12-03-2012 14:59 Pagina 1 Tariffa R.O.C.: Poste Italiane S.p.A. -Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n°46) art.1 comma 1, DCB Genova TGE03212_GiornWEB.qxp:300x420mm ANNO XII | NUMERO 35 | MARZO | GIUGNO 2012 2 3 4 La scuola delle mogli Molière e il Teatro Giovanni Raboni La scuola delle mogli Marco Sciaccaluga La “querelle” Ciò che vide il maggiordomo Ciò che vide il maggiordomo Ospitalità Arthur Burke Giorgio Gallione Spettacoli ospiti Diario di Orton Biografia Orton alla Corte e al Duse 5 6 7 8 Rassegna Mises Intorno al testo Hellzapoppin Le Grandi Parole I Dialoghi di Platone Programma Enrico V Alla Corte, “La scuola delle mogli” di Molière e, al Duse, “Ciò che vide il maggiord o m o ” d i J o e O r t o n RIDERE CHE EMOZIONE! Giunta ormai a tre quarti del suo percorso anche questa stagione 20112012 si dimostra felicemente riuscita, con un aumento contenuto ma molto significativo del numero degli spettatori in relazione allo scorso anno. Andamento felice e significativo soprattutto perché conseguito in un momento di oggettiva, generale difficoltà, e che sta ancora una volta a significare una considerazione anche in altre occasioni verificata: che la cultura nelle sue declinazioni più diverse, proprio nei momenti di crisi riesce a proporsi quale riferimento, sostegno, appoggio, e che a lei le persone si rivolgono per trovare una sponda dai valori forti. E questa considerazione da sola basta a rendere per noi importanti le occasioni di incontro che il nostro lavoro ha con il pubblico. Anche pensando al momento che attraversiamo, nella stagione in corso siamo stati attenti a non caricare di toni troppo scuri le nostre proposte, e abbiamo privilegiato il comico e il riso, ineguagliabili lenti di ingrandimento sulla società e sulle sue storture. Su questa linea abbiamo prodotto Moscheta di Ruzante, Don Giovanni di Molière con la Compagnia Gank, e collaborato a Tinello italiano di Altan prodotto dall’Archivolto. Su questa linea continuiamo adesso proponendovi un capolavoro assoluto del teatro comico di tutti i tempi, La scuola delle mogli di Molière e, sempre in coproduzione con l’Archivolto (Compagnia a noi fortemente legata per origine e affinità), una pagina di grande satira contemporanea qual è Ciò che vide il maggiordomo dell’inglese Orton. Per restituire tutta la forza comica e di critica sociale delle pagine di Molière la regia di Marco Sciaccaluga ha spostato la vicenda in un ambiente piccolo borghese degli anni ‘20. A Eros Pagni il compito di guidare una parte importante della nostra Compagnia Stabile interpretando il personaggio di Arnolfo, che lo stesso Molière portò a enorme successo suscitando clamorose risate ma anche provocando, nella malata società del suo tempo, scandalo e l’accusa di essere volgare e immorale. Alla altrettanto, anche se diversamente, malata società di oggi si rivolge la satira, attraversata da follia, di Joe Orton, nello spettacolo diretto da Giorgio Gallione e interpretato da un’altra metà della nostra Compagnia Stabile. Carlo Repetti (continua a pag. 6) ALLA CORTE, EROS PAGNI INTERPRETA MOLIÈRE E r o s P a g n i c o n A l i c e A r c u r i i n u n a s c e n a d e l l o s p e t t a c o l o (foto M a rc e l l o N o r b e r t h ) Nuova produzione del Teatro Stabile di Genova, La scuola delle mogli di Molière è un capolavoro di analisi psicologica e comportamentale, sotteso da una travolgente “vis comica” nella quale la società francese del Seicento (ma anche tutti gli spettatori teatrali dei tre secoli e mezzo seguenti, che hanno visto più volte trionfare la commedia) ha avuto modo di rispecchiarsi con un misto di sgomento e di complicità, a causa della “scandalosa” forza del suo assunto narrativo e della originalità con cui vengono definiti i suoi personaggi. Lo spettacolo è in scena al Teatro della Corte dal 13 marzo al 5 aprile. Diretta da Marco Sciaccaluga, nella versione italiana di Giovanni Raboni, la commedia – accolta al suo apparire da clamorose risate e da furiose polemiche da parte dei benpensanti – è interpretata da Eros Pagni nel ruolo di Arnolfo, che Molière scrisse per sé, al cui fianco sono Alice Arcuri (Agnese), Roberto Serpi (Orazio), Jean-Marc Stehlé (Alain), Mariangeles Torres (Giorgina), Federico Vanni (Crisaldo), Marco Avogadro (Enrico), Massimo Cagnina (Oronte) e Antonio Zavatteri (un notaio). La scena è firmata da Jean-Marc Stehlé e Catherine Rankl (anche costumi), musiche di Andrea Nicolini e luci di Sandro Sussi. Rappresentata per la prima volta nel 1662, La scuola delle mogli di Molière racconta la storia dell’amore impossibile tra un uomo anziano e una ragazza che egli ha educato con il progetto di farne la moglie ideale; ma è anche un inno squisitamente teatrale alla libertà individuale, che mal sopporta i vincoli imposti dall’autoritarismo ideologico di cui si alimentano i sogni pedagogici e matrimoniali di Arnolfo, il quale, a causa della propria radicale sfiducia nelle donne, è convinto che sia meglio una moglie poco attraente e sciocca che una consorte bella e intelligente. L’ANARCHICA COMICITÀ DI JOE ORTON, AL DUSE Frutto della collaborazione tra il Teatro Stabile di Genova e il Teatro dell’Archivolto, Ciò che vide il maggiordomo di Joe Orton debutta sul palcoscenico del Duse mercoledì 11 aprile, con repliche sino al 22 aprile. Messa in scena da Giorgio Gallione per l’interpretazione di Ugo Dighero (Dr. Prentice), Mariagrazia Pompei (Geraldine Barclay), Mariangeles Torres (Mrs Prentice), Pier Luigi Pasino (Nick), Antonio Zavatteri (Dr. Rance), Mauro Pirovano (sergente Match), quella di Orton è una farsa socialmente graffiante, caratterizzata da un dialogo brillante e da una costruzione narrativa dal ritmo frenetico. L’azione si svolge interamente e in tempo reale nell’ufficio ospedaliero dello psichiatra Dr. Prentice dove all’inizio egli riceve una ragazza per un colloquio di lavoro, dando così il via a una folle girandola di eventi punteggiati da litigi e diagnosi affrettate, travestimenti e scomparse improvvise. Ciò che vide il maggiordomo travolge lo spettatore nel gioco dell’amore, della vita e della morte, rovesciando sul palcoscenico una comicità che non lascia respiro. Quello proposto da Joe Orton è un meccanismo teatrale a orologeria che fa saltare ogni certezza e travolge ogni logica, coinvolgendo nell’azione personaggi esasperantemente folli, ma in apparenza assolutamente credibili: oltre al “padrone di casa” che cerca di nascondere le sue divagazioni amorose, la commedia chiama in causa una moglie nevrotica e ninfomane, un’apprendista segretaria forse un po’ troppo ingenua, un allucinante e irreprensibile ispettore sanitario, un giovane e maldestro fattorino d’albergo, un poliziotto con dubbie capacità investigative. Rappresentata nella versione italiana di Raoul Soderini, Ciò che vide il maggiordomo si avvale della scena e dei costumi di Guido Fiorato e delle luci di Sandro Sussi. U g o D i g h e r o , M a u r o P i r o v a n o , M a r i a g r a z i a Po m p e i , P i e r Lu i g i Pa s i n o , A n t o n i o Z a v a t t e r i , M a r i a n g e l e s To r r e s d u r a n t e l e p r o v e d i C i ò c h e v i d e i l m a g g i o r d o m o ( f o t o B e p i C a r o l i ) LE GRANDI PAROLE DI PLATONE RASSEGNA DI DRAMMATURGIA CONTEMPORANEA C o r t e , P i c c o l a d a l 1 7 m a r z o a l 2 a p r i l e I Dialoghi di Platone sono ancora oggi in grado di offrire un criterio d’interpretazione della realtà e di far riflettere sulle problematiche contemporanee? Il nuovo ciclo delle Grandi Parole nasce dalla ipotesi che si possa dare una risposta positiva a questa domanda e, con la guida di cinque illustri studiosi e testimoni del nostro tempo (Gianni Vattimo, Vito Mancuso, Massimo Cacciari, Giulio Giorello, Paolo Flores d’Arcais), intende verificarla attraverso un ampio repertorio antologico affidato alle voci di grandi interpreti della scena italiana (Omero Antonutti, Elisabetta Pozzi, Eros Pagni, Massimo De Francovich, Massimo Venturiello), affiancati per l’occasione da alcuni attori della compagnia dello Stabile (Federico Vanni, Orietta Notari, Massimo Mesciulam, Massimo Cagnina, Roberto Serpi, Massimo Malagugini, Roberto Alinghieri). Il ciclo prende il via sabato 17 marzo (ore 17) con la lettura quasi completa del Simposio (argomento: “Amore ed erotismo”), per sviluppare poi, lunedì 19 (ore 20.30), il tema “L’anima e il suo destino” attraverso i grandi miti contenuti in Fedro (la biga alata), Fedone (l’immortalità dell’anima) e La Repubblica (mito della caverna e mito di Er). Sabato 24 (ore 17) è la volta del Protagora (“Virtù e conoscenza”), seguito lunedì 26 (ore 20.30) dal trittico Timeo, Teeteto e Menone (“Scienza e reminiscenza”), per concludere lunedì 2 aprile parlando di “La libertà e la legge” sul filo delle argomentazioni trattate nel Critone. C o r t e , Dal 15 maggio al 2 giugno, il Teatro Stabile di Genova propone nell’anfiteatro eretto sul palcoscenico della Corte (Piccola Corte) la XVII edizione della Rassegna di Drammaturgia Contemporanea. Il cartellone prevede la “mise en espace” di tre nuovi testi provenienti da paesi extraeuropei. Nell’ordine, dal 15 al 19 maggio (ore 20.30) sarà rappresentato Benedictus di Motti Lerner proveniente da Israele, Iran e Stati Uniti; sarà poi la volta, dal 22 al 26 maggio, di La huelga de las escobas (Lo sciopero delle scope) scritto dalle argentine Roxana Aramburu, Patricia Suárez e d a l 1 5 m a g g i o Mónica Ogando; mentre dal 29 maggio al 2 giugno (sempre alle 20.30) sarà la volta