La specialistica oltre l`ambulatorio e verso la `Community care` Il

La specialistica oltre l’ambulatorio e verso la ‘Community care’
Il futuro della specialistica ambulatoriale passa ineludibilmente verso l’integrazione con i
medici di famiglia, i pediatri e le altre professioni sanitarie. Il tutto in un sistema omogeneo di
regole, ma che al tempo stesso deve riuscire a garantire dinamicità e capacità d’intercettare
l’evoluzione dei bisogni di salute. Ma a che punto siamo? E dove stiamo andando? Intorno alla
questione si è svolto a Venezia presso l’Università Ca’ Foscari il seminario conclusivo della la
serie di corsi Alta Formazione universitaria patrocinati dal SUMAI ‘La medicina specialistica
nella community care’ organizzati da un consorzio di prestigiose università italiane come Ca’
Foscari di Venezia, Università Alma Mater di Bologna, Università Cattolica del Sacro Cuore di
Roma, Università Aldo Moro di Bari, Università Magna Grecia di Catanzaro e sponsorizzato da
SUMAI ed AGENAS.
“Oggi studiare dai vari punti di vista quali sono i problemi strutturali per erogare le cure
territoriali è fondamentale”. Ha dichiarato il segretario nazionale del Sumai-Assoprof, Roberto
Lala. “Ne parliamo dal 1978 ma i problemi non si sono risolti, forse è mancata
programmazione. Non abbiamo capito per tempo che le cronicità s’impossessavano delle
patologie e prendevano il posto delle acuzie. Ma queste criticità possono superate in modo
appropriato con la medicina del territorio, ma questo va organizzato non basta enunciarlo
vafatto concretamente”.
“Oggi non abbiamo unSsn unico – ha ricordato Lala – e con la regionalizzazione mi sembra che
si è tornati alle vecchie mutue. Cambieranno le patologie e i sistemi di cura – ha ricordato –
che diventano pluri, multi professionali, con tante figure che intervengono nella presa in
carico del paziente (che non è come trasportare un sacco di grano) ma significa prendere in
carico i bisogni e ogni necessità e richiesta del paziente in ragione dell’art 32”.
E per realizzare tutto ciò per Lala occorre un “sistema dinamico che deve adattarsi ai diversi
luoghi e bisogni di cura. Serve un sistema organizzato. No ad un sommergibile a
compartimenti stagni”.
Riguardo all’attività specialistica Lala ha precisato che occorre una nuova visione del ruolo,
non più solo consulenziale, e anche in ragione del fatto che già oggi gli specialisti non lavorano
più solo nell’ambulatorio”.
Ma Lala ha ribadito anche le note dolenti che riguardano l’integrazione. A partire dai sistemi
informativi. ”Purtroppo in Italia, soprattutto al centro sud, il sistema informativo non
consente di avere i supporti essenziali per la presa in carico del paziente. Spesso si replicano
le stesse cose e si continua a lavorare in comparti stagni”.
È chiaro – ha concluso – che l’assistenza territoriale è un’organizzazione complessa ma essa
dev’essere semplice nella sua attuazione. Gli operatori a partire dai medici (che non possono
più pensare di essere dei primi violini senza orchestra), devono avere chiari ruoli e percorsi
per la presa in carico del paziente. Dobbiamo cambiare mentalità e anche nei confronti della
medicina generale serve una strategia comune: Una community care”.
“La cronicità fa rima con trasversalità – ha dichiarato Guido Lucchini, presidente dell’Ordine
dei medici di Pordenone - perché molti saranno gli operatori che interverranno. In questo
momento mi viene in mente quali sono le criticità dei pazienti. “Quando parliamo di cronicità
– ha ricordato - parliamo di persona che hanno 7-8 malattie e assumono 7-8 farmaci. Una
complessità che può essere gestita con azioni semplici, ma portate avanti da una squadra”.
La cronicità necessita di un intervento multi professionale – ha detto Rosario Mete, presidente
della Card Lazio – e il distretto deve prevedere un lavoro in team con pari dignità tra i
professionisti che intervengono. Sembra facile ma nelle realtà regionali c’è molta diversità
nell’applicazione dei sistemi organizzativi delle Asl. Nel Lazio dove lavoro ci sono 12 aziende
che hanno previsto 12 sistemi territoriali differenti. Molti dg per esempio ritengono superati e
non adeguati i Pdta, pur se la regione ha indicato questi tra gli obiettivi strategici. L’attività
che si deve fare è culturale”.
“Approcciare ad un nuovo sistema di cura vuol dire accompagnare costantemente la persona
– ha detto Maria Adele Schirru vice presidente Ipasvi - . Dobbiamo avere attenzione nelle
acuzie trovando il percorso di continuità di cura più adatto non solo a livello terapeutico ma
anche nella dignità della persona. E l’infermiere su questo può dare un grande contributo”
“In Italia non abbiamo solo ritardo su digitalizzazione ma anche sull’organizzazione – ha
precisato Giacomo Milillo segretario nazionale della Fimmg - .E credo che negli anni cisaranno
delle cose che cambieranno anche rispetto alla nostra volontà. Il punto è che forse siamo già in
ritardo. Dobbiamo diventare evolutivi e dovremmo in ogni caso riprogettare i sistemi”.
E poi su fondi sanitari integrativi. “Possono essere un pericolo? Se non li governiamo non lo
sapremo mai. Dipende da come si interviene”.
“Sul distretto sono d’accordo – ha affermato – ma sono convinto che l’interprofessionalità
avverrà oltre i conflitti che ci sono”. Milillo ha poi fatto un riferimento anche al rapporto tra
medici e professioni sanitarie: “Non è cosa può fare il medico ecosa le professioni sanitarie. È
la governance gerarchica o orizzontale la questione. Tutti dicono orizzontale ma ci
propongono il verticale. Oggi c’è il tentativo di dividere”. Infine una battuta sulle nuove forme
organizzative della medicina territoriale. “Aft e uccp? Ancora sono oggetto di concertazione.
Ma oggi con la rete ha senso costruire muri? Con il web le professioni ne troveranno solo
vantaggi”.