ANIME
“inferno”
il trichierotauro
di Ivano Parolini
Da medioevali gargoil, bestie e demoni, che ancora si ergono, barriera e memento, sulle
mura di molti monumenti sacri della nostra storia, tra figure umanoidi e corpi ibridi con cui
nel tempo si è cercato di palesare iconograficamente la presenza del Maligno, Satana,
Lucifero, Belzebù che sia, ecco qui farsi “rinvenimento” stupefacente in anfratti della nostra
quotidianità, da millenarie lontananze, questo eccezionale reperto che la creatività di Ivano
Parolini pone idealmente a conclusione dell’azione artistica “anime, il viaggio verso
l’eterno” realizzatosi recentemente nella Basilica di Gandino con la parte salvifica e
trionfante del percorso ultraterreno verso la luce della salvezza.
Cammino perciò precluso alle anime perse alla Grazia e che trova in questa tappa finale con
l’installazione “inferno” l’opposto senso di un definitivo non ritorno.
Realizzata in uno degli antri più noti della bergamasca, la grotta Buca del Corno di Entratico
d’epoca giurassica, l’installazione, trovando il sito metaforico ideale per la propria
concettualizzazione, è costituita da un’imponente realizzazione scultorea che l’artista ha
ricostruito con un paziente lavoro di preparazione al limite della paleontologia,
“TRICHIEROTAURO”, questo il titolo dell’opera, è in realtà la ricomposizione di un
insieme di ossa di otto diversi animali, pazientemente repertate e trattate, prevalentemente
taurine (da qui il nome), che allude ad un essere a tre teste con propaggini alate a sorta di
immenso pipistrello, anche innestandosi in precedenti iconografici sia della mitologia che
della storia dell’arte, sulle persistenti tracce di quell’essere mostro-minotauro a cui pure
Dante ricorre nella rappresentazione del XII Canto a guardia dei violenti.
Come nella precedente azione, così in questo contesto finale l’ambientazione si compone di
suoni e luci, attori fondamentali, con le relative videoregistrazioni digitali di ogni evento,
nelle dinamiche creative dell’autore: un insieme di led a varie altezze, qui rossi in evidente
riferimento agli inferi, su un sottofondo di suoni e grida laceranti e di drammatica tensione
a significare il buio della perdizione a fronte della luce che in Basilica accolse salvifica.
Opposti irreversibilmente quindi i due momenti scenici: là un “Crocifisso”, pala d’intensa
emotività pittorica in cui tutto può sublimarsi, qui la demoniaca presenza del male
nell’assemblage di una messa in scena di un’eterna condanna.
Quanto allora di un surreale soffio di duchampiano ready-made, da un’intima vocazione
pop, new-dada, è presente in questo sorprendente doppio gioco d’Ivano Parolini che affida
con originale intuizione ad una illusoria “repertazione” di tracce riemerse da millenni e
ricreate in nuova reale temporalità, la straordinarietà di un oggetto d’ambigua “altra”
natura, offerto tutto alla più libera fruizione interpretativa?
Molto del gusto postmoderno che vede nell’oggetto in sé l’elemento strategico di una
robusta linea dell’arte contemporanea, continua ad ammaliare generazioni di non
conformisti ricercatori, in una sottile persistente sfida di “significati”, appoggiandosi ad un
piano possibile di “significanti”, tuttora iconicamente parte di un millenario forte
immaginario popolare, per affidare infine “l’opera” ad una propria autonoma diversa,
concreta incombenza.
Lo spazio della scena in questo “inferno” è intrinsecamente protagonista dell’operazione
artistica, di estremo interesse nella sua unicità, ben oltre l’impatto spettacolare della
rappresentazione e dalle imprevedibili evoluzioni: può accadere così che l’essere oscuro che
domina nel nuovo ensemble per lui mediato dall’artista, sia in fieri, forse mutante nelle
enormi dimensioni non concluse, non del tutto acquietato dal respiro del tempo che l’ha
finora celato.
E’ qui, in questa doppia illusione rivelativa, forse infine trascinato persino fuori dai propri
consueti terribili significati.
novembre 2016
Sandra Nava