di Offices, scritto dal più giovane degli statunitensi fratelli Coen, Ethan, noti soprattutto per la loro attività cinematografica. Tre testi caratterizzati da un forte impatto etico e sociale, a l 2 g i u g n o capaci di parlare del mondo attuale ora con una storia di fantapolitica come in Benedictus (lo scoppio della guerra dell’Occidente contro l’Iran che non ha voluto dismettere la produzione atomica) per la regia di Roberto Alinghieri; ora attraverso l’evocazione di un tragico sciopero avvenuto a Buenos Aires nel 1907: La huelga de las escobas per la regia di Mario Jorio; ora anche radiografando con humour graffiante la quotidianità di tre situazioni che vedono protagonisti impiegati di oggi, come fa Ethan Coen in Offices, che si avvale della regia di Matteo Alfonso. TGE03212_GiornWEB.qxp:300x420mm 12-03-2012 14:59 Pagina 2 2 l La scuola delle mogli ARNOLFO Dovrei mettermi in casa, io, una donna di AGNESE Sono così stupita CRISALDO Questo vostro progetto mi preoccupa; ORAZIO Comunque sia, la deliziosa Agnese spirito che non ha sulla bocca che la corte e i di quanta gioia se ne può provare! comunque vada, prendere una sposa ha saputo incantarmi. salotti, che scrive in versi e in prosa letterine galanti? E pensare che ancora non ne sapevo niente... è per voi, caro amico, un’impresa rischiosa. È, vi giuro, un autentico gioiello. (Atto I, scena prima) (Atto II, scena quinta) (Atto I, scena prima) (Atto I, scena quarta) Un poeta comico e drammatico Con La scuola delle mogli Molière porta sulla scena la disincantata conoscenza delle cose umane Uno dei più grandi poeti del ‘900, Ezra Pound, ha detto una volta che traducendo non dobbiamo scrivere come avremmo scritto se fossimo stati al posto dell’autore, ma come l’autore scriverebbe se fosse al nostro posto. Sembra un paradosso, ed è invece, credo, semplicemente la verità. Solo che la verità è, nella maggior parte dei casi, irraggiungibile, e il massimo che possiamo fare è tendere ad essa, sforzarci (senza trucchi e senza iattanza) di rendere un po’ meno vertiginosa la distanza che ce ne separa. Traducendo La scuola delle mogli ho cercato di orientare in questo senso tutte le scelte linguistiche (non solo lessicali e sintattiche ma anche, e forse più ancora, timbriche e tonali, insomma “musicali”) alle quali mi sono via via trovato di fronte. Come ogni testo, anche una traduzione scopre strada facendo il proprio destino, cresce, per così dire, su se stessa: e dunque, man mano che procedevo, le scelte si sono fatte sempre più obbligate e, insieme, più “naturali”. Riguardo alla metrica era necessario prendere, invece, una decisione a priori: bisognava decidere, insomma, prima di mettersi al lavoro, come cavarsela con l’implacabile alessandrino a rima baciata dell’originale. Valendomi anche di precedenti esperienze (soprattutto quella fatta traducendo - non una, ma addirittura due volte - la Fedra di Racine), ho scartato sia l’ipotesi del doppio settenario (il cosiddetto “martelliano”), che è un verso, secondo me, d’una mo- notonia difficilmente sopportabile ed è in ogni caso lontanissimo dalla morbidezza dell’alessandrino francese; sia quella dell’endecasillabo sciolto (che a teatro ha, per il mio orecchio, un che di troppo alfieriano, di troppo austero e al tempo stesso concitato) e ho optato per un libero e vario susseguirsi di endecasillabi e settenari, cioè dei due versi più classici e insieme più “fisiologici” della tradizione italiana. Il mio intento, spero non illusorio, era quello di creare un continuum sonoro sempre riconoscibile ma mai del tutto prevedibile, e capace – cosa ancora più essenziale – di un’estrema adattabilità al ritmo del parlato. Tale scelta comporta, ovviamente, l’abbandono della corrispondenza che in una traduzione per teatro, ammesso che l’abbia altrove, non ha, a mio avviso, alcuna importanza; altra e ben più decisiva conseguenza è la fedeltà alla sublime scioltezza della prosa molièriana che essa mi ha, spero, consentito. Ho detto “prosa” e voglio chiarire che non si tratta di un lapsus. Molière non è Racine: non è, voglio dire, un grande poeta, bensì un grandissimo prosatore che per obbedire alle convenzioni dell’epoca e alle richieste del pubblico ha scritto in versi un certo numero dei suoi capolavori. Io ho cercato di farla rivivere e in qualche misura di liberarla, la sua grande prosa, inserendola in una gabbia metrica più agile e lieve, e soprattutto meno coercitiva, meno punitiva di quella dell’originale. Giovanni Raboni Stufo dei vecchi sistemi? Nella sua bella e appassionata conferenza del 1886 su La scuola delle mogli, il commediografo Henri Becque s’interrogava su chi fosse Molière per concludere: «Un autore drammatico, il primo e forse il solo poeta comico». E, nel corso degli anni, questo primato della teatralità ritorna continuamente negli scritti o nella conversazione di coloro che hanno riflettuto su La scuola delle mogli, lontano da quel clima di scandalo e di polemiche che ne aveva caratterizzato il debutto nel 1662. A cominciare dal tedesco Gotthold E. Lessing che nel suo diario di lavoro, Drammaturgia di Amburgo, polemizza a distanza con Voltaire, il quale aveva definito la commedia di Molière «un lungo racconto», per sostenere con acute osservazioni la virtù e la grandezza squisitamente teatrale di una pièce in cui «tutto è azione anche se sembra narrato». E sulla stessa linea si muove anche, nel secolo seguente, Victor Hugo il quale, nella prefazione al suo Cromwell, considerata da molti il manifesto del teatro romantico, si lancia in un travolgente elogio dell’autore di La scuola delle mogli: «Racine è elegiaco, lirico, epico; Molière è drammatico. È giunta l’ora di fare finalmente giustizia delle critiche piene di cattivo gusto contro il suo mirabile stile, e di proclamare a gran voce che Molière sta al vertice della nostra drammaturgia». Sino ad arrivare a Louis Jouvet che, con le sue regie e interpretazioni, ha concorso più di ogni altro nel Novecento a collocare Molière nel pantheon dei classici, proprio perché ha saputo affrontare – sono le sue parole – La scuola delle mogli come un «puro gioco teatrale, sulle cui singole scene si potrebbero scrivere interi volumi spiegando, alla maniera di Proust, tutti i sentimenti e tutte le sensazioni fisiche che ci sono in ognuna di loro; ma poi, quello che davvero conta, quello che garantisce la vittoria di una interpretazione, è che il pubblico ride». La rappresentazione di Molière come autore interamente votato al palcoscenico e che solo qui esprime compiutamente tutta la sua grandezza ritorna anche nelle pagine a lui dedicate dal critico statunitense Harold Bloom nel suo Il canone occidentale, dove si legge Sopra: Roberto Serpi, Marco Avogadro, Eros Pagni, Massimo Cagnina, Federico Vanni. In basso: Eros Pagni e Antonio Zavatteri della «religiosa devozione al teatro» dell’autore di La scuola delle mogli, ma anche di come nelle sue commedie «la verità è sempre elusiva, sempre relativa, sempre osteggiata da singoli, schieramenti e scuole. Nella misura in cui riusciamo a toccare la coscienza di Molière, accantonando la sua evidente infelicità domestica, si può cogliere compiutamente come solo una ferma fede nel teatro gli abbia conferito quel certo distacco o serenità che ci compiaciamo di ascrivere anche a Shakespeare. L’alta visione comica, quando nulla le fa difetto (come nel caso di Molière), è indubbiamente conturbante e in ultima analisi persino causa di sgomento. Alla genialità senza pari di Molière appartiene la capacità di scrivere quelle che definirei “farse normative”», in cui anche i personaggi più negativi e i suoi avversari più strenui «non sono mai rappresentati come caricature», proprio perché nelle sue commedie (quindi anche in La scuola delle mogli) si ha sempre «la sensazione che nell’anima ci sia qualcosa d’altro che non è né vizio, né illusoria libertà». E la cosa affa- scinante nel suo teatro è che, però, proprio i protagonisti delle commedie di Molière, a differenza ad esempio di Amleto e di Iago, non possono sapere quale sia questa altra qualità dell’anima umana, perché essi sono negati «all’ascolto di se stessi». La scuola delle mogli, annotava ancora Victor Hugo, rivela tutta la sua verità e modernità perché sa valorizzare sino in fondo «il drammatico principio del grottesco, della commedia: la risata si mescola senza paura con la precisione dell’analisi umana dei personaggi, dando vita a scene memorabili e sublimi». Scene che traducono, appunto, la più profonda analisi dell’animo umano in un’azione squisitamente teatrale. E proprio per questo, poteva concludere Henri Becque, non si deve mai cercare di migliorare Molière, ma caso mai riconoscergli nella realtà del palcoscenico quello che soprattutto si merita: «Molière non è un filosofo: il filosofo è Cartesio; Molière non è un pensatore: il pensatore è Pascal; Molière non è un iconoclasta come Voltaire, né un riformatore come Rousseau. Che cosa è dun- ...e allora cambia! que Molière? È un autore drammatico. Un uomo che ha per istinto, per genialità o per missione quella di rappresentare i propri simili. Non chiedetegli di esporre delle idee: le idee, egli le esprime solo attraverso i propri personaggi, trasformandole in qualcosa di ridicolo quando diventano eccessive. Non chiedetegli un messaggio morale; egli è dalla parte di Agnese contro Arnolfo, ma nello stesso tempo sa che Agnese è un po’ colpevole. Non chiedetegli un consiglio pratico; egli sa benissimo che i suoi personaggi non possono assolutamente