architettura lobulare) in un tessuto cicatriziale di tipo fibrotico.
Anche se la fibrosi epatica non è sinonimo di cirrosi essa rappresenta un importante elemento morfologico
della malattia essendo la conseguenza diretta della necrosi epatocitaria indipendentemente della patogenesi
della malattia.
La fibrosi a livello degli spazi interlobulari determina il sovvertimento dell’architettura vascolare epatica
determinando ipertensione portale.
Dal punto di vista morfologico la cirrosi è fondamentalmente caratterizzata dalla presenza di noduli
rigenerativi distribuiti uniformemente sulla superficie dell’organo i quali sono circondati da setti fibrosi.
Questi aspetti sono la conseguenza della necrosi epatocitaria, del collasso del reticolo di sostegno con
successiva deposizione di tessuto fibrotico, del sovvertimento del letto sinusoidale e della rigenerazione del
parenchima residuo.
In base alla dimensione dei noduli si possono distinguere 2 forme di cirrosi:
• Micronodulare con noduli <3 cm
• Macronodulare con noduli >3 cm
• Mista (micro-macronodulare)
Talvolta l’aspetto micronodulare è presente solo nelle prime fasi della malattia con successiva evoluzione
nella forma macronodulare.
Diretta conseguenza della cirrosi epatica sono l’insufficienza epatica e l’ipertensione portale.
50
La reale incidenza della cirrosi è difficile da quantificare poiché circa il 40% delle cirrosi rimane
asintomatico e viene diagnosticato casualmente incorso di esami di routine o addirittura all’autopsia.
La storia naturale della malattia e piuttosto lunga ed è influenzata dall’iterazione tra l’agente eziologico ed i
fattori dell’ospite.
Eziopatogenesi
Le cause più frequenti di cirrosi epatica sono rappresentate da:
1) Alcol (26%)
2) Infezioni da virus B (9%) e C (28%)
3) Farmaci o tossici
4) Epatite autoimmune
5) Malattie congenite del metabolismo
6) Ostruzione biliare (cirrosi biliare primitiva)
7) Scompenso cardiaco (cirrosi cardiaca)
La cosiddetta cirrosi criptogenetica ha patogenesi del tutto sconosciuta ed è probabilmente da correlare ad un
insieme di fattori sia individuali che ambientali.
Nel caso della cirrosi secondaria ad epatite virale l’evoluzione e la storia naturale della malattia è correlata a
fattori legati all’ospite (risposta immunitaria) e fattori legati all’infezione (viremia, genotipo del virus).
Importanti per la diagnosi eziologica della malattia sono i test di laboratorio che possono evidenziare la
presenza di marcatori virali o di alterazioni di enzimi o alterazioni metaboliche specifiche di una determinata
malattia primaria (ex. Incremento di AST, γGT e IgA nella cirrosi alcolica).
ANATOMIA PATOLOGICA
Colorazioni specifiche per il collagene come la reticolina (?) evidenziano la presenza di abbondanti fibre
collagene interrotte da noduli.
Nella cirrosi alcolica non c’è risposta immunitaria.
Clinica
Le manifestazioni cliniche della malattia sono causate dall’insufficienza epatica e dall’ipertensione portale.
Nella forma latente della malattia molto spesso il riscontro è del tutto casuale incorso di esami di routine o
per la presenza di altri sintomi.
L’evoluzione della malattia può essere lenta nel tempo e la prognosi è imprevedibile in quanto le condizioni
del paziente possono precipitare in seguito ad eventi clinici intercorrenti.
Il quadro clinico della cirrosi avanzata ed in fase di scompenso è piuttosto peculiare, le condizioni generali
appaiono compromesse e precarie essendo molto spesso complicate da eventi emorragici del tratto
gastroenterico.
Le manifestazioni cliniche sono quelle generiche di insufficienza epatica + ipertensione portale.
v Anoressia
v Astenia
v Ittero
v Epatospenomengalia
v Spider-nevi (telangectasie)
v Eritema palmare
v Dolorabilità epatica e dolore addominale
v Acne
v Rash
v Encefalopatie
v Ascite o edemi
v Varici esofagee
v Irsutismo
v Artriti
v Manifestazioni cushingoidi
Laboratorio
Si ha alterazione degli indici di funzionalità epatica che evidenziano una compromissione dell’attività
biosintetica epatica:
transaminasi sieriche (ALT e AST) sono in genere solo modestamente alterate
z
γ−GT sono elevate soprattutto in corso di cirrosi alcolica o di epatocarcinoma essendo un indice
z
sensibile della colestasi presente in queste forme
51
fosfatasi alcalina risultano elevate nel 70% dei pazienti con cirrosi soprettutto nei casi ad impronta
colestatica oppure in corso di cirrosi biliare o di epatocarcinoma.
Albumina indice della capacità protidosintetica epatica è in genere ridotto soprattutto nei pazienti che
z
presentano edemi e ascite
Ipergammaglobulinemia policlonale (le IgA sono aumentate incorso di cirrosi alcolica, le IgG incorso
z
di cirrosi autoimmune e le IgM in corso di cirrosi biliare primitiva)
Tempo di protrombina è aumentato
z
Fattori della coagulazione (in particolare fattore V e VII) sono ridotti
z
Leucopiastrinopenia secondaria all’ipersplenismo dovuto all’ipertensione portale
z
Anemia di tipo macrocitico in corso di cirrosi alcolica per deficit di filati e di vitamina B12 o anemia
z
Fe carenziale secondaria al sanguinamento cronico delle vie digerenti
Diagnosi
Si basa fondamentalmente sulla biopsia epatica.
Il riscontro di steatosi sarà suggestivo per la patogenesi alcolica della cirrosi mentre il riscontro di
epatociti a vetro smerigliato e di inclusioni virali saranno tipici per la patogenesi virale.
La biopsia epatica è fondamentale per la diagnosi differenziale con la colangite sclerosante primitiva.
La valutazione dei sinusoidi epatici permette una di diagnosticare la cirrosi cardiaca.
La biopsia epatica è fondamentale per la diagnosi differenziale con l’epatocarcinoma.
Importante è anche l’endoscopia che tramite l’uso del doppler studia anche le alterazioni della circolazione
epatica.
Terapia
Il trattamento di elezione per la cirrosi epatica è il trapianto di fegato.
Il trattamento medico si basa su misure dietetiche volte a ridurre le alterazioni metaboliche come un
aumento dell’apporto proteico e una riduzione dell’apporto di sale.
z
8.1 CIRROSI ED EPATOPATIA ALCOLICA
Il rischio cirrosi, come altrove già accennato, è soltanto in parte legato alla presenza di un consumo di alcool
elevatissimo, mentre riguarda sempre di più soggetti normali non alcolisti, i così detti “bevitori sociali”. In
effetti, le dosi che a lungo andare provocano cirrosi sono attorno ai 30-40 grammi giornalieri per l’uomo, 2030 per la donna.
Stimando una dose di 10g corrispondente al contenuto alcolico di un bicchiere di vino, una porzione di
superalcolico servita al bar, o una bottiglia di birra, si capisce come anche un consumo che per molti è
abituale possa indicare l’aumento del rischio della cirrosi.
Il danno epatico si instaura per gradi successivi ed è prodotto da quei meccanismi che sono stati descritti
altrove (vedi)
• Epatomegalia (imbibizione idrica degli epatociti)
• Steatonecrosi
Fino a questo livello è possibile la
• Epatite alcolica
regressione sospendendo l’assunzione
o Lieve
alcolica
o Moderata
o Severa
• Fibrosi senza noduli / iperplasia nodulare (noduli piccoli senza setti fibrosi)
• Cirrosi micronodulare < 3mm
• Cirrosi macronodulare > 3mm
• Epatocarcinoma
La cirrosi da etanolo è tipicamente centrolobulare a differenza di quella virale che parte per lo più dagli
spazi portali.
Oltre a quelli già descritti, altri meccanismi con cui l’etanolo produce danno nel fegato sono lo stimolo
diretto alla sintesi del collageno, alterazioni immunologiche delle proteine del citoscheletro e della
membrana, inibizione della sintesi della B12 e quindi del DNA.
Dal punto di vista macroscopico, si può avere una cirrosi ipotrofica quando il fegato assume un peso ridotto,
minore di 1,5 Kg, che di solito è micronodulare (ma non è la regola), e una cirrosi ipertrofica, con peso > di
1,5 Kg, di solito macronodulare (ma non sempre).
52
Clinica
La steatosi epatica di norma non si associa a nessuna evidenza clinica di malattia, se non una modesta
epatomegalia talora associata a dolenza.
Ben diversa e variabile l’epatite alcolica, dove il quadro va dall’asintomaticità fino all’insufficienza epatica
letale. Il quadro tipico è anoressia, nausea, vomito, malessere, calo ponderale, disturbi addominali e ittero,
con febbre elevata nella metà dei casi.
Nei casi gravi possono essere anche presenti i segni delle complicazioni della cirrosi, ascite, edema,
encefalopatia e sanguinamento. Anche questi casi estremi tendono a migliorare e addirittura a regredire
completamente con l’astensione dall’alcool, ma lo fanno con estrema lentezza, e possono aversi crisi di
insufficienza epatica perfino fatali.
La cirrosi alcolica invece può anche silente, almeno nel 10-40% dei casi. Più spesso l’esordio dei sintomi è
insidioso e si manifesta di solito entro 10 anni dall’inizio dell’abuso cronico. A differenza delle altre
manifestazioni della malattia alcolica, la cirrosi non ha niente di specifico, se non una moderata tendenza a
migliorare con l’astinenza dall’alcool, che però non porta mai alla regressione.
Dati di laboratorio
Specifica è l’anemia, macrocitica, da carenza di B12, più raramente ipocromica da carenza di Fe++ e
secondaria alla malnutrizione, ma anche alla diretta soppressione della funzionalità midollare da parte
dell’alcool. In alcuni soggetti è stata descritta anche acantocitosi, dovuta all’ipercolesterolemia.
Un dato importante è il rapporto GOT/GPT (AST/ALT) che è > 2. Questo rapporto, che è inverso rispetto
a quanto si verifica nell’epatite virale, è legato alla inibizione diretta dell’alcool nella sintesi della ALT, che
può essere rimossa con la somministrazione di PLP.
Prognosi e terapia
Esiste una formula per calcolare un indice prognostico discriminante che indichi o no l’impiego di
glucocorticoidi nella terapia:
4,6 X (TPP - tempo normale) + bilirubina sierica in um/l / 17 ‡ se >32 la prognosi è sfavorevole.
A differenza della cirrosi da qualsiasi altra causa, quella alcolica richiede un trattamento con dieta
iperproteica, per controbilanciare gli effetti della malnutrizione e della dispersione proteica con la
paracentesi.
Farmaci particolari come i diuretici devono essere somministrati con cautela, a causa del ridotto metabolismo
epatico. In particolare, sedativi, che possono essere utili nel trattamento di un alcolista e delle crisi di
astinenza hanno questo tipo di problema.
8.2 CIRROSI
POSTNECROTICA
La cirrosi postnecrotica è una categoria particolare di cirrosi raggruppate insieme per il loro aspetto prima
che per la causa eziologica. In effetti si tratta della cirrosi conseguente a massiccia necrosi diffusa e
confluente di cellule epatiche, a cui segue la formazione di bande di tessuto connettivo che contengono gli
elementi residui di molte triadi portali, e in seguito la formazione di noduli di dimensioni molto variabili.
In pratica l’aspetto caratteristico è la massiva necrosi.
Moltissime condizioni possono portare alla cirrosi secondaria alla necrosi epatica, fra cui le epatiti virali, il
CMV, la Brucellosi, farmaci come quelli descritti in precedenza, la S. di Budd-Chiari, malattie e deficit
metabolici come il deficit di alfa1AT, il morbo di Wilson, l’emocromatosi, eccetra.
In circa il 10% dei casi di cirrosi, poi, la causa della necrosi estesa rimane ignota.
L’aspetto anatomopatologico è quello di un fegato ridotto di volume, deformato e composto da noduli
separate da larghe bande di connettivo. Nel 75% dei casi ha un andamento progressivo con morte entro 1-5
anni per complicazioni quali emorragia, epatocarcinoma o encefalopatia epatica.
La terapia è sintomatica, compensativa, oppure se possibile mirata ad eradicare la malattia sottostante.
8.3 CIRROSI BILIARE
CIRROSI BILIARE PRIMITIVA
53
E’ causata dall’infiammazione ostruttiva dei dotti biliari intraepatici, che porta ad un ristagno di bile negli
spazi porto-biliari, distruzione del parenchima epatico e fibrosi progressiva.
Eziopatogenesi
La malattia ha causa non del tutto nota, anche se frequenti osservazioni, soprattutto la sua frequente
associazione con la CREST, suggeriscono una immunogenesi. In effetti ci sono almeno altri tre elementi che
depongono a favore di questa teoria:
• Presenza di anticorpi anti mitocondrio (AMA)
• Immunocomplessi e crioproteine della classe IgM
• Abnorme espressione di MHC II
Molte inoltre sono le associazioni con malattie autoimmuni. Nel 60-70% dei casi infatti si accompagna a:
• S. di Sjogren
• Sclerodermia
• Tiroidite
• Acidosi tubulare renale
• Artropatia da Immunocomplessi
E’ praticamente un attacco immune dei linfociti ai dotti biliari più piccoli.
Anatomia patologica
Convenzionalmente distinta in 4 stadi progressivi:
• Colangite cronica distruttiva non suppurativa: infiammazione necrotizzante degli spazi portali e dei
dotti di piccolo e medio calibro, con infiltrato di cellule infiammatorie, e fibrosi di modesta entità
• Nello stadio II l’infiammazione si fa meno evidente, e i dotti più piccoli iniziano a proliferare
• In un periodo di mesi o anni, la malattia progredisce alla riduzione dei dotti interlobulari, perdita di
epatociti ed estensione della fibrosi periportale.
• Infine, nello stadio IV si sviluppa la cirrosi che può essere micro e macronodulare
Clinica e diagnosi di laboratorio
La maggior parte dei pazienti è e resta asintomatica, oppure presenta moderati segni di elevazione della ALP,
in corso di esami di laboratorio di screening. Nella maggior parte di essi questa malattia resta del tutto
asintomatica e non va incontro a ulteriore evoluzione. Quelli che sono sintomatici presentano invece un
quadro caratteristico:
• 90% donne fra 35 e 60 anni
• Prurito da ittero lentamente ingravescente, per lo più notturno, senza bolle e resistente agli
antistaminici.
DIAGNOSI DI CERTEZZA: AMA > 1:40, AUMENTO
• Bilirubina 2x
• Modesta epatomegalia
SIGNIFICATIVO DELLE IGM, DONNA DI MEZZ’ETÀ CON ITTERO
• ALP 4x
E PRURITO CON LE CARATTERISTICHE DESCRITTE.
• AST 2x
• Albumina nella norma
• AMA >1:40
La diagnosi si basa su questi concetti di laboratoristica in quanto spesso accade che la malattia risulta
invisibile alla retrograda, perché interessa solo i dotti più piccoli che sono intraepatici o comunque
inaccessibili alla colangiografia.
La diagnosi differenziale con la colangite sclerosante è possibile sulla base delle seguenti considerazioni:
• La malattia colpisce dotti gradi e medi, ed è visibile alla retrograda
• Colpisce per lo più maschi in giovane età, ed è associata alla colite ulcerosa
• Acidi biliari elevati
• Negatività AMA
• AST, ALT normali
Per inciso, si riferisce che questa malattia è il risultato di un attacco immunologico a tutto l’albero biliare, ed
ha due aspetti caratteristici:
Aspetto a corona di rosario dell’albero biliare intraepatico
Aspetto a cipolla (onion like) del parenchima epatico associato a positività alla retrograda
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Non esiste ancora una terapia specifica, in quanto i glucocorticoidi peggiorano il quadro osseo, e il successo
dell’azatioprina rimane limitato. Il trattamento rimane quindi asintomatico, specie per il prurito.
CIRROSI BILIARE SECONDARIA
Conseguenza dell’ostruzione persistente del coledoco o dei suoi affluenti principali, da qualsiasi causa. Nel
bambino sono frequenti cause di ostruzione congenite, nell’adulto cause acquisite.
Conseguenza dell’ostruzione persistente del coledoco o dei suoi affluenti principali, da qualsiasi causa. Nel
bambino sono frequenti cause di ostruzione congenite, nell’adulto cause acquisite.
Fra le prime sono importanti la fibrosi cistica e l’atresia congenita, mentre fra le seconde assumono
importanza le colangiti, i tumori della testa del pancreas, e le calcolosi.
La conseguenza della mancata rimozione di un ostacolo del genere è la stasi biliare. A livello del fegato c’è
dapprima necrosi controlobulare, poi periportale. In seguito i dotti biliari portali e i dottuli proliferano, finché
si sviluppa una colangite, che può anche essere complicata da infezione. Lo stravaso di bile produce alla fine
aree dette “laghi biliari”, da dove inizia la degenerazione dello stroma e la fibrosi.
