E vissero tutti nel felici e contenti

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IL CAFFÈ
8 giugno 2014
tra
parentesi
La tendenza
E vissero tutti
nel
disordine
felici e contenti
C
hiamiamolo
pure
“creativo”, ma sempre
disordine è. E per
quanto le moderne
tecnologie ci permettano di conservare tutto, persino
nei pochi centimetri di spazio di
uno smartphone, c’è chi non rinuncia a circondarsi di una marea d’oggetti (spesso inutili) come se vivesse in una sorta di capsula del tempo da tramandare ai
posteri. Dopo anni di arredamento minimalista, di feng shui
domestico, di stile sobrio, pratico ed essenziale come da filosofia Ikea, forse è venuto il momento di riabilitare il disordine.
Il bello è che, a quanto pare ,questa fatica a separarci dalle cose
che accumuliamo sulla scrivania, in salotto, in tutta la casa
non è più considerata il risultato di un eccesso di consumismo
(anche perché in tempi di crisi
non è il caso), ma una sorta di
elisir di eterna giovinezza.
La confusione è giovane, è
fresca, è il rinnovarsi di eterne illusioni adolescenziali, sostengono non pochi psicologi inclini a
non penalizzare questa sorta di
sindrome di Peter Pan. Poco importa se a volte le scrivanie e le
camere di professionisti stimati
assomigliano a quelle di un qualunque teenager. “Ma è così, anzi
sono dell’idea che anche una
scrivania sia un po’ la metafora
della nostra vita”, è l'opinione divertita dell'antropologo Marino
Niola che si schiera tra i “disordinati creativi”. Indipendentemen-
I famosi
SALVADOR DALI
Chi ha visitato la casa
museo di Dali a Port
Lligat si è trovato nel
regno del “trovarobato”
DORIS LESSING
La scrittrice britannica,
Nobel 2007, esibiva il
disordine casalingo
come esercizio di stile
te dal fatto che il disordine sia
volontario o involontario, finisce
per rappresentare una sorta di
stratificazione ideologica di chi
lo vive. “Fateci caso, nello strato
superiore delle carte, inevitabilmente galleggiano le cose più
importanti in quel momento-
Niola: “Volontario
o meno, il caos
che ci circonda in
fondo finisce per
rappresentarci”
FRANCIS BACON
Lo studio del pittore
irlandese, conservato
com’era, è diventato
addirittura un’opera d’arte
osserva Niola -. Sotto, invece, finiscono quelle dimenticate. E
nella maggior parte dei casi meritano di essere dimenticate".
E senza scomodare grandi
artisti del passato e del presente,
da Salvador Dalì a Doris Lessing,
dal pittore irlandese Francis Ba-
L’intervista
STEPHEN KING
Lo scrittore americano
parla di “disordine
controllato”: appunti
e libri sparsi ovunque
con al re del brivido Stephen
King, bisogna ammettere che il
caos ha un suo fascino. Una sorta
di dichiarazione d’indipendenza, di emancipazione dalle regole che vedono elevato l’ordine a
virtù, un soffio di anarchia che ci
spinge a circondarci anche di co-
JOHN LASSETER
Lo studio del genio
dell’animazione Pixar
sembra un negozio di
giocattoli e souvenirs
se magari inutili ma che amiamo
o abbiamo amato. Cose che parlano di noi e di cui non ci vergogniamo affatto. Anzi, ci si sente
un po’ come dei faraoni dell’antico Egitto, sepolti nelle loro piramidi con tutte le loro cose. Ma
attenzione, avverte lo psicologo
L’opposto della meticolosità vista dallo psicologo Luigi Gianini
“Lasciarsi un po’andare è creativo”
O
rdine e disordine sono le due facce della
stessa esigenza: ritrovarsi. A patto, secondo
lo psicologo Luigi Gianini, specializzato in
psicoterapia cognitivo-sociale, che non si trasformi
in un disturbo. “Sia l’ordinato che il disordinato
adottano un metodo per arrivare ad altri fini. Il primo si ritrova solo se tutto è al suo posto, il secondo
spesso crea disordine intorno a sè per trovare l’habitat ideale, e a volte anche per porsi un risultato finale: rimettere tutto in ordine”.
E quale vive meglio?
“Entrambi, se raggiungono i loro scopi. Certo, il
caos può essere un modo per concedersi alla creatività, il disordine nel momento che serve, per lasciarsi andare alla complessità delle cose”.
Ma vivere nel disordine totale, circondati da
tante cose, non è un sintomo pericoloso?
“Solo nei casi estremi, quando diventa patologi-
co, ai limiti della disposofobia, il bisogno ossessivo
di non buttare via niente. Ma anche il troppo ordine, l’eccesso di meticolosità può provocare disturbi
ossessivi”.
Però è vero che molti accumulano oggetti e
cose senza averne un’esigenza specifica.
“È abbastanza tipico nel mondo occidentale,
dove si ha una grossa difficoltà a ‘lasciare andare’ le
cose. È un attaccamento materiale, che ha a che fare col potere, col possesso”.
Se è comprensibile per le persone più anziane, che hanno vissuto privazioni, oggi come si
spiega?
“In fondo questa sorta di ‘collezionismo’ è un
modo per esorcizzare una perdita, una parte di sè,
qualcosa che è tuo. Paradossalmente anche chi
butta tutto esorcizza, a modo suo, la paura di perderlo”.
e.r.b.
(vedi intervista sotto), il disordine va bene, ma a patto che non si
trasformi in mania compulsiva.
Una parola difficile, “disposofobia”, per descrivere un disturbo
psichico, che ti porta a morire
letteralmente sepolto da quanto
accumulato.
Come descrive benissimo lo
scrittore americano Edgar Lawrence Doctorow nel suo romanzo “Homer & Langley”. Ispirata a un famoso fatto di cronaca
della New York del primo Novecento, quando i ricchi fratelli
Collyer, nel corso dei decenni,
trasformarono il loro palazzo in
un delirante ricettacolo di ciarpame, dove vivranno come reclusi fino a rimanere annientati
dalla spazzatura da loro stessi
accumulata. Se questi personaggi tragici ed emblematici - che
hanno perfino dato il nome alla
“sindrome di Collyer” - diventarono metafora di un mondo, e di
un lungo periodo della storia
americana, i nostri disordinati
contemporanei si accontentano
di vivere in un microcosmo caotico ma rassicurante. Forse è
proprio sapere che tutte le loro
foto, appunti, filmati e documenti starebbero comodamente in un tablet che li spinge a
reagire, a ribellarsi ad uno stile
di vita ormai definibile come
“conformista”. Insomma, all’insegna del vissero tutti felici, disordinati, e contenti. Del resto
come diceva qualcuno, il disordine non è altro che un ordine
non compreso
e.r.b.
Nonostante
la comodità
della tecnologia
non ci separiamo
dagli oggetti, anzi
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