cambiare, perché sono sempre esistiti e sempre esisteranno. Molière ha solo bisogno di dar loro una seconda vita, la vita teatrale. Ha bisogno di fissare nel mondo dell’arte dei caratteri che, senza di lui e senza i suoi personaggi, resterebbero disseminati e dispersi nella natura. Se volete a tutti i costi trovare un insegnamento in Molière, che sia allora un vero insegnamento, alto e universale, come sanno esserlo solo quelli che si ricavano da tutte le grandi manifestazioni dello spirito e della disincantata conoscenza delle cose umane». www.amorchio.it TRADURRE PER IL PALCOSCENICO Il nuovo modo di fare informazione Quotidiano ON-LINE di cultura e tempo libero in Liguria marzo | giugno 2012 TGE03212_GiornWEB.qxp:300x420mm 12-03-2012 14:59 Pagina 3 La scuola delle mogli l 3 Conversazione con Marco Sciaccaluga regista dello spettacolo in scena alla Corte Corna e segreti nascosti nella provincia francese In polemica con Voltaire, Lessing sostiene che la grandezza di La scuola delle mogli deriva dal fatto che nella commedia “tutto è azione, anche se sembra narrato”. Sono perfettamente d’accordo con Lessing e aggiungerei che in questa commedia tutto è teatro, anche se sembra letteratura. La genialità teatrale di Molière si manifesta in questo caso nel lasciare fuori di scena, tra un atto e l’altro, lo svolgimento degli avvenimenti, per concentrare tutta la sua attenzione sull’effetto che apprendere ciò che è accaduto provoca nei personaggi, e in particolare in Arnolfo. Come accadrà poi anche in La brocca rotta di Kleist, chiaramente influenzata per quanto riguarda la struttura drammaturgica da La scuola delle mogli, Molière ci racconta qui la storia di un’identificazione tra giudice e imputato: una storia che ha l’andamento di un suspense, tanto più coinvolgente perché, proprio come accadrà al giudice Adamo, gli unici a sapere di questa identità sono lo stesso Arnolfo e gli spettatori. E questo dà a tutta la commedia non solo un originale sapore drammaturgico, ma anche la straordinaria forza metaforica di un’avventura teatrale che sa raccontarci sia l’inesorabile contrasto tra i nostri sogni e lo svolgimento della realtà, sia come la vita degli esseri umani è caratterizzata dall’inesorabile difficoltà a radicarsi in una consapevole identità. Proprio dal contrasto tra ciò che Arnolfo ha programmato e i fatti che egli viene ad apprendere attraverso i racconti dei suoi interlocutori nasce anche la potente comicità della commedia. Certo, in La scuola delle mogli si parla di corna e di contrasto tra le generazioni, e innumerevoli sono le occasioni per ridere; ma lungi dall’essere consolatoria, in Molière, la risata è anche la chiave per scoprire tante verità. La trama della commedia può essere raccontata come il contrasto tra un sogno totalitario (il progetto di Arnolfo di creare in Agnese la A l i c e A r c u r i , M a r i a n g e l e s To r r e s , J e a n - M a r c S t e h l é moglie ideale) e la libertà individuale, che anche a loro insaputa si concretizza nell’amore che nasce “naturalmente” tra Agnese e Orazio. Come Faust, Arnolfo sogna l’eterna giovinezza, anche se non ha più bisogno d’incontrare Mefistofele, perché il diavolo lo porta dentro di sé, nella propria cattiva coscienza; e come Frankenstein ordisce il folle programma di dare vita alla creatura perfetta attraverso la quale realizzare la sua aspirazione all’immortalità. Ma si tratta pur sempre di una commedia e alla fine il suo sogno è destinato a spezzarsi nel contrasto con la realtà e con la natura umana. La forza di La scuola delle mogli deriva non solo da quello che racconta, ma anche e soprattutto dal modo in cui lo fa. Quello che Molière propone non è un affresco metafisico o una metafora esistenziale, ma è soprattutto una piccola storia privata di provincia, attraverso la quale però sa far nascere l’immagine di un’umanità e di una società senza tempo, dove si alimenta l’illusione che i catechismi, i regolamenti e le ideologie possano governare la natura, piegandola al loro pro- grammatico volere. Perché hai scelto di spostare l’ambientazione della commedia dal Seicento al primo Novecento? Sul tema della collocazione nello spazio e nel tempo della messa in scena di un classico credo bisognerebbe innanzitutto abbandonare ogni posizione pregiudiziale: quella dei registi che esibiscono la modernizzazione come unico dato di originalità, ma anche quella degli spettatori più conservatori che si scandalizzano di fronte all’inserimento nella rappresentazione di elementi non legati al momento cronologico in cui un’opera è stata scritta. Nel teatro che mi piace fare e vedere, il problema delle modalità di rappresentazione nasce innanzitutto da una ragione narrativa. Personalmente sono sempre molto rigoroso nell’analisi critica del testo che sto mettendo in scena, ma sono anche convinto che nel teatro d’interpretazione questo profondo rispetto per la parola dell’autore non passi affatto attraverso l’appiattimento figurativo sull’epoca in cui un testo è stato scritto. Anzi, mi piace pensare, credo con buon fondamento, che se Molière o Shakespeare potessero assistere oggi alla rappresentazione di una loro opera sarebbero quanto meno stupefatti nel veder entrare in scena personaggi vestiti con abiti del Seicento. Il teatro è sempre coniugato al presente e la forza di un classico sta nella sua capacità di parlarci ancora, senza condizionamento a-priori e senza forzature pregiudiziali. E allora, da dove nasce la scelta di raccontare La scuola delle mogli proprio in questo modo? Da un’esigenza prevalentemente narrativa, dicevo. Ci è sembrato di leggere nella commedia l’esplicito rinvio a una realtà piccolo borghese e questo ci ha indotto a pensare a uno spazio che appartenesse soprattutto al tempo in cui la borghesia ha assunto uno specifico riconoscimento sociale. A questo punto con gli scenografi Jean-Marc Stehlé e Catherine Rankl abbiamo fatto diversi tentativi guardando agli ultimi due secoli, per fissarci poi su quell’epoca specifica non tanto per precise ragioni critiche, ma per una serie complessa di suggestioni culturali, che in me hanno riguardato soprattutto certo cinema francese che amo, con in primo piano quello di Claude Chabrol che forse meglio di ogni altro ha saputo dare spessore universale all’evocazione di un universo provinciale. Messa in moto l’immaginazione, poi tutto è venuto un po’ da sé, senza forzature e senza compiacimenti citazionisti; portando in primo piano, a sorpresa anche per noi, un clima da vaudeville cechoviano. Ciò che veramente mi interessa è raccontare quella storia che Molière confina in un piccolo microcosmo privato, avendo però la capacità di farlo esplodere, in modo da investire anche la nostra realtà contemporanea, come spero possa accadere anche alla nostra scatola scenica, che rinvia a un universo in cui si sente il profumo di baguette e il suono della fisarmonica, ma anche a piccole cose di cattivo gusto, a segreti nascosti, a orchi in agguato, che cercano invano di condizionare lo sbocciare della natura. a cura di a.v. Poesia di Boileau in onore dell’amico Molière “Lascia che gli invidiosi brontolino” Invano mille spiriti gelosi, Molière, osano con disprezzo Censurare la tua opera più bella; La sua ingenuità piena di fascino Andrà per sempre negli anni A divertire la posterità. La tua Musa con utilità Dice piacevolmente la verità; Ognuno trae vantaggio alla tua scuola; Tutto è bello, tutto è buono: E la tua parola più scherzosa È spesso un dotto sermone. Come ridi piacevolmente! Con quanta sapienza scherzi! Colui che seppe vincere Numanzia, Che sottomise Cartagine alla sua legge, Un tempo col nome di Terenzio Seppe forse scherzare meglio di te? Lascia che gli invidiosi brontolino; Hanno un bel gridare a tutti i venti Che addolcisci invano la volgarità, Che i tuoi versi non hanno nulla di piacevole: Se tu sapessi piacere un po’ meno, Non dispiaceresti tanto a loro. Nicolas Boileau (1636-1711), in Le Delizie della poesia galante,1663 (25 settembre) La battaglia intorno a “La scuola delle mogli” nella Parigi del Re Sole La scuola delle mogli (L’école des femmes) è stata rappresentata per la prima volta sul palcoscenico del Théâtre du Palais-Royal il 26 dicembre 1662. Il suo grande successo fa subito esplodere una “querelle” (la prima della carriera di Molière) che si protrae per quasi due anni. I benpensanti e i devoti sono soprattutto scandalizzati dalle “Massime del matrimonio” che Arnolfo consegna ad Agnese nella seconda scena del terzo atto, individuando in esse la presa in giro di una pre- dica e, ancora più grave, la parodia dei comandamenti di Dio. La commedia procura a Molière anche un’accusa per oscenità a causa delle ambiguità che sottendono il dialogo tra Arnolfo e Agnese nel secondo atto. La “querelle” si allarga ben presto coinvolgendo letterati, drammaturghi e commediografi rivali, autori debuttanti alla ricerca di notorietà. Si sottolinea subito, e non senza ragione, il debito di Molière nei confronti di una novella di Scarron (La précaution inutile) e di un rac- conto contenuto nella raccolta Facétieuses Nuits di Straparole; ma c’è anche chi, come il poeta Boileau, prende con decisione le difese di Molière. Qualche settimana dopo il debutto della commedia, Donneau de Vise accusa Molière di essere un autore al servizio dei potenti, alludendo al sostegno anche economico che gli viene tributato dal re Luigi XIV. A tutti i suoi nemici, Molière replica pubblicando e rappresentando La Critique de L’école des