Quando a questi processi si accompagna la rigenerazione nodulare del parenchima danneggiato, si ha la
cirrosi biliare.
In genere questo processo richiede 3-12 mesi, e durante questo periodo è possibile la reversione se si
rimuove la causa di ostacolo.
La clinica rimane tipica, come nella cirrosi biliare primitiva: ittero e prurito sono i sintomi dominanti, mentre
la febbre e il dolore dell’ipocondrio di dx, con Murphy positivo, si ha nelle forme con contemporanea
colangite. L’ascite e le altre manifestazioni di ipertensione portale si hanno solo nelle fasi avanzate della
malattia.
I dati di laboratorio indicano un aumento della ALP, e iperbilirubinemia di tipo coniugato (indiretto);
quando la malattia è complicata da colangite, si trovano una discreta leucocitosi. Di solito la colangiografia
retrograda è in grado di identificare con successo la causa dell’ostacolo (a volte di rimuoverla con una
papillectomia); in altre circostanze l’ago-biopsia epatica è utile per documentare il processo patologico in
atto a livello del fegato e lo sviluppo della cirrosi.
La terapia rimane essenzialmente la rimozione dell’ostacolo, per via endoscopica o chirurgica. Quando
questo non risulta possibile, allora la malattia procede fino agli stadi terminali della cirrosi.
8.4 CIRROSI CARDIACA
Un danno cronico del fegato secondario a insufficienza cardiaca si può creare facilmente. Si deve distinguere
però le forme cirrotiche dalle sofferenze ischemiche o congestizie reversibili che si creano in altre
circostanze, e questo è possibile sulla base della presenza di fibrosi e di noduli di rigenerazione, gli aspetti
tipici della cirrosi.
La patogenesi è legata all’aumento del gradiente pressorio fra le vene epatiche e la vena centrolobulare, con
conseguente necrosi centrale e successivamente fibrosi che dalla vena centrale si estende verso la periferia
del lobulo, con caratteristico aspetto stellato.
Macroscopicamente il fegato appare congesto, edematoso, a noce moscata, e può esserci epatomegalia
dolorante per distensione della Glissoniana.
Clinicamente, la malattia non presenta suggestivi segni di laboratorio, che se ci sono appaiono per lo più
legati ad eventi acuti di ipoperfusione o di shock. I segni di congestione epatica, come la pulsatilità,
scompaiono non appena si sviluppa la cirrosi.
Invece l’ascite e gli edemi possono essere ben peggiorati dal sopraggiungere di una cirrosi, in quanto fanno
già parte della sintomatologia dello scompenso cardiaco.
La diagnosi è facile, ma si può confondere la cirrosi cardiaca con l’ascite grave e intrattabile della S. di
Budd-Chiari. L’elemento per la diagnosi differenziale è la assenza, in quest’ultima patologia, di segni di
insufficienza cardiaca.
8.5 CIRROSI SECONDARIA A MALATTIE SISTEMICHE DA ACCUMULO
MALATTIA DI WILSON
Si tratta di una patologia ereditaria del metabolismo correlata alla mutazione di due geni ATP7B, che
determina un insufficiente escrezione epatica di rame, che si accumula specialmente nel fegato e nel nucleo
lenticolare dell’ipotalamo (degenerazione epato-lenticolare).
55
Malattia autosomica recessiva, con M=F, incidenza di circa 1/30 mila pazienti, diffusa in ogni gruppo etnico,
età media di insorgenza 15-30 anni. La frequenza degli eterozigoti è di circa 1/90
Patogenesi e storia naturale
A differenza dell’emocromatosi, l’assorbimento della molecola di rame è perfettamente normale, ma il
livello ematico di ceruloplasmina risulta invece diminuito. Il risultato è una ridotta coniugazione e quindi
una diminuzione dell’escrezione biliare di rame.
Nei neonati la malattia non si manifesta, perché alla nascita i livelli di questa proteina sono comunque molto
bassi anche nei soggetti normali.
Le prime evidenze cliniche si hanno nell’adolescenza, e alla fine tutti i pazienti non trattati sviluppano la
malattia entro la giovinezza.
L’esordio della malattia assume 4 forme distinte:
o Epatite acuta: clinicamente indistinguibile da una forma virale o da una mononucleosi, spesso guarisce
spontaneamente senza che si sia posta la diagnosi di malattia di Wilson.
o Malattia parenchimale epatica: epatite cronica attiva e cirrosi. Si può instaurare da sola, oppure essere
il risultato di una epatite acuta
o Cirrosi: a volte insorge direttamente senza sintomi prodromici di sofferenza epatica
o Epatite fulminante: rara ma in genere fatale, è caratterizzata da ittero progressivo, ascite, encefalopatia,
ma senza eccessivi movimenti di enzimi epatici. In queste forma, ma anche durante le forma acute della
malattia epatica, ci può essere una anemia emolitica negativa al test di Coombs.
Clinica
Accanto ai sintomi epatici, a volte l’insorgenza della malattia è caratterizzata dalla sintomatologia
neurologica, legata alla degenerazione lenticolare. Tali sintomi comprendono tremore volontario e a riposo,
spasticità, rigidità, corea, scialorrea, disfagia e disartria. Nonostante il rame si distribuisca ubiquitariamente
nel cervello, non sono mai presenti alterazioni del sensorio.
Un segno importante a livello oculare è una striscia circolare giallo brunastra nel limite esterno della cornea,
detta anello di Kayser-Fleisher, indice di un importante accumulo di rame, che se assente esclude
l’interessamento celebrale della malattia. Se si trovano sintomi neurologici in assenza dell’anello, non si è in
presenza del morbo di Wilson.
Nella maggior parte dei pazienti con questi disturbi sono presenti disturbi psichici, che possono anche non
regredire interamente con la sola sospensione di rame, e che necessitano spesso una psicoterapia.
Anatomia patologica
Reperti precoci a livello epatico sono l’infiltrazione epatica di grasso, e caratteristiche anomalie
mitocondriali. In seguito, c’è necrosi, infiammazione, fibrosi e alla fine cirrosi. In qualsiasi stadio della
malattia sono caratteristicamente alte le transaminasi. Alla fine la capacità di eliminare e assorbire il rame del
fegato viene superata, e si osserva accumulo negli altri organi, in particolare SNC, occhio, rene.
Diagnosi
La diagnosi è facile se si ha il sospetto della malattia, ma può risultare meno agevole perché non ci si pensa.
Un paziente al di sotto di 40 anni, con sintomi neurologici non altrimenti spiegabili e sintomi epatici di
cirrosi ad eziopatogenesi non chiara, magari con anemia emolitica Coombs negativa è fortemente sospetto.
Altri elementi:
• Diminuzione della ceruloplasmina sierica (<200 mg/l)
• Cupruria >50-75mg/24h
• Biopsia epatica positiva per cirrosi
• Cupremia elevata
• Accumulo di rame nel fegato (>250 ug/g di peso secco epatico)
• Diminuzione dell’assorbimento di rame marcato
Terapia
Rimozione rapida del rame in eccesso appena posta la diagnosi, indipendentemente dai sintomi del paziente.
A questo scopo la penicillamina in dosi elevate è la migliore risorsa. Per evitare due importanti effetti
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collaterali, l’effetto antipiridossinico e le reazioni immunitarie al farmaco, vengono in genere somministrati
contemporaneamente piridossina e prednisolone (quest’ultimo durante i primi 20 giorni della terapia).
La terapia va mantenuta tutta la vita ed ha lo scopo di mantenere il rame al di sotto di 10ug/l. La sospensione
della terapia di solito si associa alla morte, dopo una media di 2,6 anni senza supporto terapeutico.
EMOCROMATOSI IDIOPATICA
Malattia ereditaria autosomica recessiva caratterizzata da un eccessivo assorbimento intestinale di ferro, che
provoca degenerazione di diversi parenchimi, in particolare fegato, pancreas, cuore e ipofisi. Il termine
emocromatosi è sbagliato, in quanto il ferro in eccesso non deriva dal sangue e il composto che si accumula
non è l’emosiderina.
Le manifestazioni più comuni sono la cirrosi, il diabete bronzino, la miocardiopatia e l’ipogonadismo
ipogonadotropo.
La malattia ha alta prevalenza (1 eterozigote su 10), e una incidenza di malati di circa 3 pazienti su 1000.
L’assorbimento della mucosa di ferro normalmente corrisponde al fabbisogno, 1 mg/24h nell’uomo e 1,5
mg/24h nella donna con mestruazioni regolari. Nella malattia supera i 4mg. Non è noto il modo in cui la
regolazione dell’assorbimento è alterata.
Nelle fasi avanzate della malattia l’organismo può contenere anche 20 g di ferro, principalmente negli
epatociti e nelle cellule di Kupfer, dove il contenuto di ferro aumenta da 50 a 100 volte la norma. Altro
grosso serbatoio è il pancreas.
Il fegato presenta un aspetto macroscopico ingrandito e nodulare. Al taglio appare spiccatamente color ocra.
I depositi parenchimali epatici sono sottoforma di ferritina e emosiderina. Negli stadi precoci si trova un
accumulo principalmente negli spazi periportali e nelle aree più esterne del lobulo epatico. Successivamente,
questo stadio evolve verso la fibrosi perilobulare, e infine alla deposizione di ferro nei fasci fibrosi ispessiti
che separano gruppi di lobuli. Il quadro è quindi simile alla cirrosi biliare, a parte naturalmente il ferro.
A dispetto dell’epatomegalia e della fibrosi, che sono praticamente sempre presenti fin dagli stadi precoci, in
più della metà dei malati la funzionalità epatica rimane normale. Anche la cirrosi tende a complicarsi con
l’ascite in misura minore che in altre situazioni. Di grande rilievo è invece la tendenza a progredire verso
epatocarcinoma, che rappresenta la causa di morte principale di questi pazienti.
8.6 COMPLICANZE DELLA CIRROSI
DISORDINI METABOLICI EPATICI
Il fegato sintetizza e metabolizza una grande quantità di composti e di proteine endogene. La cirrosi, che
regolarmente è preceduta da una drastica diminuzione della funzionalità epatica, è complicata da una serie di
alterazioni legate all’insufficienza epatica. Questa alterazioni possono avere conseguenze limitate oppure
essere alla base di altre patologie complicanti la cirrosi, e per questo motive vengono trattate all’inizio del
paragrafo.
Diminuzione della sintesi delle proteine del plasma: la albumina, la principale proteina plasmatica, viene
normalmente sintetizzata dal fegato e fra le sue funzioni c’è quella di regolare la pressione osmotica
plasmatica. La sua concentrazione di 3-4 g/l è infatti la più elevata fra le proteine plasmatiche. La carenza di
questo fattore produce edemi e aggrava il quadro dell’ascite.
Diminuzione della sintesi dei fattori della coagulazione: la vitamina K assorbita a livello intestinale è
utilizzata nel fegato per la produzione di tre fattori della coagulazione, attraverso la reazione addizione di
glutammato. La vitamina K viene assorbita di meno anche per effetto dell’ascite che provoca una
congestione dei vasi linfatici della mucosa intestinale, con diminuzione dell’assorbimento delle sostanze
liposolubili. Questo effetto provoca sanguinamento grave delle eventuali complicanze emorragiche
dell’ipertensione portale, e la presenza di petecchie emorragiche. Rende complicato lo svolgimento della
paracentesi, e delle biopsie epatiche.
Diminuzione del catabolismo degli estrogeni: Questa patologia provoca ginecomastia nel maschio,
assieme a diminuzione della peluria, ipotrofia degli annessi cutanei e atrofia testicolare. Nella donna può
produrre amenorrea e aumento del rischio di carcinoma della mammella. Molti casi di carcinoma mammario
dell’uomo sono legati a queste condizioni di iperestrismo. La presenza di elevate concentrazioni di estrogeni
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è probabilmente alla basa della formazione, nei due sessi, di particolari telangectasie, in altre condizioni
idiopatiche, dette nevi a stella (spider nevi). Si tratta di dilatazioni arteriose, che compaiono specie nel
dorso delle mani e delle braccia, e che si caratterizzano per la direzione di riempimento che va dal centro alla
periferia.
Gli estrogeni hanno anche un effetto mineralcorticoidemimetico, e questo può portare a ritenzione idrica,
aggravando il già compromesso bilancio idrico e l’ascite
Diminuzione del catabolismo dell’azoto: La mancanza di ossidazione dei metaboliti delle basi azotate, e la
diminuzione del ciclo dell’urea possono produrre tipicamente un accumulo di ammoniaca; questo composto
è neurotossico ed è alla base dell’encefalopatia porto-sistemica.
Diminuzione del catabolismo dei farmaci: Il parenchima epatico è sede del complesso del citocromo p-450
e del DEMS. Il mancato funzionamento di questi due sistemi è spesso alla base di reazioni eccessive e di
facili intossicazioni da farmaci. L’alcolista che necessita del trattamento con farmaci neurolettici deve essere
monitorato con estrema attenzione. Farmaci come il paracetamolo o l’eritromicina sono sconsigliati. Si
possono invece dare il Tavor (arazepam) e il Serpox, che non hanno nessun metabolismo epatico.
Diminuzione del catabolismo degli acidi biliari: Eritema palmare e accumulo di acidi biliari nelle
articolazioni.
IPERTENSIONE PORTALE
La normale pressione della vena porta è molto bassa, a dispetto della grande quantità di sangue che vi
circola, perché si ha normalmente una resistenza epatica molto bassa (circa 10-15 cmH2 O). Quando la
pressione supera 30, si instaura l’ipertensione.
Sebbene possano esserci molte situazioni di ipertensione pre o post sinusoidale, queste condizioni non
offrono grandi problemi clinici per la elevata compliance epatica, ad eccezione della sindrome di Budd
Chiari.
Nella cirrosi si realizza invece una ipertensione sinusoidale, in cui, per vari meccanismi, la capacità dei
capillari di accogliere agevolmente il flusso ematico è compromessa.
I meccanismi con cui si instaura danno dei sinusoidi sono:
• Capillarizzazione dei sinusoidi: perdita della normali fenestrature, della parete sottile, soprattutto per
l’ispessimento della membrana basale, caratteristico dei sinusoidi della cirrosi, che comporta un
aumento delle resistenze al flusso ematico in essi.
• Compressione dei sinusoidi da parte dei noduli cirrotici e dei tralci fibrosi
• Deposizione di collageno negli spazi di Disse: questo produce un aumento della resistenza agli scambi
e atrofia epatica, con ulteriore diminuzione della funzionalità.
• Perdita dell’architettura degli spazi portobiliari: normalmente l’arteria epatica si congiunge con la
vena porta (cioè i rami dei due vasi) con un angolo acuto, in modo da avere un effetto “aspirante” nei
confronti del flusso venoso. Oltre a questo esiste normalmente un piccolo sfintere di miociti all’inizio di
ogni sinusoide. Con al degenerazione del connettivo e il collasso della struttura lobulare che precede la
cirrosi, questa architettura viene completamente persa e sovvertita.
• Perdita dell’architettura lobulare: all’interno del lobulo cirrotico, in genere le file di epatociti che
separano i sinusoidi sono di un singolo elemento. Nella cirrosi esse sono spesso di tre - quattro cellule;
questo ha un effetto diretto di riduzione del numero di sinusoidi pervi.
Circoli collaterali
L’assenza di valvole nel circolo venoso portale facilita il reflusso del sangue dall’interno del parenchima
epatico alle radici della vena porta, dove la pressione è minore. Questo provoca l’accumulo di sangue nei
distretti a monte, e la presenza di due complicazioni dell’ipertensione portele: i circoli collaterali e le varici
esofagee.
I principali circoli collaterali si hanno a livello delle anastomosi porto – cavali:
• Sistema del Retius: nello spazio retroperitoneale anastomosi esistenti fra le mesenteriche e le vene
tributarie delle iliache esterne.
• Plesso emorroidario: la vena emorroidaria inferiore è tributaria della cava, mentre la media e la
superiore vengono dalle mesenteriche
• Plesso coronario-stomacico: a livello gastrico esistono anastomosi fra le vene dello stomaco, tributarie
della vena splenica, e le vene esofagee tributarie delle azigos. ‡ varici esofagee
58
•
Plesso periombelicale: anastomosi fra le vene del sistema della mammaria interna e dell’epigastrica e le
vene collaterali del legamento falciforme del fegato ‡ caratteristico segno di caput medusae: quando
esiste anche ascite, assume le caratteristiche di una vera e propria ernia ombelicale.
Si può tentare di trattare l’ipertensione portale anche in maniera radicale, cioè di risolvere il problema alla
radice e non solo di curare una delle complicanze. Questo viene a volte fatto con lo shunt porto-sistemico.
Un altro trattamento indicato è il blocco dei recettori beta adrenergici con propanololo.
