Escursione di domenica 22 aprile 2012 “I luoghi della resistenza” (Polveriera, Rocca Deli, Scandolaro, Roviglieto, Cancelli, Cascito, Casale di Scopoli, Sassovivo). Questo fascicolo, realizzato da L’officina della memoria In occasione dell’escursione odierna, raccoglie testi ed immagini utili a cogliere il senso degli eventi avvenuti in questi luoghi ed il contesto storico in cui si realizzarono. Abbiamo riprodotto: 1. La prefazione della prof. Olga Lucchi, recentemente scomparsa, a “Raus”, quaderno di memorie realizzato nel 2004 dall’ Associazione Sportiva Scopoli per la cura di Nazareno Ponti . Il quaderno raccoglie ventisette testimoniane, due poesie ed alcune fotografie, tutte riferite al rastrellamento del 3 febbraio 1944. Nel testo qui riprodotto Olga Lucchi riassume sinteticamente le notizie relative ai territori che oggi attraverseremo e le contestualizza nel quadro della guerra di liberazione. 2. Alcune mappe schematiche, tratte dal volume “L’Umbria dalla guera alla resistenza”, a cura di Luciana Bruneli e Gianfranco Canali, pubblicato dall ‘ISUC nel 1998. Per una migliore comprensione, abbiamo inserito le mappe nel testo di Olga Lucchi. 3. Una pagina dall’intevento di Gianfranco Canali (Partigiani, fascisti, tedeschi) nel già citato L’Umbria dalla guerra alla resistenza. Nella pagina citata, Canali ricostruisce i rermini dell’offensiva partigiana nell’inverno 1943.44, cui farà seguito la rappresaglia tedesca tra il febbraio e l’aprile 1944. 4. Alcune pagine da “Memorie di un ribelle”, di Adelio e Fausta Fiore (Isuc-Editoriale Umbra, 1995, II edizione 2004, Perugia). Nel primo passo, Fiore riferisce dei rapporti con la popolazione della montagna; nel secondo racconta il fallito assalto alla polveriera di Sassovivo. Olga Lucchi, prefazione a “Raus” Il contributo reso dalla citta di Foligno alla guerra, in termini di distruzione di impianti industriali e civili, di vittime dei bombardamenti e di caduti nella lotta partigiana è parte da tempo del patrimonio storico della citta e della memoria collettiva dei suoi abitanti. (1) La montagna ne fa parte come luogo privilegiato della resistenza all’occupazione nazista e al fascismo, riorganizzatosi nella Repubblica sociale dopo l’8 settembre. Numerose sono le vittime civili e in armi che lapidi sparse in campi e sentieri, o nelle piazze delle frazioni, ricordano nel giorno dell’assassinio o dello scontro mortale. (2) Probabilmente meno note sono le vicende raccontate da questa raccolta di memorie, che pregevolmente intende ricostruire vissuti e storie di Scopoli nel giorno del più tremendo dei rastrellamenti nazifascisti. Vari i fattori che ne emergono. I borghi della valle del Menotre e delle valli limitrofe e quelli arroccati alle pendici dei monti, dopo l’8 settembre, avevano cominciato ad assistere all’arrivo di nuovi soggetti, non sempre facilmente identificabili. Sbandati che avevano lasciato l’esercito in cerca di un luogo in cui nascondersi, ma che potevano anche essere spie o informatori, nuovi alleati fuggiti da luoghi di prigionia o inviati in perlustrazione, sfollati o persone in cerca di beni alimentari ormai introvabili in citta. In pochi mesi giunsero insomma nella zona molte persone sconosciute che, se trovavano nella generosa ospitalita montanara aiuto e soccorso, mettevano tuttavia in allarme famiglie e paesi, e generavano diffidenza negli stessi rapporti interpersonali: la loro presenza infatti aveva sconvolto rapporti e stili di vita consolidati dal tempo e dal ritmo delle stagioni e delle festività. La guerra continuava, ma l’alleato di prima era ora il nemico, invadeva con camion e camionette i paesi, in cerca di uomini da arruolare per il lavoro in Germania o in cerca di beni, soprattutto alimentari, da requisire, azzerando cosi le modeste scorte familiari. Nuove figure armate, i partigiani, cominciavano ad organizzarsi e la cascina Radicosa, nel fosso sottostante Cupoli diveniva, gia nell’ottobre 1943, la sede