Dialettica dell`illuminismo (1947), scritta in collaborazione con

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Dialettica dell'illuminismo (1947), scritta in collaborazione con Horkheimer, tenta di tracciare una genesi
ideale dell'Aufklarung, della razionalità-civiltà. La ragione, fin dal suo remoto delinearsi storico, si intreccia
con il dominio; la sua funzione liberante viene sempre più soffocata da un totalitarismo che, nelle società
borghesi, si esprime direttamente (come fascismo) e indirettamente (come integrazione ferrea). Il tema,
secondo un'altra angolatura, è affrontato nella ricerca sulla Personalità autoritaria (1950), diretta da
Adorno nel periodo dell'esilio americano, e rivolta a individuare quali predisposizioni al razzismo,
all'autoritarismo e perfino al fascismo, si nascondessero nella società statunitense. In questa situazione
drammatica, l'unica via possibile e praticabile per la filosofia è quella della riflessione privata, che ha il
compito di disturbare, più che di consolare. Questo implica che le cose siano considerate ' come si
presenterebbero dal punto di vista della redenzione ', cioè del loro riscatto dalla negatività presente. In
questo panorama, la funzione determinante entro il pensiero dialettico viene rivestita dalla negazione :
questo è il tema portante dello scritto più complesso sul piano teorico di Adorno, la Dialettica negativa . La
dialettica di Hegel, per Adorno, è mistificata perchè considera il finito e il negativo come un momento
meramente provvisorio, destinato a dissolversi nell'accostamento conciliatore finale e nella riconquistata
identità di soggetto e oggetto, di razionale e reale. Essa commette lo stesso errore del pensiero
tradizionale, che considera come proprio fine l'identità, la riduzione dell'altro e del diverso all'uguale.
Intendendo la negazione come lo strumento per l'instaurazione del positivo, Hegel attribuiva alla negazione
stessa un carattere affermativo, ma questo equivale ad introdurre un'identità tra negazione ed
affermazione, cioè un principio formale antidialettico (l'identità) nel bel mezzo della dialettica stessa.
Questo vuol dire, ad avviso di adorno, porre come elemento decisivo uno stato pacificato, non più
antagonistico e, di conseguenza, instaurare una logica del dominio, legittimando l'esistente. Si tratta
dunque di liberare la dialettica da questo carattere affermativo e di riconoscere che il momento positivo
non è un risultato, ma solo la negazione determinata , cioè la critica. Marx aveva considerato la filosofia, in
quanto speculazione contenta di sè, superata dalla prassi destinata invece a trasformare la realtà. Per
Adorno questa trasformazione non è avvenuta, cosicchè la prassi oggi non è più l'istanza contraria alla
filosofia: questa, anzi, continua a mantenersi in vita, ma non come contemplazione, bensì sotto forma di
critica. L'esistenza di Auschwitz e dei campi di sterminio nazisti dimostrano che la cultura non è riuscita a
cambiare gli uomini; dopo Auschwitz bisogna, dunque, ribellarsi ad ogni affermazione della positività
dell'esistenza. La dialettica, in quanto coscienza della non identità e dell'alterità, deve allora lasciar vivere le
contraddizioni, passando indenne dalle ammalianti sirene di una loro conciliazione e sintesi metafisica. La
realtà non è come deve essere e così il compito dei filosofi, che si trovino nella fortunata condizione di non
adattarsi del tutto alle norme in vigore, è di esprimere, in rappresentanza dei più, quel che questi, a causa
delle costrizioni sociali, non sono in grado di scorgere, oppure, per realismo, si rifiutano di vedere.
Contrariamente alla tesi fondamentale dell'intera filosofia tradizionale, da Platone in avanti, per la quale il
criterio del vero è dato dalla comunicabilità immediata a tutti e, quindi, dalla trasmissibilità di quel che è già
conosciuto come se si trattasse di un fatto, Adorno asserisce che la conoscenza non possiede del tutto
nessuno dei suoi oggetti, ma sempre solamente frammenti parziali di una realtà incompiuta e che,
pertanto, il pensiero critico consiste soltanto in ' bottiglie gettate in mare 'per futuri destinatari ancora
ignoti. Anche Adorno intende salvaguardare la contingenza e la libertà del soggetto: un'umanità liberata, a
suo parere, non sarebbe per niente una totalità . Nella misura in cui, però, la società attuale non è libera, la
totalità diventa uno strumento concettuale necessario per carpirne le contraddizioni. A partire da questo
punto è nato un dibattito nella Germania degli anni '60 sul metodo della sociologia, in cui sono intervenuti,
tra i tanti, Adorno e Popper. Contro il culto dei fatti proprio del positivismo e della sociologia empirica,
Adorno ribadisce che i fatti sono risultati di processi storici, cosicchè nessun fenomeno sociale può essere
colto nel suo significato se ci si limita alla sua descrizione e non si fa riferimento al sistema della società
nella sua totalità. Questo non vuol dire che questa totalità sia a sua volta descrivibile, una volta per tutte,
nella globalità dei suoi aspetti e tratti particolari; essa può essere conosciuta solo nella misura in cui si
manifesta nei fatti particolari. Sotto questo profilo, i fatti non sono identici alla totalità, ma la totalità non
esiste al di là dei fatti. La pretesa che esista un metodo del tutto obiettivo, senza riferimento ai valori, è per