Sanguinamento dalle varici esofagee
L’evento più frequente (50%) per quello che riguarda le emorragie digestive nell’etilista e nel cirrotico in
generale è la rottura delle varici esofagee. Questa evenienza drammatica è responsabile della morte dei
cirrotici in maniera inferiore soltanto al carcinoma epatocellulare.
Le motivazioni per cui le varici esofagee sono con tanta frequenza un evento drammatico sono molte; esiste
intanto una complessa serie di interazioni idrodinamiche che portano il circolo venoso dell’esofago ad avere
una pressione decisamente elevata.
Oltre a questo, le vene esofagee si trovano nel contesto di una parete piuttosto piccola, di spessore ridotto, e
con l’assenza della sierosa; la vicinanza di strutture come i pilastri diaframmatici e lo sfintere esofageo
inferiore possono inoltre comprimere le varici ed agevolarne la rottura.
A tutto questo può aggiungersi la sindrome di Mallory – Weiss, ossia la erosione della mucosa della
giunzione esofago-gastrica per il ricorrente verificarsi di episodi di pituitismo, nell’etilista cronico.
La clinica è spesso caratterizzata da un esordio brusco senza nessun sintomo preventivante, e nessuna
correlazione con fattori precipitanti evidenti. All’emorragia può far seguito melena, sicuramente massiccia
ematemesi a volte con getti ad alta pressione che danno alla situazione un carattere di drammatica
emergenza.
Le conseguenze vanno dalla anemizzazione acuta più o meno grave allo shock anche fatale; è importante la
diagnosi differenziale con altre cause di sanguinamento digestivo, anche in quei pazienti che hanno un
processo conclamato di varici. L’endoscopia EGDS è il metodo migliore per verificare questo.
Non sempre si riesce ad intervenire data la difficoltà di trattare il sanguinamento acuto. Se però questo si
verifica più gradualmente, molte sono le possibilità, soprattutto endoscopiche, di trattare una emorragia
digestiva acuta del genere.
La terapia delle varici è soprattutto endoscopica, ed è sia preventiva che di emergenza. In fase diagnostica,
quando nel cirrotico si fa una endoscopia per scoprire la sede di un sanguinamento o anche per il sospetto di
varici a causa della presenza di numerosi circoli collaterali nell’addome, si possono identificare delle varici.
• In questo caso è possibile effettuare la legatura delle varici, attraverso uno strumento inseribile
endoscopicamente nell’esofago, che spara alla base della varice un laccio elastico, chiudendone
l’afflusso sanguigno. La varice così trattata si riassorbe pian piano andando in necrosi ischemica. Lo
strumento contiene sette lacci e l’ultimo è bianco, diverso dagli altri.
• Durante l’emergenza è possibile intervenire dapprima con l’applicazione di un sondino naso-gastrico,
allo scopo di verificare prima di tutto se il sanguinamento è tuttora in corso, con lavaggi con acqua a
temperatura ambiente. Il lavaggio ha anche lo scopo di ripulire lo stomaco da coaguli, alleviare il senso
di nausea che potrebbe portare al vomito e ad un ulteriore danno della mucosa.
• Il Sondino di Sengastaken-Blackmoore (o di Liston Nachles) è un sondino particolare che ha alla sua
estremità due palloncini posti in successione l’uno all’altro. Questo sondino viene inserito nello stomaco,
e successivamente viene gonfiato il palloncino distale. Tirando verso l’alto si raggiunge ben presto il
blocco del LES. A questo punto, il sondino viene bloccato nella posizione con il gonfiaggio dell’altro
palloncino. Questo trattamento permette la compressione dell’origine del sanguinamento ma non può
essere mantenuto in loco per più di due – tre giorni, per evitare la necrosi ischemica della mucosa
esofagea. Il suo ruolo perciò è di emergenza nell’impossibilità di effettuare subito una terapia
endoscopica, e di prevenzione delle recidive dopo di essa.
• La Sclerosi per via endoscopica rimane la terapia di elezione di questa patologia. Si scende fino al
luogo del sanguinamento con l’endoscopio (è una terapia che si applica anche alle ulcere), e si inietta
mediante un catetere a punta sottile una delle molte sostanze sclerosanti, in genere epinefrina (0,5-1mg)
in ripetute somministrazioni attorno alla varice. Il procedimento controlla il sanguinamento nel 90-95%
dei casi, ma deve essere considerato come un intervento da non effettuare se il sanguinamento non è
importante, e in ogni caso come misura preventiva è preferibile la legatura.
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Il trattamento medico delle varici esofagee si avvale anche di una serie di presidi di natura farmacologica,
che sebbene siano molto meno efficaci, possono spesso costituire un importante pretrattamento che facilita
l’esecuzione della pratica endoscopica.
Inoltre spesso possono arrestare il sanguinamento che a volte si arresta anche in modo spontaneo.
• Rapida reidratazione e prevenzione dell’ipovolemia: sono misure terapeutiche che devono essere prese
immediatamente, prima di ogni altra considerazione. Senza esagerare nell’infusione di liquidi, perché un
aumento della pressione sistemica di riempimento finisce per peggiorare l’ipertensione portale.
• Nei pazienti cirrotici in cui coesiste coagulopatia è essenziale fornire fattori della coagulazione, allo
scopo di facilitare l’arresto spontaneo dell’emorragia.
• Farmaci che cercano di bloccare il sanguinamento attraverso la riduzione dell’irrorazione delle mucose
sono vasopressina per infusione endovenosa, e somatostatina che è più specifica per l’apparato
gastroenterico. Questi farmaci si associano ad una alta frequenza di risanguinamento, e possono avere
molte complicazioni a livello miocardico
Ascite
L’ascite, ossia la raccolta di liquido giallo paglierino trasudatizio nella cavità addominale, è una complicanza
diretta della cirrosi ma che comprende, nella sua eziologia, anche altri elementi. La genesi multifattoriale
dell’ascite comprende:
• Teoria dell’ipoafflusso: secondo questa teoria, il danno iniziale è il sequestro di liquidi nel letto
vascolare splacnico secondario all’ipertensione portale. Per questo il volume di perfusione renale
diminuisce, e si crea un riassorbimento eccessivo di sodio e acqua aldosterone dipendente.
• La Teoria della vasodilatazione arteriolare indica invece che l’ipertensione portale produce
vasodilatazione delle arteriole del circolo splacnico, con diminuzione della pressione periferica, e quindi
ipoperfusione renale. Seguono gli stessi eventi.
• A questo si aggiunge la diminuzione della pressione oncotica del plasma e l’aumento diretto della
pressione venosa portale.
• Nei pazienti con cirrosi e ascite, ma non in quelli con cirrosi senza ascite, si osserva aumento del tono
simpatico centrale¸ che svolge probabilmente un ruolo centrale nella diminuzione della diuresi.
• Specie in alcuni pazienti con sindrome di Budd–Chiari, è possibile un libero sgocciolamento della linfa
epatica dalla glissoniana, per la compressione delle strutture drenanti, ma anche per il sovvertimento
dell’architettura del parenchima epatico. Questo può essere la spiegazione degli alti livelli di proteine
che a volte si riscontrano nei pazienti con ascite.
L’ascite si diagnostica di solito in seguito all’osservazione spontanea da parte del paziente di un gonfiore
dell’addome progressivo, che può anche essere doloroso. Quando si raggiungono questi eventi, siamo
almeno sui 500 – 1000 ml, che rappresentano la soglia di individuazione alla percussione.
L’indagine ecografica è in grado di rilevare anche 100 – 200 ml di liquido libero nell’addome.
Il trattamento dell’ascite deve per prima cosa mirare a definire la causa di ascite: nel cirrotico, questa è
spesso progressiva e non si associa a fattori precipitanti, ma può anche essere la causa di una dieta
impropriamente ricca di sodio, o farmaci, o l’insorgenza di un epatocarcinoma. Negli altri soggetti si deve
sospettare la sindrome di Budd – Chiari.
Inizialmente si deve eseguire la paracentesi con ago sottile allo scopo di prelevare 200 ml di liquido per
analisi. Il liquido trasudatizio è giallo paglierino, e non contiene cellule ne frammenti di materiale cellulare.
Il contenuto proteico può però essere elevato anche in corso di trasudazione per via della possibilità di
trasudazione della linfa. Lo scopo della terapia è quello di ottenere una progressiva perdita di liquidi, da 500
a 1000 ml al giorno, attraverso la diuresi spontanea se possibile, oppure con l’uso di diuretici, o alla fine
tramite paracentesi.
Il primo provvedimento è il divieto assoluto di sale, e il riposo assoluto a letto, dato che la posizione supina
migliora la diuresi.
I diuretici di elezione sono quelli attivi sul tubulo contorto distale (come lo spironolattone), a causa del ruolo
patogenetico dell’aldosterone. Inoltre hanno una azione blanda e permettono il risparmio di potassio.
I pazienti con abbondante versamento ascitico si possono trattare con paracentesi mediante cannula
peritoneale, con monitoraggio della pressione e della funzionalità renale. Oltre a questo, si deve tener
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presente che la deplezione di proteine viene aggravata dalla paracentesi, perché le proteine contenute nel
liquido ascitico possono venir riassorbite. Viene quindi contemporaneamente somministrata albumina per via
endovenosa.
Peritonite batterica spontanea
I pazienti con ascite e cirrosi tendono a sviluppare una malattia spontanea di infezione batterica del liquido
peritoneale, nel senso che la sintomatologia non è giustificata da nessuna altra fonte di infezione sistemica. Il
fenomeno riguarda un 10-20% di soggetti che hanno di solito una particolare composizione del liquido
ascitico, caratterizzata cioè dalla carenza di albumina e di altre opsonine, che offrono una protezione nei
confronti di batteri.
I patogeni sono in genere gram- di provenienza intestinale, che attraversano le anse e raggiungono il liquido
endoaddominale per via ematogena.
Clinicamente si ha una febbricola, lieve dolore da rimbalzo, brividi e alta conta di globuli bianchi. I sintomi
possono però anche essere minimi o assenti. A volte si osserva peggioramento dell’ascite e della sindrome
encefalica.
La diagnosi si basa sul prelievo di liquido ascitico, che deve contenere almeno 500 cellule, di cui 250 PMN,
per ml e sul successivo esame culturale. La presenza di 10000 linfociti, e la assenza di miglioramento dopo
48h di terapia indicano di solito una infezione dovuta ad un processo sistemico differente.
Una forma particolare, detta non neutrofila monomicrobica è caratterizzata dalla presenza di batteri ma pochi
PMN.
La terapia specifica si instaura solo dopo l’esame del prelievo di liquido, nel frattempo si fanno antibiotici
aspecifici contro i gram-, come cefotoxima o ampicillina, e aminoglicosidi.
La malattia è caratterizzata da un alto rischio di recidive, che di solito si hanno entro l’anno.
SINDROME EPATO -RENALE
Grave complicazione del paziente con cirrosi ed ascite, questa malattia è caratterizzata da una disfunzione
renale senza che vi sia una precisa causa eziologica. Clinicamente si manifesta con iperazotemia, aumento
della creatina, diminuito riassorbimento di sodio e oliguria. La concentrazione urinaria di sodio escreto
scende al di sotto di 10 mEq nelle 24h.
La prova che non si tratta di un danno primitivo renale è data dal fatto che il rene di questi pazienti, se
trapiantati, hanno una normale funzionalità.
Può essere scatenata da una serie di fattori, come l’emorragia o l’uso massiccio di diuretici, ma può anche
presentarsi in assenza di una causa precisa.
La malattia sembra la conseguenza dello sbilanciamento dei flussi nel cirrotico, in particolare per via del
sequestro splacnico di sangue. Questo mette il rene in una condizione di ipoperfusione e produce i danni
descritti. Un’altra possibilità è un alterato equilibrio di prostaglandine e altri metaboliti dell’acido
arachidonico.
SINDROME PORTO – SISTEMICA
L’encefalopatia epatica è una condizione caratterizzata da alterazioni neurologiche, dello stato di coscienza e
del comportamento secondaria alla disfunzione epatica.
La malattia si manifesta essenzialmente in due forme:
Acuta: l’instaurazione di una insufficienza epatica acuta da necrosi (HV, farmaci, epatite tossica) conduce al
coma epatico, in maniera però reversibile alla rimozione della causa. Può anche verificarsi in caso di
improvvisa ostruzione del circolo portale con shunt sistemico rilevante
Cronica: situazione secondaria alla cirrosi, provocata quindi dalla progressiva riduzione della massa e della
funzionalità epatica, e anche all’instaurarsi di condizioni di alterazioni vascolari progressive.
La patogenesi di queste alterazioni è legata all’accumulo di diverse sostanze tossiche che il fegato non è più
in grado di metabolizzare efficacemente.
Alcuni agenti implicati sono:
• Ammoniaca: probabilmente il principale, aumenta la sintesi di falsi neurotrasmettitori, della famiglia del
glutammato. I livelli di ammoniaca sono regolarmente aumentati nel coma epatico, per diminuire dopo la
risoluzione della fase acuta.
• Mercaptani: derivati dal metabolismo intestinale della meteonina
• Dimetili solfati
• Acidi grassi a catena corta
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•
•
•
Fenolo
a-KG
Falsi neurotrasmettitori: composti prodotti accidentalmente nell’intestino e non più rimossi dal
metabolismo epatico. Fra questi figura anche il GABA stesso.
Studi recenti evidenziano che probabilmente le sostanze che stimolano la progressione della malattia
encefalica abbiano anche un ruolo indiretto, favorendo la permeabilità della BBB.
Spesso, soprattutto nei pazienti con cirrosi stabilizzata, la sindrome si manifesta solamente in seguito a
condizioni precipitanti, come una emorragia digestiva massiva, che mette grandi quantità di ammoniaca
nell’intestino dal catabolismo dell’eme, oppure l’assunzione di una pasto ricco di proteine.
Anche l’alcalosi iperkaliemica, provocata da vomito, da paracentesi o da eccessivo uso di diuretici, può
essere un evento scatenante importante, perché produce il passaggio dell’ammoniaca dalla forma ionizzata
(NH 4 +) alla forma neutra (NH3 ), ed è solo quest’ultima che passa la BBB.
In genere poi qualsiasi complicazione riguardante il fegato scatena con facilità la sindrome.
Dal punto di vista clinico, la malattia dà luogo a diverse manifestazioni alquanto varie.
Nei pazienti con la forma acuta il quadro regredisce sempre con la risoluzione del problema epatico. La
forma cronica può invece essere progressiva e irreversibile.
I segni principali sono:
• Asterixis: detto anche fremito epatico o “tremore a battito d’ali”, è una condizione in cui non si riesce
più a mantenere volontariamente le estremità iperestese, per cui non si riesce a flettere indietro le mani, il
capo, gli arti. Può essere messa in evidenza facendo alzare le braccia sopra al capo ed estendere le mani:
si manifestano dei movimenti di tremore oscillatorio della punta delle dita e della mano, richiamanti un
battito d’ala. Poiché questa manovra richiede una estensione volontaria, non può essere messa in
evidenza nei pazienti in coma.
• Disturbi del sonno: l’inversione del ciclo sonno/veglia è una delle manifestazioni più precoci.
• Disturbi del comportamento: confusione, alterazione della personalità e dell’umore, della cura di sé,
della grafia; sonnolenza diurna
• Fetor Hepaticus: caratteristico odore rancido dell’alito e delle urine, associato alla presenza di
mercaptani.
• Aprassia costruzionale
• Alterazioni caratteristiche dell’EEG.
Esiste la possibilità che altre patologie neurologiche si sovrappongano ad un problema epatico senza che ci
sia necessariamente un rapporto di causa effetto. Questo è tipico soprattutto dell’alcolista, spesso affetto da
varie forme di psicosi, e per questo la diagnosi delle malattia in questione è principalmente di esclusione. Si
deve prestare attenzione, nel giovane malato di fegato, alla diagnosi differenziale con il morbo di Wilson.
Lo staging della malattia è il seguente:
Stadio
Stato mentale
Asterixis
EEG
I
Euforia o depressione, lieve confusione, linguaggio
impacciato, alterazioni del sonno
Sonnolenza, moderata confusione
+/-
Normale
+
Alterato
+
-
Alterato
Alterato
II
III
IV
Grave confusione, linguaggio incoerente, forte sopore
Coma, inizialmente reattivo allo stimolo doloroso, poi no
Un rischio notevole associato a questi pazienti è l’apparente stato di lucidità mentale che può spingere a
crederli capaci di guidare autoveicoli o effettuare lavori rischiosi. Spesso muoiono per incidenti stradali a
causa dell’aprassia.
La terapia è di tre tipi:
Supporto al coma con respirazione artificiale eccetera.
Eliminazione o trattamento dei fattori epatici
Eliminazione delle sostanze responsabili: esclusione delle proteine dalla dieta, evitare la stipsi per
diminuire la produzione intestinale di sostanze tossiche, trattare ed evacuare eventuali emorragie intestinali.