della brigata Garibaldi. La prima azione partigiana contro la caserma dei carabinieri di Casenove avviene il 13 dicembre 1943, poi la brigata si spostò verso le Marche. È di un mese dopo, nella notte tra il 13 e 14 gennaio, il fallito assalto alla caserma di Nocera Umbra in cui rimase ferito Antero Cantarelli. (3) 2 3 Il 3 febbraio un rastrellamento a tenaglia circondava tutta l’area montana chiudendo in cerchio le popolazioni di Scopoli, Casale, Vallupo, Cancelli, Civitella, la cascina Radicosa, Acqua Santo Stefano e Rasiglia. Dei partigiani della brigata Garibaldi, che da più di un mese si era trasferita sull’altipiano, furono presi i giovani Augusto Bizzarri, Franco Pizzoni e Franco Santoccbia, lasciati a guardia della cascina. Insieme a loro, da Scopoli, Civitella, Acqua Santo Stefano, Rasiglia, ed il 15 febbraio a Roviglieto, furono presi oltre venti civili, tra cui il parroco di Casale, don Pietro Arcangeli. (4) Dopo qualche mese di reclusione nel carcere di Perugia furono deportati nel campo di concentramento di Fossoli e da lì nel lager di Mauthausen; solo Luigi Costantini di Civitella fu deportato a Flossenburg, mentre per don Pietro cominciava il calvario attraverso vari campi di concentramento e prigioni d’Europa. Durante il rastrellamento erano stati uccisi a freddo Gregorio Salvati ad Acqua Santo Stefano e un bambino, Filippo Catarinelli, a Vallupo, nascosto nel bosco vicino, insieme alla madre. Nel marzo sei persone furono fucilate a Cesi di Serravalle del Chienti; nell’aprile due giovani e poi ventitre persone nell’agguato di Collecroce; diverse lapidi, che andrebbero meglio conservate, testimoniano di altre uccisioni. 4 Nel maggio i rastrellamenti di Annifo e Colfiorito portavano via ancora altre decine di uomini e giovani verso i lavori forzati negli aeroporti e caserme tedesche. Il 16 giugno, con l’arrivo degli alleati, la guerra si spostò a nord; per le famiglie i cui uomini e ragazzi non erano ancora tornati dalla guerra cominciò la lunga attesa: tra di esse quelle degli uomini presi quattro mesi prima, caricati su una camionetta militare e scomparsi senza dare più alcuna notizia. Solo in cinque, come è noto, fecero ritorno, nel giugno 1945. Gli altri non ce la fecero ad attendere neppure quei pocbi giorni che avrebbero consentito loro di essere liberati,• Giacomo Melelli venne a mancare addirittura dopo essere stato liberato, ucciso dalle conseguenze dalla disumanità del lager. Le vicende della valle, pur cosi sommariamente accennate nei tratti salienti, non esauriscono tuttavia il loro significato nel microcosmo in cui avvengono, ma si inseriscono in un complesso insieme di fattori, costituito da un lato dalla strategia dei comandi militari tedeschi e dalla presenza del neofascismo repubblicano, dall’altro dal lento risalire delle truppe alleate lungo la penisola. Per il comando tedesco l’Italia centrale costituiva gia nel 1943 un’area di grande interesse sia come zona di difesa in previsione di uno sbarco alleato sulla costa tirrenica, sia come possibile via di comunicazione o di fuga verso nord; da qui la necessita di tenerla sgombra dalle bande partigiane e sicura nei collegamenti. ( 5) 5 D’altra parte il popolo italiano, dopo l’armistizio improvviso comunicato via radio l’8 settembre, non solo era passato dal ruolo di popolo amico a quello di popolo nemico, ma aveva cominciato ad essere anche odiato e disprezzato come traditore e, per una scelta che era stata della monarchia, equiparato ai peggiori nemici del nazismo come i russi e i polacchi. Le vicende della guerra poi volgevano al peggio, la violenza gratuita era quella di chi cominciava a pensare che tutto poteva essere perso e terrorizzare la popolazione civile, come gli studi sulle stragi perpetrate dai nazisti hanno dimostrato, era per l’esercito tedesco una strategia di guerra, tesa a fare terra bruciata intorno alla resistenza, a cui si cercava di far mancare, proprio attraverso il terrore e la