femmes, ma la cosa non fa che rinfocolare la “querelle”: Donneau de Vise gli risponde con Zélinde ou la Veritable Critique de L’école des femmes; Molière allora dedica la sua commedia ad Anna d’Austria, considerata una perfetta “devota”; a sua volta Boursault, amico dei fratelli Corneille, fa rappresentare all’Hôtel de Bourgogne Le Portrait du peintre ou la Contrecritique de L’école des femmes e vi pone in appendice la Chanson à la conquille, scritta da Donneau de Vise con espliciti insulti a Madeleine Béjart e allo stesso Molière, il quale scrive allora L’impromptu de Versailles, in cui ridicolizza la recitazione pomposa degli attori dell’Hôtel de Bourgogne. In risposta, Donneau de Vise fa rappresentare La vengeance des Maquis, in cui attacca gli attori di Molière, mentre alcune parodie di L’école des femmes iniziano a circolare per Parigi. Al culmine della “querelle”, Montfluery padre, direttore dell’Hôtel de Bourgogne, giunge esplicitamente ad accusare Molière di aver sposato la propria figlia (Armande Béjart), ma il re Luigi XIV in persona mette tutto a tacere accettando di fare da padrino a Louis, il figlio di Armande e di Molière. Dopo qualche scaramuccia ancora, infine, le acque si calmano e Nicolas Boileau mette termine alla lunga “querelle” dedicando a Molière la sua Satire II, in cui loda l’autore di L’école des femmes perché, contrariamente a quello che hanno fatto i suoi nemici, non si è mai abbassato ad attaccare la loro vita privata. marzo | giugno 2012 TGE03212_GiornWEB.qxp:300x420mm 12-03-2012 15:00 Pagina 4 4 l Ciò che vide il maggiordomo Psichiatria, sesso, equivoci e happy end: Joe Orton racconta la contemporaneità della sua Inghilterra Risate e travestimenti per una farsa scatenata La scandalosa comicità di “Ciò che vide il maggiordomo” raccontata in un libro per le scuole Il dottor Rance e la psicanalisi Martin Esslin sostiene che in Ciò che vide il maggiordomo “non c’è neppure un cenno di vera critica della psichiatria o della psicoanalisi”; ma questo è evidentemente falso. La critica che Orton fa della psichiatria non è affatto superficiale. Il dottor Rance ha una sua teoria sulla condizione di Geraldine. Nulla di quello che lei o altri dicono o fanno è in grado di contraddire questa teoria, nella quale Rance ha una fede incrollabile. Orton usa i metodi di Rance per ingigantire il senso di spaesamento e di perdita di identità di tutti i suoi personaggi, non solo di Geraldine. E così facendo Orton si allontana dalle comode convenzioni della farsa tradizionale, nella quale l’ordine viene ristabilito quando i personaggi smettono di fingere e, infine, si dicono reciprocamente la verità. In Ciò che vide il maggiordomo, la verità non ha nessun potere e ogni cosa viene interpretata a modo suo da Rance, servendo solo ad avvalorare le proprie teorie. Rance è convinto che Geraldine sia pazza. Non c’è nulla che lei possa fare per evitare l’umiliazione di essere rasata e costretta in una camicia di forza, segregata in una cella imbottita. Quando è travestita da maschio, Geraldine non Joe Or ton può far nulla per convincere il dottor Rance che in realtà è una ragazza: siccome lui si è messo in testa che lei sia un ragazzo di cui il dottor Prentice ha abusato, per Rance è evidente che sta fingendo un’identità femminile per mitigare il senso di colpa conseguente alla sua attività omosessuale. Mr e Mrs Prentice Il dottor Prentice è un personaggio da farsa più tradizionale. Egli è convinto che, se sarà abbastanza abile, potrà celare a tutti i suoi misfatti. Per questo, quando Prentice abbandona la finzione che ha dato inizio all’intera catena degli eventi, secondo le convenzioni della farsa, egli dovrebbe avviarsi verso la risoluzione del caos. Tuttavia, la verità non lo aiuta. Prentice è un personaggio da farsa convenzionale intrappolato in una farsa non convenzionale. La signora Prentice semplicemente “sorride con infinita pazienza” e afferma: «Se vogliamo salvare il nostro matrimonio, ti conviene ammettere francamente che alle donne preferisci di gran lunga i ragazzi». Le sue seguenti parole rivelano l’origine di questo modo di pensare: «Il dottor Rance mi ha spiegato le cause della tua aberrazione». Siccome il dottor Rance ha un proprio criterio per stabilire la verità, l’unica soluzione possibile è quella che lo avvalorerà. Solo in questo caso, i personaggi possono ritornare a uno stato che assomigli alla normalità. L’happy end Orton arriva a questa soluzione presentando al pubblico ciò che a prima vista potrebbe essere un “happy end” convenzionale. Nick si rivela essere il fratello di Geraldine. Il dottore e la signora Prentice sono i loro genitori. I membri della famiglia sono riuniti e si abbracciano sul palcoscenico. In molte commedie, questo sarebbe il momento di calare il sipario e ringraziare il pubblico. Orton invece non concede al suo pubblico il lusso di dimenticare. Orton e Wilde “Mi piacerebbe scrivere una commedia bella come L’importanza di chiamarsi Ernesto”, ha dichiarato nel 1966 Orton. Di fatto ci sono numerose somiglianze tra la commedia di Wilde e Ciò che vide il maggiordomo. Entrambe coinvolgono personaggi che pretendono di essere altre persone. Entrambe si concludono con la scoperta che i personaggi principali fanno parte della stessa famiglia. Entrambe traggono gran parte del loro umorismo dalla logica spietata che sottende i loro dialoghi. Secondo me, però, Ciò che vide il maggiordomo è più esilarante di L’importanza di chiamarsi Ernesto. Nella commedia di Wilde, i personaggi sono motivati soprattutto dalla noia o dalla curiosità, mentre i personaggi di Orton sono mossi da bisogni reali. Non è per un frivolo capriccio che Geraldine si traveste con l’uniforme di Nick. Senza abiti, lei non può lasciare la clinica. Se non scappa, sarà richiusa in una cella imbottita. Nick deve fingere di essere un poliziotto e arrestare se stesso o sarà arrestato realmente da un poliziotto vero. È la necessità che costringe Ciò che vide il maggiordomo a procedere con un ritmo così frenetico. L’urgenza si riflette nel dialogo. I personaggi di Wilde hanno l’agio di conversare durante il tè; quelli di Orton si sparano battute mentre passano da una crisi ad un’altra. In Ciò che vide il maggiordomo, le battute comiche si accavallano: siccome sono tutte molto buone, la conseguenza è che una nuova battuta giunge prima che il pubblico abbia finito di ridere della precedente. (da Laughter in the Dark. The Play of Joe Orton di Arthur Burke, Student Guides, London 2001) DAL DIARIO DI ORTON: IL PIACERE E LA FATICA DI SCRIVERE Mercoledì 28 dicembre 1966 Ho lavorato sodo tutto il giorno a Ciò che vide il maggiordomo. Ho scritto una scena in cui Geraldine si traveste da infermiera indiana. Poi, l’ho tagliata sebbene ci fosse parecchio da ridere. Sosteneva l’azione. Ma ogni volta che qualcosa mi fa ridere come un matto è un chiaro segno che deve essere eliminata. Sabato 14 gennaio 1967 Nel pomeriggio terminata la prima stesura di Ciò che vide il maggiordomo. È troppo lunga. Devo essere capace di tagliare. Sabato 11 marzo Kenneth Halliwell suggerisce che, per Ciò che vide il maggiordomo, la citazione da Giovenale “Quis custodiet ipsos custodes” sarebbe appropriata. Domenica 2 luglio Oggi ho riletto Ciò che vide il maggiordomo e sono soddisfatto. Ci sono parti che devono essere riscritte e altre che devono essere chiarite. Ma non si tratta di granché. Mi piace questa parte del lavoro. È una pulizia finale. Mercoledì 12 luglio Ho trascorso l’intera mattina a battere a macchina Ciò che vide il maggiordomo. Kenneth sta rileggendo la seconda metà della commedia. Ha suggerito uno o due tagli. Seguirò il suo marzo | giugno 2012 consiglio. La commedia è sufficientemente lunga, per cui posso tagliare ciò che non è una buona battuta o ciò che non è necessario per la comprensione della commedia. Lunedì 17 luglio Ho portato Ciò che vide il maggiordomo a Peggy (Ramsay). Ha guardato il titolo e ha detto: «Oh! Sembra il titolo di una vecchia farsa!». È stata molto colpita dalla citazione di (Cyril) Tourneur. Sono curioso di sapere quali saranno le sue reazioni. Domenica 23 luglio Ieri mattina Peggy mi ha telefonato. Abbastanza presto. Giovedì notte fino a tardi ha letto Ciò che vide il maggiordomo in una camera d’albergo a York. «Le persone devono aver pensato che sono matta» ha detto. «Ridevo come una matta. È la migliore cosa che hai fatto finora. Tecnicamente è superiore a Il malloppo». Aveva una o due riserve. «Il Lord Ciambellano non ti permetterà di mostrare su un palcoscenico l’attributo di Churchill» mi ha detto. «Pensavo di modificarlo in quello del Presidente Kennedy» ho risposto. «Oh, ma sarebbe molto molto peggio!» ha detto Peggy. «Lui è un martire. Non riusciresti a farla franca. E l’altra cosa è l’incesto. Semplicemente non so se tutto quello scopare di genitori e figli sarà permesso». Ha detto: «La commedia è destinata a fare scandalo. E sarebbe un peccato. Sarebbe proprio un peccato, se il tuo grande talento venisse sempre associato a soggetti scandalosi o che creano preoccupazione». Ho lasciato il copione a Liz (la segretaria di Oscar Lewenthal), la quale mi ha detto che avrebbe ribattuto la pagina con la didascalia: “Il dottor Prentice prende un contraccettivo dalla scrivania”. «Così per non infastidire troppo il Lord Ciambellano». Mercoledì 26 luglio Oscar mi ha detto che aveva trovato un errore nel Maggiordomo. Nella prima scena Geraldine spiega che “sua madre” è stata mandata in pezzi da una statua. «Non era la sua