A questo scopo è utile il lattulosio, che agisce sia da lassativo osmotico, che acidificando le feci e rendendo
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l’ammoniaca meno assorbibile perché in forma ionica. Questo intervento è efficace soprattutto nei pazienti
con encefalopatia cronica.
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CAP 9 NEOPLASIE EPATICHE
9.1 TUMORI BENIGNI DEL FEGATO
I tumori benigni primitivi del fegato sono piuttosto rari.
Adenomi epatocellulari
Sono i tumori benigni di riscontro più frequente nella donna durante il 3° - 4° decennio di vita. Sono
associati probabilmente ad un elevato livello di estrogeni dovuto all’uso di contraccettivi orali. Gli adenomi
multipli, invece, sono associati con la glicogenosi di tipo I.
Morfologicamente sono formazioni voluminose, di 10 cm di diametro, contenenti epatociti normali o solo
lievemente atipici, con elevato contenuto di glicogeno e quindi più chiari.
In genere è presente dolore, epatomegalia dovuta ad una massa palpabile, ma può anche esservi una
emorragia importante intratumorale che provoca anche shock.
La diagnosi è essenzialmente basata sulla TAC, sulla RM e arteriografia selettiva. Un metodo sofisticato per
dimostrare l’assenza delle cellule di Kupffer è la scintigrafia con Te99, che indica una ipocaptazione. In circa
il 10% dei casi possibile la trasformazione maligna, soprattutto negli adenomi grandi o multipli. Se è una
lesione grande, superficiale e resecabile, dovrebbe essere asportata, soprattutto se si pensa di iniziare una
gravidanza che mette la neoformazione a rischio di rottura.
Iperplasia nodulare focale
Neoplasia più frequente nel sesso femminile, non associata a contraccettivi orali, senza rischi elevati di
necrosi o emorragia. E’ un tumore solido con una parte centrale fibrosa, e proiezioni stellate che si estendono
intorno. Queste proiezioni contengono epatociti atipici, cellule epiteliali biliari, cellule di Kupffer e cellule
infiammatorie. La scintigrafia con tecnezio indica una captazione attiva, per la presenza di dette cellule.
Emangioma
Tumori benigni del fegato più comuni, sono caratteristici del sesso femminile. Sono lesioni asintomatiche, di
solito di modeste dimensioni, che non presentano rischio di emorragia e non si trasformano mai in una
lesione maligna. Di solito vengono diagnosticate con esami di routine o per altre condizioni. La TAC spirale
è il mezzo migliore per differenziarle da altre lesioni maligne identificate ecograficamente.
9.2 EPATOCARCINOMA MALIGNO
I tumori maligni del fegato possono derivare da due tipi di cellule, le cellule di Kupffer e gli epatociti, e sono
gli epatocarcinomi, e le cellule dell’epitelio dei condotti biliari, allora si chiama colangiocarcinoma.
Il carcinoma epatocellulare primitivo è una delle neoplasie più comuni, di solito con eziologia legata alla
cirrosi, e incidenza elevata in Paesi come l’Asia e l’Africa, dove in alcune zone raggiunge i 500 casi per 100
mila abitanti.
In Europa è responsabile dell’1-2% delle neoplasie di riscontro autoptico; alle nostre latitudini il massimo
dell’incidenza si osserva fra i 40 e i 50 anni.
In Italia ci sono 200.000 cirrotici, e circa 14.000 casi di epatocarcinoma ogni anno, che fa un’incidenza di 610 per 10 5 .
M>F (4/8:1)
Età 65-70 anni
Il 90% dei casi che insorgono è associato a cirrosi. In effetti, in ogni momento il 7% dei cirrotici presenta
epatocarcinoma (il 5% ogni anno). Questo è sufficiente a definire la cirrosi come una lesione preneoplastica, e a giustificare uno screening semestrale con ecografia e alfa feto – proteina (AFP).
Eziologia
Condizioni che provocano cirrosi: Qualsiasi condizione che provoca un danno epatocellulare cronico e
stimola la mitosi delle cellule epatiche aumenta il rischio di carcinoma. Fra queste sono importanti:
• Cirrosi alcolica
• Emocromatosi
• Deficit di a1AT
• Schistostomiasi
• Ipertirosinemia
64
Infezione associata da HBV e HCV: Il motivo dell’alta incidenza nelle aree di Africa e Asia è legato alla
prevalenza di questi virus, che in molti casi provocano cirrosi.
Il ruolo dell’HBV è stato ampiamente documentato come agente oncogeno puro, e si hanno prove di questo
attraverso il riscontro abituale della presenza di genoma virale nelle cellule tumorali, negli epatociti
circostanti non malati. Il virus oltre a questo induce l’espressione anomala di certi geni cellulari,
riarrangiamenti ed altre alterazioni geniche.
Sebbene siano numerose le correlazione fra HCV e carcinoma epatico, sfugge ancora il meccanismo
oncogeno di questo virus, che si pensa agisca essenzialmente attraverso la cirrosi e la relativa naturale
progressione di essa a tumore.
Una importante conseguenza di questo è che il paziente con infezione cronica da HBV è a rischio di
carcinoma anche se non ha la cirrosi.
Carcinogeni chimici e tossine:
• Aflatossina B: tossina di un fungo (Asperigillus Flavus) che infetta in genere le derrate alimentari
non correttamente conservate, tipico di alcune regioni dell’Africa dove queste vengono conservate
nelle buche scavate per terra. Questa tossina sembra capace di interferire con l’espressione della p53.
• Vinilcloruro
• Amianto
• Anabolizzanti ed estrogeni
Aspetto morfologico
Nodulare: Aspetto più comune, singola lesione infiltrativa. 60 – 70 %
Multinodulare: 20 – 30%
Diffuso (spreeding) <1%; infiltrazione massiva e destruente
Esiste poi una gradazione, fatta sul grado di differenziazione cellulare:
Trabecolare
G1: ben differenziato
Acinare
G2: poco differenziato
Solido
Scirro
A cellule chiare
G3: indifferenziato
Una forma a piccoli noduli e ben differenziata ha la migliore prognosi, mentre quella diffusa poco
differenziata ha la prognosi peggiore e crescita più rapida.
Clinica
Dolore addominale
Calo ponderale
Astenia
Ittero e vomito
Emoperitoneo
Massa addominale
70-90%
35%
30%
8%
12%
43%
I sintomi peraltro abbondanti possono passare inosservati con una certa facilità perché spesso in questi
pazienti esiste un quadro sottostante di ascite, e quindi si interpreta la sintomatologia come un
peggioramento di essa.
I rilievi di laboratorio e il monitoraggio ecografico servono appunto ad evitare che si creino errori
interpretativi di questo genere. In genere frequenti sono gli aumenti della ALP e dell’aFP, e anche una forma
atipica della protrombina (des-gamma-carbossiprotrombina)
Le complicanze più temibili dell'epatocarcinoma sono l'ittero ostruttivo, l'enterorragia da rottura di varici
esofagee e l'emorragia intraperitoneale da rottura del tumore stesso
65
Una percentuale di pazienti può avere anche una sindrome paraneoplastica, per lo più associata alla
produzione da parte del tumore di:
• Eritropoietina
• Ipercalcemia
• aFP, CEA, ALP, gGT
• Ipoglicemia
• Ipercolesterolemia
• Porfiria cutanea tarda
Diagnosi
Ecografia: l’indagine di primo approccio per eccellenza, serve a monitorare la progressione della cirrosi e
l’eventuale comparsa di noduli primitivi in soggetti ad alto rischio, in etilisti cronici, in malati di epatite C.
Un HCC primitivo appare come un nodulo rotondeggiante solitamente anisoecogeno (si tenga presente che
non c’è sempre corrispondenza tra ecogenicità e densità rilevata con la TC, nel senso che la > parte dei
noduli sono ipoecogeni e iperdensi). Ogni neoformazione epatica riscontrata con questo metodo deve essere
indagata con tecniche successive. La sensibilità di questo esame è alta per i noduli di diametro maggiore ai 3
cm, ma comunque con i nuovi mezzi di contrasto selettivi per il tessuto epatico è possibile discriminare
lesioni > 1 cm, anche se isoecogene. La presenza di una struttura iperecogena periferica molto sottile indica
la presenza di una capsula limitante esterna. Se poi vi sono vasi sanguigni adesi alla capsula ciò è molto utile
per la diagnosi.
TAC spirale: Tac differenziale che permette la risoluzione della diagnosi differenziale fra epatocarcinoma e
angioma epatico sintomatico, dubbio che si pone in una minoranza di casi e che non può essere risolto dalla
semplice ecografia perché il flusso sanguigno all’interno dell’angioma è troppo lento per dare origine
all’effetto Doppler e così l’intera struttura sembra avascolare.
Risonanza Magnetica Nucleare: Spesso è usata al posto dell’ecografia per la sua maggiore sensibilità, ma
ha un costo più elevato ed è più complessa da utilizzare.
Arteriografia dell’arteria epatica: Anche questa viene usata per la diagnosi differenziale con gli angiomi.
Scintigrafia con tecnezio99: Permette l’individuazione delle cellule di Kupffer dentro la massa tumorale, che
hanno una attiva captazione del mezzo di contrasto. La neoplasia epatica si differenzia così in
epatocarcinoma e colangiocarcinoma, oltre che per altri segni di cui si dirà dopo.
Gli esami di laboratorio, ricordati nella clinica della malattia, sono importanti anche per la diagnosi oltre che
per il follow-up post-terapeutico. I livelli critici di aFP sono superiori a 500 ug/l, in quanto livelli inferiori si
hanno nelle neoplasie di altro genere che metastatizzano al fegato, nell’epatite virale, eccetera. La persistenza
di alti livelli, oltre a 1000, è indice abbastanza sicuro di neoplasia epatica in presenza di un quadro clinico
compatibile.
Risolutiva nei confronti di una lesione identificata mediante le tecniche di imaging è la biopsia epatica
percutanea, oppure in via laparoscopica.
La biopsia si esegue sotto guida ecografica, per via percutanea transpleurica con ago di Menghini modificato.
La procedura comporta una mortalità irrisoria (<0,1%) ma è da evitare in molti pazienti con cirrosi o
comunque insufficienza epatica a causa della piastrinopenia e della coagulopatia sottostante. Altra
complicazione può essere lo spreading, cioè la diffusione jatrogena delle cellule neoplastiche nel cavo
peritoneale e pleurico, che può pregiudicare la guarigione da malattia qualora venga eseguito un trapianto. La
sensibilità della biopsia è dell’86%, limitata soltanto dall’eventualità di mancare il nodulo con l’ago, mentre
la specificità è del 100% (nessun FP se il patologo è capace)
La prognosi è legata a diversi fattori, detti anche fattori prognostici di Emphill; essi sono:
• Stadio e presenza dell’EPS
• Bilirubina
• Diametro della neoplasia
66
•
•
•
•
•
Ascite
αFP
Aspetti macroscopici
Stato della capsula
Stato della cirrosi
Dal punto di vista prognostico sono fattori favorevoli la presenza di un nodulo unico, la dimensione limitata
(< 2 cm) e la presenza di una capsula fibrosa. Sulla base di questi ed altri dati, esiste una classificazione dei
casi di epatocarcinoma mirata ad indicare quali sono quei pazienti sui quali si può intervenire
chirurgicamente, e quelli che invece necessitano di altre cure, efficaci o palliative.
Questo tipo di stadiazione è conosciuta come “Child”
Clinical staging of cirrhosis:
Table: Grading system for cirrhosis: the Child-Pugh score
Score
Bilirubin
(mg/dl)
Albumin
(gm/dl)
PT (Sec)
Hepatic
encephal
Ascites
(grade)
1
<2
> 3.5
1-4
None
None
2
2-3
2.8 - 3.5
4-6
1-2
Mild
3
>3
< 2.8
>6
3-4
Severe
Child class: A: 5 - 6, B: 7 - 9, C: > 9.
Terapia
Quando la malattia è scoperta per le sue manifestazioni cliniche in genere siamo davanti ad un quadro
troppo avanzato perché sia possibile un intervento efficace, e la sopravvivenza media è bassa, sotto 1-2 anni.
In genere però il paziente non trattato muore entro 3-6 mesi dall’evidenza clinica di neoplasia.
I soggetti in cui può essere effettuata una diagnosi precoce con lo screening spesso possono essere trattati
con migliore efficacia. La terapia chirurgica resta attualmente l’unico intervento in grado di dare realmente la
possibilità di risoluzione. La sopravvivenza a 5 anni tuttavia è bassa, perché molti pazienti non possono
essere trattati chirurgicamente.
Terapia chirurgica: Si può fare un intervento del genere in una limitata serie di circostanze. Il paziente deve
avere una neoplasia superficiale, facilmente raggiungibile per via laparoscopica. In circostanze come il
quadro di una cirrosi, diventa difficile avere casi di persone in grado di sopportare un intervento chirurgico,
per diversi motivi: la massa epatica da asportare può scompensare l’insufficienza, il quadro emo-coagulativo
può essere eccessivamente alterato, i farmaci anestetici possono dare reazioni anormali a causa della
diminuita biotraformazione.
Purtroppo, nonostante esistano esami di screening per la popolazione a rischio, quali l'ecotomografia e lo
studio di marcatori tumorali (AFP) e degli indici di funzionalità epatica, ancora frequentemente vengono
diagnosticati HCC non suscettibili di trattamento radicale (resezione o trapianto epatico). La scarsa
operabilità degli HCC è dovuta a diversi fattori, tra cui le dimensioni del tumore, la sua sede, le sue
caratteristiche isto-patologiche, la gravità della cirrosi e quindi la scarsa riserva funzionale epatica, l'età
avanzata del paziente, le condizioni fisiche scadenti.
TACE: Tra le opzioni terapeutiche acquista, quindi, un ruolo significativo la chemioembolizzazione
(transarterial chemoembolization, TACE). Partendo dal presupposto che i nodi di HCC sono spesso
ipervascolarizzati e che la loro vascolarizzazione è per più dell'80% di origine arteriosa, a differenza del
restante parenchima epatico che riceve il sangue prevalentemente dal sistema portale, questa metodica
consente la somministrazione loco-regionale di farmaci chemioterapici e di procedere all'occlusione dei vasi
arteriosi afferenti alla lesione, riducendo al minimo i danni al parenchima circostante.
67
Alcolizzazione per via percutanea: Si tratta di un processo di iniezione di piccole quantità di alcool con una
cannula intraperitoneale, nel luogo della lesione neoplastica. L’alcool etilico al 100% provoca la necrosi del
tessuto tumorale. E’ un protocollo di minor efficacia rispetto alla chemioembolizzazione, e che ha il rischio
di sgocciolamento del liquido nel peritoneo, con peritonite chimica. Inoltre è scarsamente applicabile nei
tumori provvisti di capsula perché l’etanolo tende a diffondere eccessivamente dal sito di inoculo e a causare
una perdita eccessiva di parenchima epatico. In questi casi, se proprio non esistono altre opzioni è opportuno
fare più somministrazioni frazionate. Questa metodica ha il vantaggio di essere pratica, estremamente
economica e con scarse complicanze (peritonite chimica e ascessi infetti)
RITA: La irradiazione della lesione mediante un ago con diverse espansioni che trasmette microonde ad alta
frequenza è un altro protocollo sperimentale. Il meccanismo d’azione terapeutico risiede nello sviluppo di
calore (la testina dello strumento sviluppa fino a 110°C) che causa necrosi coagulativa come l’etanolo ma in
maniera più controllabile. Vantaggi rispetto all’alcolizzazione: meno complicanze; svantaggi: metodica +
complicata, necessita di anestesia locale o profonda se il tumore è abbastanza vicino alla glissoniana.
Immunoterapia con Ab monoclonali coniugati con sostanze tossiche
Trapianto potrebbe essere una valida alternativa, ma la frequenza di recidive, e la presenza di metastasi a
distanza ne hanno scoraggiato l’applicazione.
ALTRI TUMORI MALIGNI
•
•
•
Carcinoma fibrolamellare: si differenzia da quello classico per l’assenza della cirrosi sottostante. Non
è capsulato, ma è delimitato da una serie di setti fibrosi che lo circoscrivono bene. In effetti ha una scarsa
tendenza alla progressione, e la sopravvivenza è migliore, sia associata alla terapia chirurgica che al
trapianto di fegato (anche perché si tratta più spesso di soggetti giovani)
Epatoblastoma: tumore dell’infanzia caratterizzato da livelli molto alti di aFP, con lesioni monofocali e
prognosi abbastanza favorevole.
