[nazionale - 34] giorn/spettacoli/pag01 06/05/06

34 Spettacoli
Alessandra Iadicicco
da Milano
쎲 «Vorrei vederlo in faccia», si
augura Riccardo Muti pensando a
Mozart in una nota di buon augurio al Ravenna Festival 2006. Ma
è appunto 2006, dunque ineluttabilmente sarà Mozart il protagonista della manifestazione che, con i
250 anni del genio di Salisburgo
compie il suo diciassettesimo compleanno. E l'incrocio dell'anniversario ravennate con le celebrazioni mozartiane realizzerà il confessato desiderio del Maestro, il quale ammette: «È il musicista che
più di ogni altro vorrei incontrare,
perché l'idea di qualche cosa in
più che esiste da qualche parte in
lui si è fatta musica e si è fatta
umana». Eccolo allora: «Mozart?
Mozart!» domanda e risponde Cristina Mazzavillani Muti citando il
titolo della rassegna. Lo annuncia
con una punta di emozione e col
punto esclamativo, come una sorpresa: a dispetto di ricorrenze e
d'ogni prevedibile ritorno. È infatti insolito, inedito, autorevolmente «imbastardito» e musicalmente inaudito il Mozart che, su invito
di Muti e signora, sarà presentato
al pubblico quest'estate, tra
il 17 giugno e il 23 luglio. Il
meno ufficiale, il meno
convenzionale: l'artista
che, per amore dell'
espressività popolare, dei personaggi comici, degli impuniti peccatori (ombra lunga del Dissoluto Punito), bazzicava le periferie del teatro Auf der Wieden, dov'era attore, autore, drammaturgo e regi-
sta quell'Emanuel Schikaneder
che gli scrisse il libretto di Il flauto
magico e vi recitò la parte di Papageno.
Il Papageno- Schikaneder di Ravenna sarà quel maestro di teatro
ed esule guitto, devoto cultore e
spregiudicato dissacratore della
musica di Eugenio Barba. Suo è il
Don Giovanni all'Inferno che, realizzato dal danese Odin Teatret di
Holstebro, allestito nel sulfureo
Magazzino dello zolfo, esibirà la
«summa di tutti i volti del grande
libertino» - dice il musicologo
Franco Masotti - ritratti in prosa,
lirica e poesia da Tirso de Molina
a Charles Baudelaire. E poiché
Don Juan - sostiene lo stesso Barba - è uno dei quattro «archetipi
bastardi» della storia dell'umanità, privi di madre certa e adottati
illustrissimi padri, assieme a
Doctor Faustus, Arlecchino e Amleto, ecco affratellato il figlioccio
di Mozart a un dirompente Ur
il Giornale 쐌 Sabato 6 maggio 2006
A Ravenna un Mozart insolito
con danze brasiliane e indiane
Cristina Mazzavillani ha presentato ieri i concerti e gli
eventi. Attesa per le celebrazioni «informali» del compositore
Hamlet. È l'Amleto Originario, di
cui Barba va ad estrarre le lontanissime radici altomedievali sprofondate nel Gesta Danorum
di Saxo Grammaticus, fonte storica di Shakespeare - per farle fiorire in un pirotecnico spettacolo di
danzatori afro-brasiliani, per-
cussionisti candomblé, attori giapponesi, artisti indiani e balinesi.
Ha ragione Muti quando
dice che «Mozart è
l'espressione di altri
mondi», se nel suo
nome si raccolgono tante nazionalità. E ha
ragione Cristina quando ribadi-
sce che «multidisciplinare», non
solo musicale è il Festival di Ravenna, se a teatro, danza, letture
e letterature sarà dato spazio sotto l'insegna di Mattia Battistini, il
giovane pittore ravennate che, tra
mezzaluna, arabeschi e minareti
naïf, ha dipinto la bellissima locandina della kermesse: «con i mosaici bizantini sotto gli occhi e la storia romana nel cuore», dice Cristina Muti. E con lo sguardo puntato
sul Marocco, si deve aggiungere,
meta quest'anno della tradizionale Via dell'amicizia.
Mentre Battistini illustra favole,
veniamo alla musica che le evoca.
Favoloso il programma musicale.