matrigna?» ha chiesto Oscar. Questa sera ho ribattuto due pagine del primo atto per rendere la cosa più logica. Anche Kenneth dice di aver trovato un altro errore. Nella prima scena, Geraldine dice che non sa battere a macchina. Ma nell’ultimo atto sente che le sue esperienze hanno influenzato la sua velocità di battere a macchina. Ho promesso di modificare in velocità a stenografare. Giovedì 27 luglio Oscar ha sottolineato i suoi progetti per Ciò che vide il maggiordomo. «Vuoi che venga prodotto al Court?», mi ha chiesto. (continua a pag. 5) TGE03212_GiornWEB.qxp:300x420mm 12-03-2012 15:00 Pagina 5 Ciò che vide il maggiordomo l 5 (Segue da pag. 4) «Non penso sia una commedia da Court», ho ribattuto. «Sinceramente nemmeno io», ha detto Oscar: «Ora l’abbiamo mandata al Lord Ciambellano, ma che cosa facciamo se ritorna con richieste di tagli? Intendo dire, per esempio, che quasi sicuramente lui non permetterà i riferimenti al signor Churchill, giusto?». «Ma se è solo una statua?». «Non sarà molto contento», ha aggiunto Oscar: «E cosa dire poi delle leggi sulla calunnia?». «Cosa ho detto in fondo su Churchill?» ho domandato. «Stai dicendo che ha un grande attributo» ha spiegato Oscar. «Ma questo non è sicuramente ingiurioso» ho ribattuto. «Non chiamerei in giudizio nessuno per avermi detto che ho un grosso attributo. Nessun uomo lo farebbe. Addirittura io potrei pagare qualcuno per dirlo». Oscar ha tirato su con il naso per un minuto poi ha detto che pensava a Ralph Richardson nel ruolo del dottor Rance. Non sono molto sicuro. Sebbene ammiri Richardson, direi che ha dieci anni di troppo per il ruolo. E non è proprio famoso per la sua recitazione comica. «Mi piacerebbe Alastair Sim» ho detto. Oscar non ne era entusiasta. Sia io che Kenneth abbiamo pensato che Oscar non dava un buon consiglio suggerendo Richardson. Ma non mi sono sentito di discuterne fino a tardi. (da The Orton Diaries edited by John Lahr ed. Methuen, London 1986) INCONTRI NEL FOYER INGRESSO LIBERO INTORNO A “LA SCUOLA DELLE MOGLI” E A “CIÒ CHE VIDE IL MAGGIORDOMO” Mercoledì 21 marzo (ore 17,30): Conversazione con Marco Sciaccaluga, Eros Pagni e gli altri interpreti di La scuola delle mogli. Mercoledì 18 aprile (ore 17,30): Conversazione con Giorgio Gallione e gli attori di Ciò che vide il maggiordomo. Entrambi gli incontri sono condotti da Umberto Basevi e organizzati in collaborazione con l’Associazione per il Teatro Stabile di Genova e I Buonavoglia. Conversazione con Giorgio Gallione regista dello spettacolo in scena al Duse dall’11 al 22 aprile La follia della realtà ORTON UNA METTE IN DISCUSSIONE LE CONVENZIONI SOCIALI E SMASCHERA BORGHESIA RICETTACOLO DI VIZI, DEGENERAZIONI E AMORALITÀ Divertire senza rassicurare, far ridere insinuando dubbi e domande, coinvolgere nell’intreccio capovolgendo la realtà. È l’effetto spiazzante della comicità di Orton che Giorgio Gallione si propone di portare sulla scena con la regia di Ciò che vide il maggiordomo, di Joe Orton appunto, in programma al Duse dall’11 al 22 aprile, con una coproduzione del Teatro Stabile e del Teatro dell’Archivolto. Per Gallione non si è trattato, però, del primo impatto con l’autore inglese amico e collaboratore dei Beatles, perché alla fine degli anni ‘80 aveva già curato la messa in scena di un’altra sua opera, Il malloppo, assieme a quelli che poi sono diventati i Bronkoviz. Com’è stata questa nuova esperienza con il teatro di Orton? Per me è stato come tornare in territori già conosciuti. Quando, circa venticinque anni fa, mettemmo in scena Il malloppo, Orton era appena stato tradotto in italiano dalla Costa & Nolan e ci innamorammo subito della sua comicità dissacrante e della sua scrittura che confina con molti altri linguaggi, teatrali e non solo (penso per esempio a Wilde, a Feydeau, a Labiche). Orton era convinto che le sue opere dovessero essere messe in scena in modo realistico e per questo litigò sovente con i suoi registi che invece tendevano a enfatizzare la vena d’inverosimiglianza che è presente nei suoi testi e che mette in discussione il principio di realtà. Un aspetto che colpisce in Ciò che vide il maggiordomo è il fatto che spesso siano proprio le parole, o meglio l’uso che ne fanno i personaggi, a capovolgere la realtà, indipendentemente dai fatti che accadono. Attraverso le parole e i comportamenti dei suoi personaggi Orton mette in discussione tutte le convenzioni sociali e smaschera il vero volto di quella borghesia che non ha più nulla di presentabile, perché è in realtà un contenitore di vizi, degenerazioni e amoralità. Basta spostare un tassello e tutta l’impalcatura crolla, e tu devi credere a tutto, anche all’inverosimile. Il suo spettacolo rispetta fedelmente il testo? Sì, naturalmente ci sono alcuni problemi legati alla traduzione dall’inglese, perché qualche battuta basata su giochi di parole inevitabilmente si perde. Io ho eliminato, invece, i riferimenti storici puntuali: Churchill, per esempio, nello spettacolo diventa semplicemente il Premier. Quando posso preferisco scappare da confini storici troppo precisi per privilegiare una dimensione più assoluta. Del resto mi pare che Ciò che vide il maggiordomo non abbia perso nulla della sua attualità, indipendentemente dai riferimenti alla storia o alla società anglosassone. Ci sono aspetti o temi che sulla scena ha voluto sottolineare più di altri? Ho enfatizzato un po’ quella forma di esibizionismo sociale, presente nel testo di Orton, per la quale tu esisti solo se sei visibile, se fai parte della società dello spettacolo. Non è un caso che, per esempio, la preoccupazione principale di uno dei personaggi, il sergente Match, sia quella di raccogliere materiale per completare il libro che sta per pubblicare. Io ho provato ad alzare un po’ l’asticella su questo aspetto dell’importanza dell’apparire, forzando leggermente i costumi di scena in questa direzione. Ogni personaggio ha un elemento che svelerebbe all’occhio di un patologo la presenza di una distonia, porta con sé fin dall’inizio una “spia” di quello che è e che magari solo successivamente svelerà di sé. Ci sono personaggi spudorati, come Nick, che si presentano subito per quello che sono e questa è una scelta chiaramente eversiva. Nick, infatti, entra in scena esibendo fin dall’inizio la sua carica erotica; altri personaggi, invece, si propongono inizialmente come i rappresentanti dell’ordine e della morale e poi svelano poco a poco le proprie degenerazioni o la propria follia. Tutti, però, hanno fin dall’inizio sulla scena un “segnale” di quello che sono veramente. Del resto il fatto che la storia d’amore fra due personaggi, lo psichiatra e sua moglie, sia iniziata con uno stupro in un armadio, non comporta solo la distruzione dell’autorità della psichiatria, ma anche di tutte le false regole del bon ton. La scelta di forzare un po’ i costumi è stata influenzata, poi, anche da un certo feticismo che pure è presente nel testo: che tutta la vicenda ruoti attorno allo smarrimento e al ritrovamento di un “idolo” di marmo, il pene della statua del Premier, mi pare emblematico... Per la scenografia che scelte avete fatto? C’è una battuta del testo che mi è sembrata illuminante, quando a un certo punto un personaggio chiede chi ha progettato la stanza e aggiunge: “Sembra disegnata da un pazzo”. Che in uno spettacolo sulla psichiatria qualcuno dica questo della stanza in cui si svolge la scena mi pare significativo della volontà dell’autore di teatralizzare la follia e il paradosso, e io ho tentato di forzare un po’ su questo. All’inizio avevo pensato alla stanza piena di porte di un quadro di Magritte, poi abbiamo deciso, con lo scenografo Guido Fiorato, di esplicitare il fatto che si tratti di un luogo medico e l’abbiamo tappezzato di lastre radiografiche. “Ciò che vide il maggiordomo” è quello che vede chi guarda dal buco della serratura e le lastre sulle pareti sono il simbolo di questa analisi della società attraverso una lente che ne mette in luce le degenerazioni. Siamo in una società malata che viene curata dai matti: il più matto di tutti, infatti, è proprio lo psichiatra, che è anche quello meno credibile dal punto di vista etico, visto che, fra l’altro, ha commesso uno stupro, ha tentato di uccidere sua moglie e ha quasi avuto anche un rapporto incestuoso. Che reazioni vorrebbe suscitare nel pubblico con questo spettacolo? Vorrei che gli spettatori si divertissero ma vorrei anche riuscire a trasmettere quella forza minacciosa e allarmante che c’è nella comicità di Orton, senza nascondere quella sua tendenza a teatralizzare la follia di fondo della società contemporanea. La degenerazione del potere, dell’autorità, dell’etica, della sessualità, del buon senso, non ha nulla di tranquillizzante nel teatro di Orton, anche quando suscita il riso. Annamaria Coluccia Le opere e la vita 1933 – John Kingsley Orton nasce il 1° gennaio a Leicester. 1949 – Inizia a occuparsi di teatro con la Leicester Drama Society, con i Bats Players e i Vaughan Players. 1951 – Si trasferisce alla Royal Academy of Dramatic Art, dove incontra Kenneth Halliwell. 1953 – Lavora come assistente al palcoscenico all’Ipswich rep. Scrive con Halliwell il romanzo The Silver Bucket. 1954-1956 – Scrive i romanzi Lord Cucumber, The Machanical Womb, The Last Days of Sodom e The Boy Hairdress (tutti pubblicati nel 1998). 1957 – Scrive Between Us Girls (pubblicato nel 1998). 1959 – Scrive la sua prima commedia: Fred and Madge (pubblicata nel 1998) 1961 – Scrive il romanzo The Vision of Gombold Proval (pubblicato nel 1998 con il titolo Head to Toe). 