LICEO GALILEO CHINI
LIDO DI CAMAIORE
GLI INCONTRI POMERIDIANI DE "IL CAFFE' FILOSOFICO"
15 gennaio 2013
HEGEL E LA DIALETTICA
5AL-5BL
Professoressa Carla Andreozzi
L'incontro si è snodato in tre fasi:
• presentazione dell'insegnante
• visione del dvd curato da Remo Bodei, docente della University of California
di Los Angeles
• dibattito con i ragazzi
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Brevissima (e parziale) storia della dialettica
Dal verbo dialéghestai che vuol dire discutere, ragionare insieme, mettere a confronto
posizioni diverse.
Nasce con i paradossi di Zenone, diventa una delle discipline per eccellenza della
sofistica, insieme alla retorica. Essa serve agli intellettuali di Pericle come esercizio
alla virtù politica. In Socrate, invece, il dialogo è metodo, in un contesto dove la
filosofia è incessante ricerca della verità, sia pur provvisoriamente intesa e sempre
modificabile. Ed è così anche nel giovane Platone: il filosofo è dialettico poiché
volto a cercare, attraverso il dialogo, la verità (in ciò contrapponendosi già
nettamente alla sofistica e all’eristica). Poi però la struttura delle opere platoniche
(anche se continuano a chiamarsi dialoghi) cambia gradualmente fino a divenire
praticamente trattato. Ci si allontana da Socrate e muta, con lo stile, il modo di
intendere la filosofia e la verità: quest’ultima non è più figlia della ricerca e
costruzione, ma appare, immota, solo ad alcuni (che tornano nella caverna e, dopo
averla contemplata, la comunicano agli altri uomini). Il termine stesso alétheia (il non
nascondimento dell’essere) è dis-velatore. Il rovesciamento del rapporto tra verità e
dialogo è, del resto, pienamente compiuto in Aristotele: ormai la dialettica (che si
occupa dei ragionamenti probabili) è solo un’argomentazione sussidiaria
all’apodittica.
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Dall’ambito della filosofia greca, si trae però (ed è proprio Hegel a farlo) anche
un’altra accezione di significato della parola “dialettica” ed è quella che nasce con
Eraclito, per cui essa implica una visione della realtà come divenire, ove l’origine di
tale incessante processo è da rintracciare nelle opposizioni (“l’armonia segreta” o
unità dei contrari).
Guardiamo ora al pensiero filosofico moderno.
Kant riprende il termine “dialettica” in senso dispregiativo, come il regno di
argomentazioni vuote, capziose, non suffragate dall’esperienza (ricordiamo i
pregiudizi, figli di nemici illustri come Platone, che la filosofia classica ha nutrito nei
confronti della sofistica): nella CRP, la Dialettica trascendentale analizza le idee della
metafisica per dimostrarne l’inconsistenza scientifica, non avendo tali idee valore
costitutivo di conoscenza. La metafisica dogmatica è rifiutata a favore di una
metafisica critica, ove le idee abbiano una funzione orientativa della ricerca.
Naturalmente alla base di tale prospettiva c’è la netta distinzione tra intelletto e
ragione dialettica, ove il primo formula concetti a partire dal materiale
dell’esperienza, mentre la seconda, che formula idee, si illude, come la colomba, di
poter volare senza l’aria fenomenica; ove l’intelletto è per sua natura parziale e
limitato, mentre la ragione dialettica guarda e si illude di poter cogliere la totalità.
In Hegel, il rapporto tra ragione ed intelletto si capovolge: se “il vero è l’intiero”,
allora solo la ragione dialettica può coglierlo nella sua pienezza, mentre l’intelletto,
proprio per la sua natura finita e parcellizzante, non si presta ad essere strumento di
comprensione del reale. In tale contesto inoltre, in senso eracliteo, la dialettica è
strumento che coglie l’intima dinamicità del pensiero e dunque, ipso facto, del reale.
E, lo sappiamo, con l’idealismo tedesco si scardinano millenni di metafisiche: esse
sequitur operari, la realtà si fa divenendo. Ma per Hegel (a differenza ad esempio di
Schelling) il cammino dell’Assoluto vive di opposizioni, la processualità avviene in
modo mediato. Da qui l’importanza, nella “suprema legge del pensiero e della realtà”,
del momento dialettico per eccellenza: l’antitesi, “l’immane forza del negativo”, che
fluidifica e mette in moto il reale, poiché nessuna cosa è soltanto essere, ma ogni cosa
è anche negatività in quanto costituita dal rapporto con le altre cose che essa non è.
