Lezione XIV - Servizio di Hosting di Roma Tre

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ECONOMIA URBANA
Valeria Costantini
Facoltà di Architettura,
Università “Roma Tre”
Contatti:
[email protected]
ECONOMIA URBANA E
REGIONALE
Economia Urbana
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TEORIA DELLO SVILUPPO
LOCALE
Economia Urbana
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INTRODUZIONE
Il concetto di spazio diversificato-relazionale identifica una
concezione di spazio più complessa, basata sulle relazioni
economiche e sociali che si instaurano in un territorio.
Distribuzione spaziale disomogenea delle attività e dei fattori
produttivi, della domanda, della struttura settoriale, evidenziando
nuove possibilità di relazioni territoriali.
In un territorio esistono delle polarità ben precise attorno a cui si
strutturano attività economiche, risorse, relazioni di mercato,
dando vita ad un processo cumulativo di agglomerazione
territoriale e un circolo virtuoso di sviluppo. Si riesce a recuperare
all’interno delle teorie di sviluppo regionale uno dei principi
chiave della teoria della localizzazione, le economie di
agglomerazione.
Economia Urbana
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TEORIA DELLO SVILUPPO LOCALE
Natura qualitativa di tali teorie che includono le economie di
agglomerazione.
Lo sviluppo rimane un processo trainato da elementi di offerti
come nelle teorie di crescita regionale, che però abbandona la
concezione di breve periodo, come semplice aumento del reddito
e dell’occupazione, e si assume una concezione di lungo periodo e
si identificano gli elementi tangibili e intangibili di un contesto
locale che ne definiscono la competitività di lungo periodo
Teorie che cercano di analizzare gli elementi che garantiscono
processi produttivi a costi e prezzi relativamente meno elevati di
quanto non accada altrove, possono essere elementi esogeni al
contesto locale (trasferiti in loco casualmente o attraverso precise
politiche), oppure elementi endogeni, che nascono e si sviluppano
nell’area stessa.
Economia Urbana
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TEORIA DELLO SVILUPPO LOCALE
Esempi di elementi esogeni: presenza di un’impresa
multinazionale, diffusione di un’innovazione generata altrove,
nuove infrastrutture decise da autorità esterne
Esempi di elementi endogeni: capacità imprenditoriale, risorse
produttive locali (lavoro e capitale), capacità decisionale e
manageriale degli attori locali
La differenza tra teoria della crescita e teoria dello sviluppo locale
consiste nel ruolo assunto dall’accumulazione di capitale umano
(in senso lato) e dalle interazioni presenti nella società (cultura
economica, istituzionale, sociale), rispetto all’attenzione posta
dalla teoria della crescita all’accumulazione di capitale fisico.
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TEORIA DELLO SVILUPPO LOCALE
Teorie che identificano gli elementi esogeni al sistema che
influenzano la competitività di lungo periodo:
•Teoria dei poli di sviluppo (impresa dominante)
•Ruolo delle imprese multinazionali
•Diffusione spaziale dell’innovazione
•Infrastrutture e nuove tecnologie per la comunicazione
Teorie che identificano gli elementi endogeni al sistema che
influenzano la competitività di lungo periodo:
•Le economie di agglomerazione
•Distretto industriale marshalliano
•Teoria degli spillovers di conoscenza
•Apprendimento collettivo e milieu innovateur
•Learning regions e prossimità istituzionale
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TEORIA DELLO SVILUPPO LOCALE
1) Teoria dei poli di sviluppo: Perroux
Lo sviluppo non si verifica ovunque e simultaneamente, ma si
manifesta in alcuni punti, definiti come POLI DI SVILUPPO, e si
diffonde con intensità variabile nel sistema economico
complessivo.
I poli di sviluppo si identificano per la presenza casuale di
un’impresa dominante (o motrice) che ha capacità di influenzare
con le sue scelte di investimento, il livello degli investimenti delle
imprese ad essa collegate.
A seguito di un’innovazione tecnologica da parte dell’impresa
motrice (che abbassa i prezzi del bene o ne aumenta la qualità) la
domanda esterna del bene aumenta stimolando l’incremento della
produzione, che a sua volta genera un polo di sviluppo.