1962 – Scrive la commedia The Visitors (pubblicata nel 1998). È arrestato con Halliwell per furto e dannneggiamento di libri e condannato a sei mesi di carcere. In prigione scrive The Ruffian on the Stair. 1963 – Scrive la commedia Entertaining Mr Sloane (Intrattenendo il Signor Sloane). 1964 – Entertaining Mr Sloane è rappresentata al New Arts Theatre Club di Londra. Scrive The Good and Faithful Servant e Loot (Il malloppo). The Ruffian on the Stair è trasmesso dalla BBC Radio. 1965 – Scrive The Erpingham Camp. Entertaining Mr Sloane viene rappresentato a Broadway. 1966 – Scrive Funeral Game. The Erpingham Camp è trasmesso dalla Rediffusion Television. 1967 – Loot vince l’Evening Standard Award per la migliore commedia del 1966. Scrive per i Beatles la sceneggiatura Up Against It. The Ruffian on the Stair e The Erpingham Camp, unite sotto il titolo Crimes of Passion, vengono rappresentate al Royal Court di Londra. Scrive What the Butler Saw (Ciò che vide il maggiordomo). Il 9 agosto Kenneth Halliwell uccide Joe Orton a colpi di martello e poi si suicida. 1969 – Il 5 marzo Ciò che vide il maggiordomo viene rappresentato sul palcoscenico del Queen’s Theatre di Londra. marzo | giugno 2012 TGE03212_GiornWEB.qxp:300x420mm 12-03-2012 15:00 Pagina 6 6l spettacoli ospiti Malavitaeterna Non tutto è risolto di Gian Piero Alloisio Duse, 14 marzo – 18 marzo di Franca Valeri Corte, 10 – 15 aprile (segue da pag. 1) 14 marzo > 20 maggio 2012 valori universali. Con Stefano Santospago, Ludovica Modugno e Lorenzo Gleijeses. rispettata, abbia qualche scossone emotivo. Alla fine, il suo Riccardo non trova neanche un cavallo, un prezzo vantaggioso per un regno. Kohlhaas Definita dal suo autore e interprete “operina musicale teatrale sulla marginalità”, Malavitaeterna racconta una storia ambientata in un centro per tossicomani e altri emarginati. Uno spettacolo pieno di vitalità, affidato soprattutto al canto e al recitato su musica eseguita dal vivo. Radiografia di una società che si sta drogando: senza saperlo, senza volerlo, senza sentirsi in colpa. Con Alloisio, sono in scena la sorella Roberta e Federico Sirianni. A novant’anni passati, la signora della scena italiana Franca Valeri gioca in assoluta libertà con la propria avventura esistenziale e artistica, ma evita accuratamente di cadere nell’autobiografismo. Scrive e interpreta una commedia arguta, ironica, elegante; abitata da personaggi sempre un po’ matti, a cominciare dalla sua Contessa, alle prese con il passare degli anni e con una situazione finanziaria alquanto sgangherata. Con Licia Maglietta e Urbano Barberini. di Remo Rostagno e Marco Baliani da Heinrich von Kleist Duse, 26 – 29 aprile Acoustic Night 12 Incontro musicale tra Europa e Canada. La dodicesima edizione dell’Acoustic Night di Beppe Gambetta e i suoi ospiti (James Keelaghan, André Brunet, Eric Beaudry) rende esplicito già nel sottotitolo (L’edizione dei due mondi) quel movimento di andata e ritorno tra le due sponde dell’ Oceano Atlantico che ha sempre contraddistinto le sue “kermesse” artistiche e culturali. Un nuovo appuntamento con la chitarra acustica (ma non solo). Storia di Tönle Il principe di Homburg Considerata (insieme con La marchesa von O.) la maggiore opera narrativa di Kleist, Michael Kohlhaas, mette in gioco, attraverso la storia di un uomo che diventa ingiusto per eccessivo amore della giustizia, il contrasto tra l’individuo e la società, scegliendo infine di risolvere il conflitto nell’ambito del riconoscimento del valore oggettivo della giustizia, fondamento dello Stato. Di e con Marco Baliani. di Mario Rigoni Stern Duse, 20 – 25 marzo di Heinrich von Kleist Corte, 18 – 22 aprile Riccardo III di Mario Jorio da William Shakespeare Duse, 2 – 6 maggio fuori abbonamento di Beppe Gambetta Corte, 3 – 4 – 5 maggio dette e di corruzione morale, che spazio può rimanere per una storia d’amore? Diretto da Vito Malcangi con Giuliana Manganelli nel ruolo di Erodiade. Il motore ad acqua di David Mamet Duse, 15 – 20 maggio fuori abbonamento Un testo di Mamet mai rappresentato in Italia e proposto da una compagnia di giovani formatisi alla Scuola dello Stabile. Riusciranno le fonti di energia pulita a sconfiggere la crisi economica? Ambientata ai tempi della Grande Depressione, la commedia racconta l’odissea di un giovane inventore che ha progettato una macchina che produce energia consumando solo acqua piovana. Regia di Mauro Parrinello. Il venditore di profumi di Mario Bagnara Duse, 8 – 13 maggio fuori abbonamento Ministero Beni e Attività Culturali soci fondatori COMUNE DI GENOVA Nel racconto di Stern, da cui lo spettacolo è tratto, l’esistenza degli umili s’intreccia con i grandi avvenimenti della Storia. Alle prese con la legge austriaca e, poi, con la tragedia della Grande Guerra, la vita di Tönle, contadino e pastore, corre via rapida e intensa; a contatto con la natura e alla ricerca della pace interiore. Un grande narratore, fatto rivivere dalla recitazione epica di Petruzzelli. Un giovane militare prussiano del Settecento di fronte al contrasto tra i suoi romantici sogni di gloria e l’implacabile oggettività della legge. L’opera forse più significativa del grande scrittore tedesco viene riproposta da Cesare Lievi, nel duecentesimo anniversario della sua morte, nella sua sconvolgente capacità di definire personaggi, di dar vita a sentimenti e a passioni, di costruire un mondo di PROVINCIA DI GENOVA REGIONE LIGURIA «Una visione, una teoria, un punto di vista» sulla tragedia scespiriana, sottolinea Mario Jorio. Un gioco teatrale alla ricerca di un personaggio. Forse anche una parodia: certo la costruzione “arbitraria” di motivazioni profonde che sommate fanno sì che la storia, pur Nella commedia di Orton torna, con nostra sincera gioia, un attore ormai noto al grande pubblico, Ugo Dighero. Ciò che vide il maggiordomo è pieno di situazioni imbarazzanti, tentativi di seduzione, scambi di identità, aggressioni e inseguimenti, in una storia che ci travolge rovesciandoci addosso una comicità senza tregua nel rappresentare un folle mondo fatto di rapporti fra politica, sesso e potere, molto simile a quello che ci siamo appena lasciati dietro la porta (almeno speriamo!). Accanto a questi spettacoli tutti nostri, a completare l’ultima parte della stagione una decina di spettacoli ospiti fra cui spiccano la prova di una spiritosissima signora della scena, Franca Valeri, e l’appuntamento internazionale di Beppe Gambetta con i suoi amici virtuosi di chitarra. Infine con i cinque appuntamenti con Platone e i suoi interpreti migliori, e con le nostre Mises en espace porteremo a compimento una stagione che avevamo promesso come “piena di emozioni”. Forse abbiamo mantenuto la promessa. Carlo Repetti sostenitore La biblica storia di Salomé che, istigata da Erodiade, chiede a Erode la testa di Giovanni il Battista, viene fatta rivivere da Mario Bagnara nell’ambito del suo prediletto “teatro di parola”. In un contesto d’intrighi, di ven- sostenitore numero 35 • marzo 2012 Edizioni Teatro Stabile di Genova piazza Borgo Pila, 42 | 16129 Genova www. teatrostabilegenova.it Presidente Prof. Eugenio Pallestrini Direttore artististico e organizzativo Carlo Repetti Condirettore Marco Sciaccaluga Direttore responsabile Aldo Viganò Collaborazione Annamaria Coluccia Segretaria di redazione Monica Speziotto Autorizzazione Trib. Genova n. 34 del 17/11/2000 partner della stagione Progetto: Stampa: Microart’s Genova art: B.Arena, GE 03212 Datasiel al servizio del Sistema Liguria Soluzioni informatiche innovative per il cittadino. collegati al territorio [Datasiel e Regione Liguria] collegati al futuro www.datasiel.net marzo | giugno 2012 TGE03212_GiornWEB.qxp:300x420mm 12-03-2012 15:00 Pagina 7 l 7 R a s s e g n a d i d r a m m a t u r g i a c o n t e m p o r a n e a Dal 15 maggio al 2 giugno, in scena alla Piccola Corte tre novità di autori extraeuropei Trittico tra passato, presente e futuro Prodotta dal Teatro Stabile di Genova, la Rassegna giunge quest’anno alla XVII edizione con alle spalle più di cinquanta proposte di nuovi testi, molti dei quali sono poi diventati dei veri e propri spettacoli di produzione. Tre storie ambientate in un possibile futuro (Benedictus), in un passato scosso dalla lotta per la sopravvivenza (La huelga de las escobas) e in un presente sempre attuale (Offices). ISRAELE - IRAN - STATI UNITI ARGENTINA STATI UNITI PICCOLA CORTE PICCOLA CORTE PICCOLA CORTE da martedì 15 a sabato 19 maggio (ore 20.30) da martedì 22 a sabato 26 maggio (ore 20.30) da martedì 29 maggio a sabato 2 giugno (ore 20.30) Benedictus La huelga de las escobas Offices (Benedictus) (Lo sciopero delle scope) (Uffici) di Motti Lerner di Roxana Aramburu, Patricia Suárez e Mónica Ogando di Ethan Coen versione italiana di Enrico Luttman versione italiana di Ernesto Franco versione italiana di Luca Viganò regia di Roberto Alinghieri regia di Mario Jorio regia di Matteo Alfonso Tra fantapolitica e realtà. Mancano poche ore all’attacco Usa all’Iran che non ha obbedito al divieto di dotarsi di armi nucleari. Due amici divisi dalla storia, un iraniano e un israeliano, si danno appuntamento in segreto in un monastero romano, per cercare di fermare una guerra che si preannuncia catastrofica. Il loro incontro è spiato dai servizi segreti americani e dal monaco benedettino che li ospita. Fra i ricordi di un’ antica amicizia e l’urgenza dei protagonisti di modificare le cose a proprio