EUR MED PHYS 2008;44(Suppl. 1 to No. 3)
Esercizio fisico e sistema immunitario
P. AMICO, M. STASI, M. SCIUSCIO, L. MUSCI, F. CIULLO, A.M. CORTESE, P. CHIUMARULO, P. PUTIGNANO, A. SANTAMATO,
G. IANIERI, G. MEGNA, M. MEGNA, M. RANIERI
Dipartimento di Scienze Neurologiche e Psichiatriche,
Medicina Fisica e Riabilitazione,
Università degli Studi “Aldo Moro”, Bari
Introudzione
Il sistema immunitario umano risente dell’influenza di disparati
fattori esogeni ed endogeni, a causa delle molteplici interrelazioni
con altri sistemi, tanto che da alcuni anni è stata creata una nuova
disciplina, la PNEI (psico-neuro-endocrino-immunologia), proprio a
sottolineare come l’attività più evoluta dell’uomo, quella mentale,
possa, attraverso diversi mediatori, ripercuotersi su sistemi apparentemente lontani, con effetti talora positivi talora negativi.
Questa versatilità e multiplanarietà dell’immunologia, scienza
peraltro relativamente recente, ha fatto sì che venissero studiati
attentamente tutti i fattori in grado di influenzare in qualche modo
l’efficienza del sistema immunitario, deputato alla difesa dell’organismo dalle aggressioni esterne (infezioni virali, batteriche, fungine)
ed interne (tumori); tale indagine appare tuttavia complessa e ha
prodotto risultati di interpretazione non sempre univoca, specialmente per quanto riguarda i fattori stimolanti il sistema immune.
Nell’ambito di tali analisi, sicuramente interessante è quella del
rapporto intercorrente tra esercizio fisico e sistema immunitario, al
punto che si fa riferimento alla “exercise immunology”, neonata
branca dell’Immunologia, con risvolti pratici in Medicina dello Sport
e Riabilitazione.
Infatti, è noto come un eccessivo sforzo fisico debiliti l’organismo,
esponendolo ad infezioni; altrettanto invalsa è l’opinione comune
che chi pratica sport con regolarità goda di una migliore salute,
anche (ma non solo, ovviamente) sotto il profilo immunitario1.
Tuttavia le ultime acquisizioni di fisiologia dell’esercizio chiariscono meglio i limiti di tali assunti; quindi permettono di scomporre gli
effetti a breve e a lungo termine dell’esercizio sulle diverse componenti del sistema immunitario; infine aiutano a comprendere se e
quanto può essere utile una supplementazione per lo sportivo da
questo punto di vista2.
Nieman ha evidenziato, ad esempio, come esista una finestra
temporale che va dalle 3 alle 72 ore dal termine di una prestazione
intensa e prolungata come la maratona, in cui l’atleta ha maggiore
probabilità di ammalarsi di infezioni delle vie aeree (tipicamente
associate allo stress psico-fisico e a bruschi abbassamenti di temperatura in soggetti accaldati e sudati)3.
Sempre Nieman ha dimostrato sperimentalmente che le modificazioni di diversi parametri immunologici (attività delle cellule NK,
Natural Killer; risposta proliferativa alla fitoemoagglutinina; conta
delle sottopopolazioni leucocitarie; concentrazione plasmatica di IL1, IL-6, IL-8, IL-10) indotte dall’esercizio fisico intenso (pedalata di
2h a 64 W) non variano significativamente se l’esercizio è continuo
o intermittente (cioè con 3’ di pausa ogni 10’ di esercizio), come se
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quei minuti di pausa, che consentono un certo recupero in termini
di ossigenazione del miocardio e dei muscoli scheletrici, non bastassero ad attenuare lo stress cui è sottoposto il sistema immunitario4.
Materiali e metodi
Muens ha esaminato il contenuto in polimorfonucleati del lavaggio nasale di 12 sportivi amatoriali dopo una corsa di 20 km: immediatamente dopo la corsa è risultato il doppio del pre-gara; a distanza di un giorno era 1,6 volte il valore pre-gara. Tuttavia la percentuale di PMN attivi nella fagocitosi ed il numero di batteri fagocitati
da ciascun neutrofilo presentavano un andamento opposto: si riducevano, soprattutto subito dopo la corsa5.
L’esercizio in acuto sembra avere effetti deleteri non solo sull’immunità aspecifica (PMN) ma anche su quella specifica (linfociti).
Lo studio di Mc Neil et al. ha evidenziato una riduzione della risposta mitogenica dei linfociti T alla concanavalina A della durata di un
giorno, dopo l’esecuzione di una pedalata al cicloergometro, a prescindere dal carico e dal grado di allenamento dei soggetti in esame6.