Adorno del tutto illusoria: di fatto, date le contraddizioni presenti nella realtà storica, nessun metodo può
essere in modo perfetto adeguato al suo oggetto: ' l'idea di verità scientifica non può essere scissa da quella
di società vera ' asserisce Adorno. In questa situazione, l'unica fioca speranza è offerta dall' arte , nella
misura in cui essa riesce ad armonizzare forme e contenuti, elementi soggettivi e oggettivi. L'arte e la
cultura, secondo Adorno, non sono riducibili ad un mero riflesso o rispecchiamento ideologico di classe, ma
non per questo costituiscono sfere separate dalla società. La creazione artistica, infatti, non è meramente
individuale, ma esprime tendenze sociali oggettive che l'autore stesso non sente profondamente; ma finchè
la realtà oggettiva è contradditoria, la conciliazione delle contraddizioni sul piano estetico è sempre
insufficiente. L'armonia realizzata sul piano artistico deve, dunque, sempre contenere un elemento di
protesta nei confronti della realtà esistente e una dimensione utopica, come 'promessa di felicità' futura,
secondo un detto di Stendhal, scrittore particolarmente caro agli autori della scuola di Francoforte. Tra le
arti, quella meno caratterizzata da contenuti rappresentativi è la musica , la quale appare dunque, agli
occhi di Adorno, come la più idonea ad esprimere, nella sua indeterminatezza, quel che è altro rispetto alla
situazione presente. Molta musica è però ridotta a pura merce e oggetto di consumo; essa, come parecchie
forme di cultura popolare, compreso il jazz, avversato da Adorno, contribuisce al rafforzamento degli
atteggiamenti conformistici e assolve ad una mansione meramente ideologica di evasione ed
emancipazione illusoria della realtà. Nell'industria culturale e nella riproducibilità delle opere d'arte, come
nel cinema e nella fotografia, Adorno non ravvisa alcun potenziale rivoluzionario. Sono invece le
avanguardie artistiche, in particolar modo la musica atonale dodecafonica di Schönberg, ad esprimere il
rifiuto di scendere a compromessi con i dissapori e le contraddizioni, che rimangono irrisolte nella realtà.
Con la sua Teoria estetica Adorno attribuisce all'arte un ruolo di contestazione della società esistente; l'arte
contemporanea, sottraendosi ai canoni classici della bellezza, raffigurerebbe in pieno le disarmonie e
l'infelicità della società, favorendo il sorgere della speranza in un'armonia del mondo.
Dialettica negativa: Bersagli di Adorno sono le filosofie forti, pene di solide pretese di incontrovertibilità:
tradizione dalla filosofia idealistica tedesca e Heideggar, restauratore dell’ontologia e contro la filosofia
scientifica-analitica sviluppatasi negli anni 50. L’arroganza del pensiero identitario, principale bersaglio di
Adorno, lascia il posto a quella che senza forzature si potrebbe definire coscienza del limite e della
precarietà del pensiero filosofico, sensibile all’autocritica del concetto. Il dispositivo teorico adorniano si
fonda sulla volontà di fondere intrinsecamente la critica delle categorie filosofiche con la critica della
società, la decostruzione del pensiero d’identità con lo svelamento di rapporti di dominio. “Si dovrebbe
cominciare dal concetto, non dalla mera datità”: nel cuore della struttura categoriale ce costituisce la trama
su cui si tesse ogni nostro pensiero, giudizio, asserzione, proprio al centro del logos A colloca la categoria
dell’identità. Non c’è pensiero che non presupponga identità. Così non vi è neppure giudizio senza verità o
una sua pretesa. L’idea di verità dunque costituisce una dimensione di quel tessuto categoriale che
sottende ogni nostro attuale pensare e giudicare. Identità, concetto e verità, oltre tutto il sistema di
categorie, hanno una forza di resistenza della quale possiamo accertarci. La critica del concetto non può
che avvalersi proprio che di concetti, la negazione dell’idea di verità pretende di essere una vera negazione,
la critica dell’identità è possibile perché la identifica così.
La metafisica connette due dimensioni: struttura categoriale inaggirabile e sottratta al divenire, e quella del
mondo fenomenico molteplice, corruttibile, che solo grazie al concetto, alla struttura categoriale, può
essere pensato e ordinato. Tale filosofia è idealismo perché l’elemento che viene posto come Primo o come
vero è necessariamente concetto, quindi è consequenziale pensare che il concetto o lo spirito vengano
spacciati come l’unica vera realtà.
La dialettica mette a frutto l’antitesi per penetrare più a fondo nella cosa stessa. La critica alla metafisica va
verso la decostruzione della pretesa della tradizione di affibbiare al concetto dei caratteri che esso non ha:
elemento primo, a priori, categoriale. Rimanda in realtà a un derivato: l’essere non si pensa senza l’ente, la
forma senza materia, il concetto senza ciò a cui si riferisce. La dialettica è consapevolezza che ogni
momento è in sé mediato, che si costituisce nella sua natura più intrinseca attraverso il rimando all’altro, a
ciò che esso non è. La dialettica mostra come il singolo elemento sia contraddittorio in quanto pretenda di
isolarsi dalle sue meditazioni. La consapevolezza della mediazione ci porta oltre Hegel: se l’elemento
categoriale, sovraordinato dipende per il suo stesso costituirsi dalla materia, dal contenuto, dal mutevole,
anche la pretesa della sua fissità, intrascendibilità deve cadere.