favore, la storia viaggia a ritmo di thriller verso una violenza che sembra ormai inevitabile. La scansione del lento e implacabile trascorrere delle ore concorre fino alla fine a far mantenere il fiato sospeso allo spettatore. Buenos Aires 1907. Il governo della Repubblica Argentina decide di aumentare l’affitto dei condomini popolari dove risiedono soprattutto emigranti italiani, ma le donne di Boca y Barracas non ci stanno e scendono in piazza con i loro figli, fronteggiando la polizia armate solo dello loro scope. L’uccisione di un ragazzo di quindici anni mobilita la protesta di più di quindicimila persone, appoggiate da anarchici e socialisti. Il movimento va avanti per alcuni mesi, ma poi inesorabilmente si spegne e molti degli scioperanti stranieri sono espulsi dal paese. Nato da un episodio storico, il testo è caratterizzato da un piglio epico con qualche riconoscibile reminiscenza brechtiana. Tre atti unici scritti dal più giovane dei fratelli Coen, noti soprattutto per l’attività cinematografica. In Peer Review, un anonimo impiegato, malvisto dai colleghi, rivela di possedere qualità incomprese e impreviste dai superiori e dai vicini di stanza. In Homeland Security, l’attenzione si concentra su un agente segreto, con moglie e due figli, che entra in crisi esistenziale per aver perso una preziosa valigetta. In Struggles Session, infine, l’assurdità della vita in un ufficio emerge dall’odissea di un funzionario che, licenziato e poi riassunto con promozione, impara presto l’arte dei suoi superiori e le leggi spietate della società capitalistica. Incomprensione, stupidità e coazione a ripetere. Tre riflessioni in stile Coen, agili e ironicamente accattivanti, sulla disumanità del mondo del lavoro, non solo made in Usa. Nato in Israele nel 1949, Motti Lerner ha studiato matematica e fisica a Gerusalemme e teatro a Londra e San Francisco. Tra il 1976 e il 1979 ha scritto e diretto numerosi spettacoli sperimentali. Dal 1979 al 1984 è stato direttore e drammaturgo del Khan Theatre di Gerusalemme. Ha scritto sceneggiature per i principali teatri e canali TV israeliani. Molte delle sue opere sono state rappresentate negli Stati Uniti, in Europa e in Australia. Insegna “politic playwriting” all’Università di Tel Aviv. Ha tenuto conferenze in Europa, in U.S.A e nelle università israeliane sul teatro israeliano e sul conflitto israelo-palestinese. La huelga de las escobas nasce dall’incontro sul palcoscenico di tre donne connazionali provenienti da esperienze diverse. Roxana Aramburu è un’attrice e drammaturga argentina che ha vinto in patria numerosi premi teatrali con opere contrassegnate in prevalenza dalla capacità di affrontare temi riguardanti i diritti umani e il rapporto con la storia nazionale; Patricia Suárez, nata a Rosario nel 1969, è un’affermata giornalista e scrittrice, impegnata anche nella realizzazione di testi teatrali di successo; e Mónica Ogando è una docente universitaria, insegnante di sceneggiatura cinematografica e di disegno dell’immagine, che ha fatto sovente anche l’attrice in spettacoli alternativi. Nato a Minneapolis nel 1957 da una famiglia ebraica, Ethan Coen è noto soprattutto per i film di successo realizzati in coppia con il fratello Joel, di cui firma in prevalenza la sceneggiatura e la produzione, ma si occupa con passione anche di narrativa (una raccolta delle sue opere letterarie è stata pubblicata da Einaudi con il titolo I cancelli dell’Eden) e soprattutto di teatro per il quale ha scritto, oltre ai tre atti unici che compongono Offices, anche Almost an Evening, Relativity Speaking e Happy Hour. “ I n t o r n o a l t e s t o e o l t r e ”, q u a r t a e d i z i o n e Sei scuole, dieci insegnanti, undici gruppi di lavoro su otto spettacoli rappresentati nel corso della stagione sui palcoscenici dello Stabile di Genova. Per il quarto anno consecutivo, il progetto Intorno al testo e oltre, promosso da un gruppo di docenti coordinati dalla prof.sa Carla Olivari, prosegue nel suo coinvolgimento delle scuole della Liguria con la finalità di agevolare la formazione di “spettatori consapevoli”. Dall’inizio dell’anno, infatti, sono nati alcuni gruppi di studenti (e forse altri si aggiungeranno prima del 30 aprile, che è la data ultima per presentare i risultati della propria ricerca) che stanno lavorando su spettacoli di riferimento, assistiti dai loro insegnanti e supportati a richiesta dal Teatro Stabile con testi, conferenze e incontri con i protagonisti. Guidati dalla prof.sa Alba Chicco, gli studenti della classe IV C del Liceo Scientifico Nicoloso da Recco hanno concentrato la loro attenzione su Arlecchino servitore di due padroni di Goldoni e La scuola delle mogli di Molière. Al Liceo Classico D’Oria, il prof. Marco Martin segue il lavoro della classe I C su ITIS Galileo di Marco Paolini; mentre la prof.sa Simonetta Spinelli dell’Istituto Montale di Genova sta coordinando il lavoro della classe II B linguistico su Romeo e Giulietta di William Shakespeare, che è stato scelto come spettacolo di riferimento anche dalla classe IV D del Liceo Classico Colombo, assistita dalla prof.sa Alessandra Barisone e dal prof. Luigi Cavagnaro. Sempre al Colombo di Genova, altri due gruppi stanno lavorando intorno ad altri spettacoli: la classe III D ha scelto, infatti, di analizzare con la prof.sa Barisone The History Boys di Alan Bennett, e contemporaneamente le classi IV e V sempre del corso D stanno approfondendo insieme alle prof.se Sonia Pastorino e Maria Rosaria Di Garbo una riflessione su Elektra di Hugo von Hoffmansthal. Intanto, al Liceo Artistico KleeBarabino, la prof.sa Paola Boschieri sta conducendo tre studi paralleli su Macbeth di Shakespeare nelle classi II, III e IV sezione I; mentre al Liceo Scientifico Cassini di Genova la prof.sa Laura Forte, affiancherà il lavoro di Mauro Pirovano nel seminario di teatro promosso dallo Stabile genovese, con la finalità di guidare i partecipanti alla riflessione multimediale su Ciò che vide il maggiordomo. Valutati da una commissione composta da docenti e giornalisti, tutti i lavori prodotti nelle scuole nell’ambito del progetto Intorno al testo e oltre saranno presentati in pubblico, nel foyer del Teatro della Corte, nel corso del mese di maggio. Hellzapoppin nel Foyer della Corte Giovedì 29 marzo, ore 17 Presentazione del libro Lunaria teatro: viaggio nei teatri “minori” della Liguria con l’autrice Silvana Zanovello interviene Daniela Ardini in collaborazione con l’Associazione Lunaria Mercoledì 11 aprile, ore 17,30 Conversazioni con i protagonisti incontro con Franca Valeri e gli interpreti di “Non tutto è risolto” a cura di Umberto Basevi in collaborazione con l’Associazione per il Teatro Stabile di Genova e I Buonavoglia Giovedì 12 aprile, ore 17,30 Presentazione del libro Arie d’opera al cinema con l’autrice Franca Olivo Fusco, interviene Roberto Iovino in collaborazione con la Fondazione Mario Novaro Venerdì 13 aprile, ore 17 Pagine messaggere d’amore “La notte sarà sempre tenera...” di Zelda e Scott Fitzgerald in collaborazione con l’Associazione “L’incantevole aprile” INGRESSO LIBERO lavoriamo in più di 70 paesi, per portarvi energia eni.com marzo | giugno 2012 TGE03212_GiornWEB.qxp:300x420mm 12-03-2012 15:00 Pagina 8 8l Grandi Parole Alla Corte un ciclo dedicato all’attualità del filosofo greco. INGRESSO LIBERO Platone, l’importanza del dialogo Scritti quando ormai la grande stagione del teatro greco stava per finire, i Dialoghi di Platone conservano all’interno del loro assunto filosofico una forte idea di teatralizzazione del dibattito sui valori umani. E ciò non solo per la loro struttura narrativa, fatta di domande e risposte, relazioni tra esseri umani ben definiti, tra i loro modi diversi di vedere il mondo, ma anche per la vivacità e la concretezza che caratterizza la parola dello scrittore Platone, il quale, insieme all’esposizione dei concetti, sa sempre evocare anche azioni, rapporti personali, stati d’animo, facendo dei suoi interlocutori (con in primo piano il maestro Socrate) dei veri e propri personaggi teatrali. È da queste considerazioni che nasce la scelta di dedicare il XVII ciclo delle Grandi Parole ai Dialoghi di Platone, ma anche dal progetto di offrire al pubblico dello Stabile l’occasione di riflettere sulla valenza universale dei temi che tali Dialoghi affrontano, aperti come sono a un confronto con la realtà contemporanea. Nulla di astratto o di troppo specialistico, dunque; anche perché Platone è un filosofo per il quale la speculazione teoretica va sempre di pari passo con l’urgenza di tradurre il pensiero in comunicazione e in azione. Ad accompagnarci lungo il percorso tracciato da alcuni temi squisitamente platonici, ci saranno, nell’ordine cronologico d’intervento, Gianni Vattimo, Vito Mancuso, Massimo Cacciari, Giulio Giorello e Paolo Flores d’Arcais, i quali introdurranno la lettura da parte di attori di primo piano della scena nazionale di alcuni Dialoghi di Platone, che verranno fatti rivivere sul palcoscenico della Corte ora in forma quasi integrale (Simposio, Protagora, Critone), ora tramite uno scelto apparato antologico (Fedro, Fedone, La Repubblica, Teeteto, Menone, Timeo). in collaborazione con Amore e erotismo L’anima e il suo destino Virtù e conoscenza Scienza e reminiscenza La libertà e la legge SIMPOSIO FEDRO, FEDONE, LA REPUBBLICA PROTAGORA TIMEO, TEETETO, MENONE CRITONE conduce Gianni Vattimo leggono Omero Antonutti conduce Vito Mancuso leggono Orietta Notari conduce Massimo Cacciari leggono Eros