Educare gli adolescenti al
discernimento
Per iniziare una riflessione su come è possibile aiutare un
preadolescente nel cammino di educazione al discernimento prendo come
riferimento due passi di san Paolo:
«Mi riferisco olfatto che ciascuno di voi dice: "Io sono di Paolo", "Io
invece sono di Apollo ", "E io di Cefa ", "E io di Cristo!"» (1 Cor 1,12).
La testimonianza è la caratteristica principale del comportamento di Paolo
nei confronti dei Corinzi, in una semplicità che lascia trasparire la
limpidezza di Dio.
«Perché anche se non sono consapevole di colpa alcuna non per questo
sono giustificato. Il mio giudice è il Signore!» (I Cor 4,4). Paolo sottolinea
che l'annuncio che portiamo ai fratelli è un annuncio che non può essere
giudicato se non da Dio; la coscienza che si rivolge ad altre coscienze con
trasparenza e coerenza profonda è convinta che la verità verrà conosciuta
da esse.
Dalla visione paolina emerge con evidenza che ogni testimonianza e
ogni annuncio ha bisogno del sostegno di una coscienza matura, serena e
trasparente. Su questo sfondo terrò presenti alcuni punti fondamentali per
poi toccare il tema dell'educazione al discernimento.
Che cos'è la morale?
La morale è una categoria sulla quale si è sempre discusso molto.
Nonostante tutto lo sforzo fatto anche dal progetto catechistico attuale, si
nota che restiamo ancora prigionieri di una premessa a mio avviso falsa:
quella che identifica «il morale» con il limite della libertà.
È la premessa già presente nel pensiero moderno, a partire dalla crisi
nominalista in poi. Questo concetto è applicato spesso anche a Dio
considerato come il limite dell'uomo. In realtà Dio non è il limite, ma la
possibilità dell'uomo. Dio infatti ha limitato se stesso perché non lo
capissimo come limite, è diventato l'ultimo tra noi, svuotandosi
totalmente, perché capissimo che Lui per noi è «possibilità».
Già Tommaso d'Aquino nel 1200 usava il termine «morale» come
modalità umana del vivere dell'uomo, n vivere umano è il vivere morale:
un agire che si carica di tutta l'autenticità umana, non un vivere che è
limitato da un insieme di nonnative che pure sono importanti.
In chiave cristiana questa riflessione acquista un risvolto preciso. Noi
parliamo di presenza dello Spirito che anima, vivifica, stimola ad una vita
nuova. È sempre Paolo che all'inizio dei capitoli 7 e 8 della lettera ai
Romani afferma che la realtà nuova è proprio quella di chi è diventato
legge a se stesso, non in un processo di ribellione illuso-ria come è quella
della Genesi, ma per la presenza dello Spirito che dal di dentro si pone
come vita nuova.
Sintetizzando possiamo identificare «morale» con senso della vita;
morale non è limite ma è possibilità di quel senso che mi permette la
libertà.
La coscienza morale
Quando diciamo coscienza diciamo la persona che diventa soggetto di
sé
e
della
propria
vita.
In
questo
«essere»
c'è
certamente
l'autoconsapevolezza, ma soprattutto l'autoconsapevolezza che è diventata
capacità di progettazione. In chiave cristiana la chiamiamo vocazione.
Ci scopriamo come «vocazione» (capacità di rispondere) quando il
progetto che la coscienza pone anima tutta la vita: la capacità di decisione
nella libertà, la capacità di dare senso alla propria vita. È il senso che
diventa progetto di me, guida della coscienza; è il senso che mi porta a
riconoscere, a operare la lettura della storia con quella operazione che
chiameremo discernimento morale. Coscienza dice presenza dello Spirito
(cf Gaudium et Spes 43, Dominum et vivificantem, 45).
Che cosa intendiamo per formazione della coscienza morale
Formazione morale non deve assolutamente essere ridotta alle
informazioni sui comportamenti corretti da avere. Formazione della
coscienza significa il maturare incessante della persona che si fa sempre
più unificata e responsabile.
Vi è espressa l'idea di cammino: l'uomo diventa coscienza e qui la
figura dell'adulto-educatore è molto delicata, soprattutto nel modo in cui si
rende presente.
Questo cammino è verso l'autonomia:
solo allora infatti l'uomo è veramente un individuo che è maturato in
coscienza. Ancora una volta il compito educativo appare in tutta la sua
importanza e delicatezza.
La coscienza è la componente primaria e ultima della ricerca del bene
in attivo delle situazioni. Solo la coscienza può riconoscere ciò che in
questo momento è la volontà di Dio; non solo come progetto globale, ma
come realtà da assumere. Formare la coscienza è perciò formare al discer-
nimento che per Paolo è quell'operazione che compie chi è rinato in Cristo
nel momento in cui vaglia tutto alla luce dei diversi criteri con cui vive il
presente, ma soprattutto alla luce del criterio della carità e identifica non
l'utile ma ciò che costituisce la Chiesa (cf 1 Cor 8,10).