La mediazione tra elemento empirico e quello categoriale è asimmetrica. “L’oggetto può essere pensato
solo dal soggetto, ma rimane sempre un Altro”. Se il soggetto è impensabile senza l’oggetto solo
idealmente, l’oggetto senza il soggetto invece sì. È per questo che l’oggetto ha un primato, che è un
momento del percorso dialettico.
È necessario studiare tutte le possibili mediazioni che soggetto e oggetto possono attuare. Ma la tradizione
filosofica ha ipostatizzato la mediazione soggettiva sebbene il soggetto non c’è se non è costituto
attraverso un processo oggettivo delle sue mediazioni. Secondo Hegel i concetti non sono pensabili senza
linguaggio, né il linguaggio senza società. L’apparato categoriale è in un certo senso qualcosa di
storicamente divenuto.
Esaminando la teoria della conoscenza dell’idealismo tedesco, Adorno giunge a elaborare una prospettiva
che si avvicina all’epistemologia post-positivistica della complessità: mente e realtà, uomo e mondo si
costituiscono reciprocamente. La riflessione sul processo di costituzione del linguaggio è qualcosa che
residua alle spalle della teoria come un alcunché di cui essa non dispone, e che perciò la costringe a
prendere coscienza del suo limite.
Ma dentro quale rapporto natura-società si costituiscono le categorie con le quali pensiamo la natura e la
società? In Dialettica dell’Illuminismo - in stretta continuità con DN - riporta la tesi secondo cui gli apparati
categoriali (identità/differenza, concetto/classificazioni, principio di causalità,…) debbano soddisfare
l’imprescindibile esigenza di consentire agli uomini di dominare la natura per sopravvivere in essa, se non
avessero funzionato in questo senso non ci sarebbe la specie e neanche noi saremmo qui a parlare. La
cooperazione sociale si sa si è data sempre nelle forme di dominio e dell’antagonismo, ne consegue
“un’esistenza materiale peggiore” come scrive Horkheimer. Il dominio e l’antagonismo degli uomini è
supportato dalla sola ipotesi per cui il dominio umano sia stato necessario per consentire il dominio sulla
natura e l’autoconservazione della società. Se la riproduzione della società attraverso l’antagonismo sia
stata un’assoluta necessità storica oppure no è questione che bisogna lasciare aperta. Per A bisogna
contemplare ipotesi quali il dominio sociale è il frutto di uno sviluppo contingente, che avrebbe anche
potuto essere diverso o una sorta di eredità ricevuta dalla storia naturale che la storia degli uomini ha
continuato a trascinarsi dietro. Ciò che non rimane ipotetico è il binomio dominio-antagonismo che ha
caratterizzato la storia umana, in cui protagonista è la lotta darwiniana per l’esistenza.
La società è ragione in quanto tramite le leggi della sua universale connessione funzionale si conserva la
vita di tutti, è antiragione perché la si conserva al prezzo della dipendenza da una legge estranea, della
perpetua riproduzione del privilegio, dell’antagonismo che cova sempre dentro di sé il germe della
catastrofe, della ricaduta nelle barbarie e nella violenza cieca. Tale antagonismo si riverbera nelle antinomie
della filosofia e della teoria della conoscenza. Il soggetto trascendentale si decifra come la società
inconsapevole di se stessa. La ragione nasce socialmente nel rapporto tra gli uomini e si ipostatizza perché
questo rapporto è contraddittorio. La società è il terreno della ragione ma anche la sua negazione. Non si
può pretendere di identificare realtà e ragione, in germe in Kant ed esplicito in Hegel. Identificando realtà e
ragione si afferma che così dovrebbe essere ma non è. L’ipostasi del logos separato dagli uomini reali
tradisce l’arcano che la vita degli uomini reali non è ancora conforme a ragione, che universale e particolare
non sono conciliati.
In conformità con il pensiero hegeliano, quello di A è dialettico. Mostra la determinazione separata incorre
in contraddizioni. La ragione si costituisce come momento di totalità sociale antagonista, la totalità è
lacerata dalla contraddizione: la ragione resta limitata e parziale perché non si attua nel mondo sociale e a
società resta inadeguata l suo concetto perché non si lascia compenetrare dalla ragione. La dialettica è
negativa perché ha la consapevolezza che anche l’intero che sviluppa negando l’autosussistenza delle
determinazioni particolari è ancora in non vero. Recuperando la tematica kantiana dell’idea, intesa come
segno negativo, la dialettica adorniana rifiuta di porre la conciliazione come realizzata e giunge a formulare
una conclusione negativa. La dialettica negativa resta operazione critico-discorsiva, non trapassa in
metafisica o ontologia.