Pagni conduce Giulio Giorello leggono Massimo De Francovich conduce Paolo Flores d’Arcais leggono Massimo Venturiello Federico Vanni Elisabetta Pozzi Massimo Mesciulam Massimo Cagnina Roberto Serpi Massimo Malagugini Roberto Alinghieri SABATO 17 MARZO, ORE 17.00 LUNEDÌ 19 MARZO, ORE 20.30 SABATO 24 MARZO, ORE 17.00 LUNEDÌ 26 MARZO, ORE 20.30 LUNEDÌ 2 APRILE, ORE 20.30 Il Simposio è una delle opere di Platone insieme più note e più misteriose. Colui che racconta, Apollodoro, non è stato testimone diretto dei fatti evocati, ma riferisce ciò che gli è stato detto da un amico che aveva partecipato alla serata in onore di Agatone, il drammaturgo vincitore delle Grandi Dionisiache. Il clima è quello di una festa, con lo scorrere abbondante del vino, nel corso della quale gli amici scelgono di trascorrere il tempo parlando di Amore ed erotismo. A turno, ciascuno farà il suo elogio della divinità più inquietante dell’Olimpo, Eros. Il primo a prendere la parola è Fedro e via via intervengono molti altri: il commediografo Aristofane costretto a ritardare il suo intervento dall’urgenza del singhiozzo, il festeggiatissimo Agatone e il sempre sorprendente Socrate, sino a che la rumorosa irruzione di Alcibiade permetterà di concludere in allegria il simposio, lasciando che il vino e il sonno prendano il sopravvento su tutti, Socrate escluso. Due voci femminili per ripercorrere attraverso quattro tra i più famosi miti platonici (il mito della biga alata dal Fedro, quello dell’immortalità dell’anima dal Fedone e quelli della caverna e di Er, esposti rispettivamente nel libro VII e nel libro X di La Repubblica) il viaggio dell’anima umana dalla nascita alla morte, e alla reincarnazione. La nascita come caduta dall’Empireo, la vita sulla terra e la volontà di risalita, l’illusione delle apparenze sensorie e la ricerca della verità, il grandioso quadro dell’immensa pianura dell’Aldilà dove le anime che hanno scontato la pena nell’Ade o che provengono dalla colonna di luce celeste si troveranno a dover scegliere la loro vita futura sotto il governo di Ananke e l’amministrazione delle Moire. Quattro miti per raccontare il ciclo della vita: altrettante testimonianze delle alte qualità di Platone scrittore il quale, attraverso la parola, sa sempre evocare spazi e costruire situazioni di grande tensione emotiva. La virtù è insegnabile? E la conoscenza, al di là dei suoi contenuti nozionistici, è trasmissibile da una generazione all’altra? Protagora è uno dei Dialoghi in cui Platone affronta in modo esplicito il rapporto di Socrate, per il quale la verità è il risultato di una disinteressata ricerca comune, con i Sofisti, che di virtù e conoscenza si proponevano maestri, facendosi lautamente pagare. Ma, pur nelle diversità di concezioni educative e di visione del mondo che separa i due protagonisti, qui il rapporto tra Socrate e Protagora appare improntato a un reciproco rispetto. Questo dà al Protagora un’impronta esplicitamente teatrale, con un bel prologo che costruisce un clima e definisce l’argomento che si andrà trattando e un corpo drammatico caratterizzato dal duello verbale e concettuale tra i due filosofi che, pur muovendo entrambi da posizioni di diffidenza reciproca, si dimostreranno disponibili a modificare le proprie idee a confronto con le argomentazioni dell’altro. L’idea che il mondo fisico sia stato scritto in linguaggio matematico giunge a Galilei attraverso una lunga tradizione che fa capo alla cultura greca, e in particolare alla scuola platonica. Come si legge nel Timeo, infatti, è stato il Demiurgo che, incaricato di mettere ordine nel kaos originario, ha assunto come modello la razionalità del mondo delle idee, con la conseguenza che da quel momento scienza e reminiscenza sono diventati concetti inscindibili nel pensiero di Platone. Se conoscere vuol dire ricordare, dice il “suo” Socrate nel Teeteto, identificando la propria attività con quella della madre levatrice, il compito del filosofo è essenzialmente quello di aiutare gli altri a partorire la loro verità. Una verità raggiungibile da tutti, purché perseguita senza ottusi preconcetti, come ben dimostra nel Menone l’esperimento condotto con lo schiavo che, pur completamente ignaro di geometria, giunge “da solo” a dimostrare il teorema di Pitagora. Critone racconta il penultimo giorno di vita di Socrate e, nella rivisitazione che Platone fa della biografia del Maestro, precede solo di poche ore l’esecuzione della condanna a morte raccontata nel commovente finale del Fedone. Nel dialogo, che è uno dei più brevi della produzione platonica, il ricco Critone cerca invano di convincere Socrate a fuggire dal carcere. La guardia è corrotta e gli amici sono pronti a ospitarlo. Ma tocca a Socrate spiegare ancora una volta al sempre più disarmato discepolo la differenza che c’è tra sopravvivere e vivere, tra libertà individuale e riconoscimento di appartenere ad un mondo sociale, con le sue leggi a volte anche ingiuste, ma che non possono certo essere trasgredite per utilitaristico calcolo personale. La riflessione di Platone sul tema della necessità fondante della Legge, possiede ancora oggi una grande attualità, a testimonianza della preziosa eredità che l’opera di Platone ha lasciato a tutta la storia dell’Occidente. Gianni Vattimo è nato nel 1936 a Torino, dove si è laureato in Filosofia; ha poi seguito i corsi di Gadamer e Loewith all’Università di Heidelberg e ha studiato con Hans-Georg Gadamer e Luigi Pareyson. Dal 1964 ha insegnato all’Università di Torino, nella quale è stato Preside della Facoltà di Lettere e Filosofia. Negli anni Cinquanta, insieme a Furio Colombo e Umberto Eco, ha lavorato ai programmi culturali della Rai-Tv. È autore di numerosi libri, tra i quali forse il più famoso è Il pensiero debole (1983), in cui propone il passaggio dalle unità forti alle molteplicità deboli, dall’autoritarismo alla democrazia. Sostenitore di una comune finalità tra filosofia e politica (Addio alla verità, 2009), Vattimo è dal 1999 anche parlamentare europeo. Vito Mancuso è nato nel 1962 a Carate Brianza da genitori siciliani. Ha studiato teologia nel seminario arcivescovile di Milano. È dottore in teologia sistematica e docente a contratto presso la Facoltà di filosofia dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano. Durante gli studi ha lavorato nel mondo dell’editoria (Edizioni Piemme, Edizioni San Paolo, Mondadori) e oggi è editorialista di “La Repubblica”. Tra le opere da lui scritte c’è L’anima e il suo destino (2007) che affronta alcuni temi platonici presenti anche in questa serata, alla quale ha prestato il titolo. Più recentemente ha pubblicato Disputa su Dio e dintorni (con Corrado Augias, 2009), La vita autentica (2009) e Io e Dio. Una guida dei perplessi (2011). Massimo Cacciari è nato nel 1944 a Venezia. Laureato in filosofia a Padova, inizia la carriera universitaria nel 1980. Nel 2002 fonda la Facoltà di Filosofia dell’Università Vita-Salute San Raffaele a Cesano Maderno, di cui è Preside fino al 2005 e dove è tornato a insegnare dopo gli anni in cui è stato sindaco di Venezia (dal 1993 al 2000). Al centro della sua riflessione filosofica si colloca la crisi della razionalità moderna, già ravvisata nel pensiero di Friedrich Nietzsche, Martin Heidegger e Ludwig Wittgenstein. Numerose le sue opere pubblicate, tra le quali basti ricordare Pensiero negativo e razionalizzazione (1977), Icone della legge (1985), Dell’inizio (1990), Della cosa ultima (2004) e Hamletica (2009). Giulio Giorello è nato nel 1945 a Milano. Si è laureato in Filosofia nel 1968 e in Matematica nel 1971. Ha insegnato alle Facoltà d’Ingegneria (Pavia), Lettere e Filosofia (Milano), Scienze (Catania). È titolare della cattedra di Filosofia della Scienza all’Università degli Studi di Milano. Dalle prime ricerche in filosofia e storia della matematica, i suoi interessi si sono ampliati verso le relazioni tra scienza, etica e politica. Collabora con il “Corriere della Sera”. Ha pubblicato, tra l’altro, Le stanze della ricerca (1992), Prometeo, Ulisse, Gilgamesc (2004), Introduzione alla filosofia della scienza (2006), Albert Einstein. Il Socrate della fisica (2009), La filosofia della scienza nel XX secolo (2010). Dirige la collana “Scienza e idee” delle Edizioni Cortina. Paolo Flores d’Arcais è nato nel 1944 a Cervignano del Friuli. Filosofo, pubblicista e ricercatore universitario, dirige la rivista “MicroMega” ed è collaboratore di “Il Fatto Quotidiano”, “El Pais”, “Frankfurter Allgemeine Zeitung” e “Gazeta Wyborcza”. Inizia a occuparsi di politica nell’organizzazione giovanile del P.C.I., dal quale viene ben presto espulso. Sempre molto attivo sul piano politico e culturale, partecipa al Sessantotto e attraversa, quasi sempre da posizioni minoritarie, i momenti più importanti della storia degli ultimi decenni. Tra le sue opere più significative, Etica senza fede (1992), L’individuo libertario (1999), Hannah Arendt. Esistenza e libertà, autenticità e politica (2006) e Albert Camus filosofo del futuro ( 2010). a Palazzo Ducale MOSTRE Uliano Lucas – Migrazioni. Il lungo viaggio 29 marzo – 20 maggio 2012 Mario Giacomelli. Un maestro della fotografia del Novecento 28 aprile – 19 agosto 2012 Yves Klein - judo teatro pittura 6 giugno – 5 agosto 2012 Mario Dondero. Dalla parte dell’uomo 9 giugno – 19 agosto 2012 marzo | giugno 2012 INCONTRI Città del Noir. La letteratura racconta l’Italia marzo | maggio 2012 Letture Europee. Tra storia, disincanto e futuro possibile marzo | giugno 2012