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TEORIA DELLO SVILUPPO LOCALE
1) Teoria dei poli di sviluppo: Perroux
Effetti positivi concatenati all’innovazione:
Effetto moltiplicativo keynesiano sul reddito per pervade
orizzontalmente tutta l’economia
Effetto moltiplicativo à la Leontief, grazie ai legami input-output
intersettoriali, che pervade verticalmente la filiera dell’impresa
dominante
Effetto di accelerazione sugli investimenti delle imprese (maggiori
profitti generati dal re-investimento degli extraprofitti), operando
in questo caso un meccanismo di sviluppo selettivo
Effetto di polarizzazione: l’aumento della domanda di beni
intermedi e di servizi generato dall’impresa motrice attrae imprese
verso localizzazione prossime all’impresa dominante.
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TEORIA DELLO SVILUPPO LOCALE
1) Teoria dei poli di sviluppo: Perroux
Effetti di localizzazione orientati da diversi obiettivi:
1) minimizzazione dei costi di trasporto per servire l’industria
dominante;
2) Sfruttamento di infrastrutture e di capitale fisso sociale attivati
dal polo
3) Miglioramento delle capacità professionali e manageriali
(imprenditoriali) grazie alla maggiore ampiezza e varietà di
attività economiche intorno all’impresa dominante
4) Sfruttamento della maggiore domanda di beni di consumo da
parte dei lavoratori presenti nel polo.
Possibilità di attuare uno SVILUPPO SELETTIVO
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TEORIA DELLO SVILUPPO LOCALE
1) Teoria dei poli di sviluppo: Boudeville
Il modello di Perroux non ha una collocazione spaziale specifica,
così Boudeville cerca di enfatizzare l’elemento
spaziale/territoriale all’interno della teoria dei poli di sviluppo.
Tre modi di definizione dei confini geografici degli effetti di una
polarizzazione, attraverso diverse ipotesi sulla localizzazione
geografica dei soggetti coinvolti nel processo di sviluppo:
1) Localizzazione geografica specifica dell’impresa dominante attorno a cui si
forma un grappolo (cluster) di imprese collegate
2) Localizzazione urbana dell’impresa dominante, le relazioni input-output si
attivano nella stessa area urbana
3) Ricaduta locale degli effetti generati dal comportamento dell’impresa
dominante (contrario al modello base di esportazione, ovvero si ha sviluppo se
gli effetti positivi restano confinati nel territorio dove ha sede l’impresa
dominante)
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TEORIA DELLO SVILUPPO LOCALE
1) Teoria dei poli di sviluppo: Boudeville
Elemento di novità rispetto al modello di Perroux è che il
processo di sviluppo non è solo dato dalla interdipendenza
settoriale, ma è fortemente connesso ad una concentrazione
spaziale delle attività produttive.
E’ il primo passo per differenziare la teoria dello sviluppo locale
dalle teorie della crescita regionale: lo spazio assume un ruolo
attivo, la geografia rappresenta uno dei fattori che influenzano il
sentiero di sviluppo (ovvero le attività economiche non sono più
considerate omogeneamente distribuite sul territorio).
Molte politiche di sviluppo industriale realizzate dopo gli anni ’50
in Europa sono state ispirate alle teorie dei poli di sviluppo, ad
esempio con le imprese a partecipazione statale in Italia.
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TEORIA DELLO SVILUPPO LOCALE
1) Teoria dei poli di sviluppo: critiche
1) Mancanza di una chiara interpretazione delle ragioni che
spiegano la presenza dell’impresa motrice (esogene), quindi la
teoria non è in grado di discernere tra poli “naturali” e poli
“pianificati”. Problema che ha spesso caratterizzato le politiche di
industrializzazione del Mezzogiorno d’Italia.
2) Ignora gli aspetti negativi che accompagnano la realizzazione
di un polo: effetto di spiazzamento iniziale di attività produttive
locali (effetto negativo su occupazione) come risultato dello shock
della creazione della grande impresa sulla struttura dei prezzi e dei
salari (crescono costo del suolo, salari e costo della vita).