La dialettica di A è anche negativa nel senso per cui questa negazione si riverbera come autocritica sulla
dialettica stessa. Afferma la contraddittorietà e la non razionalità della realtà data, solleva una pretesa di
verità. Come giudicare lo statuto di verità di tale dialettica? La verità per A o meglio quella filosofica ha un
nocciolo temporale e un significato critico: non c’è verità al di fuori del compimento stringente di ogni
determinato passaggio dialettico, non c’è verità che non sia negazione determinata. Ogni punto d’approdo
del procedimento dialettico solleva per sé un’incondizionata pretesa di verità, che non resiste alla critica. La
critica adorniana della realtà data è una critica che si avvale della sua stessa pretesa di logicità e razionalità
per ritorcerla contro: lavora con lo stesso con lo stesso apparato categoriale del pensiero identitario che
sottopone a critica. La dialettica negativa si avvale dello stesso apparato categoriale che è oggetto della sua
critica. Resta falsa legata alla logica dell’identità. Resta legata a strutture intessute di storia, dominio sulla
natura degli uomini, di antagonismo. Il compito del pensiero è quello di articolare la critica, non di dar voce
a un positivo che non è ancora dato. La conciliazione che il pensiero non può positivamente determinare e
che l’arte fa balenare “sprigionerebbe il non identico…aprirebbe per la prima volta molteplicità del
diverso”.
L’uomo sarà libero quando troverà una forma di riconciliazione con la natura stessa. (DIALETTICA DI
ADORNO: VERITA’= non essere; ESSERE= non verità).
Nell’introduzione a Dialettica negativa, Adorno ha evidenziato come l’Illuminismo si trasformi in
mito,cioè in un’affabulazione della realtà che pretende di poterla spiegare nella sua totalità:
questo movimento storico volle infatti emancipare ogni individuo dalla superstizione e riportare
tutto alla ratio, senza alcuna residualità. Analogamente, l’impianto sistematico di Hegel ha il
medesimo intento totalizzante, che non concede che alcun aspetto della realtà resti fuori di esso.
Introduzione:
Sulla possibilità della filosofia
La dialettica non è un punto di vista
La realtà è la dialettica
L’interesse della filosofia
L’interesse della filosofia
L’intero antagonista
Il disincanto del concetto
“Infinità”
L’esposizione
La posizione rispetto al sistema
L’idealismo come furia
L’ambivalenza del sistema
Il sistema antinomico
L’argomento e l’esperienza
Quel che suscita le vertigini
La fragilità del vero
Contro il relativismo
La dialettica e il costante
Il privilegio dell’esperienza
Il momento qualitativo della razionalità
La qualità e l’individuo
La contenutisticità e il metodo
L’esistenzialismo
La cosa, il linguaggio, la storia
La tradizione e la conoscenza
La retorica
“Negativo è ciò che resta quando i conti non tornano pienamente”. Due connessioni:
1- Il problema è tale residualità microscopica, che dà la possibilità di un’uscita (dialettica). Se c’è
una realtà, questa deve essere residuale rispetto al pensiero: eteromorfismo realtà/pensiero;
2- Allora il negativo è un ostacolo in senso dialettico. La dialettica non è un processo di
contrapposizione tra A e B, volta all’annientamento di A: è piuttosto negazione determinata del
limite di A. L’antitesi non è data tanto da B, quanto piuttosto da
A.
• Qui il pensiero dialettico si definisce in relazione al suo intrinseco carattere di moto: esso è
pensiero in movimento, movimento della realtà.
• Ecco spiegata la ragione per cui va evitato un approccio che miri ad incasellare la realtà
in griglie concettuali precostituite. Qui si vuole mostrare la fluidità del pensiero. La dύνaµις
dialettica (in Adorno e in Hegel) è il carattere costitutivo par excellence del pensiero.
Punto di intersezione tra Teoria estetica e Dialettica negativa: relazione tra soggetto e
oggetto.
Teoria estetica: l’inattualità di Teoria estetica deriva dal compito che si era prefisso il suo autore, ossia
pensare l’opera d’arte dall’interno spingendola al concetto pur sapendo che essa è qualcosa di altro dal
concetto. Pensare l’opera d’arte tenendo fermo che c’è una parte di essa che si rifiuta alla riflessività e alla
mediazione. Pensare l’arte nella complessa fenomenicità delle sue manifestazioni storiche, sapendo che
l’opera d’arte è anche pezzo di natura che persiste e resiste al furore della mediazione fine a se stessa,
tutto riducendo a valore di scambio il mondo delle merci. Pensare l’opera d’arte come merce assoluta che
nega se stessa, come cosa che si rifiuta alla reificazione. Pensare il negativo che si mostra come il vero e
proprio interno dell’opera d’arte contemporanea, secondo quanto esibito nei sui momenti più alti, meno
consolatori senza consegnarlo a un’ontologia edificante, ma cogliendovi piuttosto l’attestazione oggettiva
che il circolo dell’effettualità non è perfetto. Qui A tenta un analogon in filosofia di quella che aveva
chiamato nuova musica. Penetrando entro una dialettica che non conosce sintesi e conciliazione ma solo
negazioni determinate. Come l’unità dell’opera d’arte si rilevava, all’analisi di un pensiero conseguente, un
equilibrio instabile tiene insieme materiali e dimensioni eterogenee, l’idea di uno sviluppo coerente mi
mostra poco a poco più che una fittizia illusione del fruitore ingenuo, di pari passo va la sua analitica
interrogazione, in cerca di costellazioni di senso tra momenti reciprocamente irriducibili, non sopportava
più la logica del prima e del poi e ancor meno l’unitarietà di un tema da sviluppare. La dialettica negativa in
TE si esibisce in re, trovano delle difficoltà nell’esprimerla adotta la scrittura paratattica. Questa è una
conseguenza della necessità di cogliere in sé dell’opera d’arte come oggetto che contiene la società e la
complessione storica, nel momento in cui esplodono e implodono le categorie estetiche contemporanee
(soprattutto coppie oppositive che conoscono la conciliazione nell’opera d’arte). Categorie come forma e
contenuto, unità dell’opera e pluralità dei materiali, tecnica costruttiva ed espressione, apparenza esttica e
contenuto di verità.
