RECENSIONI
CARUSO E L’HOMO OECONOMICUS
CRISI E REVISIONE DI UN CONCETTO
di FRANCESCA DINETTI
N. 28 Ottobre - Novembre 2013 - pp. 222
Filosofia e psicologia alle prese con l'Homo oeconomicus:
crisi e revisione di un concetto
di Francesca Dinetti
Sergio Caruso, Homo oeconomicus. Paradigmi, critiche, revisioni,
Firenze University Press, 2012 – pp. xiv + 176, € 16,90
Potrebbe sembrare ridondante e poco attuale tornare a parlare
oggi di un concetto tanto discusso come quello di homo
oeconomicus, ma leggendo l'omonimo libro di Sergio Caruso siamo
indotti a cambiare decisamente idea. Grazie al suo lavoro ci
rendiamo conto di quanto ancora ci sia da dire e da chiarire in
proposito, soprattutto oggi, di fronte ad una crisi che mostra gli
effetti nefasti di un capitalismo basato sulla concorrenza senza
regole tra soggetti economici. Infatti, come ci suggerisce lo stesso
Caruso, la crisi globale nella quale siamo inseriti lascia sulla strada
degli sconfitti non solo l'idea che l'economia possa regolarsi da sé,
ma anche tutte quelle teorie che facevano capo proprio all'idea di homo oeconomicus, tra cui
la la rational choice theory e la efficient market hypothesis. Sorge allora la necessità di
rimettere in discussione, soprattutto sul piano teorico, alcuni concetti del passato e sottoporli
al vaglio critico della ragione, evidenziandone limiti, ma anche nuove possibilità.
L'approccio adottato nel libro è decisamente eclettico e poliedrico, riflesso della
formazione culturale dello stesso autore, il quale, tenendo sullo sfondo il rigore della scienza
economica, sa muoversi con abilità e competenza tra ambiti che, per quanto affini, sono
distinti tra di loro: filosofia, sociologia, storia delle idee e psicologia. Ambiti che si trovano tutti
insieme riuniti in quella “filosofia economica”, che già ha impegnato l'autore in altri suoi
lavori,1 e ancora continua a farlo.
Al rischio di rendere la lettura un poco noiosa per la grande quantità di informazioni e
riferimenti alla storia del pensiero economico, filosofico e psicologico Caruso ha saputo
rispondere con l'utilizzo di un linguaggio accattivante e con una ricchezza di esempi che lo
rendono leggibile e agevolmente fruibile anche da parte dei non addetti ai lavori e di chi si
definisce a digiuno sia di teoria che di filosofia economica.
L'autore parte dal presupposto che siano proprio i concetti più comunemente usati - per
non dire abusati - ad essere stati spesso oggetto di fraintendimenti e luoghi comuni e,
proprio per questo, ne diventa necessaria un'analisi critica seria e dettagliata. Pensiamo, per
esempio, alle diverse e travisanti interpretazioni che sono state date al pensiero di Adam
Smith e al suo concetto di sympathy, misconoscendo il suo ruolo di padre oltre che
dell'economia politica, della psicologia sociale.
Nella struttura generale del libro possono essere individuate due parti: una pars destruens e
una pars construens. Nella prima Caruso si propone di rimettere in discussione la visione
dell'uomo, prevalente nella storia del pensiero economico, come essere desocializzato e
perfettamente razionale, scisso dall'homo curans, dall'homo reciprocans e dall'homo ludens,
fino a diventare l'“ennesima figura dell'alienazione” (Ivi, p. XI).
Ciò che cade sotto i colpi del lavoro di demolizione è in particolare la definizione dell'uomo
come “egoista razionale” propria della rational choice, la quale ci aveva restituito l'immagine
di un soggetto che sa sempre e comunque quello che vuole, secondo il proprio interesse, e
che opera in modo perfettamente razionale per ottenerlo. Alla base di tale processo di
demolizione l'autore pone i risultati della philosophy of mind e delle neuroscienze, le quali
1
Segnalo in particolare due saggi: Caruso S., “La «filosofia economica» presa sul serio”, in Iride, XIX,
49, 2006, pp. 397-402; Caruso S., “Alla ricerca della filosofia economica”, in Storia del pensiero
economico, n.s., IV, 2, lug.-dic. 2007, pp. 149-186.
hanno confermato come la fenomenologia del comportamento e del volere siano molto più
complesse di quanto per molto tempo l'economia mainstream ci aveva insegnato.