paura, appoggio e solidarieta. (6) La deportazione stessa, spiegata con la presenza, qualche giorno prima del rastrellamento, di spie fasciste, o con il ritrovamento delle cartucce dei fucili da caccia che ogni montanaro si preparava in una pratica allora consuetudinaria, va collegata alla strategia dell’occupante nazista per cui ogni italiano non riconosciuto fascista era per questo un nemico, e come tale da costringere forzatamente e violentemente al lavoro mortale in un lager tedesco. Alla deportazione politica nei campi di sterminio si aggiunse la ricerca di manodopera da spedire in Germania: il reclutamento stabilito attraverso gli anni di leva mascherava quella che era una vera e propria deportazione verso il lavoro coatto che talora, solo per caso, non divenne lavoro coatto nei lager di sterminio, Da ultimo non può essere ignorato il ruolo che in tutto ciò ebbe il fascismo e per esso gli uomini della guardia repubblicana, che nella maggior parte dei casi accompagnarono e guidarono i soldati tedeschi in paesi e case isolate della montagna, partecipando a rastrellamenti ed eccidi. (7) Anche per i fascisti non c’era possibilita di scelta, come non c’era mai stata d’altra parte: o si era fascisti o si era nemici. Forse è anche per questo “semplice” motivo che la Costituzione italiana vuole ancora essere antifascista. Note: (1) Il contributo di Foligno nella lotta partigiana e nella guerra di liberazione per il secondo risorgimento d’Italia, a cura dell’Amministrazione comunale, in occasione della consegna della Medaglia d’argento al valor civile alla citta, 18 giugno 1961 (2) Adelio e Fausta Fiore, Memorie di un ribelle, Foligno, 1994; L’Umbria nella Resistenza, a cura di Sergio Bovini, vol. II Roma, Editori Riuniti, 1972 (3) Adelio e Fausta Fiore, cit. (4) Don Pietro Arcangeli, Un prete “galeotto”, Foligno, Co. Gra.Fo, 1984; Franco Nardone, Un partigiano a Mauthausen, Assisi, 1998 (5) Lutz Klinkhammer L’occupazione tedesca in Italia. 1945- 1945, Torino, Bollati 6 Boringhieri, 1996; Monica Giansanti—Roberto Monicchia, Rastrellamenti e rappresaglie in Umbria: la lotta antipartigiana tra controllo del1’ordine pubblico e strategia militare, in L’Umbria dalla guerra alla Resistenza, a cura di Luciana Brunelli e Gianfranco Canali, Foligno, Isuc/ Editoriale umbra, 1998 (6) Mimmo Franzinelli, Le stragi nascoste. L’armadio della vergogna: impunità e rimozione dei crmini di guerra nazifascisti 1945-2001, Milano, Mondatori, 2002 (7) Lutz Klinkhammer; cit 7 Gianfranco Canali, Partigiani, fascisti, tedeschi A cavallo del nuovo anno [1944] si avvia […] la fase offensiva della Resistenza umbra. Diversi fattori — tra cui l’intensificarsi della “caccia” al renitente da parte delle autorità fasciste e la fama, ingigantita dalla voce popolare, delle potenzialità militari della guerriglia — determinano un nuovo afflusso di giovani reclute verso le formazioni partigiane. Oltre all’incremento degli organici delle bande già operanti, si assite alla costituzione di nuove unità combattenti in zone dell’Umbria non ancora investite dalla lotta armata. A preparare un terreno di scontro favorevole ai partigiani interviene un potente alleato “naturale”, che sopperisce alla mancanza di asperità e all’agevole accessibilità dei contrafforti appenninici. La fase aggressiva della Resistenza può infatti svilupparsi grazie alle abbondanti nevicate che isolano le zone operative partigiane, rendendo impraticabili le carraie di montagna. Persiano Ridolfi, partigiano della brigata Garibaldi, scrive con precisione in una sua memoria: “Quando la neve del dicembre incomincia a cadere, questo è il momento propizio per passare all’attacco”. E infatti, dalla fine del dicembre 1943 fino agli ultimi giorni di marzo la GNR si vede costretta a registrare un diffuso e quotidiano stillicidio di azioni di guerriglia, tra cui attacchi a caserme e presidi militari, disarmo di carabinieri e militi isolati, saccheggi di ammassi e distribuzione