Nel territorio della filosofia A vede l’impossibilità di un lavoro con carattere di inizio radicale nel senso del
fondamento o dell’apriori sia in quello dell’immediatezza. Fino alla metà degli anni ’30 Adorno intende
l’estetica come lo spazio decisivo in cui mettere in gioco la potenza fisica del pensiero filosofico, in quanto è
proprio in tale spazio che il nodo del rapporto tra immediatezza e mediazione si stringe nella forma di una
reciproca negatività. La mediatezza densa di determinazioni concettuali che caratterizza la vita percettiva
fino alla tessitura storico-sociale rede impossibile una descrizione dei caratteri dell’esperienza in modo
fenomenologicamente “pura”. Qualcosa di analogo avviene nella considerazione dell’opera di arte come un
pezzo di storia naturale o di natura storica dove i due termini emergono polemicamente nel legame
estetico che li congiunge. Lo spazio estetico scaturisce dal primato dell’oggetto, quindi dall’interno delle
mediazioni e della riflessività di ogni opera d’arte e in particolare di quella consapevole della crisi moderna.
Le opere d’arte fanno quanto la natura vorrebbe ma si mostra impotente a fare: aprono gli occhi. Il termine
estetica va inteso nella sua forza letterale, indice di quello spazio tanto dell’esperienza quanto del concetto
in cui le tradizionali categorie estetico-filosofiche si mostrano in una interrelazione dialetticamnete
sovversiva di ogni possibilità sa di definire una qualche essenza dell’arte si adi imboccare la scorciatoia del
circolo crociano tra tradizione ed espressione. Adorno si allontana dall’ontologismo heideggeriano,
ermeneutica gadameriana, formalismo strutturalista, critica dell’ideologia hegela-marxista propria di
Lukàcs. Alla nozione di Heideggar di arte come messa in opera della verità, Adorno oppone l’arte messa in
opera dell’apparnza e solo in questa sfera, e nella dialettica storicamente determinata tra società e natura
che la costitutuisce, si può cogliere nell’opera un contenuto di verità, che non riguarda il linguaggio, ma
quanto a linguaggio si sottrae: ostinato mutismo dell’opera in cui risiede il carattere enigmatico dl suo
paradossale carattere di “cosa”. La verità dell’opera consiste nel suo puro mostrarsi e in quel carattere
“senza espressione” che nega una sua risolutiva traduzione nell’orizzonte della linguisticità e
del’espressività, facendo così toccare al pensiero le intime aporie dell’aisthesis, della presa percettiva. Tale
idea viene ripresa dal saggio giovanile di Benjamn “Affinità elettive”: al pari della bellezza, l’opera d’arte
òascia intndere il suo contenuto di verità nello spegnersi dell’apparenza di cui vive, in tale spegnersi affiora
quel senza espressione che decreta la morte di ogni intuizione. L’enigmaticità dell’opera d’arte così viene a
coincidere con il suo carattere di maschera mortuaria.
L’opera incompiuta di Adorno è caratterizzata da due elementi connessi tra loro: dialettica della mimesis e
atematismo. Può essere letta oggi come esito o punto di partenza. Come esito dela teoria critica, di quella
diagnosi del moderno delineata nella Dialettica dell’Illuminismo, o come punto di partenza, come inizio di
una riflessione post-dialettica (dopo che la dialettica si è mostrata come dialettica negativa) sul rapporto tra
razionale ed estetico, tra ratio e mimesis. L’andamento dell’opera paratattico trasforma in direzione
dell’atematismo il territorio tematico costituito dall’opera d’arte. Nel legame tra l’unità tematica dell’opera
e il su paradossale sviluppo analitico Adorno mette alla prova il senso della teoria e il suo carattere estetico.
Innescando una dialettica autoriflessiva all’interno dell’opera d’arte, il pensiero estetico di Adorno agisce in
un senso dissolutivo del suo oggetto più che in un senso finalisticamente ricostruttivo. Non come un
procedere del pensiero verso l’opera d’arte e il suo contenuto di verità, bendì come un movimento
eccentrico da essa, quasi nella forma musicale di una fuga. L’opera d’arte si configura più come un campo di
forze del quale si deve attivare una determinata polarità che genera tensione tra gi elementi dell’opera.