Emangioma epitelioide: lesione benigna, ma che può dare metastasi
9.3 COLANGIOCARCINOMA
La neoplasia delle cellule dell’epitelio biliare extraepatico colpisce al 60% gli uomini, fra la 5° e la 7°
decade; ha una eziologia associata a:
- infezioni parassitarie e virali a carattere cronico delle vie biliari
- anomali congenite con ectasia
- colangite sclerosante
- colite ulcerosa
- esposizione professionale a cancerogeni della lavorazione della gomma
La colelitiasi invece non è ancora stata accertata come agente eziologico,
Il colangiocarcinoma è di due tipi: diffuso e nodulare (tumore di Klatskin). Quest’ultimo è spesso
localizzato alla biforcazione del coledoco, dove si riuniscono i due dotti epatici. La colecisti in questo caso
spesso scende, e se ne permette la visualizzazione alla colangiografia. Questo aspetto è detto colecisti
collassata.
Il tumore di Klatskin si distingue in tre aspetti morfologici, associati a stadi progressivamente peggiori
- interessamento di un singolo dotto epatico
- interessamento di tutte e due i confluenti epatici
- diffusione multifocale nella zona della giunzione
L’intervento chirurgico è possibile solo nel caso del primo tumore.
La clinica delle neoplasie dell’epitelio extraepatico di solito è caratterizzata da:
• ostruzione biliare
• ittero non accompagnato da dolore
• prurito
• calo ponderale
• feci acoliche
• a volte dolore sordo vagamente localizzato nell’ipocondrio di destra
• a meno che la lesione interessi una regione alta del dotto, la colecisti è palpabile e distesa
68
In genere la colestasi si manifesta solo durante uno stadio avanzato di neoplasia. Questo provoca un ritardo
diagnostico a volte anche parecchio importante. La diagnosi viene solitamente posta dopo colangiografia per
un riscontro ecografico di dilatazione delle vie biliare intraepatiche.
Carcinoma della papilla di Vater; Può essere sede di metastasi dei tumori epatici, del pancreas e del
duodeno. Primitivamente ospita sarcomi, carcinomi o adenocarcinomi.
Gli adenoK vegetanti sono caratterizzati dalla crescita lenta, dalla prognosi clinica più favorevole, rispetto ai
tumori infiltrativi della papilla, che sono spesso diffusamente invasivi. In genere la sintomatologia è quella
dell’ittero ostruttivo, e la tecnica diagnostica è la colangiopacratografia retrograda endoscopica, che
permette la visione e la biopsia della papilla e la pancreatografia per escludere K della testa del pancreas.
La terapia è un’ampia escissione chirurgica, che purtroppo però spesso deve fare i conti con la possibilità di
trovare metastasi a distanza, e quindi una sopravvivenza limitata
Cancro della colecisti: La maggior parte dei tumori della colecisti si sviluppa in presenza di calcoli anziché
in associazione con i polipi, anche se comunque anche in questi pazienti il rischio rimane molto basso.
F>M 1:4, età media di insorgenza 70 anni. Incidenza 3 casi su 100000 abitanti anno negli Usa.
La forma più comune sono gli adenocarcinomi dell’epitelio secernente della colecisti. Clinicamente nella
maggior parte dei casi si tratta di episodi di dolore, calo ponderale, ittero e massa palpabile. In alcuni casi si
può sovrapporre una colangite.
Si diagnostica con l’ecografia, la TAC, e l’agobiopsia ecoguidata.
La prognosi di questo tipo di tumore è estremamente grave: in genere il 75% dei pazienti non sono
asportabili al momento dell’operazione, e di questi il 96% muoiono entro l’anno. Fanno eccezione quei casi
scoperti casualmente durante una laparoscopia esplorativa.
La radio e la chemioterapia non sono efficaci.
69
CAP 10 MALATTIE DELLA COLECISTI E DELLE VIE BILIARI
10.1 FISIOLOGIA
La bile epatica è un liquidi isotonico pigmentato con composizione simile a quella del plasma, mentre quella
colecistica è più povera di anioni organici, cloro e bicarbonato, che vengono riassorbiti a livello della
membrana basale della colecisti.
Componenti della bile:
acqua (82%)
acidi biliari (12%)
lecitina e altri lisofosfolipidi (4%)
colesterolo non esterificato (0.7%)
bilirubina coniugata, IgA, cataboliti ormonali, farmaci metabolizzati, muco ed elettroliti.
La secrezione giornaliera di bile ammonta a 500 – 600 ml.
I principali meccanismi che regolano il flusso biliare sono:
1. trasporto attivo di acidi biliari dagli epatociti ai canalicoli biliari
2. trasporto di Na da parte di un’ATPasi dipendente dagli acidi biliari.
3. secrezione duttulare (processo secretina – dipendente cAMP mediato che risulta dal trasporto attivo
di Na e bicarbonati seguito dal flusso passivo di acqua)
Acidi biliari: si dividono in primari (colico e chenodesossicolico) e secondari (desossicolico e litocolico).
I primi sono sintetizzati a partire dal colesterolo e coniugati con glicina o taurina, i secondi derivano dalla
trasformazione dei primi da parte dei batteri del colon.
Altri acidi biliari atipici o aberranti come l’UDCA (UrsoDesossiColic Acid), oppure acidi coniugati solforici
e/o glucuronici sono prodotti in quantità apprezzabile nei pazienti con sindromi colestatiche croniche.
Circolo enteroepatico: in condizioni normali gli acidi biliari vengono riassorbiti efficientemente (a
parte l’acido litocolico) per diffusione passiva lungo l’intestino ma soprattutto per trasporto attivo a livello
dell’ileo distale.
Il pool normale di acidi biliari è 2 – 4 g: durante un pasto entrano nel circolo almeno una volta e nell’arco del
giorno almeno 5 – 10 volte. L’efficienza del riassorbimento intestinale è del 95% Ë perdite fecali: 0,3 – 0,6
g/die compensata da una pari sintesi epatica che può arrivare fino a un max di 5g/die.
Funzione della colecisti e dello sfintere coledocico: a digiuno lo sfintere di Oddi mantiene una contrazione
tonica che serve a:
prevenire il reflusso del contenuto duodenale nel coledoco e nel dotto di Wirsung
favorire il riempimento della colecisti con la bile.
Lo svuotamento della colecisti è stimolato dalla CCK, rilasciata dal duodeno in risposta a grassi e
amminoacidi. La CCK determina:
1. contrazione della colecisti
2. riduzione della resistenza dello sfintere di Oddi
3. aumento secrezione epatica di bile
4. aumento del flusso biliare nel duodeno
Durante la notte quasi tutto il pool organico di bile può essere sequestrato nella colecisti la cui capacità
ammonta a 30 – 75 ml.
ANOMALIE CONGENITE
Circa il 10-20% della popolazione presenta anomalie del genere, che possono essere distinte in :
• Agenesia della colecisti
• Duplicazione
• Diverticoli della colecisti
• Colecisti gigante
• Colecisti a “berretto grigio”, in cui il corpo viene separato dal fondo da una piega completa o no, ma
comunque clinicamente irrilevante
• Alterazione di posizione e di sospensione, che possono predisporre alla calcolosi, alla torsione e al
volvolo
70
10.2 CALCOLOSI DELLA COLECISTI E DELLE VIE BILIARI
Sono decisamente più frequenti nei Paesi occidentali, e negli USA ne soffrono il 20% degli uomini e l’8%
delle donne sopra i 40 anni. Sono strutture cristalline derivate dall’aggregazione o concrezione delle
componenti della bile normali o patologici.
Si dividono in:
• Calcoli di colesterolo
• Calcoli di pigmento (calcio bilirubinato, meno del 10% di colesterolo)
• Calcoli misti (colesterolo monoidrato, fosfolipidi, acidi e pigmenti biliari, proteine, acidi grassi)
Quelli di pigmento sono il 20% del totale, gli altri il restante 80.
Patogenesi (calcoli di colesterolo)
Il colesterolo è una sostanza relativamente insolubile in acqua che ha bisogno di una sostanza lipidica per
essere solubilizzato, la lecitina, e sostanze anfipatiche che sono in grado di formare con esse delle micelle, i
sali biliari.
I meccanismi che provocano la litiasi di colesterolo sono quindi principalmente di tre tipi:
• Aumento della produzione di colesterolo:
o Obesità
o Dieta ipercalorica
o Assunzione di farmaci come il clofibrato.
o Aumento dell’attività dell’HMG-CoA, enzima collo di bottiglia della sintesi del colesterolo
o Riduzione della conversione del colesterolo in acidi biliari
• Diminuzione della produzione di acidi biliari
o Diminuzione della capacità sintetica del fegato da difetti metabolici congeniti
o Riduzione della circolazione enteroepatica di sali biliari
o Riduzione della attività della 7alfaidrossilasi, enzima collo di bottiglia della sintesi epatica di
acidi biliari.
• Formazione di vescicole difettive: normalmente le vescicole di colesterolo sono fatte in modo da essere
convertite in formazioni più stabili di fosfolipidi e colesterolo. Durante la loro formazione, le vescicole
possono acquistare troppo colesterolo, divenire instabile e favorire l’aggregazione di cristalli di
colesterolo.
Una volta che si sono verificati questi eventi si devono avere altri fattori che facilitano la nucleazione, ossia
l’addensamento delle micelle di colesterolo non disciolte si condensi in nuclei di accrescimento che portino
alla formazione del cristallo. Di solito infatti il tempo di permanenza della bile nella colecisti non è
sufficiente perché vi sia un addensamento consistente.
La bile litogena, infatti, non si contraddistingue tanto dall’eccesso di colesterolo o dal difetto di micelle,
quanto dalla capacità di accelerare la nucleazione dei cristalli. Questo processo dipende dall’eccesso di
fattori acceleranti e/o dal difetto di fattori inibenti.Questo dipende dalla composizione della bile e riguarda
fattori che non sono ancora ben caratterizzati.
Un ulteriore processo importante è la formazione della sabbia biliare. Essa è costituita da uno spesso
materiale di consistenza mucosa, a forma di semiluna che si accumula nel fondo della colecisti. Essa è
costituita da cristalli di colesterolo, colesterolo e lecitina, bilirubinato di calcio e filamenti di gel e muco.
Essa si forma quando alla nucleazione di colesterolo e sali biliari si aggiunge una riduzione della clearence di
muco dalla colecisti.
Studi indicano che la principale condizione precedente la calcolosi è appunto la sabbia biliare.
Altre condizioni che si associano a calcolosi sono la gravidanza, l’assunzione di diete ipocaloriche, il calo
ponderale, ormoni sessuali femminili, resezione ileale, invecchiamento, ipomotilità della colecisti.
Patogenesi (calcoli di bilirubinato)
71
Sono notevolmente più diffusi in oriente, e derivano dall’accumulo e dalla precipitazione di bilirubina non
coniugata (diretta). Può essere associata ad anemie emolitiche croniche, oppure ad infezioni della colecisti,
che si associano alla presenza nella bile di enzimi batterici che sono in grado di deconiugare la bilirubina e
favorirne la precipitazione (essendo insolubile).
Diagnosi
•
•
•
•
Radiografia dell’addome: di basso costo, ma individua solo quella quantità di calcoli che contengono
calcio in quantità tale da essere radiopachi, cioè il 50% di quelli pigmentati e il 20-30% di quelli di
colesterolo.
Ecografia della colecisti: Rapida, identifica accuratamente il 95% dei calcoli, e permette il controllo
contemporaneo anche del fegato, del pancreas e delle vie biliari. Essendo un esame in tempo reale,
permette di ricevere anche informazioni sulla motilità e la contrattilità della colecisti stessa. Non è
limitata da ittero e gravidanza, e identifica anche calcoli piccoli, di 2mm. La mancata visualizzazione
della colecisti in un paziente a digiuno è indice abbastanza sicuro di una malattia di essa. Permette inoltre
di differenziare la sabbia dai calcoli, in quanto la prima non produce ombre acustiche e si muove con il
cambio di posizione
Colecistografia orale: permette di verificare la pervietà del dotto cistico e la funzione di svuotamento
della colecisti. Permette inoltre di vedere i calcoli e verificare se sono calcifici. Rispetto all’ecografia ha
diversi svantaggi. Infatti non da risultati attendibili se:
o Bilirubina >2-4 mg/dl
o Impossibilità di ingerire compresse (disfagia)
o Escrezione epatica alterata
o Calcoli molto piccoli
Scintigrafia: Identificazione accurata dei calcoli e contemporanea valutazione delle condizioni dei dotti
biliari.
Clinica
In genere i calcoli della colecisti sono asintomatici, fino a quando non migrano nel coledoco o nel dotto
cistico, e ne provocano infiammazione e/o ostruzione. A questo punto si verifica il classico episodio di
contrazioni ripetute che provocano la colica biliare, con un dolore intenso, costante, avvertito come una
pressione epigastrica o nell’ipocondrio destro, frequentemente irradiata all’area interscapolare o alla spalla
destra.
La colica inizia all’improvviso e dura anche 3-4 ore con notevole intensità. Può seguire una dolorabilità e un
dolore sordo che dura per diverse ore. Spesso c’è vomito e un leggero rialzo della bilirubina, ma non
superiore a 5 mg/dl.
In genere, ovviamente, la colica è scatenata dai pasti, non necessariamente abbondanti.
Il passaggio di calcoli nel dotto biliare si verifica nel 10-15% dei pazienti con colelitiasi, e aumenta in
relazione all’età. In genere questi sono calcoli di colesterolo.
Nella calcolosi primitiva del coledoco, invece, sono costituiti da pigmento, e si sviluppano in pazienti con
malattie emolitiche croniche, parassitosi epatobiliare, anomalie congenite dei dotti biliari (malattia di Caroli),
dilatazione, sclerosi o stenosi dei dotti.
La calcolosi del coledoco finisce spesso per dar luogo, oltre alle coliche, a complicanze importanti:
• Colangite acuta: fin da subito in 3/4 dei casi si ha sovrapposizione di infezione batterica. Il quadro
clinico tipico è rappresentato da febbre con brividi, ittero e colica biliare (triade di Charcot). La forma +
comune è non suppurativa, che risponde al trattamento con antibiotico. Invece la forma suppurativa si
associa alla presenza di nausea, vomito e possibilità di shock con batteriemia. Queste complicazioni si
trattano con intervento endoscopico in maniera estremamente efficace.
• Ittero ostruttivo: si può avere quando si abbia una progressiva ostruzione del coledoco nell’arco di
settimane o mesi. Di solito si associa alla fine a dolore, e se non lo fa è più indicativo di un carcinoma
comprimente delle strutture circostanti. Inoltre, secondo il principio di Courvoisier, la colecisti non è
palpabile (se lo è, indica carcinoma). La bilirubina, non più escreta nelle feci, si riversa nelle urine,
formando bilirubinuria e feci acoliche. La bilirubinemia non sale mai tanto, non sopra a 5.
72
•
Pancreatite: circa il 30% dei pazienti con calcolosi sviluppa pancreatite. Si diagnostica per il dolore, a
sbarra, il vomito protratto con ileo paralitico, e la presenza di versamento pleurico sinistro. In genere
l’interessamento pancreatico si risolve con la risoluzione della malattia litiasica.
La diagnosi e la terapia dei calcoli del coledoco è possibile con la CPER, con papillotomia preparatoria.
Terapia
Chirurgicamente, l’asportazione della colecisti profilattica nei confronti di complicazioni è limitata al
verificarsi di tre fattori:
• Sintomi frequenti e importanti che interferiscono con la vita del paziente
• Pregressa complicazione della malattia
• Concomitante condizione che aumenta il rischio di malattia o calcoli molto voluminosi.
In genere l’età inferiore a 50 anni è un fattore che rende ragione della necessità di operare, ma non è una
regola. Il trattamento chirurgico per eccellenza è la terapia per via laparoscopica.
Dal punto di vista medico, il presidio terapeutico principale è l’UDCA, un acido biliare secondario, (Uridin
Deossi Colic Acid), che ha diverse attività:
• Diminuisce la formazione di colesterolo inibendo l’HMG-Coa riduttasi
• Produce una fase lamellare che scioglie il colesterolo
• Ritarda la nucleazione
Il problema è che la terapia è lunga, costosa, attiva solo sui calcoli piccini e non mette al riparo da recidive.
Può essere usata anche però come trattamento delle recidive dopo l’operazione
C’è poi la frammentazione dei calcoli con onde sonore, che però non si usa molto perché la colecistectomia è
molto efficace, e comunque ci possono essere recidive.
10.3 COLECISTITE ACUTA
Colecistite litiasica
Consegue in genere all’ostruzione del dotto cistico ad opera di un calcolo, ed è legata fondamentalmente a
tre processi principali:
• Infiammazione meccanica provocata da un aumento di pressione intraluminare, con ischemia della
mucosa e della parete della colecisti
• Infiammazione chimica causata dalla liberazione di lisolecitina, per azione degli enzimi dei PMN
sulla lecitina biliare
• Infiammazione batterica, che rappresenta un fattore importante perché si è visto che circa il 50 –
80% dei calcoli ostruttivi si accompagna ad infezione, spesso da parte di Klebsiella, Streptococco,
Stafilococco e Clostridio.
