Una particolare lettura di Fedora Milano - Teatro Alla Scala, 21 maggio 1956 di Luigi Chiavarone Dopo trentasette anni dall'ultimo memorabile allestimento, il cartellone del maggior teatro milanese prevede - il 27 aprile 1993 - una nuova rappresentazione della Fedora, di U. Giordano, con Mirella Freni (Fedora), Placido Domingo (Loris), Alessandro Corbelli (De Sirieux); regia di Lamberto Puggelli e direzione d'orchestra di Gianandrea Gavezzeni: lo stesso della rappresentazione del 21 maggio 1956, quando, con la regia di Tatiana Pavlova1 e insieme con Franco Corelli e Anselmo Colzani, inimitabile protagonista fu Maria Callas. Profondamente colpito dalla intensità interpretativa, che, del dramma di V. Sardou, aveva dato prova Sarah Bernhardt in una rappresentazione napoletana del 1885 alla quale aveva assistito, il giovane Giordano, appena tre anni dopo, il 17 novembre 1898 su libretto di Arturo Colautti, manda in scena il suo capolavoro al Teatro Lirico di Milano, riscuotendo un immediato trionfale successo, grazie anche ad interpreti d'eccezione, quali Gemma Bellincioni, Delfino Menotti ed Enrico Caruso. Tatiana Pavlova, la regista del 1956, dopo un notevole passato di attrice in Russia, nel 1921 si trasferì in Italia, dove, nel 1923, debuttò con una sua compagnia, influenzando notevolmente, in seguito, i palcoscenici italiani con le sue regie. Il suo metodo e le sue idee, solo in parte derivate dalla lezione di Stanislasky, tendevano a stabilire "un nesso continuo tra azione e cornice scenica, tra ambiente e vicende interiori ed esteriori dei personaggi",2 rispondendo alla necessità di coordinare i diversi elementi dello spettacolo. ___________ 1 - Nata in Ucraina nel 1896. Naturalizzata italiana, sposò il giornalista-scrittore Nino d'Aroma; fu molto presente negli spettacoli del Teatro Alla Scala. 2 - A. CAMILLERI, ad vocem Tatiana PavIova, in ENCICLOPEDIA DELLO SPETTACOLO, vol. VII, Roma, 1960, p. 1795. 281 Si trattava, essenzialmente, di una messinscena naturalistica, basata sui principi del realismo psicologico, dove le scenografie e gli arredi scenici erano profondamente elaborati e ricchi, i costumi dettagliatissimi e la recitazione densa di sfumature e di pathos realistico. A questi principi si ispirò la sua regia3 del 1956; vediamo i dettagli. Per il primo atto, ambientato nel palazzo del conte Vladimiro Andreievich in una San Pietroburgo fine secolo, lo scenografo Nicola Benois concepì una scena di robusto decoro bizantineggiante. A sinistra un grosso camino rivestito di maioliche decorate; il salotto arredato con mobili d'antiquariato; tra gli altri, una grande scrivania in noce, un troneggiante 'samovar' d'argento, poggiato su tavolinetto rigorosamente rinascimentale. Tappezzeria prevalentemente a righe bianche e verdi, con motivi floreali - come corolle sferiche e gambi arricciati - vagamente orientaleggianti. E poi Fedora-Callas. Superbamente vestita con costume bianco di foggia francese; 'tournure' e amplissimo manto di pelliccia anch'essa bianca e ampio cappuccio appuntato su uno splendente diadema di altera principessa. Tutto il primo atto si caratterizzò, secondo un ben noto giudizio di Mahler, per una felice "concatenazione scenica e quindi musicale, raggiungendo i traguardi dell'apertura cantabile e dell'avvio melodico"4. Nell'occasione, la Pavlova impostò ammirevolmente le scene d'insieme del primo quadro, modulando sapientemente gli scatti d'ira angosciosa e vendicativa di Fedora al racconto del 'groom' Dimitri e di Desiré e al paziente lavoro di ricostruzione dell'assassinio di Vladimiro.5 Nel secondo atto Benois creò una scena che destò intenso stupore. Immaginò un salotto parigino, lussuosissimo nei toni e negli arredi squisitamente orientali, con