Adorno così intende lo spirito dell’opera. Ma si manifesta interamente nelle modalità di un processo in cui
essa si rivolge dissolvendosi; “lo spirito dell’opera è processo e dunque è l’opera d’arte”. Mimesi e
razionalità, costruzione ed espressione, apparenza e verità, tecnica e natura sono alcune delle polarità,
analizzando le quali Adorno dissolve l’unità tematica dell’opera d’arte per curvare il senso stesso del suo
lavoro verso l’atematismo, segnando il trapasso dell’opera d’arte come forma e costruzione nella questone
dell’esperienza e del suo naturalismo. L’argine di una teoria delle idee è eroso in Adorno fino a
negativizzarvisi radicalmente, e il pensiero deve muoversi in esso come teso all’interno di una doppia
neatività: quella dell’idea di natura e quella dell’idea di conciliazione. Da ciò deriva tanto il carattere
negativo della dialettica quanto la stessa ou-topicità dell’arte. L’opera d’arte, in quanto mimesi di se stessa,
è mimesi e ripetizione della propria negatività: perfettamente ou-topica nel fallimento che la necessita. Ma
arrestarsi all’argomento dell’opera d’arte come ou-topica negativa, significa ancora permanere nel
territorio tematico di Teoria estetica e rinunciare a cogliere i momento stesso della sua dissoluzione e il
senso stesso in cui di fa teoria. Realizza l’atematismo filosofico in una dialettica all’aisthesis e in quella
relazione autoriflessiva con la percezione, il concetto e il suo altro nella quale si costituisce l’esperienza.
L’aporia dell’estetico consiste nell’impiego da parte di Adorno del termine “estetica” come equivalente di
una riflessione filosofica sull’arte: riflessione sul diritto dell’arte a continuare ad esistere, messa in
questione del suo contenuto di verità e questione stessa della manifestazione dello spirito. Si deve
focalizzare i presupposti critico-cognitivi e quindi estetico-percettivi della questione dell’opera d’arte. Il
senso dell’opus adorniano s rivela come un movimento atematizzante che dalla dialettica interna all’opera
d’arte conduce alla quasi cecità della teoria e al nodo aporetico dell’aisthesis. Il senso dell’opera adorniana
si potrebbe riassumere dalla diaporetica dell’unità enigmatica dell’opera d’arte all’aporetica della
percezione. Nel fronteggiarsi, ratio e mimesis, Adorno interroga in un senso trascendentale la stessa
possibilità di coscienza. La scissione immanente alla sintesi della coscienza, la sua revoca interna in una
protodialettica negativa che assume il volto della mimesis, è quella implicita dell’aisthesis. Adorno osserva
come il comportamneto estetico, con il nodo problematico del carattere di soglia della sensazione in esso
contenuto, non possa essere ridotto a qualcosa di completamente residuale: a un brivido arcaico, a residuo
di un’esperienza arcaica. La non residualità dell’estetico sarebbe attestata nell’arte come memento di
quanto da tempi immemorabili la civilizzazzione ha brutalmente tagliato via, ha soffocato assieme alal
sofferenza degli uomoni per ciò che è stato loro estorto. È in questione l’estetico come strato-soglia tra
identico e non-identico nella cui connessione si costituisce la stessa esperienza: uno strato strutturalmente
e letteralmente bio-logico, nel seno che qui si può intendere la cesura del logos rispetto alla naturale
immediatezza del bios. Nella persistenza del mimetico sia attesta che non tutto è soltanto techne. C’è
mimesi slo in relazione all’alterità. Esiste una differenza-distanza dal puro ri-produrre, che è più questione
dell’autonomia della techne che nella mimesis. È proprio nell’arte come techne dell’irriproducibile che si
mostra in aporetica unità il rapporto fra techne e mimesis. Bisogna cogliere la tensione tra ciò che è
indefinibile e la mimesis, nel momento in cui si sottolinea la non intenzionalità dello spirito dell’opera
d’arte. Alla luce del rapporto mimesis/non identico si chiarisce la stessa idea di affinità come implicante una
dialettica tra spirito e natura. L’opera d’arte è “cosa che nega il mondo cosale”, nega se stessa per
rammemorare il brivido che la potenza della cosa in sé ha lasciato come traccia dell’esperienza. Del bello
possiamo osservare che il carattere d’apparenza, che ha che fare con il terribile, è tutto interno all’aishesis:
è immagine che ce lo rende sopportabile sostituendo il suo sottrarsi, misurando apparentemente la sua
commensurabilità. Nell’ineliminabile distanza tra la mimesis negativa all’origine del fare artistico e la
necessaria dimensione tecnico-produttiva del suo procedere che l’opera d’arte si fa memoria di questa
stessa distanza. L’arte si fa critica immanente della schizofrenia di una razionalità “tecnica” amusicae,
immemore. La “teoria estetica” è il tentativo di convertire in paradosso questa cecità: di attraversarne
dialetticamente la soglia.