La sintomatologia dolorosa iniziale è identica alla calcolosi biliare, di cui la colecistite costituisce infatti una
complicazione. Il dolore però non tende a risolversi spontaneamente dopo 3-4 ore, ma diventa invece diffuso
e peggio localizzato alla regione addominale destra. Anche in questo caso può irradiarsi alla spalla.
Spesso c’è vomito, e compaiono segni di interessamento peritoneale dell’infiammazione, con dolore da
rimbalzo che si accentua con l’ispirazione.
Segno di Murphy generalmente positivo. Caratteristicamente c’è febbre.
Altamente indicativa, in presenza soprattutto di una storia di calcolosi e coliche biliari, è la triade dolore
addominale superiore destro, febbre, e leucocitosi, in genere fra 10 e 15 mila.
L’aumenta della bilirubina è modesto, in genere entro 5 mg%, mentre le transaminasi possono salire ma non
oltre valori di 5 volte la norma (200 U/l).
L’ecografia evidenzia calcoli nel 90.95% dei casi.
Nel 75% dei casi la malattia guarisce con la terapia medica, mentre nel 25% si possono avere complicazioni,
vedi oltre, che devono essere trattate con la terapia medica. Quando ce ne sia la possibilità, l’intervento
chirurgico precoce è decisamente indicato.
Colecistite alitiasica
73
Evenienza che si verifica nel 5-10% dei casi, l’assenza di calcoli nel dotto cistico durante una manifestazione
di colecistite trova una spiegazione eziologica solo nella metà dei pazienti. Alcune situazioni in grado di
precipitare la malattia, o associate statisticamente con essa sono:
• Traumi o gravi ustioni
• Infezioni “rare” della colecisti (Streptococco, salmonella, Leptospira, Colera) e parassitarie
• Vasculiti
• Adenocarcinoma ostruttivo della colecisti
• Malattie sistemiche come la sarcoidosi, cardiopatie, TBC, sifilide
Clinicamente rimane indistinguibile dalla forma litiasica, e si differenzia solo per l’assenza di calcoli e in
genere per l’associazione con un quadro sottostante di una malattia grave, della quale costituisce in pratica
una complicazione.
E’ inoltre associata ad un rischio molto maggiore di complicanze, e l’efficacia degli interventi terapeutici
dipende dalla precocità della diagnosi, e dall’intervento chirurgico precoce con controllo della fase postoperatoria.
Colecistopatia alitiasica
Alterazione della motilità della colecisti definita da una serie di criteri diagnostici. Uno di questi si avvale
della misurazione della frazione di eiezione di acido diisopropiliminodiacetico (DIDA), dopo stimolazione
con CCK.
I criteri sono:
• Episodi ricorrenti di dolore biliare
• Alla scintigrafia della colecisti con DIDA marcato con Tc99, frazione di eiezione a 45 minuti < del 40%
• Dolore all’infusione di CCK
• Anamnesi positiva per alterazione degli enzimi epatici transitorie, in corrispondenza degli episodi
dolorosi.
Questa condizione andrebbe distinta, mediante l’osservazione delle dimensioni della colecisti, dalle
disfunzioni pure dell’Oddi.
Colecistite enfisematosa
Grave complicanza della colecistite acuta, che sopravviene quando la parete viene incontro a ischemia e
gangrena, con infezione da parte di anaerobi gram- produttori di gas. Oltre ai Clostridi, a volte si trovano
aerobi come E. Coli; è frequente nei maschi anziani, soprattutto se affetti da diabete.
Clinicamente non si distingue dalla colecistite normale, ma radiologicamente può essere osservato facilmente
gas nella colecisti o nei tessuti circostanti.
10.4 COLECISTITE CRONICA
La istoflogosi cronica della parete della colecisti è quasi sempre associata alla presenza di calcoli, come una
conseguenza delle ripetute infiammazioni ed episodi di colecistite acuta, oltre che al persistere
dell’infiammazione e della stimolazione meccanica.
In genere c’è anche infezione della bile. Siccome la terapia di elezione è chirurgica, si raccomanda in questi
pazienti una profilassi antibiotica prima dell’operazione nel caso alla colorazione di gram siano apparsi dei
gram- della specie clostridio.
La colecistite cronica può rimanere asintomatica per anni, evolvere verso la forma cronica o produrre una
serie di complicanze.
10.5 COMPLICANZE DELLA COLECISTITE E TERAPIA
Idrope ed empiema
L’empiema, cioè la suppurazione in una cavità preesistente, è una complicazione che occorre nella colecistite
quando si verifica l’ostruzione del dotto cistico e l’infezione della colecisti da parte di batteri piogeni. Il
quadro clinico è identico a quello della colecistite con leucocitosi, ma il rischio di sepsi da parte di gram- e di
perforazione è molto maggiore.
Quindi è necessario procedere rapidamente all’evacuazione chirurgica sotto copertura antibiotica.
74
L’idrope e il mucocele sono derivati anch’essi dall’ostruzione del cistico, che non si infetta, ma avviene la
produzione, da parte delle cellule dell’epitelio, di una sostanza chiara trasudatizia, o di muco.
Il paziente è di solito asintomatico, ma ci può essere il rischio di empiema, perforazione o gangrena.
Gangrena e perforazione
Vasculite, pressione eccessiva, torsione, diabete o empiema possono provocare una occlusione completa
della colecisti, con conseguenza di ischemia.
La gangrena predispone alla perforazione, che se avviene in maniera localizzata, viene contenuta dalle
aderenza peritoneali infiammatorie che si formano attorno alla colecisti perforata.
La presenza di una soprainfezione batterica della colecisti ostruita che si accompagna alla perforazione porta
ad un ascesso nei dintorni.
La perforazione libera, sebbene più rara, è associata ad una mortalità del 30%; i sintomi sono una inizale
diminuzione del dolore, provocata dalla decompressione, seguita dai segni della peritonite.
Anche questa complicanza si tratta con la rimozione chirurgica.
Fistole
La fistolizzazione avviene in seguito all’infiammazione e all’adesione delle due strutture. Le più comuni sedi
di sbocco di queste sono (in ordine di frequenza):
• Duodeno
• Flessura epatica
• Stomaco
• Digiuno
• Parete addominale
• Pelvi renale
Le fistole con l’intestino sono naturalmente asintomatiche e si osservano casualmente durante altri esami. Le
fistole sintomatiche si possono trattare con l’escissione del tratto interessato.
Ileo da calcoli
Un calcolo che penetra nell’intestino può dare occlusione intestinale. Questo avviene in genere quando esiste
una fistola abbastanza grossa da permettere il transito del calcolo. In genere, se il tenue non presenta stenosi,
questi calcoli si fermano alla valvola ileocecale. In effetti, un calcolo di grosse dimensioni, dell’ordine di 2-3
cm, provoca una progressiva erosione del fondo della colecisti e produce una fistola. La rimozione per via
laparoscopica è la terapia di elezione.
Sabbia di calcio
La presenza di un processo infiammatorio cronico della colecisti induce la formazione di precipitati di calcio
che si stratificano nella colecisti formando un deposito a semiluna.
Quando la deposizione è prevalentemente parietale, si osserva un caratteristico aspetto ecografico detto
colecisti a porcellana.
In questi casi è consigliabile l’asportazione della colecisti per la possibilità di sviluppare un carcinoma.
TERAPIA
I procedimenti di elezione sono tutti di tipo chirurgico, ma prima di essi può essere necessaria una
preparazione medica importante.
• Sospensione dell’alimentazione orale
• Aspirazione nasogastrica
• Riduzione del volume extracellulare
• Correzione delle alterazioni idroelettriche
• Analgesica
Può essere opportuno instaurare una terapia antibiotica per via orale anche in assenza di evidenti infezioni
batteriche.
La terapia chirurgica, che in genere tende ad essere più precoce possibile, è a volte associata a una serie di
complicazioni:
Atelettasia e altre complicazioni polmonari
Ittero
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Emorragie
In complesso però l’intervento sulla colecisti è decisamente favorevole, associato spesso a remissione
parziale o totale dei sintomi.
In altri casi, molto più rari, la recidiva dei sintomi può essere associata alla presenza di un dotto cistico
accessorio, maggiore di un cm, residuo, che si infiamma. Questa condizione è nota come la sindrome del
moncone del dotto cistico.
ALTRE CONDIZIONI PATOLOGICHE DELLA COLECISTI
Disfunzione e stenosi della papilla
La stenosi papillare è spesso la conseguenza di una alterazione infiammatoria della papilla di Vater, o di una
iperplasia ghiandolare del segmento papillare.
Ci sono 5 criteri diagnostici:
1. Dolore addominale ai quadranti superiori
2. Alterazione degli indici epatici
3. Dilatazione del cistico dimostrata mediante CPRE
4. Rallentamento del deflusso del mezzo di contrasto dal dotto maggiore di 45 minuti
5. Aumento della pressione basale dello sfintere di Oddi
Di solito si ricorre alla sfinteroplastica endoscopica, ma in condizioni più gravi ci può essere indicazione di
papillotomia.
Colecistiti iperplastiche
Gruppo di colecistopatie caratterizzate dalla proliferazione abnorme dei normali componenti tissutali. Fra
queste esistono l’adenomiomatosi, che è una proliferazione benigna dell’epitelio superficiale della colecisti,
e la colesterolosi, che è un abnorme deposito di colesterolo nella lamina propria della colecisti. Nella forma
diffusa di questa malattia, essa appare rossa edematosa con punteggiature gialle (colecisti a fragola). Invece
nella forma localizzata gli accumuli di colesterolo formano dei depositi detti polipi di colesterolo. In circa la
metà dei casi sono presenti calcoli di colesterolo.
10.5 MALATTIE DEI DOTTI BILIARI
ANOMALIE CONGENITE
Atresia e ipoplasia: riguardano i dotti biliari maggiori intraepatici, e sono la complicazione più frequente
nell’infanzia. Il quadro clinico è caratterizzato dalla comparsa di ittero nel primo mese di vita con
formazione di feci acoliche. Nonostante sia possibile correggerla chirurgicamente, questa malattia si
accompagna allo sviluppo di colangite cronica, fibrosi epatica diffusa ed ipertensione portale
Cisti del coledoco: dilatazione della porzione cistica della porzione libera oppure presentarsi come
diverticolo, nel qual caso si accompagna a reflusso cronico di succo pancreatico del coledoco, con
conseguente colangite ed ostruzione biliare. La triade costituita da dolore, ittero e massa addominale è
presentata solo da un terzo dei pazienti. Aumento del rischio di sviluppare colangiocarcinoma.
Ectasia biliare congenita: dilatazione congenita dei dotti principali intraepatici (malattia di Caroli) o i dotti
inter- ed intralobulari (fibrosi epatica congenita) oppure entrambi contemporaneamente. C’è colangite
ricorrente, con raccolte ascessuali all’interno e all’esterno dei dotti interessati, a volte anche formazioni di
calcoli. Di solito viene instaurata una terapia antibiotica.
COLANGITE SCLEROSANTE
Primitiva è un processo infiammatorio progressivo, idiopatico, con sclerosi e obliterazione delle vie biliari
intraepatiche e spesso anche extraepatiche. La malattia si manifesta singolarmente, oppure in associazione
con altri processi patologici infiammatori, come le IBD, traumi, processi infiammatori cronici, processi
infiammatori a carico di organi circostanti; le infezioni singolari in pazienti AIDS provocano manifestazioni
simili, ma anche a carico delle porzioni più distali dei dotti cistici.
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La clinica è segni e sintomi di ostruzione biliare cronica, come ittero, prurito, dolore dell’ipocondrio destro e
colangite acuta.
In seguito compaiono ostruzione biliare completa, cirrosi secondaria, insufficienza epatica e ipertensione
portale con ascite.
Diagnosi: reperto colangiografico con dotti ispessiti a corona di rosario. La CRPE è la tecnica di
visualizzazione di elezione, anche se non può osservare i dotti intraepatici. La colangite sclerosante può
essere la base diagnostica per la presenza di altre malattie sottostanti.
La terapia con colestiramina controlla il prurito, mentre in caso di sovrinfezione batterica ci vogliono
antibiotici specifici.
Supplementi orali di vitamina D e di calcio possono prevenire i fenomeni di demielinizzazione ossea; il
posizionamento di stent per mantenere pervie le vie biliari deve essere limitato a quadri di reale necessità,
per evitare il verificarsi di ulteriori processi infiammatori stenosanti.
La prognosi di questa malattia è sfavorevole (media di 4-10 anni) per la frequente ricorrenza di fibrosi e
cirrosi biliare epatica.
La colangite sclerosante primitiva è infatti una delle principali indicazioni per il trapianto di fegato.
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CAP 11 MALATTIE DEL PANCREAS
11,1 ASPETTI DELLA SECREZIONE PANCREATICA
Il pancreas secerne da 1500 a 3000 ml/die di liquido alcalino a pH>8 contenente fino a 20 tipi diversi di
enzimi e zimogeni, la maggiore parte dei quali indispensabili per la digestione.
La secrezione è sotto stretto controllo neuro-ormonale. La secrezione acida gastrica costituisce lo stimolo
alla liberazione di secretina quando il ph duodenale scende sotto 4,5. La secretina a sua volta stimola la
secrezione di acqua ed elettroliti da parte del pancreas. La liberazione di CCK al livello duodeno-digiunale
indotta da acidi grassi a lunga catena, aminoacidi essenziali, e dallo stesso acido stimola invece la secrezione
zimogenica. Anche gli acidi biliari stimolano la secrezione pancreatica, così come il NO sebbene il suo
meccanismo non sia riconosciuto. La somatostatina invece inibisce la secrezione .
Lo ione più importante secreto con il succo pancreatico è il bicarbonato prodotto a livello degli acini e dei
dotti preterminali sotto stimolo della secretina il bicarbonato serve a tamponare l’acido gastrico, poiché gli
enzimi pancreatici funzionano a pH alcalino.
Le classi di enzimi secreti sono:
q e. amilolitici (amilasi pancreatica): idrolizzano gli amidi in oligosaccaridi e nel disaccaride maltosio.
q e. lipolitici (lipasi, fosfolipasi A e colesterolo esterasi): questi sono secreti insieme alla colipasi che
impedisce l’inibizione della lipasi da parte dei sali biliari.
q e. proteolitici (rappresentati da endopeptidasi – tripsina e chimotripsina ed esopeptidasi – carbossi/amino
peptidasi, oltre a elastasi e ribonucleasi)
L’autodigestione del pancreas è impedita dall’immagazzinamento di precursori zimogenici inattivi e dai
rispettivi inibitori.
La secrezione esocrina sembra richiedere la presenza locale dell’insulina ed è almeno in parte controllata da
un meccanismo a feedback negativo indotto dalla presenza di proteasi seriniche nel duodeno oppure
feedback positivo indotto da aminoacidi essenziali o da inibitori delle proteasi.
12.2 PANCREATITE ACUTA
Lo spettro anatomopatologico comprende tre forme:
Edematosa: + lieve e a risoluzione spontanea
Necrotizzante
Emorragica: questo termine ha < rilevanza clinica in quanto un certo grado di emorragia interstiziale si può
riscontrare in altre patologie pancreatiche (es. neoplastiche) e nell’ICC.
Eziologia
L’elenco dei fattori di rischio è abbastanza lungo ed è continuamente aggiornato:
• Etilismo acuto e cronico
• Colelitiasi
• Interventi chirurgici (anche extra-addominali)
• CPRE
• Traumi addominali contusivi
• Cause metaboliche (Ipertrigliceridemia, deficit di Apo CII, Ipercalcemia, Insufficienza renale)
• Infezioni (Parotite, Ep. Virali, CMV, Coxsackie, Echovirus, Mycoplasma, Campylobacter, M. Avium)
• Da farmaci (associazione ben definita con Azatioprina, 6 – Mercaptopurina, diuretici tiazidici,
Furosemide, Estrogeni, Tetracicline, ddI)
• Cause vascolari (ipoperfusione ischemica, emboli aterosclerotici)
• Connettivite associate a vasculiti
• Ulcera peptica penetrante
• Ostruzione della papilla di Vater (enterite regionale, diverticolo duodenale)
• Malformazioni congenite (pancreas divisum)
• Pancreatite acuta ricorrente criptogenetica
• Patologia occulta delle vie biliari (microlitiasi, sabbia biliare)
• Disfunzione dello sfintere di Oddi
• Carcinoma del pancreas
• Fibrosi cistica
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Patogenesi
Una delle teorie patogenetiche proposte è quella dell’auto-digestione, secondo cui i proenzimi sarebbero
attivati all’interno del pancreas da numerosi fattori (come tossine batteriche, virus, ischemia, anossia e traumi
diretti); gli enzimi attivati a loro volta potrebbero iniziare una cascata attivativa oltre a un danno diretto.
Inoltre la liberazione di istamina, bradichinina e altre sostanze vasoattive provocherebbe l’essudazione e
l’edema.
