L`inflazione non c`è (per ora) - Federazione Trentina della

L'inflazione non c'è (per ora)
di Martin Feldstein
erché il quantitative easing adottato
negli Usa è stato accompagnato da
stabilità dei prezzi? O, come spesso
sento, «perché il fatto che la Fed abbia stampato tanta moneta non ha provocato
un'inflazione più alta?». I precedenti mostrano che una rapida crescita della massa monetaria alimenta l'inflazione. Lo si è visto nel caso dell'iperinflazione in Germania negli anni
20 e in America Latina negli anni 80. Ma anche spostamenti meno clamorosi dell'incremento della massa monetaria negli Usa si sono tradotti in fiammate inflattive: negli anni
70, l'offerta di moneta negli Usa aumentò al
ritmo medio annuo del 9,6 per cento e l'inflazione fu in media del 7,4, un record rispetto
ai 50 anni precedenti.
Negli anni 90, la crescita media annua
della massa monetaria fu di appena il 3,9
per cento e il tasso medio di inflazione non
andò oltre il 2,9. È per questo che l'assenza
di qualsiasi reazione inflattiva al piano di
acquisto titoli da parte della Fed lascia perplessi. Ma le perplessità svaniscono se ci
rendiamo conto che il quantitative easing
non è la stessa cosa che "stampare moneta"
o incrementare la massa monetaria.
La massa monetaria maggiormente legata
all'inflazione è composta prevalentemente
dai depositi che imprese e famiglie conservano presso le banche. Tradizionalmente, maggiori acquisti di titoli da parte della Fed hanno determinato una crescita più rapida di
questa massa. Ma un cambiamento di fondo
delle regole della Fed, introdotto nel 2008, ha
spezzato il legame fra acquisto di titoli edimensioni della massa monetaria, consentendo alla Banca centrale Usa di fare incetta di
titoli senza produrre un aumento della massa monetaria (e dell'inflazione).
Il legame fra acquisti di titoli e massa monetaria dipende dal ruolo delle "riserve eccedentarie" delle banche commerciali. Quando la Fed acquista buoni del Tesoro o altre
attività, come titoli garantiti da ipoteca, crea
"riserve" per le banche commerciali, che queste ultime depositano presso la Fed. Le banche sono obbligate a tenere riserve per un
ammontare pari a una quota dei depositi.
Dal momento che le riserve obbligatorie
prima del 2008 non fruttavano interesse, le
banche commerciali erano incentivate a prestare a famiglie e imprese fino a che la crescita dei depositi che ne risultava non consumavale riserve. E l'incremento dei depositi presso le banche corrispondeva a un incremento
della massa monetaria rilevante. Se le banche prestano di più, famiglie e imprese sono
in grado di spendere di più, e questo aumento della spesa significa un Pil nominale (produzione ai prezzi di mercato) più alto. Una
parte dell'incremento del Pil nominale assu-
P
me la forma di un Pil reale più alto, mentre il
resto si manifesta sotto forma di inflazione: è
per questo che gli acquisti di titoli da parte
IL NUOVO SCENARIO
Un cambiamento di fondo
delle norme della Fed,
nel 2008, ha spezzato il legame
fra acquisto di titoli e dimensioni
della massa monetaria
della Fed storicamente hanno fatto aumentare la massa monetaria (e l'inflazione). Il lega! me tra acquisti di titoli e crescita della massa
monetaria si è modificato dopo il 2008, perché la Fed ha cominciato a pagare interessi
sulle riserve eccedentarie. Il tasso di interesse su questi depositi sicuri e liquidi ha indotto le banche a mantenere le riserve presso la
Fed, invece di prestare denaro e creare depositi per assorbire le maggiori riserve. Il risultato è che il volume di riserve detenute dalla
Fed è aumentato in modo spettacolare, da
meno di 2 miliardi di dollari nel 2008 a 1.800
miliardi oggi. Ma la nuova politica della Fed
di pagare interessi sulle riserve ha impedito
che la maggiore disponibilità di riserve determinasse una crescita più rapida dei depositi
e una massa monetaria più grande.
Le dimensioni della massa monetaria in
senso ampio (l'aggregato M2) sono cresciute a un ritmo medio di appena il 6,2 per cento l'anno dallafinedel 2008 allafinedel 2012.
Mentre il Pil nominale aumenta, nell'arco
dilunghi periodi di tempo, allo stesso ritmo
della massa monetaria, con i tassi di interesse molto bassi e in calo le famiglie e gli istituti di credito dopo il 2008 si sono dimostrati
disposti a tenersi più soldi rispetto al Pil nominale. Pertanto, mentre l'M2 è cresciuto di
oltre il 6 per cento, il Pil nominale è aumentato di appena il 3,5 per cento e il deflatore
del Pil solo dell'1,7. Non è sorprendente,
quindi, che l'inflazione rimanga bassa, più
bassa che in tutti i decenni dopo la fine della
Seconda guerra mondiale. E non è sorprendente che il quantitative easing abbia fatto
così poco per incrementare la spesa nominale e l'attività economica reale.
Il fatto che negli ùltimi anni non ci sia stata un'inflazione significativa non significa
che non crescerà in futuro. Quando famiglie e imprese incrementeranno la domanda di prestiti, le banche che dispongono di
capitali adeguati potranno soddisfare questa domanda con nuovi prestiti senza do ver
fare i conti con i limiti che potrebbero derivare da riserve inadeguate. La conseguente
crescita della spesa da parte di famiglie e imprese potrebbe inizialmente essere benvenuta, ma presto potrebbe trasformarsi in
una sgradita fonte di inflazione. La Fed potrebbe limitare i prestiti che producono inflazione aumentando il tasso di interesse
sulle riserve eccedentarie o usando le operazioni di mercato aperto per accrescere il tasso di interesse interbancario a breve.
Ma la Fed potrebbe esitare ad agire, o agire
con forza insufficiente, per via del suo duplice mandato che le impone di provvedere alla
stabilità dei prezzi ma anche all'occupazione. Un esito delgenere è più probabile qualora dovessero persistere, anche in presenza di
un aumento del tasso di inflazione, livelli di
disoccupazione di lungo periodo e sottoccupazione elevati. È per questo motivo che gli
investitori hanno ragione a temere un eventuale ritorno dell'inflazione.
(Traduzione di Fabio Galimberti)
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