tende dai drappeggi morbidi e pesanti a un tempo, sfavillanti lampadari in corridoi con volte interamente a vetri, 'appliques' alle pareti, candelabri e abbondanti piante di palma e di altra rigogliosa ___________ 3 - Fu il critico Enrico Rocca ad usare, per la prima volta in Italia, i termini "regia" e "regista", recensendo un dramma di J. M. Gordin, curato, appunto, dalla Pavlova; cfr. E. ROCCA, Mirra Efros, in "Il Lavoro Fascista", Roma, dicembre 1929, cit. in B. MIGLIORINI, Varo di due vocabili, in "Scenario", Milano-Roma, A.I., n. 1, febbraio 1932, p. 36. 4 - F. GENTILE, Il verismo tra fatto e rappresentazione, in UMBERTO Giordano e il verismo, a cura di M. Morini e Pietro Ostali, Milano, 1989, p. 38. 5 - Cfr. E. MONTALE, "Fedora" di Giordano, le scene e la regia, in "Il Corriere della Sera", 22 maggio 1956, p. 4. 282 vegetazione; sparsi preziosi soprammobili: Budda in porcellana, pappagallo di Capodimonte ed elefante cinese in bronzo. In scena anche i famosi 'poufs' di Traviata della stagione precedente. Nel terzo atto, invece, Benois creò un paesaggio svizzero di maniera con lo chalet in cui si intravvede, sulla sinistra, la scala di entrata e l'altalena, dove Fedora, spinta da Loris, vivrà gli ultimi idilliaci momenti della sua passione. Impressionante la scena della morte di Fedora. La Callas, distesa sulle scale - il veleno ormai stava compiendo la sua azione - sussurra le sue parole di amore e di pentimento a Loris, che, fremente, l'abbraccia. La sua interpretazione coinvolse, come sempre, a tal punto lo spettatore, da conferire credibilità anche alla recitazione piuttosto convenzionale degli altri interpreti6; destando, comunque, grandissima eco. Fu una Fedora ora voluttuosa, ora vendicativa e ora pietosa, ma sempre molto stilizzata7; anche se qualche critico avanzò riserve sul "côté" vocale, non ritenendo l'opera adatta alla Callas "per quel suo insistere sul centro e il grave"8. Tatiana Pavlova realizzò uno spettacolo dettagliatissimo nella definizione dei singoli interpreti e intervenendo sulla folta schiera di comprimari (Dimitri, Desiré, Cirillo, Borov, ecc.). In particolare cercò di rendere quella tipica atmosfera di esuli slavi, che, con pingui rendite, peregrinava attraverso le stazioni dello sfarzo europeo, ritrovandosi poi, immancabilmente, a Parigi9. Unanimamente apprezzata fu la concertazione di Gavazzeni, mentre la regia della Pavlova trovò anche accesi oppositori, come R. Tedeschi, che, sulle colonne de "l'Unità", la definì come "pessima regista... la cui permanenza sulle scene della Scala costituiva un mistero che di anno in anno si faceva più fitto e meno gaudioso"10. In particolare fu rimproverato alla Pavlova di non saper "sempre conte___________ 6 - Cfr. L. ARRUGA, La Scala, Milano 1975, p. 226. 7 - Cfr. E. MONTALE, Tutto il meglio della "Fedora", in "Il Corriere d'Inforrnazione", 22-23 maggio 1956, p. 11. 8 - F. ABBIATI, "Fedora" di Giordano, in "Il Corriere della Sera", 22 maggio 1956, p. 4; c'è un piccolo giallo per questa rappresentazione, dato che non sono mai stati rinvenuti i nastri registrati della stessa. 9 - cfr. E. MONTALE, ibidem. 10 - R. TEDESCHI, Maria Callas è Fedora; in "l’Unità", 22 maggio 1956, p. 3. 283 nere nei giusti limiti le sue naturali doti di estro e di colore"11; ma, conclusivamente, si può affermare che, in quella Fedora, la regista russa riuscì a dare qu adri scenici di raro equilibrio: dall'istruttoria del primo atto alla festa da ballo del secondo; e, specialmente, nel passaggio dalla quiete agreste dello chalet svizzero alla tragedia dell'ultimo atto 12. __________ 11 – A. CAMILLERI, ibidem. 12 - cfr. B. DAL FABBRO, Russificata dalla Pavlova l'ultracinquantenne Fedora in "Il Giorno", 22 maggio 1956, p. 6. 284