Teorie meno recenti, ormai soppiantate sono quelle del “canale comune” (reflusso di bile nel dotto pancreatico) e quella ostruttiva (ma una l’ostruzione del dotto di Wirsung determina solo edema e non pancreatite).
Un’ipotesi basata su studi recenti prevede il possibile intervento delle idrolasi lisosomiali nell’attivazione
degli enzimi pancreatici ma non è chiaro quali fattori possano creare all’interno delle cellule acinari le
condizioni opportune (ph < 3); di certo non l’anossia.
Ostruzione diretta
Microlitiasi
Migrazione del calcolo
sulla papilla
Ostruzione
(edema e fibrosi da infiammazione) al flusso
Ostruzione indiretta
Calcolosi
Incontinenza dell’
oddi
Disfunsione di oddi
Alcool
Alterazione metabolismo lipidico
Aumento proteasi
Calo inibitori
aumento radicali liberi
Reflusso
duodeno
pancreatico
Steatosi
Danno pancreatico
acuto
Pancreatite acuta
Abuso acuto di
alcool e lipidi
Clinica
•
•
•
•
•
•
•
•
Dolore addominale: sintomo di gran lunga + importante, di intensità estremamente variabile, in genere
comunque continuo e fastidioso, localizzato in regione epigastrica e periombelicale, con ampia irradiazione ampia fino al dorso e al torace. Tale dolore è accentuato in posizione supina e alleviato dalla
posizione a canna di fucile con le ginocchia flesse sul tronco.
Nausea, vomito, distensione addominale (dovuti a ipoperistaltismo intestinale e peritonite chimica)
Ansia, febbricola, tachicardia e ipotensione fino ad arrivare talvolta allo shock che può dipendere da:
ÿIpovolemia secondaria a massiccia essudazione di liquidi e proteine nello spazio retroperitoneale.
ÿVasodilatazione da aumentato rilascio di chinine vasoattive (come nello shock anafilattico)
ÿEffetti degli enzimi in circolo
Ittero: raro, può accompagnarsi a edema della testa del pancreas
Noduli eritematosi sottocutanei dovuti alla steatonecrosi peripancreatica
Iperestesia cutanea e contrattura di difesa della parete addominale di grado variabile.
Segno di Cullen: colorazione brunastra dell’area periombelicale (emoperitoneo).
Segno di Turner: colorazione blu-rosso o marrone-verdastra dei fianchi dipendente da catabolismo locale
dell’emoglobina, come negli ematomi contusivi.
Gli ultimi 2 segni, peraltro infrequenti, indicano una grave pancreatite necrotizzante.
79
Esami di laboratorio e strumentali
La diagnosi viene generalmente posta in base a un movimento delle amilasi sieriche al di sopra di 2 – 3 volte
i valori normali, posto che possano venire escluse patologie a carico delle ghiandole salivari e un infarto o
una perforazione intestinale. Anche aumenti dell’amilasi nei versamenti ascitici e pleurici sono diagnostici.
Tuttavia l’entità del rialzo non è correlata direttamente all’entità del danno pancreatico e dopo 48 – 72 h
dall’esordio clinico i valori tendono a ritornare nella norma anche se persistono i sintomi – segni clinici. Si
rammenti che i pazienti con acidemia (quindi ad es. i diabetici in chetoacidosi) possono presentare un rialzo
fittizio della amilasi, per cui è di supporto un dosaggio delle lipasi sieriche che aumentano parallelamente
alle amilasi e comunque già di per sé sono diagnostiche in pazienti con iperamilasemia da cause
extrapancreatiche.
La leucocitosi (15 – 20000) è molto frequente.
Nei casi più gravi si può avere emoconcentrazione per perdita massiva di plasma nella cavità peritoneale o
nello spazio retropancreatico.
L’ipoglicemia è molto frequente e dipende sia da un diminuito rilascio di insulina che dalla secrezione di
ormoni iperglicemizzanti “da stress”.
Nel 25% dei casi si ha ipercalcemia che non dipende probabilmente da una diminuita risposta delle
paratiroidi ma da fenomeni di saponificazione del calcio da parte degli acidi grassi liberati dai fenomeni di
steatonecrosi.
Un’ipertrigliceridemia si osserva nel 10 – 20% dei casi e in tal caso i livelli di amilasi sono falsamente
normali, mentre nel 25% troviamo ipossiemia, che può rappresentare l’esordio di una ARDS, e uno
slivellamento S-T.
Esami radiologici convenzionali servono soprattutto a fare diagnosi differenziale. La diretta dell’addome
identifica l’ascesso o la cisti peripancreatica. La TC assiale invece è in grado di confermare il sospetto
clinico anche con normali valori di amilasi, e di indicare un valore prognostico.
La diagnosi differenziale è posta con le segg. patologie:
a Perforazione di un viscere addominale (soprattutto nell’ulcera peptica)
a Colecistite acuta o colica biliare
a Occlusione intestinale o della mesenterica superiore acuta
a Infarto del miocardio diaframmatico
a Aneurisma dissecante dell’aorta
a Polmonite
a Chetoacidosi diabetica (anch’essa causa di addome acuto)
Un’ulcera perforata è prontamente riconosciuta mediante riconoscimento del “segno della cupola” (presenza
di aria libera sotto la cupola diaframmatica). Il dolore di origine biliare invece è riferito più a destra, ha
un’insorgenza più graduale e generalmente non si associa ad ileo adinamico. L’occlusione vascolare si
presenta in genere in pazienti anziani debilitati con una storia di aterosclerosi, che presentano marcata
leucocitosi, distensione addominale e diarrea ematica: l’arteriografia dimostra l’occlusione della mesenterica
superiore.
Le connettiviti come il LES, e la PAN pongono problemi perché una pancreatite può costituire la
complicanza di entrambe le malattie, per cui vanno ricercati i segni peculiari di queste malattie.
Nella chetoacidosi diabetica il dolore addominale simile e il movimento delle amilasi simulano una
pancreatite ma la lipasi e le isoamilasi pancreatiche sono normali.
Decorso e prognosi
Criteri prognostici negativi di Ramson e Imrie all’atto del ricovero:
P Età > 55 anni
3
P Leucocitosi > 16000 /mm
P Iperglicemia > 200 mg/dl
P LDH sierica > 400 UI/l
P AST sierica > 250 UI/l
Durante le prima 48h del ricovero:
P Riduzione dell’Ht > 10%
P Sequestro di liquidi > 4000 ml
P Ipocalcemia < 8 mg/dl
80
P
P
Ipossiemia < 60 mmHg
Ipoalbuminemia < 3.2 g/dl
Complicanze: spesso i pazienti sviluppano entro le prime due settimane una massa pancreatica che può
essere dovuta alla steatonecrosi con o senza infezione o ad un vero e proprio ascesso. Complicanze più
tardive sono la pseudocisti pancreatica e la pancreatite cronica ostruttiva.
Terapia
Forma lieve o moderata: Nella maggior parte dei pazienti con pancreatite acuta la risoluzione della malattia
è spontanea, e si possono attuare dei presidi terapeutici finalizzati alla diminuzione del dolore (analgesici),
alla reidratazione e all’espansione del plasma, antiproteasici (gabesato metilato) per ridurre il danno
pancreatico e la sospensione dell’alimentazione per via orale.
Risultano invece inefficaci i farmaci che inibiscono la secrezione pancreatica durante l’attacco acuto, perché
in questa fase la secrezione da CCK risulta già del tutto sospesa. Anticolinergici e altri farmaci anti secretivi
non cambiano quindi il decorso della malattia.
In caso di pancreatite acuta accertata è importante però che si faccia una appropriata terapia antibiotica, al
fine di evitare complicazioni come gli ascessi e le ostruzioni biliari infettive.
Forma moderata: Oltre ai presidi ricordati, si fa anche l’aspirazione nasogastrica per 2-3 giorni per evitare
l’accumulo di acido nel duodeno e ridurre la liberazione di gastrina.
Forma acuta fulminante: richiede un intervento rapido con massicce quantità di liquidi, e la rigorosa
osservazione clinica per evitare complicanze del tipo MOF. Si applica quindi nutrizione parenterale totale,
ed eventualmente laparotomia con drenaggio e rimozione del tessuto necrotico.
A seconda delle cause che hanno portato alla pancreatite, si effettuano poi altri interventi:
• Pancreatite biliare: papillectomia entro 36-72 ore dall’esordio
• Pancreatite ipertrigliceridemica: riduzione del peso corporeo, dieta povera di lipidi, attività fisica,
abolizione degli alcolici e dei farmaci.
COMPLICAZIONI DELLE PANCREATITI ACUTE
Necrosi con infezione
Infezione diffusa di un’area di pancreas necrotico, con reazione infiammatoria acuta che si verifica nelle
prime due settimane della pancreatite. Va distinta dall’ascesso che è comunque una infezione limitata, che si
sviluppa in tempi più lunghi ed è caratterizzata da una minore mortalità chirurgica. A differenza dell’ascesso,
inoltre, la necrosi infettata non può essere trattata con il drenaggio, ma solo con la terapia chirurgica.
Il tessuto necrotico del pancreas si infetta con batteri alimentari gram-, con una probabilità condizionata a
diversi fattori, come il grado e l’estensione della necrosi, della sofferenza ischemica peripancreatica e la
perfusione d’organo.
Il sospetto si deve avere quando in un soggetto che ha avuto di recente una pancreatite si presenta
leucocitosi, febbre, e riscontro alla TAC di materiale liquido in forma di flemmone. La biopsia con
agoaspirato conferma la diagnosi, ed è l’unica forma di diagnosi di certezza.
E’ necessario aspirare rapidamente le pseudocisti perché queste possono infettarsi. Non è necessaria
altrettante urgenza invece nelle condizioni di versamenti attorno al pancreas.
Ascesso pancreatico
Una pancreatite grave, specialmente post operatoria, una condizione in cui si sia effettuata una alimentazione
orale troppo precoce, l’errato uso di antibiotici, la laparotomia precoce sono tutte condizioni che
predispongono ad un ascesso.
Le manifestazioni sono:
• Febbre
• Leucocitosi
• Ileo
• Rapido deterioramento delle condizioni cliniche del paziente dopo una fase di rapido miglioramento.
Un ascesso non trattato è mortale praticamente sempre. Il trattamento percutaneo ha una efficacia solo nel
50% dei casi, e quindi di solito è necessario ricorrere alla chirurgia e alla resezione del tessuto necrotico.
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In non pochi casi sono presenti ascessi multipli.
Pseudocisti
Raccolta di materiale liquido, detriti cellulari, enzimi pancreatici e sangue che si verificano in circa il 15%
dei pazienti. A differenza delle cisti vere, non hanno un rivestimento epiteliale, e le pareti sono fatte di
tessuto necrotico e di granulazione.
La pseudocisti determina di solito la distruzione del sistema dei dotti pancreatici, con una varietà di
conseguenze che vanno dall’ascite per lo sgocciolamento nel peritoneo alla risoluzione spontanea.
Nell’85% dei casi sono situate nel corpo e nella coda, nel 15% nella testa.
In genere i sintomi sono dolore addominale, con o senza irradiazione, massa palpabile in sede
epigastrica, innalzo dell’amilasi sierica.
L’ecografia è l’esame di elezione, che permette di distinguere una pseudocisti vera da una lesione edematosa.
Si risolvono da soli in 2-4 casi su 10, e il drenaggio va preso in considerazione quando siamo davanti ad una
massa di diametro > 5cm che rimane per oltre 6 settimane. In pazienti con rischio minore si tende però ad
aspettare anche di più.
Se non trattata, le complicazioni della pseudocisti sono parecchie e possono anche essere decisamente gravi:
• dolore causato dall’espansione e dalla compressione di altri visceri
• rottura: la rottura porta quasi inevitabilmente a shock. Se si associa con emorragia, la mortalità è anche
del 60%
• ascesso
Una emorragia va evitata assolutamente. Quindi la strategia di attesa va bene per i pazienti che non hanno
gravi rischi, mentre è consigliabili intervenire chirurgicamente se si osserva una progressione ed un aumento
della cisti.
Ascite pancreatica
E’ generalmente conseguente alla rottura del dotto pancreatico, a fistola fra il dotto e la cavità peritoneale,
oppure al continuo sgocciolamento del contenuto di una pseudocisti. L’ascite pancreatica è da sospettarsi in
quei pazienti che abbiano elevati livelli di amilasi nel liquido peritoneale, a volte anche di più di 20000.
La CPRE in genere dimostra il passaggio del mezzo di contrasto dal dotto alla cavità peritoneale.
A volte l’esistenza di una fistola nella coda del pancreas provoca la presenza di un versamento pleurico a
volte anche fino all’idrotorace.
La rottura del dotto si tratta con la paracentesi e con la terapia antisecretiva, ma se non va bisogna effettuare
un intervento chirurgico. Spesso il dotto principale può essere risanato con l’applicazione di uno stent.
12.3 PANCREATITE CRONICA
Il danno cronico del pancreas si manifesta come complicazione e cronicizzazione di una alterazione acuta
preesistente oppure con dolore addominale persistente e malassorbimento.
Le cause della pancreatite cronica sono in pratica le stesse di quelle dell’acuta, ma sono molto più
rappresentate le forme criptogenetiche. La prima causa nell’infanzia è la malattia fibroso-cistica, mentre
nell’adulto si tratta per lo più di fenomeni legati all’alcolismo.
Morfologicamente si distinguono forme primitive (non ostruttive) giovanili e dell’adulto, appunto legate alla
fibrosi cistica e all’abuso di alcool.
Le forme ostruttive, invece, sono distinte in calcifiche e non calcifiche.
Meccanismi patogenetici
Nelle forme primitive, cioè in quelle in cui non ci sia una ostruzione a giustificare l’andamento della
malattia, la patogenesi non è del tutto nota e dipende dai fattori eziologici. Può esserci un danno cronico
dovuto al ripetersi di eventi acuti, una attacco immune ai dotti, che in questo caso acquistano un aspetto
detto a corona di rosario per le numerose strozzature intercalate nel lume principale.
Nelle forme secondarie, la stenosi è provocata da diverse cause, e c’è una dilatazione uniforme del dotto a
monte della stenosi
• Stenosi papillare
• Stenosi duttale
• Lesioni duodenali
• Infiammazioni
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•
•
•
•
Cicatrici
Neoplasie
Malformazioni
Alcool: in modo non ben definito, sembra che l’alterazione iniziale sia la precipitazione di complessi
proteici, forse prodotti dallo stress ossidativo del tessuto.
In ogni caso, la ostruzione del lume provoca dilatazione a monte, atrofia delle cellule acinose, fibrosi ed
eventuale calcificazione di alcuni di questi tappi proteici.
Le forme primitive hanno una incidenza di 7-10/100 mila, esordiscono nella 4° decade, M:F = 9:1. L’80% di
questi pazienti presenta abuso di alcool, e anche di sigarette.
Le forme ostruttive esordiscono in età più avanzata, hanno minore incidenza nei maschi, ed è meno frequente
l’insufficienza sia esocrina che endocrina, con recupero della funzionalità pancreatica dopo la rimozione
dell’ostacolo.
Clinica
Calcificazioni pancreatiche, steatorrea e diabete mellito.
Dolore addominale: continuo, intermittente o addirittura assente, viene riferito come un dolore atipico, non
sempre classicamente epigastrico irradiato al dorso, ma può essere riferito praticamente a tutte le aree
dell’addome e del dorso.
E’ un dolore intenso, difficile da trattare e che può richiedere narcotici. L’assunzione di un pasto abbondante,
specie se contenente alcool o grassi, lo fa aumentare.
Possono esserci sintomi indicativi di malassorbimento, come perdita di peso e alterazione dell’alvo, ma
senza che ce ne sia un motivo preciso motivo non c’è mai carenza di vitamine liposolubili.
L’esame obiettivo è poco significativo
Diagnosi
La triade classica anche secondo Morelli è rappresentata dalla presenza di calcificazioni pancreatiche,
steatorrea e diabete mellito. Questa però è presente solo nel 30% dei pazienti.
I livelli sierici di amilasi e lipasi sono nella norma, a differenza della forma acuta.
Si esegue in genere un test di stimolazione con secretina, che risulta positivo solo nel 60% dei casi.
Si possono dosare i livelli ematici di tripsina, che risulteranno classicamente bassi.
•
•
•
•
Rx addome: per lo più è indicativa di lesioni calcifiche, che sono caratteristiche dell’abuso di alcool e
indicano un danno grave del parenchima pancreatico. Le calcificazione in una certa % di pazienti non
sono permanenti e possono anche scomparire.
TAC
CPRE: unica metodica non chirurgica che permette la visualizzazione diretta dei dotti. Distingue fra
forma ostruttiva e non ostruttiva
Ecografia: permette di escludere un carcinoma o una pseudocisti, e identifica calcificazioni e
dilatazione duttale che costituiscono un segno importante di pancreatite cronica.