Da un punto di vista fisiologico, il calo delle difese immuni
potrebbe essere spiegato dal fatto che lo sforzo fisico, in quanto
agente stressogeno, determina l’increzione di ormoni surrenalici.
Il lavoro di Shinkai et al.7 ha portato a concludere che coloro che
presentano una risposta all’esercizio fisico in termini di increzione di
cortisolo presentano le stesse alterazioni immunitarie dei non
responder, eccetto che per la spiccata e prolungata linfopenia a carico dei CD4+ (T-helper) nei primi rispetto ai secondi.
Per quanto riguarda, invece, le cellule NK, Nieman, in un altro
studio, osserva che il numero e l’attività NK aumentano immediatamente dopo un esercizio, poi (a 1 h di distanza) scendono sotto il
livello pre-esercizio, per aumentare nuovamente a distanza di 3,5 h;
ma, mentre in coloro che hanno svolto un lavoro di intensità moderata (50%VO2 max) l’attività NK torna ai livelli quo ante, in quelli
che hanno svolto un esercizio di intensità elevata (80%VO2max) l’attività NK raggiunge livelli addirittura superiori a quelli pre-esercizio8.
Tale dato potrebbe essere interpretato come un effetto di potenziamento del sistema immune in seguito a carichi “di intensità elevata”, oppure, al contrario, come una sovrastimolazione, una sollecitazione eccessiva del processo flogistico.
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AMICO
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Queste alterazioni delle cellule NK, e in particolare la fase di calo
della loro attività, sarebbero da imputare, in base ai rilievi sperimentali di Rhind e coll, non alla ridistribuzione dell’assetto linfocitario,
ma all’aumento (2 ore dopo l’esercizio) di PGE2, che può essere inibito farmacologicamente mediante somministrazione di indometacina9. Ma numerosi sono i fattori neuro-ormonali coinvolti, ed altrettanto numerose le loro interazioni.
Ohiwa e coll. hanno definito il ruolo del PrRP (Prolactin Releasing Peptide) nello stress indotto da un’attività come la corsa. Maggiore è l’intensità dell’esercizio, più ACTH (e quindi cortisolo) viene
prodotto in virtù dell’attivazione dei nuclei sopraottico e paraventricolare dell’ipotalamo; esistono tuttavia proiezioni di vie nervose, il
cui mediatore è appunto il PrRP, dal midollo ventrolaterale e dal
nucleo del tratto solitario a quei nuclei. Tali proiezioni inibiscono
l’eccessiva increzione di ACTH, oltre che l’accumulo di lattato nel
circolo ematico10.
Altre molecole coinvolte nelle reazioni allo stress sono sicuramente le b-endorfine.
L’esperimento di Gannon et al ha però escluso che l’aumento di
b-endorfine dopo esercizio fisico moderato e prolungato possa essere responsabile delle modificazioni dell’attività NK11.
La risposta del sistema immunitario all’esercizio fisico è, come già
detto, ulteriormente complicata dall’effetto di sostanze esogene, per
esempio dall’assunzione di carboidrati. Infatti Lancaster e coll hanno
dimostrato che la somministrazione di carboidrati (indipendentemente dalla quantità) 15 minuti prima di un esercizio intenso e prolungato, anziché 75 minuti prima, rende molto meno evidenti alcune
alterazioni immunitarie (l’aumento di cortisolo ematico e l’aumento
del rapporto neutrofili/linfociti), anche se altre (degranulazione dei
neutrofili in risposta al lipopolisaccaride, concentrazione plasmatica
di IL-6) non variano tra i due gruppi12.
A tal proposito è interessante esaminare il ruolo dei cosiddetti
“antiossidanti” nel limitare risposte allo stress apparentemente non
utili: la somministrazione di vitamina C (1000 mg/die) e vitamina E
(400 U.I./die) per 4 settimane prima di una prova ciclistica ha consentito, rispetto al controllo con placebo, di evitare l’innalzamento
della cortisolemia, ma non quello dell’IL-6 e dell’isoprostano F2.
Soprattutto, tale integrazione non è valsa ad impedire quelle alterazioni da esercizio su riportate, la neutrofilia e la ridotta attività
fagocitaria dei PMN13.
Nello studio di Cinar et al viene invece preso in esame il ruolo
della supplementazione orale di magnesio. Un campione di atleti
(taekwondo) è stato suddiviso in tre gruppi: il primo comprendeva
soggetti che non si allenavano per 4 settimane ma assumevano
magnesio (100 mg/kg/die), il secondo soggetti che in quel lasso di
tempo si allenavano per 90-120 min/die per 5 giorni alla settimana
ma non assumevano magnesio orale, il terzo soggetti che si allenavano secondo lo stesso schema dei precedenti e contemporaneamente integravano il magnesio.