La lunga rassegna delle critiche rivolte all'homo oeconomicus - le quali annoverano autori
come Croce, Ugo Spirito, Tronti, Caillé, Godbout, Douglas, Sahlins, Penalonga, Schroeder,
Ortner, Zanfarino, provenienti da contesti diversi tra di loro, che spaziano dalla filosofia in
senso generale a quella strettamente politica, dall'economia alla sociologia - si inserisce
dopo un puntuale excursus di carattere psicologico, etico e storico sulla natura, sull'origine e
sull'evoluzione del concetto in questione. Il risultato è il rifiuto di quelle che Caruso definisce
le “caricature” dell'homo oeconomicus, ovvero le versioni intensificate che ne hanno
estremizzano le caratteristiche sia in senso naturalistico che storicistico: assumere l'individuo
“naturalmente egoistico” come la “figura tipica” dell'era capitalistica ha significato restituire
una visione mistificata della natura umana, favorendo la formazione di astrazioni
indeterminate e ideologiche.
Sul piano specificatamente psicologico l'idea della perfetta calcolabilità a priori delle scelte
individuali sembra addirittura entrare in conflitto con la tradizionale distinzione tra l'uomo e
l'animale: se quest'ultimo, mosso dal mero istinto, agisce secondo un certo determinismo
causale, lo stesso non è pensabile per un essere tanto complesso come l'uomo, le cui scelte
sono determinate da un numero non perfettamente prevedibile di variabili. In questo caso
Caruso sottolinea gli importanti risultati raggiunti negli ultimi anni dall'economia
comportamentale che, grazie all'interazione tra psicologia cognitiva ed economia, ha
definitivamente mostrato come l'uomo sia spesso necessitato ad agire in situazione di
incertezza, nelle quali prevale, come ci suggerisce il premio Nobel Herbert Simon, il criterio
del satisficing, cioè dell'alternativa più soddisfacente in un dato contesto.
Allo stesso tempo, con ampie argomentazioni, vengono smontate le basi teoriche di
quell'economia pseudo-evoluzionistica che, rifacendosi indebitamente a Darwin, aveva
cercato di far coincidere la natura umana con l'egoismo puro. Sulle orme di Ridley si tratta di
smontare quel topos dell'uomo naturalmente egoista che, partendo dall'antichità, passando
per Machiavelli, Hobbes, Mandeville, arriva fino ad oggi, arricchendosi nel frattempo di una
presunta base scientifica pseudo-darwiniana. L'errore principale che è stato compiuto,
ricorda Caruso, è quello di avere misconosciuto la naturale predisposizione dell'uomo
all'empatia: ciò significa che, oltre alla competizione, all'essere umano sono attribuibili forme
naturali di altruismo, di cooperazione e tendenze prosociali. Lungi dal voler estremizzare
l'artificiale scissione dell'individualità in “istinto predatorio” o “tensione solidale”, si tratta di
tornare ad una visione più variegata e complessa dell'uomo, la quale sappia rendere conto
sia degli aspetti positivi (cooperazione e solidarietà) che negativi (spirito di concorrenza e
aggressione) del comportamento umano, caratterizzato da mille sfaccettature e gradazioni.
Alla liberazione dai vecchi scheletri teorici è collegata la pars construens, la quale si
caratterizza per la ferma volontà di fornire un nuovo collegamento tra il concetto in questione
e il mondo dell'umano in tutta la sua complessità antropologica. Un intento quest'ultimo che
l'autore dichiara sin dalla prefazione, laddove fa riferimento alla necessità di ricollegare
l'homo oeconomicus all'interno di una più ricca fenomenologia della condizione umana
D'altronde non tutto ciò che riguarda l'homo oeconomicus è da buttare via. Misconoscere
il ruolo centrale che l'economia ha nella vita delle persone sarebbe un errore di osservazione
importante. Ciò però non significa che si debba ricondurre qualsiasi comportamento umano
al solo vantaggio economico. Anzi mettere in discussione questo presupposto è condizione
necessaria per scardinare gran parte di quella cultura neoliberale che si è affermata a partire
dagli anni ottanta dello scorso secolo, i cui contraccolpi si fanno sentire soprattutto oggi, in
una realtà segnata dall'atomizzazione dei rapporti sociali, dalla “solitudine” dell'uomo
contemporaneo e dalla comparsa di nuove forme di alienazione.