Ricordiamo anche l’Aufhebung (conservare e toglier via), l’operazione tipica della
dialetticità, che riconosce nell’opposizione la verità del pensiero e del mondo, la sua
struttura.
Nel sistema, la filosofia dello Spirito (che di esso è il cuore e l’approdo) realizza
dunque in modo mediato l'identità tra ciò che pensiamo e quello che c'è, attraverso un
cammino necessario che è passato per l'alienazione-oggettivazione dell'Idea. D’altra
parte, il respiro triadico si ripete anche all’interno della stessa filosofia dello Spirito:
lo spirito soggettivo (dell'individuo), lo spirito oggettivo (il mondo sociale, delle
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istituzioni, della storia), lo spirito assoluto (non più legato a finalità pratiche, che si
esprime attraverso l’arte, la religione e la filosofia).
Anche la sinistra hegeliana privilegia il metodo dialettico. Infine Marx, che pure
critica il misticismo logico di Hegel e fa di nuovo poggiare sui piedi l’uomo, che
Hegel “aveva fatto poggiare sulla testa”, adotta quel metodo che vede la
contraddizione come motore della realtà (ove qui, beninteso, non si parla della
fenomenologia dello Spirito o dell’Idea ma della realtà materiale, sociale e storica che
procede attraverso i conflitti di classe e la tensione tra forze produttive e rapporti di
produzione): la sua filosofia è il materialismo storico o dialettico.
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Contestualizzazione dell’idealismo tedesco
L'idealismo reagisce agli avvenimenti del tempo e, di fronte alla loro tumultuosità, è
in cerca di nuovi canoni interpretativi.
Secondo quanto insegna Nicolao Merker (1), potremmo esprimerci in sintesi nel
modo seguente: se Fichte fa i conti con la lezione della Rivoluzione francese, che egli
traduce metafisicamente nella libertà infinita dell'Io, Schelling pensa invece alla
natura che reca l’impronta dello spirito (sono, tra l’altro, gli anni della prima
industrializzazione e di un impatto radicale da parte dell’uomo su di essa, come non
succedeva da diecimila anni, dall’invenzione dell’agricoltura). Infine, tutta la
filosofia hegeliana può essere considerata una riflessione riguardante l'umanizzazione
del mondo, lo spirito che si oggettiva nelle cose (2) attraverso il lavoro, l’arte, una
riflessione sull'astuzia della natura e quella della storia che mettono ordine e fine nel
caos.
Non dimentichiamo che anche il dibattito post-hegeliano si sviluppa perché la
filosofia del maestro non sembra rispondere adeguatamente al vortice storico e che
anche tutte le grandi filosofie ottocentesche elaborano immense filosofie della storia,
cioè riflessioni sul senso complessivo degli eventi umani (Hegel, Marx, Comte).
Come se l’Ottocento avesse l’ambizione di abbracciare in un unico sguardo il corso
della storia, esorcizzando forse il timore della sua mancanza di senso.
Cosa rimarrà di tutto ciò nel Novecento?
Sicuramente diventerà molto più problematica e slittante una riflessione sul senso
globale delle vicende umane e si andrà invece affermando l’indagine critica sulle
condizioni, anche tecniche, della conoscenza storica. L’epistemologia della storia
rifletterà sulla natura e i fondamenti di tale disciplina e si configurerà più
modestamente come analisi del suo linguaggio, dei suoi concetti e dei suoi metodi.
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Ciò che rimarrà sarà semmai, in certi ambiti, la consapevolezza della storicità come
l’unico, autentico orizzonte dell’espressione umana.
(1) cfr Dialettica e storia, Edizioni la Libra, Messina, 1971 o anche La Germania. Storia di una
cultura da Lutero a Weimar, Editori Riuniti, Roma, 1994.
(2) In uno dei suoi ultimi libri, La vita delle cose (Economica Laterza), Remo Bodei pone una
domanda intensa ed originale sul farsi "cose" degli oggetti: quando infatti essi diventano "cose", si
caricano per noi di valori e connotati esistenziali. Da materia inerte assumono una loro anima, fatta
di quella connessione vivente e di quelle passioni che li legano al nostro corpo e al nostro mondo
simbolico.
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