dei generi prelevati alla popolazione, minacce e requisizioni di beni a carico di facoltosi proprietari terrieri. Si crea in questa fase quello che è stato definito — non senza una certa enfasi — il “territorio libero umbro-marchigiano”. In ogni caso non vi è dubbio che in vaste zone dell’Umbria si determinano delle situazioni di “terra di nessuno”— per riprendere la formula recentemente utilizzata da Massimo Legnani al convegno “La guerra partigiana in Italia e in Europa” — e cioè situazioni in cui nessuno dei soggetti coinvolti nello scontro “può rivendicare uno stabile controllo del territorio” e, soprattutto, in cui fascisti e tedeschi sono costretti a vivere e a muoversi in una condizione di permanente insicurezza. Ciò peraltro avrà l’effetto di ridimensionare sensibilmente le mire dell’occupante nazista rispetto allo sfruttamento sistematico delle risorse e al reclutamento indiscriminato della manodopera. Con l’offensiva partigiana condotta durante tutto l’inverno si può far concludere la prima fase della lotta di liberazione, una fase caratterizzata da un andamento evolutivo del livello dello scontro armato. Peraltro, in questo non breve periodo (circa sette mesi) si sono venuti enucleando anche alcuni elementi distintivi della guerra partigiana umbra, per la cui identificazione risulta conveniente — come si è già detto — l’impiego di due particolari parametri interpretativi: l’individuazione del “nemico principale” e l’esercizio della violenza. 8 Se si guarda alle formazioni maggiormente attive — tralasciando quindi le bande attestate su posizioni passive e attendiste, la cui mobilitazione avverrà per lo più in maggio, dopo lo sfondamento alleato del fronte di Cassino - risulta evidente che la gran parte dei combattenti umbri individua come nemico primario il fascista, anche se per ragioni non sempre coincidenti. Due esempi appaiono indicativi al riguardo. Il primo si riferisce ai contrastanti orientamenti manifestatisi nel corso di una riunione — tenutasi sul monte Malbe il 23 dicembre 1943 — tra i dirigenti comunisti impegnati nella lotta armata allo scopo di fare il punto sulla situazione militare e stabilire degli orientamenti politici comuni. Uno dei punti più accesi della discussione si rivela infatti quello relativo “all’opportunità di limitare le azioni di guerra contro i soli fascisti o contro i fascisti e i tedeschi insieme”. Ed è grazie all’impegno dell’esponente di maggiore prestigio, Armando Fedeli, che riesce a prevalere l’orientamento dì condurre la lotta soprattutto contro i tedeschi. Analogamente — ed è il secondo esempio — nella conferenza tenutasi a Cesi il 5 febbraio 1944 tra i dirigenti politici e militari della Resistenza attiva nel Folignate, il comando della brigata Garibaldi difende la propria “direttiva generale”, che prevede una limitazione della lotta ai soli fascisti “senza disturbare i tedeschi, che avrebbero potuto esercitare rappresaglie sulla popolazione dei centri abitati”. Anche in questo caso è grazie all’intervento del rappresentante — comunista — del Comitato centrale di liberazione nazionale che, in conclusione, si riesce a deliberare “lotta immediata e senza quartiere al nemico numero uno, il tedesco””. Comunque, in entrambi i casi, si tratta di risoluzioni che non saranno di certo applicate alla lettera, soprattutto perché non viene operata una rimozione delle ragioni di fondo per cui sia gli uni che gli altri riconoscono nel fascista il proprio principale nemico. Esse possono essere così sinteticamente spiegate: oltre a presentarsi spesso nelle vesti del nemico di vecchia data, conosciuto e riconoscibile, con cui si hanno dei conti da saldare, il fascista è — anche e soprattutto — il nemico più debole, quello le cui reazioni non rischiano di diventare pericolose per se stessi e, soprattutto, per le popolazioni. Nei due esempi citati merita di essere sottolineato anche il fatto che dirigenti partigiani di diverso orientamento