Anziché considerare l'homo oeconomicus l'espressione di uno status e di una legalità
naturale, secondo Caruso, è necessario attribuirgli una “specificazione storica”, farne
un'“astrazione determinata”, quindi il prodotto di specifiche condizioni storiche, sociali ed
economiche
Da qui Caruso prosegue evidenziando quali potrebbero essere le “versioni salvabili” del
concetto. Dopo l'aspra critica alle versioni estreme - che, come abbiamo visto, volevano fare
dell'uomo un mero “egoista razionale” -, una chance di esistenza viene lasciata a quelle
versioni suscettibili di un utilizzo metodologico-formale, il quale consenta di individuare - sulla
scia della riflessione weberiana - il soggetto “tipico-ideale” dell'economia moderna. Allo
stesso modo, se sono da escludere totalmente quelle antropologie sostantive che
pretendono di servirsi del concetto per descrivere la vera essenza dell'uomo, sono da
recuperare forme antropologiche deboli descrivibili - come già Marx aveva sottolineato come astrazioni all'interno di specifiche condizioni storiche.
Nell'incentrare l'attenzione sull'homo oeconomicus il libro si apre a numerose altre
suggestioni e spunti di riflessioni. Infatti la peculiarità del concetto in esame è proprio quello
di racchiudere in sé una grande complessità di aspetti che Caruso non vuole certo trattare in
modo esaustivo, ma mettere da parte in vista, come sembra anticipare nella prefazione, di
un lavoro più ampio. I temi in questione riguardano gli esiti dell'economicismo dell'età
contemporanea, la crisi del politico, la mancanza di regole in seno all'economico, ma sopra
tutto i limiti delle posizioni liberal-liberistiche e la loro tendenza a trasformarsi in ideologia,
cioè in una “visione del mondo”, chiusa a qualunque revisione. Come e più delle dottrine che
i liberali dicono di voler combattere, ed ugualmente pericolosa, seppure in maniera diversa.
Chi dice “il prezzo di tutto e il valore di nulla”, infatti, non reprime - ricorda l’autore - ma
corrompe).
Tra le concause culturali di questa situazione Caruso pone anche la rottura che si è
venuta a creare tra due discipline distinte ma connesse, l'economia e la psicologia, rottura
che avrebbe dato origine ad un'ideologia “tappa-buchi” funzionale al sostentamento, come
dice l'autore, “del mercatismo, dell'anarco-capitalismo, del turbo-capitalismo, del cowboy
capitalism”.
Riflettendo sul presente Caruso osserva come l'homo oeconomicus, pur divenuto
ideologia, falsa rappresentazione della natura umana, rischi di assumere una sua
paradossale verità come “descrizione idealtipica di quella oligarchia finanziaria che l'epoca
nostra va producendo”. D’altra parte, è proprio qui che la rational choice subisce i colpi
mortali. Dov'è la razionalità tanto reclamata? Il mondo della finanza è l'ultima e definitiva
manifestazione di un agire puramente irrazionale e gregario, dove le scelte individuali sono il
frutto di un processo imitativo collettivo basato su opinioni, false credenze e umori in perenne
mutazione.
Homo oeconomicus è dunque un libro che merita di essere letto non solo per i suoi
contenuti, ma anche per le domande che esso pone e che solo in futuro potranno trovare
risposta. Se tra le tante vittime della crisi globale, dominata da irrazionalità di ogni tipo, c'è
anche l'homo oeconomicus, allora è proprio da questa constatazione che dobbiamo ripartire
per pensare ad una nuova razionalità, magari tesa a valorizzare quella sympathy che - Adam
Smith docet - ci caratterizza come esseri umani.