Escursione di domenica 22 aprile 2012
“I luoghi della resistenza”
(Polveriera, Rocca Deli, Scandolaro, Roviglieto, Cancelli, Cascito,
Casale di Scopoli, Sassovivo).
Questo fascicolo, realizzato da L’officina della memoria In occasione
dell’escursione odierna, raccoglie testi ed immagini utili a cogliere il
senso degli eventi avvenuti in questi luoghi ed il contesto storico in cui si
realizzarono. Abbiamo riprodotto:
1.
La prefazione della prof. Olga Lucchi, recentemente scomparsa,
a “Raus”, quaderno di memorie realizzato nel 2004 dall’ Associazione
Sportiva Scopoli per la cura di Nazareno Ponti . Il quaderno raccoglie
ventisette testimoniane, due poesie ed alcune fotografie, tutte riferite
al rastrellamento del 3 febbraio 1944. Nel testo qui riprodotto Olga
Lucchi riassume sinteticamente le notizie relative ai territori che oggi
attraverseremo e le contestualizza nel quadro della guerra di liberazione.
2.
Alcune mappe schematiche, tratte dal volume “L’Umbria dalla
guera alla resistenza”, a cura di Luciana Bruneli e Gianfranco Canali,
pubblicato dall ‘ISUC nel 1998. Per una migliore comprensione, abbiamo
inserito le mappe nel testo di Olga Lucchi.
3.
Una pagina dall’intevento di Gianfranco Canali (Partigiani,
fascisti, tedeschi) nel già citato L’Umbria dalla guerra alla resistenza.
Nella pagina citata, Canali ricostruisce i rermini dell’offensiva partigiana
nell’inverno 1943.44, cui farà seguito la rappresaglia tedesca tra il
febbraio e l’aprile 1944.
4.
Alcune pagine da “Memorie di un ribelle”, di Adelio e Fausta
Fiore (Isuc-Editoriale Umbra, 1995, II edizione 2004, Perugia). Nel primo
passo, Fiore riferisce dei rapporti con la popolazione della montagna;
nel secondo racconta il fallito assalto alla polveriera di Sassovivo.
Olga Lucchi, prefazione a “Raus”
Il contributo reso dalla citta di Foligno alla guerra, in termini di distruzione
di impianti industriali e civili, di vittime dei bombardamenti e di caduti
nella lotta partigiana è parte da tempo del patrimonio storico della citta
e della memoria collettiva dei suoi abitanti. (1)
La montagna ne fa parte come luogo privilegiato della resistenza
all’occupazione nazista e al fascismo, riorganizzatosi nella Repubblica
sociale dopo l’8 settembre. Numerose sono le vittime civili e in armi che
lapidi sparse in campi e sentieri, o nelle piazze delle frazioni, ricordano
nel giorno dell’assassinio o dello scontro mortale. (2)
Probabilmente meno note sono le vicende raccontate da questa
raccolta di memorie, che pregevolmente intende ricostruire vissuti e
storie di Scopoli nel giorno del più tremendo dei rastrellamenti nazifascisti.
Vari i fattori che ne emergono. I borghi della valle del Menotre e delle
valli limitrofe e quelli arroccati alle pendici dei monti, dopo l’8 settembre,
avevano cominciato ad assistere all’arrivo di nuovi soggetti, non sempre
facilmente identificabili. Sbandati che avevano lasciato l’esercito in
cerca di un luogo in cui nascondersi, ma che potevano anche essere
spie o informatori, nuovi alleati fuggiti da luoghi di prigionia o inviati
in perlustrazione, sfollati o persone in cerca di beni alimentari ormai
introvabili in citta. In pochi mesi giunsero insomma nella zona molte
persone sconosciute che, se trovavano nella generosa ospitalita
montanara aiuto e soccorso, mettevano tuttavia in allarme famiglie e
paesi, e generavano diffidenza negli stessi rapporti interpersonali: la loro
presenza infatti aveva sconvolto rapporti e stili di vita consolidati dal
tempo e dal ritmo delle stagioni e delle festività.
La guerra continuava, ma l’alleato di prima era ora il nemico, invadeva
con camion e camionette i paesi, in cerca di uomini da arruolare per il
lavoro in Germania o in cerca di beni, soprattutto alimentari, da requisire,
azzerando cosi le modeste scorte familiari.