Risultati
È risultato che la somministrazione orale di magnesio incrementava
sia la conta leucocitaria che la massa eritrocitaria ed il tasso di emoglobina, nonché la conta piastrinica, sia in chi si allenava che in chi
non si allenava; tali risultati lascerebbero supporre che l’oligoelemento
in questione potenzi in maniera aspecifica il sistema immunitario14.
Altri due oligoelementi considerati preziosi per il sistema immunitario sono il rame e lo zinco, in quanto entrano a far parte, in qualità di coenzimi, delle metalloproteine del sangue deputate al tamponamento dei radicali liberi e delle sostanze ossidanti prodotte dallo
stress.
Proprio per il ruolo assunto da proteine come la ceruloplasmina,
la metallotioneina e la superossidodismutasi rame-zinco-dipendente
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in corso di stress, grazie a rilievi biochimici su tali molecole, Autori
come Koury e coll hanno dimostrato che un periodo di riposo sufficientemente lungo (5 giorni nel loro esperimento) garantisce un
miglior recupero, rispetto ad uno più breve (24 ore), non solo in termini di conta eritrocitaria e contenuto medio di emoglobina, ma
anche in termini di equilibrio tra ossidanti e riducenti15.
In conclusione, possiamo affermare che sicuramente tra esercizio
fisico e attività del sistema immunitario esiste una complessa relazione, che si espleta diversamente a seconda delle modalità dell’esercizio e del contesto in cui esso si attua.
L’esercizio “acuto”, cioè di intensità (o durata nell’ambito della
singola sessione) sovraliminare, tende a deprimere, in quanto agente
stressogeno, la funzionalità di alcuni gruppi di cellule immunitarie
(in particolare i granulociti neutrofili e i linfociti T), ed espone pertanto ad infezioni delle vie aeree superiori, forse anche per fattori di
ordine psicologico ed ambientale16,17. In particolare, per quanto
riguarda la funzione linfocitaria, si ha uno sbilanciamento a favore
dei T suppressor a causa dell’inibizione dei T helper, mediata da
citokine probabilmente rilasciate in circolo dai tessuti traumatizzati,
specie in corso di esercizio fisico con impegno superiore alla soglia
anaerobica in soggetti non allenati18,19.
L’esercizio “cronico”, ovvero la stimolazione ripetuta nel tempo con carichi moderati, potrebbe (ma non vi sono ancora prove
definitive) al contrario aumentare l’efficienza complessiva del
sistema immune 20,21 ; probabilmente ciò dipende anche dalla
peculiare risposta della cellula NK, che, così come il tessuto
muscolare scheletrico e cardiaco, pare seguire il principio della
“supercompensazione”, ben noto in Fisiologia dello Sport: se ad
un carico o ad uno stress superiore a quello consueto segue un
sufficiente tempo di recupero, si crea un adattamento adeguato
delle strutture stressate (allenamento), mentre se l’intervallo tra
un carico e quello successivo non è sufficiente, si determina
sovraccarico delle stesse.
A proposito dei benefici dell’esercizio cronico, è interessante l’osservazione di Venjatraman22: nei soggetti anziani ma praticanti un’attività fisica moderata e costante, tutti i parametri immunologici risultano più vicini alla fisiologia del soggetto giovane rispetto ai soggetti
anziani e sedentari.
Conclusioni
Determinante pertanto appare il ruolo del recupero, sia in termini
di riposo che di integrazione dietetica. Poiché le risposte immunitarie, da un punto di vista ematologico, richiedono dei tempi fisiologici, che in genere non sono brevissimi, risulta comprensibile il fatto
che alcuni studi non siano in grado di rilevare differenze tra un
lavoro continuo ed uno intermittente con minimi intervalli. Fondamentale è l’apporto energetico, soprattutto sotto forma di carboidrati: occorre quindi usare particolare cautela nella prescrizione di diete
ipocaloriche o addirittura ipoglucidiche ad un atleta; meno definito
il ruolo delle vitamine antiossidanti (C ed E); spesso utile la supplementazione di oligominerali (rame, zinco, magnesio).
Sarebbe auspicabile che fossero effettuati studi più a lungo termine sugli effetti globali dell’esercizio sul sistema immunitario, come
del resto su altri sistemi e funzioni (vedi il tono dell’umore) ad esso
strettamente interconnessi, in modo tale da confermare (o smentire)
l’importanza della pratica di un’attività fisica per la qualità della vita.
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