politico — alla testa della brigata Garibaldi vi è una forte componente di cattolici “autonomi” — si trovano a condividere una particolare concezione della guerriglia. (pag-154-55) 9 Adelio e Fausta Fiore, Memorie di un ribelle In montagna, tra Raticosa, Colfiorito e Cancelli (autunno 1943) In montagna, a Raticosa, nel settembre del 1943 i “ribelli” folignati non erano molti, come s’è visto; nelle “retrovie“ erano presenti e attivi uomini e donne del Comitato di liberazione nazionale, organizzato in clandestinità; ma bisognava aumentare il numero degli uni e degli altri. Non era giunto ancora il momento di fare piani strategici difensivi o offensivi; bisognava affrontare i problemi di equipaggiamento e approvvigionamento, insomma i rifornimenti di viveri armi munizioni vestiario medicinali denari alloggi, bisognava occuparsi anche delle relazioni con la popolazione locale a volte subito amica a volte diffidente e timorosa a volte poco affidabile. Quella che stava dalla parte dei “ribelli“, dovendo scendere al piano per il mercato dei propri prodotti, legna e formaggio, si mostrò ben presto capace di assumere e riferire le informazioni utili sui movimenti delle truppe tedesche e delle squadre fasciste. Si distinse per l’efficacissima collaborazione Pietro l\/ lattei di Cupoli detto “maresciallo” dai partigiani e “pietruccella “ dai compaesani, un cinquantenne che riusciva a coinvolgere e trascinare gran parte della gente cercando di vincere ogni forma di diffidenza e di omertà; al suo ricordo è rimasto legato il sentimento di profonda riconoscenza dei partigiani. Ad una buona radio trasmittente ricevente era addetto lo studente d’ ingegneria Socrate Mattoli (detto Chicchio). Olio, pasta, zucchero, sale, medicinali, vino e sigarette venivano riforniti per la via di Ponze dal Comitato di liberazione nazionale di Foligno, un primo “audace e fedelissimo nucleo di volenterosi” formato da Benedetto Pasquini presidente, monsignor Luigi Faveri, e da rappresentanti di tutti i partiti che dal fascismo erano stati soppressi. Per ogni partigiano occorreva l’opera di resistenti civili procacciatori di aiuti materiali e di altrettanti generosi donatori, la collaborazione di numerose staffette fra cui alcune donne. ln proporzione dei combattenti s’ingrossava l’esercito della Resistenza nelle ‘”retrovie”; e vi erano dei quindicenni! I partigiani ricevevano talvolta la visita di qualche esponente del Comitato di liberazione; in questi incontri si trattava dei piani di attacco e di difesa, e del reclutamento dei giovani. L ‘intesa non mancò mai fra combattenti e civili anche per la saggia convinzione del comandante Cantarelli di doverla mantenere e consolidare a ogni costo; le varie posizioni ideologiche non avevano ancora preso il sopravvento e comunque prevalse lo spirito di tolleranza nella brigata Garibaldi. Per le bande partigiane operanti in Umbria non esistette altro collegamento se non 10 con i Comitati di liberazione clandestini e con i partiti che ne facevano parte. Una struttura militare gerarchica si costituì soltanto nella primavera del 1944 nel nord d’ltalia con un comando unico e se tardivamente poté estendersi anche al centro lo fu in maniera tale che non se ne percepì alcuna efficacia. Il rifornimento della carne costituì inizialmente il problema più grosso, cui lo stesso Comitato da solo non poteva provvedere; si trattava infatti di toccare interessi considerevoli di cittadini che si sentivano estranei, quanto meno, alla situazione. L’ orientamento adottato fu quello di trattare con i proprietari di bestiame e di evitare le requisizioni o i colpi di mano che invece si resero necessari. Siccome non si poteva continuare a mangiare per troppo tempo soltanto minestrone o pasta asciutta, brodo di pecora o sangue di maiale (lavorazione che si faceva in ogni casa), quando andava bene un boccone di pecorino e di affettato, in cambio generalmente di sale; quando andava peggio qualche cornacchia, decisero