Nuove figure armate, i partigiani, cominciavano ad organizzarsi e la
cascina Radicosa, nel fosso sottostante Cupoli diveniva, gia nell’ottobre
1943, la sede della brigata Garibaldi.
La prima azione partigiana contro la caserma dei carabinieri di Casenove
avviene il 13 dicembre 1943, poi la brigata si spostò verso le Marche.
È di un mese dopo, nella notte tra il 13 e 14 gennaio, il fallito assalto alla
caserma di Nocera Umbra in cui rimase ferito Antero Cantarelli. (3)
2
3
Il 3 febbraio un rastrellamento a tenaglia circondava tutta l’area
montana chiudendo in cerchio le popolazioni di Scopoli, Casale,
Vallupo, Cancelli, Civitella, la cascina Radicosa, Acqua Santo Stefano
e Rasiglia.
Dei partigiani della brigata Garibaldi, che da più di un mese si era
trasferita sull’altipiano, furono presi i giovani Augusto Bizzarri, Franco
Pizzoni e Franco Santoccbia, lasciati a guardia della cascina.
Insieme a loro, da Scopoli, Civitella, Acqua Santo Stefano, Rasiglia, ed il
15 febbraio a Roviglieto, furono presi oltre venti civili, tra cui il parroco di
Casale, don Pietro Arcangeli. (4) Dopo qualche mese di reclusione nel
carcere di Perugia furono deportati nel campo di concentramento di
Fossoli e da lì nel lager di Mauthausen; solo Luigi Costantini di Civitella fu
deportato a Flossenburg, mentre per don Pietro cominciava il calvario
attraverso vari campi di concentramento e prigioni d’Europa. Durante
il rastrellamento erano stati uccisi a freddo Gregorio Salvati ad Acqua
Santo Stefano e un bambino, Filippo Catarinelli, a Vallupo, nascosto nel
bosco vicino, insieme alla madre.
Nel marzo sei persone furono fucilate a Cesi di Serravalle del Chienti;
nell’aprile due giovani e poi ventitre persone nell’agguato di Collecroce;
diverse lapidi, che andrebbero meglio conservate, testimoniano di altre
uccisioni.
4
Nel maggio i rastrellamenti di Annifo e Colfiorito portavano via ancora
altre decine di uomini e giovani verso i lavori forzati negli aeroporti e
caserme tedesche.
Il 16 giugno, con l’arrivo degli alleati, la guerra si spostò a nord; per le
famiglie i cui uomini e ragazzi non erano ancora tornati dalla guerra
cominciò la lunga attesa: tra di esse quelle degli uomini presi quattro
mesi prima, caricati su una camionetta militare e scomparsi senza dare
più alcuna notizia. Solo in cinque, come è noto, fecero ritorno, nel giugno
1945. Gli altri non ce la fecero ad attendere neppure quei pocbi giorni
che avrebbero consentito loro di essere liberati,• Giacomo Melelli
venne a mancare addirittura dopo essere stato liberato, ucciso dalle
conseguenze dalla disumanità del lager.
Le vicende della valle, pur cosi sommariamente accennate nei tratti
salienti, non esauriscono tuttavia il loro significato nel microcosmo in cui
avvengono, ma si inseriscono in un complesso insieme di fattori, costituito
da un lato dalla strategia dei comandi militari tedeschi e dalla presenza
del neofascismo repubblicano, dall’altro dal lento risalire delle truppe
alleate lungo la penisola.
Per il comando tedesco l’Italia centrale costituiva gia nel 1943 un’area
di grande interesse sia come zona di difesa in previsione di uno sbarco
alleato sulla costa tirrenica, sia come possibile via di comunicazione o
di fuga verso nord; da qui la necessita di tenerla sgombra dalle bande
partigiane e sicura nei collegamenti. ( 5)
5
D’altra parte il popolo italiano, dopo l’armistizio improvviso comunicato
via radio l’8 settembre, non solo era passato dal ruolo di popolo amico
a quello di popolo nemico, ma aveva cominciato ad essere anche
odiato e disprezzato come traditore e, per una scelta che era stata
della monarchia, equiparato ai peggiori nemici del nazismo come i russi
e i polacchi.