Mappa concettuale: l’ambizione sistematica dell’opera è quella di attraversare l’intero territorio di
problemi estetici, che fanno sistema di per sé. In Scienza della logica (Hegel, dialettica positiva) era la
ragione nella sua affermativa auto-identità ciò da cui doveva emergere la tessitura dialettica della realtà. In
Adorno tale tessitura affiora in virtù dell’antitesi ineliminabile tra il pensiero e ciò a cui esso si volge, nella
misura in cui quest’ultimo, non s risolve senza residui nel pensiero stesso a causa della propria irriducibile
eterogeneità, della propria negatività. Ciò che nella logica di una dialettica affermativa è esclusivamente
problema di logos, diventa per una logica dialettica negativa problema dell’aisthesis. Come Hegel parte
dalla categoria dell’essere, la negatività della dialettica adorniana lo induce a partire dalla concretezza
effettuale dell’estetico: la realtà sociale dell’arte all’altezza storica di Teoria estetica con cui si apre e si
chiude il testo. Il campo dell’estetico e dell’arte è per Adorno del tutto eterogeneo rispetto al concetto
determinato e alla pura discorsività. La presunzione di una logica seconda alternativa a quella della
concettualità discorsiva, rappresenta il momento più alto della proposta consegnata a Teoria estetica.
Adrno si interroga sullo statuto dell’opera d’arte. Fulcro della descrizione adorniana è la sua peculiarità
come cosa oggettiva. L’opera d’arte è cosa oggettiva in quanto irradia e scandisce a partire da sé le misure
della propria necessià. A rendere riuscita una creazione artistica non è pertanto la conformità a contenuti
esterni rispetto all’opera d’arte, si tratti di elementi obiettivi fattuali, di elementi ideali e concettuali o di
elementi mentali. L’opera d’arte come un magnete istituisce un campo di forze in sé conchiuso, una
monade ove viene meno la contrapposizione tra soggetto e oggetto che vige nella conoscenza. Nell’opera
d’arte sussiste una immediatezza che è di necessità mediata. Ci sono forze cooperatrici e in tensione
nell’opera che agisce come campo di tensioni. L’arte, luogo di un divenire e non dell’essere, rivela
l’insufficienza di tutte le categorie di analisi e di critica che arrestano la dinamicità delle componenti.
Conflitti, uti, dissidi, discrasie sono l’opera d’arte. L’opera è dominata da una logica conflittuale che agisce
nella costituzione dell’opera prima di qualsiasi considerazione ideologica su di essa.
La configurazione dell’opera d’arte si svolge secondo una sorta di procedimento deduttivo. Il suo fulcro è il
principio di concordanza delle varie parti dell’opera d’arte in base al quale ogni momento presente
nell’intero deve scaturire dagli altri, anzi deve essere richiesto dagli altri. Le parti nell’intero sono connesse
da un nesso che emerge dai materiali stessi di cui l’opera si compone. Il senso proprio di materia concreta,
anche nel senso di materia trattata che ne costituisce l’argomento. La configurazione di ali materiali è
instaurare una costellazione di centri di tensione da cui scaturisca il “dire” dell’opera. La manifestazione
diventa concetto cardine all’interno dell’opera, indica la paradossale unità, in una creazione, tra ciò che è
fuggevole e ciò che è conservato. La radicale gratuità della manifestazione diventa l’unica pretesa
praticabile contro il mondo totalmente ammirato.
La manifestatività rende l’arte rifugio estremo della natura non asservita allo sfruttamento razionale
borghese. Ogni opera d’arte riproduce l’apparire di un ente che si profila al di fuori del nesso della
dominazione. Imita la natura naturans, non già ritagli di natura naturata. Adorno vede nell’arte il
salvataggio dell’apparenza e della natura conseguito in forza di dinamiche del tutto estranee a quelle di
conoscenza in forza di dinamiche del tutto estranee a quelle della conoscenza soggettivamente connotata.
La natura come l’opera d’arte detta il passo dell’esperienza anche al soggetto, che resta componente
essenziale per la realtà dell’arte, e ignorarlo significherebbe incorrere nelle trappole del formalismo. La
soggettualità estetica va studiata sotto due profili: occorre rilevare che la mediazione soggettiva è
indispensabile per la manifestazione della cosa oggettiva (opera d’arte) che si manifesta come creazione.
L’opera d’arte è un divenire che sollecita componenti soggettuali collocate al di là della volontà
consapevole dell’artista, efficaci perché soggettuali. Seconda cosa: è come soggetto dell’esperienza estetica
che va colta l’opera d’arte stessa, nel suo essere il centro d irradiazione della logica immanente che la
governa, e la fonte del “dire” che investe il fruitore. Come la natura, l’arte comporta una manifestazione
che ha carattere di trascendenza. Dice di più di quel che è, pur in assenza di una realtà a cui possa rinviare
la trascendenza della stessa manifestazione. L’opera d’arte è meno del reale, poiché ha solo il carattere del
possibile; è però anche più del reale, attestando tale possibilità. In una creazione artistica l’apparenza viene
determinata per se stessa: è apparition. Vi è una fatale reificazione che deriva dalla necessaria incarnazione
dell’opera, che rimane tesa a far valere l’apparenza nella sua contingenza, arrestandola sulla soglia della
reificazione compiuta, della liquidazione della sua irrealtà. L’opera vive del dissidio inappianabile tra
salvaguardia dell’irrealtà e la negazione di essa, ossia tra un’apparenza che non si è ancora in nessuna
sostanzialità effettiva e il manifestarsi di tale apparenza sempre solo in una concreta configurazione.