Il Grading viene fatto con la CPRE:
Lieve: alterazioni dei dotti secondari
Moderata: alterazioni del dotto principale
Grave: completo sovvertimento dell’architettura del dotto principale
Complicanze
•
•
•
Malassorbimento di cobalammina (B12), causato dalla mancata distruzione da parte delle proteasi
pancreatiche del fattore intrinseco nel duodeno, ed è corretto con facilità dalla somministrazione di
enzimi pancreatici.
Intolleranza al glucosio è sempre presente: complicanze più rare sono la chetoacidosi, il coma diabetico e
la neuropatia. La retinopatia è invece più frequente a causa della carenza dell’assorbimento della
vitamina A
Versamento pleurico, pericardico, peritoneale.
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•
•
•
•
Sanguinamento intestinale derivato da ulcera peptica, gastrite, rottura di pseudocisti nel duodeno o di
varici gastroesofagee, conseguenti alla trombosi della vena splenica dovuta ad estensione del processo
infiammatorio dal pancreas.
Ittero secondario ad ostruzione biliare per estenzione della infiammazione
Dolore osseo
Aumentata incidenza di carcinoma pancreatico
Terapia
•
•
•
•
Eliminazione dei fattori eziologici
Controllo del dolore
Trattamento delle complicanze a lungo termine
Prevenzione del malassorbimento
Questi scopi sono raggiunti in vario modo. Il trattamento del dolore ricorrente viene effettuato come nella
pancreatite acuta. Poiché però spesso i narcotici danno assuefazione, si cercano strategie alternative per la
riduzione del dolore.
In molti casi la rimozione chirurgica del tratto morfologicamente alterato (individuabile con la CPRE) da
sollievo e scomparsa del dolore. Spesso però, e soprattutto in pazienti alcolici, il danno al pancreas è esteso
non segmentale, e questo comporta la necessità di asportare buona parte del tessuto con sviluppo di
insufficienza esocrina ed endocrina.
Dosi elevate di enzimi pancreatici possono ridurre il dolore ed aiutano a controllare la sindrome da
malassorbimento. In effetti è sufficiente che vi sia una concentrazione di lipasi del 10% del normale per
annullare la steatorrea, ma purtroppo con i farmaci attualmente in commercio questa concentrazione non
viene raggiunta nemmeno somministrando concentrazioni elevate di enzimi. Per migliorare la
concentrazione di lipasi, si somministra assieme ad essa degli inibitori della secrezione gastrica.
Le restrizioni dietetiche sono importanti e devono essere applicate ai grassi e ai carboidrati, a beneficio
delle proteine. Assolutamente da evitare l’alcool.
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CAP 12 TUMORI DEL PANCREAS
Le neoplasie pancreatiche si dividono in due gruppi. I tumori maligni, essenzialmente rappresentati dal
carcinoma pancreatico, e una serie di tumori benigni che sono praticamente tutti tumori secernenti,
endocrini ed esocrini. Importanti sono il gastrinoma, l’insulinoma, il glucagoma, il vipoma, il
somatostatinoma.
12.1 CARCINOMA DEL PANCREAS
Il carcinoma del pancreas è rappresentato per il 90% da adenocarcinomi duttali (cellule del dotto di
Wirsung), mentre le forme a cellule insulari costituiscono il restante 5%. La testa del pancreas è
interessata in maniera doppia, circa il 50% dei casi, rispetto al corpo (30%) e alla coda (20%).
Si sviluppa attorno ai 50 anni, M=F, incidenza 10/10 5 .
Eziologia
Fattori di rischio certi sono:
• Fumo di sigaretta
• Caffè
• Dieta iperlipidica
• Pancreatite cronica
• Contatto prolungato con i derivati del benzene
Non sono invece associati a fattori di rischio eventi come alcolismo, diabete, colecistotomia.
Clinica
Se si esclude l’ittero, i sintomi di esordio sono in genere abbastanza insidiosi. L’ittero invece ha comparsa
improvvisa, senza dolore iniziale, ed è provocato dall’ostruzione del coledoco. Infatti il tumore si accresce
nel lume e invade la parete, obliterando il dotto.
Una volta che questo evento ostruttivo si è verificato, si manifestano i segni della clinica, ma è comunque
ormai troppo tardi per intervenire: il 98% delle persone che sviluppano una neoplasia pancreatica muoiono
per le sue conseguenze.
• Dispepsia
• Perdita dell’appetito
• Astenia
• Calo ponderale (sempre presente, per malassorbimento e per anoressia)
• Dolore epigastrico a sbarra, spesso notturno, esacerbato dal cibo, di difficile controllo, che spesso
richiede oppiacei, quando soprattutto si verifica una infiltrazione dei nervi splacnici e del peritoneo. E’
più forte se associato a neoplasie del tronco e della coda, ed è caratteristicamente attenuato dalla
flessione delle gambe sul bacino.
• Urine ipercromiche
• Feci di aspetto chiaro
• Prurito
• Regola di Courvoisier: colecisti distesa e palpabile in assenza di colangite e senza colica biliare fa
ipotizzare una neoplasia del pancreas.
Più raramente, il tumore può comprimere le strutture vicine, dando ipertensione portale e splenomegalia.
La malattia ha una diffusione locale molto rapida, perché il pancreas non ha la tonaca sierosa essendo un
organo retroperitoneale.
Per contiguità diffonde rapidamente a duodeno, stomaco, vasi retroperitoneali.
Diffonde anche rapidamente per via linfatica e per via celomatica.
Diagnosi
La diagnosi precoce di questo carcinoma è molto difficile: infatti i sintomi e la clinica danno una evidenza
minima soltanto quando la neoplasia si è già diffusa: questo accade per la rapidità di diffusione metastatica.
I marker che esistono sono due:
CEA: sensibile ma poco specifico
CA19.9: sensibilità 81%, specificità 90%; non è però precoce. Attualmente si cerca di usarlo come
programma di Screening.
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•
•
•
•
•
Ecografia: associata allo studio radiologico con mezzo di contrasto per escludere ulcera peptica ed ernia
iatale.
TAC: staging . Sensibilità per lesioni del diametro di almeno un cm, evidenzia l’80% delle lesioni
maligne, può dare falsi positivi.
Retrograda: diagnostica le stenosi del Wirsung. Pochi falsi negativi, ma diagnosi differenziale difficile
con la pancreatite cronica.
Agobiopsia con guida ecografica: conferma del sospetto clinico, evita l’intervento chirurgico, ma è
associata a rischio di disseminazione (seeding).
Angiografia: permette di valutare l’estensione della massa.
Terapia
Unica efficace è la resezione chirurgica completa. E’ possibile solo nel 10% dei casi, non associati a
metastasi toraciche o addominali e la mortalità è alta. Tuttavia, poiché spesso solo con la chirurgia si
distinguono neoplasie pancreatiche da altri tumori del coledoco o dell’ampolla, suscettibili di terapia
risolutiva, vale la pena di tentare l’intervento.
Inoltre i pazienti operati hanno una mortalità minore quando si presentano recidive.
Un intervento palliativo è una protesi del Wirsung con un tubicino di materiale a memoria di forma.
12.2 TUMORI ENDOCRINI SECERNENTI DEL PANCREAS
I tumori endocrini del pancreas appartengono ad una classe particolare di neoplasie che secernono ormoni e
che hanno in comune la proprietà APUD (ammine precursor uptake & decarbossilation), ossia la capacità
di produrre dalle ammine endogene sostanze come la serotonina, l’istamina e la dopamina. Oltre a questo,
queste sostanze hanno la possibilità di sintetizzare, con un meccanismo differente, una serie di peptidi
endogeni ad attività ormonale che ne permettono la
classificazione specifica.
Carcinoidi: Oltre ai tumori propri del pancreas, a
Gli APUDomi, detti così per le caratteristiche spiegate
questa famiglia appartengono anche neoplasie
sopra, si trovano localizzati in tutto l’intestino e nel intestinali APUD che derivano dalle cellule
entrocromaffini (le cellule endocrine intestinali)
pancreas. Normalmente non hanno attività maligna, non
ma anche dall’appendice o nello stomaco. Sono
infiltrano i tessuti circostanti, ma la produzione di ormoni
può avvenire in grande scala, e alla fine produrre delle tumori a lenta crescita, ma provvisti di un
inequivocabile potenziale maligno, che si
sindromi neuroendocrine di rilevante entità.
assomma alla loro capacità di secernere ormoni.
Oltre a quelli propri del pancreas, un cenno importante da
La presenza di un carcinoide, per via delle
fare sono i carcinoidi intestinali (vedi riquadro a fianco).
sostanze prodotte, induce una sindrome
caratterizzata da una triade sintomatologica:
I tumori del pancreas sono tumori a cellule insulari; tali
• Flushing cutaneo (Vampate di calore)
cellule sono di quattro tipi, le A secernenti glucagone, le B • Diarrea
secernenti insulina, le D che producono somatostatina e le
• Valvulopatia cardiaca
che però finisce per riguardare solo il 5% di
PP che producono polipeptide pancreatico. Ognuna di
pazienti, essendo la neoplasia per lo più
queste cellule è in grado di secernere anche altri peptidi
asintomatica.
regolatori, come gastrina, VIP, ACTH eccetera. I tumori
quindi possono secernere di tutto, e si classificano sulla
base di quello che producono prima che secondo le cellule da cui prendono origine.
Gastrinoma
Descritto nel 1955 da Zollinger ed Ellison (vedi), il tumore che produce la sindrome omonima, sebbene raro,
è la forma più frequente di neoplasia endocrina secernente. La sua incidenza è bassa anche nei gruppi
selezionati. Dal 25 al 50% dei tumori del genere si associano alla sindrome MEN1, ossia alla presenza di
neoplasie endocrine multiple, soprattutto con l’ipoparatiroidismo.
Circa l’80% origina dalle isole pancreatiche, gli altri prendono origine dal triangolo dei gastrinomi come già
detto altrove.
Il comportamento biologico varia, ma in genere è abbastanza aggressivo: dalla metà a due terzi di questi
tumori sono caratterizzati da andamento maligno, con metastasi al fegato e alle ossa. Sembra però che
attualmente le metastasi siano in diminuzione al momento della diagnosi, anche grazie a criteri più selettivi e
precisi.
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Questo è importante soprattutto per il fatto che questo tipo di neoplasie si asportano bene quando sono
isolate. E inoltre le metastasi possono avere un comportamento diverso, e più aggressivo, delle neoplasie
originarie.
Insulinoma (a cellule beta)
Abbastanza comune, subito dopo il gastrinoma, questi tumori hanno la caratteristica invariabile di produrre
una ipoglicemia incontrollabile. Sono prevalenti nella popolazione con 8 casi su 10 milioni, ed insorgono per
lo più fra il 5° e il 7° decennio di vita. La malattia si manifesta classicamente con la triade di Whipple, così
definita:
• Ipoglicemia a digiuno
• Sintomi di ipoglicemia
• Reversibilità di questi dopo infusione endovenosa di glucosio.
Attualmente la diagnosi viene posta considerando la presenza di ipoglicemia in presenza di normali o
aumentati livelli di insulina. Tutto questo è anche accompagnato spesso da diversi sintomi legati alla
ipersecrezione di insulina, e da obesità per eccesso di cibo ingerito ( e anche per aumento dell’anabolismo).
Correlati all’ipoglicemia si possono trovare:
• disturbi della parola
• cefalea
• alterazioni psicologiche
• confusione, come e morte
• secrezione di catecolamine, con sudorazione, pallore, palpitazioni e aritmie
Caratteristicamente, i sintomi associati alla lesione inizialmente sono intermittenti, perché la secrezione di
insulina è transitoria. Questo è associato quindi spesso ad un periodo di digiuno. Con il progredire del tempo
si instaurano costantemente. In genere i sintomi sono così precoci che la diagnosi si fa per tumori ancora
molto piccoli.
Molto spesso sono associati alla sindrome multipla neuroendocrina (MEN 1) e il 10% di questi tumori ha un
andamento maligno con invasione dei linfonodi regionali. I tumori insulina secernenti extrapancreatici sono
rari, e riguardano sempre tessuto insulare ectopico.
Il test di elezione è il monitoraggio della glicemia nel paziente a digiuno per 24 ore, che in genere scende
sotto ai livelli di ipoglicemia (50 mg/dl per l’uomo e 45 per la donna). Se necessario si fa un test di resistenza
alla sforzo fisico.
La diagnosi differenziale comprende alcune disfunzioni di ipersecrezione di sostanze iperglicemizzanti,
come tumori secernenti cortisolo, feocromocitoma, e la assunzione di sostanze come insulina o composti
simili. Quanto all’assunzione di insulina dall’esterno, esso è facilmente identificabile con il dosaggio del
peptide C, particolarmente significativo in quanto l’insulinoma produce insulina in modo incompleto, con
parecchio peptide C.
La terapia definitiva consiste nella resezione chirurgica, ma si possono attuare vari presidi di supporto, intesi
a mantenere elevata la glicemia (diazzosido e beta bloccanti) o a diminuire la secrezione di insulina (il
miglior inibitore è l’octreotide).
Non sono molto facili da rilevare perché sono piccoli (spesso < 2cm) ma nell’85% dei casi l’ecografia
endoscopica riesce a rilevarli.
Attenzione, per quei pazienti che non possono essere operati, a monitorare sempre la terapia cronica: in non
pochi casi possono insorgere metastasi secernenti glucagone che implicano un radicale cambiamento dei
farmaci somministrati.
Vipoma (sindrome da diarrea acquosa)
Malattia rara (1 caso su un 10 milioni) caratterizzata dalla presenza di un tumore entero-pancreatico
produttore di VIP.
Le manifestazioni cliniche sono secrezione endoluminare di potassio, con diarrea acquosa, ipokalemia e
insufficienza renale.
La diarrea può superare i 3 litri al giorno, e la perdita di bicarbonato con le feci produce acidosi e danneggia
il rene.
Il VIP induce la secrezione gastrica di glucagone, e anche la diminuzione del potassio. La secrezione di
insulina è diminuita dalla perdita di potassio. Le cellule insulari che controllano la glicemia sono infatti così
regolate. Il glucosio che entra dall’esterno attiva la glicolisi, produce ATP, e attiva la pompa del sodio, la
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quale pompa all’intero potassio. La [K+] è quindi proporzionale a quella del glucosio. L’insulina quindi viene
secreta in presenza di alte concentrazioni di potassio, il glucagone durante la ipokalemia. Molti pazienti con
VIPoma sviluppano iperglicemia.
La diagnosi è facile e si basa sulla presenza di alti livelli di VIP in associazione a diarrea di almeno 1l al
giorno.
I VIPomi sono essenzialmente tumori pancreatici: a differenza di altri, però, possono raggiungere dimensioni
notevoli prima di essere clinicamente evidenti. Sono in genere abbastanza maligni, e al momento della
diagnosi hanno già dato metastasi nel 60% dei casi.
La terapia è l’escissione chirurgica, ma non sempre questa è possibile per la presenza di metastasi. Esistono
farmaci anti secretori, come il prednisolone, e l’octreotide. Nei pazienti con metastasi la miglior cosa è la
chemioterapia con streptozocina e fluoro-uracile.
Glucagoma
Serie di tumori che secernono diversi peptidi, ma che hanno in comune la produzione di glucagone. Unici, di
grandi dimensione e a lenta crescita, più del 75% di questi tumori ha già metastatizzato, al fegato o alle ossa,
al momento della diagnosi. In alcuni casi sono associati alla MEN1.
Livelli di glucagone sopra ai 1000 ng/l sono indicativi, livelli più bassi possono essere associati al diabete ed
altre patologie del fegato.
Le alterazioni metaboliche nel catabolismo degli aminoacidi e nella produzione di glucosio producono
iperglicemia, diminuzione della concentrazione di aminoacidi anche del 25%, e ipocolesterolemia.
Una manifestazione caratteristica è un rash cutaneo migrante, a caratteristiche variabili da bolloso a
psoriasico a crostoso. Il diabete è di solito modesto e non si associa a chetoacidosi.
La terapia radicale chirurgica è risolutiva solo nel 30% dei casi: nonostante le dimensioni, infatti, non danno
sintomi importanti per molto tempo. La chemioembolizzazione dell’arteria epatica e l’alcolizzazione danno
risultati buoni, molto meglio della chemioterapia.
La lenta crescita comunque permette una lunga sopravvivenza anche di quei pazienti che hanno già
metastasi.
Somatostatinoma
Ultimai identificati nel campo dei tumori pancreatici, queste malattie hanno caratteristicamente una triade
sintomatologica:
• Diabete mellito (probabilmente per la secrezione di altri peptidi)
• Colelitiasi
• Steatorrea (inibizione della secrezione pancreatica)
La sede primaria è il pancreas, seguita dall’intestino tenue, in cui si manifesta però una sintomatologia più
modesta.
In genere sono unici, voluminosi e metastatici al momento della diagnosi. Molti tumori secernono
somatostatina; le associazioni più comuni di somatostatinoma sono con la MEN-2.