Le vicende della guerra poi volgevano al peggio, la violenza gratuita
era quella di chi cominciava a pensare che tutto poteva essere perso
e terrorizzare la popolazione civile, come gli studi sulle stragi perpetrate
dai nazisti hanno dimostrato, era per l’esercito tedesco una strategia di
guerra, tesa a fare terra bruciata intorno alla resistenza, a cui si cercava
di far mancare, proprio attraverso il terrore e la paura, appoggio e
solidarieta. (6)
La deportazione stessa, spiegata con la presenza, qualche giorno prima
del rastrellamento, di spie fasciste, o con il ritrovamento delle cartucce
dei fucili da caccia che ogni montanaro si preparava in una pratica
allora consuetudinaria, va collegata alla strategia dell’occupante
nazista per cui ogni italiano non riconosciuto fascista era per questo un
nemico, e come tale da costringere forzatamente e violentemente al
lavoro mortale in un lager tedesco.
Alla deportazione politica nei campi di sterminio si aggiunse la ricerca
di manodopera da spedire in Germania: il reclutamento stabilito
attraverso gli anni di leva mascherava quella che era una vera e
propria deportazione verso il lavoro coatto che talora, solo per caso,
non divenne lavoro coatto nei lager di sterminio, Da ultimo non può
essere ignorato il ruolo che in tutto ciò ebbe il fascismo e per esso gli
uomini della guardia repubblicana, che nella maggior parte dei casi
accompagnarono e guidarono i soldati tedeschi in paesi e case isolate
della montagna, partecipando a rastrellamenti ed eccidi. (7)
Anche per i fascisti non c’era possibilita di scelta, come non c’era mai
stata d’altra parte: o si era fascisti o si era nemici. Forse è anche per
questo “semplice” motivo che la Costituzione italiana vuole ancora
essere antifascista.
Note:
(1) Il contributo di Foligno nella lotta partigiana e nella guerra di liberazione
per il secondo risorgimento d’Italia, a cura dell’Amministrazione comunale, in
occasione della consegna della Medaglia d’argento al valor civile alla citta, 18
giugno 1961
(2) Adelio e Fausta Fiore, Memorie di un ribelle, Foligno, 1994; L’Umbria nella
Resistenza, a cura di Sergio Bovini, vol. II Roma, Editori Riuniti, 1972
(3) Adelio e Fausta Fiore, cit.
(4) Don Pietro Arcangeli, Un prete “galeotto”, Foligno, Co. Gra.Fo, 1984; Franco
Nardone, Un partigiano a Mauthausen, Assisi, 1998
(5) Lutz Klinkhammer L’occupazione tedesca in Italia. 1945- 1945, Torino, Bollati
6
Boringhieri,
1996; Monica Giansanti—Roberto Monicchia, Rastrellamenti e rappresaglie in
Umbria: la lotta antipartigiana tra controllo del1’ordine pubblico e strategia
militare, in L’Umbria dalla guerra alla Resistenza, a cura di Luciana Brunelli e
Gianfranco Canali, Foligno, Isuc/ Editoriale umbra, 1998
(6) Mimmo Franzinelli, Le stragi nascoste. L’armadio della vergogna: impunità
e rimozione dei crmini di guerra nazifascisti 1945-2001, Milano, Mondatori, 2002
(7) Lutz Klinkhammer; cit
7
Gianfranco Canali, Partigiani, fascisti, tedeschi
A cavallo del nuovo anno [1944] si avvia […] la fase offensiva della
Resistenza umbra. Diversi fattori — tra cui l’intensificarsi della “caccia”
al renitente da parte delle autorità fasciste e la fama, ingigantita dalla
voce popolare, delle potenzialità militari della guerriglia — determinano
un nuovo afflusso di giovani reclute verso le formazioni partigiane.