3) In generale gli interventi di politica economica basati sulla
teoria dei poli di sviluppo non hanno sortito gli effetti sperati,
perché assenti quegli interventi di supporto allo sviluppo.
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TEORIA DELLO SVILUPPO LOCALE
2) Imprese multinazionali e sviluppo locale
Nelle scelte localizzative delle Imprese multinazionali (IMN)
prevale l’obiettivo del profitto, ad esempio scegliendo aree con
basso costo del lavoro (se la produzione è di tipo labourintensive). Le regioni con maggiore dotazione di manodopera non
specializzata saranno oggetto di Investimenti per produzioni a
minor valore aggiunto.
La strategia di massimo profitto porta le IMN a scomporre la
catena di produzione per localizzare le diverse funzioni laddove
sia minimo il costo di produzione (ovvero massimo il profitto).
Nella logica capitalista l’esistenza di squilibri nella dotazione dei
fattori è fonte di divergenza nei tassi di crescita economica, critica
allo sviluppo basato sugli IDE durante gli anni ’70.
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TEORIA DELLO SVILUPPO LOCALE
2) Imprese multinazionali e sviluppo locale
Anni ’80, sono stati messi in luce gli elementi positivi che si
generano nell’economia locale dalla presenza di IMN:
Rafforzamento del tessuto produttivo dove l’imprenditorialità era
scarsa
•Aumenti degli effetti di agglomerazione industriale
•Creazione di occupazione a livello locale
•Stimolo per nuovi investimenti a monte e a valle dell’IMN
•Creazione di nuove imprese a monte e a valle
•Aumento delle conoscenze manageriali e tecnologiche nell’area
•Spillovers tecnologici localizzati
•Fertilizzazione incrociata tra imprese e istituzioni locali
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TEORIA DELLO SVILUPPO LOCALE
2) Imprese multinazionali e sviluppo locale
L’intensità con cui questi elementi positivi agiscono dipende dalle
caratteristiche delle imprese multinazionali e dell’area territoriale.
Caratteristiche delle IMN: grado di integrazione verticale,
intensità tecnologica della produzione, dimensione della filiera,
posizione dell’impresa nella filiera, tipo di investimento
(greenfield o acquisto di imprese esistenti), grado di
esternalizzazione dei differenti stadi del processo produttivo.
Caratteristiche dell’area: qualità del tessuto produttivo, del
capitale umano, delle conoscenze tecnologiche esistenti.
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TEORIA DELLO SVILUPPO LOCALE
3) Diffusione spaziale dell’innovazione: distanza geografica
Se si abbandona l’ipotesi di perfetta informazione tipica dei
modelli neoclassici, l’innovazione tecnologica non è più un
elemento disponibile a tutti nel medesimo modo.
L’innovazione si manifesta in tempi e modi diverse nelle diverse
aree, ed è una fonte importante di divario nella capacità di crescita
di una regione (spiega l’aumento di output senza che si sia stato
un aumento degli input di pari entità, ovvero siamo in un contesto
di rendimenti di scala crescenti).
Ruolo importante dell’innovazione nella spiegazione dello
sviluppo locale. Interpretazione dei percorsi territoriali che
l’innovazione segue per giungere in una determinata area
geografica, ovvero modelli di diffusione spaziale dell’innovazione
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TEORIA DELLO SVILUPPO LOCALE
3) Diffusione spaziale dell’innovazione: distanza geografica
Lo sviluppo temporale di un’innovazione segue un andamento a S,
dove le fasi del ciclo temporale devono essere analizzate unitamente a
quelle spaziali, così da avere un modello di diffusione spaziotemporale dell’innovazione in tre stadi (Hagerstrand):
Stadio primario di adozione, l’innovazione si diffonde lungo la
gerarchia urbana
Secondo stadio della diffusione, in cui agiscono contemporaneamente
con pesi diversi l’effetto gerarchico e l’effetto a macchia d’olio
Terzo stadio di saturazione, dove la diffusione spaziale
dell’innovazione è casuale
Meccanismi che guidano la diffusione di carattere epidemico:
probabilità di contatto tra i soggetti cha hanno adottato e i potenziali
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adottatori
TEORIA DELLO SVILUPPO LOCALE
3) Diffusione spaziale dell’innovazione: la distanza economica
La diffusione spaziale dell’innovazione è influenzata non tanto
dalla distanza geografica quanto dalla distanza economica.