per non gravare sulla popolazione meno abbiente di procacciarsi la carne operando un grosso colpo di mano nella stalla e gli annessi recinti della tenuta detta il Casone sul piano di Colfiorito nel paese di Taverne (mt. 758 alt.), frazione di Serravalle del Chienti. I proprietari Sordini avvertiti di quanto stava per accadere non denunciarono il fatto all’autorità competente se non altro per il timore di eventuali rappresaglie. Di notte una ventina di partigiani s’impadronirono di alcuni capi di bestiame e, chi a cavallo chi a piedi per i sentieri coperti di ghiaccio, li guidarono a destinazione nella zona di Vallupo e di Cancelli, curando di non andare mai allo scoperto, non potendo tuttavia evitare gli attraversamenti pericolosissimi della strada Val di Chienti, oggi statale 77, e di altre strade minori. Le bestie furono tenute a brado e settimanalmente ne ammazzavano in genere una, che veniva macellata dai montanari esperti. Si sfamavano i partigiani ma anche la popolazione anch’essa bisognosa alla quale si consegnavano sale e altri generi di prima necessità. Ogni volta che veniva offerto ai partigiani un quantitativo di viveri il comandante rilasciava una dichiarazione ai proprietari con la quale avrebbero potuto ottenere un indennizzo dal Comitato di liberazione nazionale che faceva fronte all’impegno. In seguito toccò al lanificio Tonti presso Rasiglia di essere costretto a fornire un considerevole quantitativo di tessuto di lana, che doveva essere prelevato dai tedeschi e invece fu consegnato ai partigiani e alla popolazione. Da qui la famosa e sofferta nomea di “briganti”. (pag- 46-49) …… ……… 11 L’assalto falito alla polveriere (10 febbraio 1944) Dopo la storica riunione del 5 febbraio 1944, il comandante ferito rltornò nel suo nascondiglio al convento dei Cappuccini: l’amico Adelio, lasciandolo a malincuore torno a Cancelli (m. 900 alt.), per partecipare alla preparazione del difficile attacco alla polveriera di Foligno (m. 416 alt.) Gli edifici tuttora si trovano seminascosti (inutilizzati) in una spianata sulla sponda sinistra del fosso Renaro a circa mezza strada fra il paesino di Uppello e la sorgente dell’acqua minerale di Sassovivo. L’operazione, guidata dal comandante ad interim Fausto Franceschini, fu organizzata con una cinquantina di asini accompagnati dai loro padroni, i fedeli montanari capeggiati dal “maresciallo”. La notte del 10 febbraio fu indicata come la più opportuna da persona che conosceva bene le abitudini dei fascisti che presidiavano la zona. Fatalità volle che un somaro intoppasse su una grossa pietra facendola rotolare a valle con un grande rumore ingigantito dal silenzio notturno. l fascisti iniziarono una nutrita sparatoria cui risposero i quaranta partigiani colti purtroppo mentre avanzavano allo scoperto sulla collina lungo la strada che proviene dall’abbazia di Sassovivo (574 alt.). Nel frattempo erano arrivati rinforzi militari tedeschi su camion. Per sfuggire ad una sicura carneficina i partigiani si ritirarono registrando una sconfitta, che pesò molto poiché era quello il momento di fare largo uso di esplosivo per far saltare i ponti e i tralicci delle linee elettriche e telefoniche, contorcere le linee ferroviarie e sconvolgere i nodi stradali; ne occorreva in gran quantità per rifornire tutti i nuclei partigiani delle zone di operazione della brigata: Foligno, Spello, Nocera, Gualdo, Fossato, Camerino, Serravalle, Visso, Trevi, Campello, un vasto territorio libero, perché controllato dai partigiani; dalla montagna di Colfiorito ai monti Martani. Convenne sparire immediatamente da quella zona, secondo i piani stabiliti, per non provocare anzi per scongiurare la rappresaglia sulla gente che si era alleata nel tentativo fallito. Pertanto la Brigata si sposterà dalla montagna del folignate verso la zona di monte Cavallo (m. 1485 alt.), Nocera Umbra e Gualdo Tadino. Era l’ addio a Raticosa! Sarà distrutta dai tedeschi. (pag. 68-69) 12