Oltre all’incremento degli organici delle bande già operanti, si assite
alla costituzione di nuove unità combattenti in zone dell’Umbria non
ancora investite dalla lotta armata. A preparare un terreno di scontro
favorevole ai partigiani interviene un potente alleato “naturale”, che
sopperisce alla mancanza di asperità e all’agevole accessibilità dei
contrafforti appenninici. La fase aggressiva della Resistenza può infatti
svilupparsi grazie alle abbondanti nevicate che isolano le zone operative
partigiane, rendendo impraticabili le carraie di montagna. Persiano
Ridolfi, partigiano della brigata Garibaldi, scrive con precisione in una
sua memoria: “Quando la neve del dicembre incomincia a cadere,
questo è il momento propizio per passare all’attacco”. E infatti, dalla fine
del dicembre 1943 fino agli ultimi giorni di marzo la GNR si vede costretta
a registrare un diffuso e quotidiano stillicidio di azioni di guerriglia, tra
cui attacchi a caserme e presidi militari, disarmo di carabinieri e militi
isolati, saccheggi di ammassi e distribuzione dei generi prelevati
alla popolazione, minacce e requisizioni di beni a carico di facoltosi
proprietari terrieri. Si crea in questa fase quello che è stato definito — non
senza una certa enfasi — il “territorio libero umbro-marchigiano”. In ogni
caso non vi è dubbio che in vaste zone dell’Umbria si determinano delle
situazioni di “terra di nessuno”— per riprendere la formula recentemente
utilizzata da Massimo Legnani al convegno “La guerra partigiana in
Italia e in Europa” — e cioè situazioni in cui nessuno dei soggetti coinvolti
nello scontro “può rivendicare uno stabile controllo del territorio” e,
soprattutto, in cui fascisti e tedeschi sono costretti a vivere e a muoversi in
una condizione di permanente insicurezza. Ciò peraltro avrà l’effetto di
ridimensionare sensibilmente le mire dell’occupante nazista rispetto allo
sfruttamento sistematico delle risorse e al reclutamento indiscriminato
della manodopera.
Con l’offensiva partigiana condotta durante tutto l’inverno si può far
concludere la prima fase della lotta di liberazione, una fase caratterizzata
da un andamento evolutivo del livello dello scontro armato. Peraltro, in
questo non breve periodo (circa sette mesi) si sono venuti enucleando
anche alcuni elementi distintivi della guerra partigiana umbra, per la cui
identificazione risulta conveniente — come si è già detto — l’impiego
di due particolari parametri interpretativi: l’individuazione del “nemico
principale” e l’esercizio della violenza.
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Se si guarda alle formazioni maggiormente attive — tralasciando quindi
le bande attestate su posizioni passive e attendiste, la cui mobilitazione
avverrà per lo più in maggio, dopo lo sfondamento alleato del fronte
di Cassino - risulta evidente che la gran parte dei combattenti umbri
individua come nemico primario il fascista, anche se per ragioni non
sempre coincidenti. Due esempi appaiono indicativi al riguardo. Il primo si
riferisce ai contrastanti orientamenti manifestatisi nel corso di una riunione
— tenutasi sul monte Malbe il 23 dicembre 1943 — tra i dirigenti comunisti
impegnati nella lotta armata allo scopo di fare il punto sulla situazione
militare e stabilire degli orientamenti politici comuni. Uno dei punti più
accesi della discussione si rivela infatti quello relativo “all’opportunità di
limitare le azioni di guerra contro i soli fascisti o contro i fascisti e i tedeschi
insieme”. Ed è grazie all’impegno dell’esponente di maggiore prestigio,
Armando Fedeli, che riesce a prevalere l’orientamento dì condurre la
lotta soprattutto contro i tedeschi. Analogamente — ed è il secondo
esempio — nella conferenza tenutasi a Cesi il 5 febbraio 1944 tra i dirigenti
politici e militari della Resistenza attiva nel Folignate, il comando della
brigata Garibaldi difende la propria “direttiva generale”, che prevede
una limitazione della lotta ai soli fascisti “senza disturbare i tedeschi, che
avrebbero potuto esercitare rappresaglie sulla popolazione dei centri
abitati”. Anche in questo caso è grazie all’intervento del rappresentante
— comunista — del Comitato centrale di liberazione nazionale che, in
conclusione, si riesce a deliberare “lotta immediata e senza quartiere al
nemico numero uno, il tedesco””. Comunque, in entrambi i casi, si tratta
di risoluzioni che non saranno di certo applicate alla lettera, soprattutto
perché non viene operata una rimozione delle ragioni di fondo per
cui sia gli uni che gli altri riconoscono nel fascista il proprio principale
nemico. Esse possono essere così sinteticamente spiegate: oltre a
presentarsi spesso nelle vesti del nemico di vecchia data, conosciuto e
riconoscibile, con cui si hanno dei conti da saldare, il fascista è — anche
e soprattutto — il nemico più debole, quello le cui reazioni non rischiano
di diventare pericolose per se stessi e, soprattutto, per le popolazioni.