Ci sarà l'opera. E ci saranno i
grandi appuntamenti sinfonici: la
New York Philharmonic Orchestra aprirà la rassegna sotto la direzione di Lorin Maazel, più volte
acclamato a Ravenna, e sarà poi
diretta dallo stesso Muti, sul podio
Il 22 giugno
in cartellone
il «Don Giovanni
all’Inferno»
di Eugenio Barba
DIRETTORE Riccardo Muti
L’EVENTO
Muti con il «Don Pasquale»
tornerà a dirigere l’opera
da Milano
쎲 Riccardo Muti dirigerà Don Pasquale di Donizetti a Ravenna, Ancona e probabilmente a Piacenza il
prossimo dicembre. La notizia, anticipata ieri a Milano da Cristina Mazzavillani Muti, di Ravenna Festival, è stata confermata dal sindaco di Ancona e presidente della Fondazione Muse Fabio Sturani. Per Muti
si tratta di un duplice ritorno: all'opera lirica, cui non
si era più cimentato in Italia dopo l'addio alla Scala,
nella primavera del 2005, e al Teatro delle Muse, che
lui stesso aveva inaugurato, dopo una chiusura durata circa sessant’anni, con un concerto alla guida della
Filarmonica scaligera nell'ottobre 2002. «Un grande
ritorno - secondo Sturani - che segnerà anche l'inaugurazione della quinta stagione lirica» del capoluogo
marchigiano. Ancora da definire i particolari dello
spettacolo, che debutterà a Ravenna il 16 dicembre e
approderà ad Ancona, per due recite tra il 18 e il 29
dicembre al momento si sa che il maestro salirà sul
podio dell' Orchestra Cherubini (che ha sede a Piacenza), mentre il cast sarà formato da giovani cantanti.
La produzione viene realizzata nell'ambito del progetto europeo Rete Adriatica Centrale. Muti sarà di
nuovo nelle Marche nei prossimi giorni, il 13 maggio,
per dirigere un concerto a Fabriano.
COVENT GARDEN
VOLTEGGI
I ballerini della
Parsons Dance
Company che
martedì 11 luglio
porteranno in
scena al Ravenna
Festival
le musiche
di Mozart,
Miles Davis,
Dave Matthews
Band e Bach.
I danzatori sono
Mia McSwain,
Katarzyna
Skarpetowska,
Abby Silva, Brian
Mc Ginnis
anche per condurre l'Orchestra
del Maggio Musicale Fiorentino.
Debutta invece, invitato
per la prima volta, il
maestro Yurij Temirkanov, che
dirigerà
l'orchestra di
SanPietroburgo. Ci saranno
poi i Wiener,
Alfred Brendel,
il leggendario Rostropovic per festeggiare il centenario del
suo maestro Sostakovic. Accanto
a questi grandissimi, ci saranno
gli juniores e giovanissimi: gli strumentisti 24-25enni dell'Orchestra Luigi Cherubini.
Questi ragazzi, «eccezionali più
per maturità e determinazione
che per la loro freschezza ed entusiasmo», dice commosso Angelo
Nicastro, suoneranno con Muti e
Rostropovic. E, soli, daranno vita
alle estemporanee Mozartiadi: in
spazi non formali, in forma conviviale, in piccoli gruppi da camera,
restituiranno il piacere cordiale
del far musica assieme. Gli incontri che avverranno in tale clima di
intimità non si possono programmare con enfasi ufficiale. Girano
intriganti voci ufficiose, però. Si dice che, condotto per mano (e accompagnato dal piano) da Lorenzo Arruga, a Ravenna «Tra un'ora
arriva Mozart». E chissà che, aggirandosi negli spazi off del Festival,
come Schikaneder, non appaia
faccia a faccia al maestro Muti.
TEATRO DELLA LUNA DI ASSAGO
Pappano salva un Wagner discutibile Lorella è una «Charity» da applausi
Il maestro italiano ha diretto a Londra una
nuova versione dell’«Anello del Nibelungo»
Aridea Fezzi Price
da Londra
쎲 Controversa come ogni tetralogia wagneriana allestita in
tempi recenti, la nuova versione
della Royal Opera dell’Anello
del Nibelungo per la regia Keith
Warner al Covent Garden, elegante ma non sempre bella nella scenografia di Stefanos Lazaridis, che all’ultimo momento
ha sostituito Daniel Libeskind,
vanta tuttavia la direzione musicale di Antonio Pappano e la sua
sempre più raffinata conoscenza delle imponenti strutture di
quest’opera grande. Dopo un
Rheingold tutto giocato sugli effetti di luce, cui sono seguiti una
Walkure e un Sigfried discussi
ma applauditi, il ciclo si conclude in questi giorni con un intenso Gotterdammerung in cui eccelle il soprano australiano Lisa
Gasteen in Brunnhilde, cantante-guerriera che domina ogni
scena.