Questo è il bene che la coscienza cristiana scopre nella lettura della
realtà con quell'operazione complessa che è il discernimento morale (cf Fil
1,9-10). La formazione della coscienza è appunto questo crescere come
persona nuova in modo da diventare persona che conosce tutto alla luce di
Cristo e perciò capace di ritrovare ciò che è il bene da fare nelle diverse
situazioni.
Tracce di cammino
Su questa base colgo alcuni tratti che a me sembrano importanti. Vorrei
sottolineare con forza l'importanza del corretto atteggiamento dell'adulto
nei confronti del ragazzo.
Come dice Piaget è il «rapporto con gli altri» che porta il ragazzo
dall'adolescenza all'autonomia. Non ogni rapporto con gli altri, ma solo
quel rapporto che è contrassegnato da reciprocità, da cooperazione.
È necessario mettersi accanto ai ragazzi nel processo graduale di
formazione morale sapendo che è un processo le cui tappe vanno
rispettate. Non potrò mai chiedere a un ragazzo di accettare un
comportamento formulato da me, perché con lui non instaurerò un
rapporto di cooperazione, ma accetterà quella formulazione come imposta
e, quando giungerà alla crisi adolescenziale, tutti questi comportamenti
saranno rigettati.
a. Aiutare i ragazzi nella formazione della coscienza morale è sostenerli
nel cammino verso l'interiorità. È logico che oggi la difficoltà di fronte
alla quale ci troviamo è enorme: i ragazzi sono quasi tutti teledipendenti.
Bisogna aiutarli a scavare dentro di sé, a incontrare un po' se stessi, a
fermarsi sulle esperienze gratificanti più profonde.
È un cammino verso un'interiorità, alla scoperta della persona, cioè
un'interiorità di comunione, di parola, di linguaggio, di capacità, di
esprimere se stessi e di incontrare gli altri. E un'interiorità di «presenza»;
sta a significare che io mi pongo davanti all'altro e lo percepisco come
qualcuno che mi interpella.
Quando ci muoviamo su questa strada il Vangelo ci apparirà come la
voce di un amico che ci chiama a camminare con Lui. Credo che il nucleo
del Catechismo dei ragazzi «Vi ho chiamato amici» sia proprio questo;
portare i ragazzi a scoprire una presenza che è dentro di loro come un
amico che li interpella e che, anche se li rimprovera, lo fa perché vuoi dire
loro che possono essere diversi.
In questa interiorità la voce della coscienza si va chiarendo come voce
di un amico, n rispondere a Dio non è rispondere a qualcuno che è
onnipotente, grande, ma a qualcuno che si è fatto niente perché io potessi
camminare con Lui.
b. È necessario aiutare i ragazzi ad unificarsi; questo lavoro di
unificazione è oggi reso difficile da quella assenza di unità e
frammentarietà delle esperienze.
c. Occorre aiutare i ragazzi essendo accanto a loro ad una presenza che
non crei deresponsabilizzazione. Quante volte ognuno di noi può
verificare l'attesa del ragazzo affinché ci sostituiamo a lui nelle sue decisioni. La responsabilità cui lo educhiamo non deve mai essere paura. È
estremamente importante quindi ridimensionare sempre le norme morali e
dare più fiducia nella persona che viceversa.
Il ragazzo già attraverso il gioco ha scoperto che nel vivere sociale la
regola è formulata in forza di un perché. Riformulare le norme morali
permetterà ai ragazzi di arrivare alla crisi adolescenziale un po' più
preparati.
Una vera formazione morale richiede di offrire un ambiente nel quale si
possa sperimentare quel bene che si sta facendo. Non dobbiamo solo
tenere presenti i processi di socializzazione nell'età in cui i ragazzi vivono,
ma bisogna offrire una possibilità comunitaria in cui la nostra proposta
morale possa essere vissuta.
GABRIELLA MAGLIO, Vice-presidente adulti A.C. - Savona
gionieri di una premessa a mio avviso falsa: quella che identifica «il morale» con il limite della
libertà.
È la premessa già presente nel pensiero moderno, a partire dalla crisi nominalista in poi. Questo
concetto è applicato spesso anche a Dio considerato come il limite dell'uomo. In realtà Dio non è il
limite, ma la possibilità dell'uomo. Dio infatti ha limitato se stesso perché non lo capissimo come
limite, è diventato l'ultimo tra noi, svuotandosi totalmente, perché capissimo che Lui per noi è
«possibilità».
Già Tommaso d'Aquino nel 1200 usava il termine «morale» come modalità umana del vivere
dell'uomo. D vivere umano è il vivere morale: un agire che si carica di tutta l'autenticità umana, non
un vivere che è limitato da un insieme di normative che pure sono importanti.
In chiave cristiana questa riflessione acquista un risvolto preciso. Noi parliamo di presenza
dello Spirito che anima, vivifica, stimola ad una vita nuova. È sempre Paolo che all'inizio dei
capitoli 7 e 8 della lettera ai Romani afferma che la realtà nuova è proprio quella di chi è diventato
legge a se stesso, non in un processo di ribellione illuso-ria come è quella della Genesi, ma per la
presenza dello Spirito che dal di dentro si pone come vita nuova.
Sintetizzando possiamo identificare «morale» con senso della vita; morale non è limite ma è
possibilità di quel senso che mi permette la libertà.