Nei due esempi citati merita di essere sottolineato anche il fatto che
dirigenti partigiani di diverso orientamento politico — alla testa della
brigata Garibaldi vi è una forte componente di cattolici “autonomi” — si
trovano a condividere una particolare concezione della guerriglia.
(pag-154-55)
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Adelio e Fausta Fiore, Memorie di un ribelle
In montagna, tra Raticosa, Colfiorito e Cancelli (autunno 1943)
In montagna, a Raticosa, nel settembre del 1943 i “ribelli” folignati
non erano molti, come s’è visto; nelle “retrovie“ erano presenti e attivi
uomini e donne del Comitato di liberazione nazionale, organizzato in
clandestinità; ma bisognava aumentare il numero degli uni e degli
altri. Non era giunto ancora il momento di fare piani strategici difensivi
o offensivi; bisognava affrontare i problemi di equipaggiamento e
approvvigionamento, insomma i rifornimenti di viveri armi munizioni
vestiario medicinali denari alloggi, bisognava occuparsi anche delle
relazioni con la popolazione locale a volte subito amica a volte
diffidente e timorosa a volte poco affidabile. Quella che stava dalla
parte dei “ribelli“, dovendo scendere al piano per il mercato dei propri
prodotti, legna e formaggio, si mostrò ben presto capace di assumere
e riferire le informazioni utili sui movimenti delle truppe tedesche e delle
squadre fasciste. Si distinse per l’efficacissima collaborazione Pietro l\/
lattei di Cupoli detto “maresciallo” dai partigiani e “pietruccella “ dai
compaesani, un cinquantenne che riusciva a coinvolgere e trascinare
gran parte della gente cercando di vincere ogni forma di diffidenza
e di omertà; al suo ricordo è rimasto legato il sentimento di profonda
riconoscenza dei partigiani. Ad una buona radio trasmittente ricevente
era addetto lo studente d’ ingegneria Socrate Mattoli (detto Chicchio).
Olio, pasta, zucchero, sale, medicinali, vino e sigarette venivano riforniti
per la via di Ponze dal Comitato di liberazione nazionale di Foligno, un
primo “audace e fedelissimo nucleo di volenterosi” formato da Benedetto
Pasquini presidente, monsignor Luigi Faveri, e da rappresentanti di
tutti i partiti che dal fascismo erano stati soppressi. Per ogni partigiano
occorreva l’opera di resistenti civili procacciatori di aiuti materiali e di
altrettanti generosi donatori, la collaborazione di numerose staffette fra
cui alcune donne. ln proporzione dei combattenti s’ingrossava l’esercito
della Resistenza nelle ‘”retrovie”; e vi erano dei quindicenni! I partigiani
ricevevano talvolta la visita di qualche esponente del Comitato di
liberazione; in questi incontri si trattava dei piani di attacco e di difesa, e
del reclutamento dei giovani. L ‘intesa non mancò mai fra combattenti
e civili anche per la saggia convinzione del comandante Cantarelli
di doverla mantenere e consolidare a ogni costo; le varie posizioni
ideologiche non avevano ancora preso il sopravvento e comunque
prevalse lo spirito di tolleranza nella brigata Garibaldi. Per le bande
partigiane operanti in Umbria non esistette altro collegamento se non
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con i Comitati di liberazione clandestini e con i partiti che ne facevano
parte. Una struttura militare gerarchica si costituì soltanto nella primavera
del 1944 nel nord d’ltalia con un comando unico e se tardivamente poté
estendersi anche al centro lo fu in maniera tale che non se ne percepì
alcuna efficacia.