Una produzione concettuale,
dice il regista, che si ispira all’influenza di Rousseau, Hegel,
Schopenhauer e Feuerbach su
Wagner, un Crepuscolo degli
dei molto pensato, fra mitico e
moderno, con riferimenti che variano dai punti neri dell’universo alla Guerra del Golfo in un
denso crogiuolo di idee che illuminano e disorientano. Un’avventura, come quello di Sigfrido
lungo il Reno. La frenetica attività scenica su diversi livelli, fra
video e piattaforme che girano e
si inclinano, ricalca il concetto
del Leitmotiv wagneriano. La
reggia dei Ghibicunghi è un mo-
DIRETTORE Antonio Pappano
derno interno hollywoodiano, il
grande specchio a pannelli che
fa da tela di fondo riflette, riecheggia e moltiplica movimenti
e persone aggiungendo più dimensioni a ogni azione. Cupo invece l’ultimo atto sulle rive del
Reno, scontato il simbolismo, dopo i bagliori delle fiamme che
divorano il Walhalla, cala sul
palcoscenico un immenso anello che spegne l’ultima nota.
Musicalmente la produzione è
un trionfo, orchestra e cantanti
sono il punto forte, dalle Norne
che filano il destino all’inizio del
primo atto, al basso John Tomlinson in Hagen, a una commovente Waltraute cantata dal
mezzosoprano giapponese Mihoko Fujimura, sorpresa e rivelazione della serata. Se di Antonio
Pappano si continuano a contestare le scelte non sempre giustificate di allestimenti anticonvenzionali, sul podio il direttore musicale della Royal Opera è signore di una limpidezza di suono
che penetra il testo e ne esplora
con sapienza ogni sfumatura e
sottigliezza. Come per ogni tetralogia il giudizio finale si avrà
sul suo insieme, quando il Covent Garden allestirà il ciclo per
intero, l’anno prossimo (sono
già aperte le prenotazioni).
Igor Principe
da Milano
쎲 Da quasi vent'anni - ha cominciato nel 1988 - la Compagnia della
Rancia cucina il musical seguendo
una ricetta basata su due ingredienti: almeno un ruolo da protagonista
affidato aunvolto noto del teatro,della musica o della tv; testi e liriche tradotti in italiano. Su questo aspetto, i
puristi storcono il naso. Ma che alle
ventitre produzioni effettuate sinora
dalla Rancia il successo non sia mancato è un dato di fatto.
C'è dunque da scommettere facile
sul consenso che attende Sweet Charity, ventiquattresimo e ultimo capitolo a firma Saverio Marconi, fondatore della Compagnia e regista di
ogni spettacolo. I presupposti più evidenti risiedono nella potenza della
novità- il musical nonè maistato rappresentato in Italia, e fino al 28 maggio sarà in scena al Teatro della Luna di Assago - e nel nome della protagonista: Lorella Cuccarini. Sempre
meno presentatrice televisiva, ruolo
in cui spopolò negli anni Novanta, e
sempre più attrice, la showgirl torna
a lavorare con Marconi a sette anni
da Grease, tuttora il maggior successo della Rancia. E lo fa in uno spettacolo dove tutto ruota intorno alla sua
bellezza ingenua e materna.
Tratto dallo spettacolo che debuttò a Broadway nel 1966 con la regia
La Cuccarini promossa anche questa volta:
canta e balla giocando sul filo dell’ironia
di Bob Fosse, Sweet Charity è una
storia americana fino a un certo punto. Neil Simon, autore del libretto, la
trae dalle Notti di Cabiria, prostituta
in cerca dell'amore vero, a firma Fellini-Flaiano. Simon ne smussa gli spigoli sociali facendone un'entraîneuse. La sostanza è la stessa: per sollevarsi dalle miserie bisogna agganciarsi al vero amore, perché «senza
amore la vita non ha senso».
Su questoeterno leitmotiv, CharityLorella canta, balla e recita senza
strafare, giocando di ironia. Inutile,
dopotutto, indulgere in virtuosismi
INTENSA Lorella Cuccarini
quando è già impegnativo seguire
un serrato ritmo narrativo, scandito
da vorticosi cambi di scena e dalle
elaborate armonie musicali di Cy Coleman, su cui si innestano le coreografie di Luca Tommassini, alle quali
il corpo di ballo partecipa ordinato.
Non vi partecipano, invece, gli altri
due volti di richiamo, Cesare Bocci e
Gianni Nazzaro. Dopotutto, anche se
cantano bene, sono attori: del secondo, c'è da dir poco; del primo, che
interpreta Oscar, il fidanzato di Charity, èil caso di ricordare le apparizioni nelle due fiction più seguite della
tv italiana. Cioè Elisa di Rivombrosa
(ildottore Antonio Ceppi) e ilCommissarioMontalbano (il vice Mimì Augello). Bocci compare alla fine del primo atto e per tutto il secondo, e porta
alla storia la garbata comicità che si
conviene ad una commedia brillante. Con un finale forse troppo lieto.
Nell'originale, Oscar non riesce a superare il passato di Charity e decide
di non farne una donna onesta. Qui,
ci ripensa. Vero che Lorella si fa fatica a vederla sedotta e abbandonata.
Ma dall'abbandono alla riconciliazione il passo è troppo breve, e il consolatorio finale arriva troppo in fretta.