L’opera risulta un tessuto caleidoscopico di conflitti e frizioni tra componenti eterogenee che hanno il solo
denominatore comune nel configurarsi della creazione artistica. La natura della configurazione è
intrinsecamente dialettica, e le istanze che risultano efficaci nella concretezza artistica sono sempre coppie
antinomiche. Tra tali copie antinomiche spicca quella che ha i suoi termini in mimesi e costruzione. L’opera
d’arte è costruzione nella misura in cui è un’articolazione che si svolge secondo un piano di sviluppo
rintracciabile che guida l’intessersi dei procedimenti tecnici. L’opera possiede una natura eminentemente
mimetica. Il volto costruito delle opere d’arte dice se stesso nella propria trascendenza rispetto a ogni
contenuto saputo e consaputo, proprio come fa il volto di qualcosa di primitivamente naturale. Per questo
Adorno approfondisce il nesso tra arte e mito, e si addentra in un esame critico delle teorie relative
all’origine dell’arte, individuando nel comportamento mimetico una sorta di riserva antropologica di senso
che trova ancora nell’arte la propria incarnazione residuale. Ogni creazione artistica ha un conflitto tellurico
tra necessità della configurazione ed eterogeneità di quanto viene configurato. Una forbice tra razionalità
(eterogeneo prevale in una brutale immediatezza diventa preda di facili razionalizzazzioni positive o di esili
nell’irrazionalità). Tale forbice tra razionalità e mimetismo delimita il campo magnetico dell’opera d’arte,
condannata a n precario ma felice equilibrio tra rispetto della fugacità irreificabile e obbiettivazione
reificante. Solo come cosa l’opera d’arte è più che una cosa tra cose.
Emerge così il carattere ancipite dell’opera d’arte: da un lato fatto sociale, costrutto eteronomo poiché
socialmente determinati, tuttavia tale costrutto è innervato da un inestinguibile istanza di autonomia. Solo
dove i due poli non vengono scissi si instaura la relazione conflittuale tra le due funzioni che rendono l’arte
anfibia. La natura sociale dell’arte si deve attribuire al suo appartenere all’insieme delle forme di
declinazione della dialettica tra forze produttive e rapporti di produzione sottesa a ogni produzione umana
in quanto storica. Nell’arte le forze produttive all’opera, rispondendo a una logica non discorsiva
immanente, esercitano di fatto una critica dell’assetto vigente del mondo sociale, attestando una possibilità
di configurazione e di concordanza che non deriva dagli assunti della positività della ragione affermativa. La
creazione artistica è una monade che rappresenta il processo sociale a cui sono soggiogate le opere d’arte
esclusivamente nella propria tessitura interna.
L’opera d’arte rivela l’inestricabile carattere d‘enigma che la connota. L’enigmaticità è la risultante della
coefficienza di mimesi e razionalità. Queste ultime, nel loro rapporto, si innervano l’un l’altra, rendendo
inesplicabile ciò che ne scaturisce. Con l’insufficienza della sola razionalità e della sola mimesi, viene
rivelata anche l’insufficienza della sola identità e della sola alterità, e dunque smascherata la parzialità della
ragione illuministica presa per sé e assolutizzata. Il carattere d’enigma risiede nel volto interrogativo che
l’opera d’arte rivolge a chi si pone in relazione con essa. Volto negativo va inteso nella duplice accezione di
n volto che si presenta come un linguaggio, come una domanda, come un’intonazione, e di questa che si
presenta quasi come un’immagine. Saper stare tra paralinguisticità e la para-iconicità dell’opera d’arte è la
virtù di colui che riesce a capire l’arte. La polemica contro l’ermeneutica è incentrata sulla critica del
comprendere a causa della sua incapacità di gestire le componenti extra significanti e sensate della
concordanza artistica. Occorre capire esponendosi all’opera d’arte in un arco di esperienza,
l’incomprensibilità stessa, che solo rimanendo tale preserva l’opera d’arte nel suo costitutivo carattere
d’enigma. All’arte viene riconosciuta la peculiarità di esprimere la dialettica essenziale dello spirito, cioè di
quanto nell’apparire sensibile rivela e insieme tradisce se stesso. Lo spirito si delinea come il rovescio
dell’apparition: è lo stesso processo ma descritto non dal lato della concretezza della creazione artistica. Se
è nello spirito che si può ritenere che risieda la verità dell’opera d’arte, poiché può dirsi consistere
l’eccedenza rispetto a quanto si manifesta, allora è in virtù del proprio carattere d’enigma che l’opera
acquisisce il proprio contenuto di verità. Tale contenuto non coincide con la soluzione univoca dell’enigma.
La concordanza della creazione artistica, attestando la possibilità di un senso che sfugge alle maglie della
razionalizzazione e nega quest’ultima, rende manifesto un importo non contemplativo che è contenuto di
verità in quanto ha il carattere della prassi, incapsula una prassi.
Adorno conferisce un’importanza particolare alla fiosoficità dell’estetica. Spetta alla filosofia il compito di
accogliere il senso non discorsivo che viene manifestato nelle creazioni artistiche. La diffusione di
universalia e categorie assolute conduce a una dispersione in atomiche individualità espressive.
Carattere d’enigma, contenuto di verità, metafisica
Concordanza e senso
Soggetto-oggetto
Protointroduzione
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