Il rifornimento della carne costituì inizialmente il problema più grosso,
cui lo stesso Comitato da solo non poteva provvedere; si trattava infatti
di toccare interessi considerevoli di cittadini che si sentivano estranei,
quanto meno, alla situazione. L’ orientamento adottato fu quello
di trattare con i proprietari di bestiame e di evitare le requisizioni o i
colpi di mano che invece si resero necessari. Siccome non si poteva
continuare a mangiare per troppo tempo soltanto minestrone o pasta
asciutta, brodo di pecora o sangue di maiale (lavorazione che si faceva
in ogni casa), quando andava bene un boccone di pecorino e di
affettato, in cambio generalmente di sale; quando andava peggio
qualche cornacchia, decisero per non gravare sulla popolazione meno
abbiente di procacciarsi la carne operando un grosso colpo di mano
nella stalla e gli annessi recinti della tenuta detta il Casone sul piano di
Colfiorito nel paese di Taverne (mt. 758 alt.), frazione di Serravalle del
Chienti. I proprietari Sordini avvertiti di quanto stava per accadere non
denunciarono il fatto all’autorità competente se non altro per il timore di
eventuali rappresaglie. Di notte una ventina di partigiani s’impadronirono
di alcuni capi di bestiame e, chi a cavallo chi a piedi per i sentieri
coperti di ghiaccio, li guidarono a destinazione nella zona di Vallupo
e di Cancelli, curando di non andare mai allo scoperto, non potendo
tuttavia evitare gli attraversamenti pericolosissimi della strada Val di
Chienti, oggi statale 77, e di altre strade minori. Le bestie furono tenute a
brado e settimanalmente ne ammazzavano in genere una, che veniva
macellata dai montanari esperti. Si sfamavano i partigiani ma anche
la popolazione anch’essa bisognosa alla quale si consegnavano sale e
altri generi di prima necessità. Ogni volta che veniva offerto ai partigiani
un quantitativo di viveri il comandante rilasciava una dichiarazione ai
proprietari con la quale avrebbero potuto ottenere un indennizzo dal
Comitato di liberazione nazionale che faceva fronte all’impegno. In
seguito toccò al lanificio Tonti presso Rasiglia di essere costretto a fornire
un considerevole quantitativo di tessuto di lana, che doveva essere
prelevato dai tedeschi e invece fu consegnato ai partigiani e alla
popolazione. Da qui la famosa e sofferta nomea di “briganti”.
(pag- 46-49)
……
………
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L’assalto falito alla polveriere (10 febbraio 1944)
Dopo la storica riunione del 5 febbraio 1944, il comandante ferito rltornò
nel suo nascondiglio al convento dei Cappuccini: l’amico Adelio,
lasciandolo a malincuore torno a Cancelli (m. 900 alt.), per partecipare
alla preparazione del difficile attacco alla polveriera di Foligno (m. 416
alt.) Gli edifici tuttora si trovano seminascosti (inutilizzati) in una spianata
sulla sponda sinistra del fosso Renaro a circa mezza strada fra il paesino
di Uppello e la sorgente dell’acqua minerale di Sassovivo. L’operazione,
guidata dal comandante ad interim Fausto Franceschini, fu organizzata
con una cinquantina di asini accompagnati dai loro padroni, i fedeli
montanari capeggiati dal “maresciallo”. La notte del 10 febbraio fu
indicata come la più opportuna da persona che conosceva bene le
abitudini dei fascisti che presidiavano la zona. Fatalità volle che un
somaro intoppasse su una grossa pietra facendola rotolare a valle con
un grande rumore ingigantito dal silenzio notturno. l fascisti iniziarono
una nutrita sparatoria cui risposero i quaranta partigiani colti purtroppo
mentre avanzavano allo scoperto sulla collina lungo la strada che
proviene dall’abbazia di Sassovivo (574 alt.). Nel frattempo erano
arrivati rinforzi militari tedeschi su camion. Per sfuggire ad una sicura
carneficina i partigiani si ritirarono registrando una sconfitta, che pesò
molto poiché era quello il momento di fare largo uso di esplosivo per far
saltare i ponti e i tralicci delle linee elettriche e telefoniche, contorcere
le linee ferroviarie e sconvolgere i nodi stradali; ne occorreva in gran
quantità per rifornire tutti i nuclei partigiani delle zone di operazione della
brigata: Foligno, Spello, Nocera, Gualdo, Fossato, Camerino, Serravalle,
Visso, Trevi, Campello, un vasto territorio libero, perché controllato dai
partigiani; dalla montagna di Colfiorito ai monti Martani. Convenne
sparire immediatamente da quella zona, secondo i piani stabiliti, per
non provocare anzi per scongiurare la rappresaglia sulla gente che
si era alleata nel tentativo fallito. Pertanto la Brigata si sposterà dalla
montagna del folignate verso la zona di monte Cavallo (m. 1485 alt.),
Nocera Umbra e Gualdo Tadino. Era l’ addio a Raticosa! Sarà distrutta
dai tedeschi.
(pag. 68-69)
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