Metodologia di analisi della diffusione su due stadi: il primo
stadio prevede la stima di una funzione logistica
D = K /(1 + e − a −bt )
D rappresenta la densità di adozione (numero cumulato di
adottatori), a il momento temporale in cui avviene la prima
adozione, b la sua velocità di adozione (inclinazione della curva) e
K l’asintoto a cui la curva tende (numero massimo di potenziali
adottatori)
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TEORIA DELLO SVILUPPO LOCALE
3) Diffusione spaziale dell’innovazione: la distanza economica
Fattori che influenzano la distanza economica: performance industriale
dell’area e grado di educazione della popolazione influenzano fortemente sia il
livello di saturazione (K) che la velocità di adozione (b); la struttura urbana
dell’area influenza invece il momento dell’adozione (a)
Un elemento di ostacolo all’adozione risiede nel costo del lavoro basso, che
riduce la profittabilità di tecniche produttive labour-saving (ottica
macroeconomica)
Ostacoli organizzativi e culturali che incrementano i costi di adozione di una
nuova tecnologia sono invece elementi microeconomici.
Irreversibilità nelle scelte di non adozione: scaturisce da processi di
apprendimento cumulativo e di investimento in conoscenza irreversibili che
accompagnano il passaggio verso una nuova traiettoria tecnologica.
La scelta di non adozione diventa irreversibile quando i costi di adozione
superano i ricavi di adozione.
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TEORIA DELLO SVILUPPO LOCALE
3) Diffusione spaziale dell’innovazione: la distanza economica
Limite forte de modello: considera un’offerta
tecnologica completamente flessibile in grado di far
fronte alle esigenze della domanda. In realtà è
dall’interazione tra domanda e offerta di tecnologia
che si determinano tempi e modi di diffusione
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TEORIA DELLO SVILUPPO LOCALE
3) Diffusione spaziale dell’innovazione: ciclo di vita del prodotto
La teoria del ciclo di vita del prodotto è stata elaborata nel 1966 da Vernon, e
poi adattata come teoria del ciclo di vita delle regioni da Norton e Rees nel
1979. Le differenze regionali nella capacità tecnologica sono interpretate come
risultato di processi fisiologici dovuti all’invecchiamento delle tecnologie tre
stadi di sviluppo tecnologico associati a tre specifiche localizzazioni delle
attività innovative:
Primo stadio: decollo del prodotto, fattori strategici necessari all’innovazione
sono la capacità di ricerca e invenzione, qualità della manodopera, facile
accesso alle informazioni specifiche (localizzazione urbana e metropolitana,
con domanda rigida al prezzo e aperta alle novità)
Secondo stadio: maturità del prodotto, prevalgono innovazioni di processo, i
fattori strategici sono la capacità manageriale e la disponibilità di capitale,
processi produttivi con impianti di grandi dimensioni, localizzazione più
periferica dove il costo del suolo è più contenuto.
Terzo stadio: standardizzazione della produzione, il fattore strategico è il costo
della manodopera, la produzione si sposta nei paesi in via di sviluppo.
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TEORIA DELLO SVILUPPO LOCALE
3) Diffusione spaziale dell’innovazione: ciclo di vita del prodotto
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TEORIA DELLO SVILUPPO LOCALE
4) Ruolo delle infrastrutture e delle ICT
Importanza delle infrastrutture per lo sviluppo regionale, laddove
però gli investimenti pubblici per migliorare la dotazione
infrastrutturale sono condizione necessaria ma non sufficiente per
innescare un processo virtuoso di sviluppo duraturo.
Importanza dell’adozione e dell’uso delle Nuove Tecnologie
dell’informazione e della comunicazione (ICTs).
Le reti di telecomunicazione costituiscono uno strumento
fondamentale per incrementare lo sviluppo endogeno, abbassando
sostanzialmente i costi di transazione e i costi di organizzazione, e
permettendo strategie di penetrazione dei mercati non più
vincolate dalla distanza geografica (e-commerce).
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